INDIETRO

 

 

 

6/12/1995

 

Ho deciso di prendere le cose sul serio, e quindi considerare le questioni in maniera ancora più radicale. Tutto ciò che ho scritto nella Seconda Sofistica potrebbe risultare anche sommario. Ciò che mi ha indotto a tornare a riflettere è che la questione, per quanto antica, rimanga tale, e potremmo indicarla come “scetticismo semantico”. Si intende con scetticismo semantico il pensiero che giunge a considerare l’impossibilità di potere stabilire con sicurezza, con certezza, i significati delle parole. Tutta l’opera più recente, da De Saussure fino a Wittgenstein, passando anche per Heidegger, è giunta a considerare in termini assolutamente inoppugnabili, incontrovertibili, l’impossibilità di stabilire il significato e pertanto l’impossibilità che gli umani si intendano fra loro. Seguendo la logica, questa conclusione è assolutamente inevitabile, tuttavia per giungere a questa conclusione assolutamente inevitabile occorre pure che ci sia un significato. Ecco allora la questione, se noi consideriamo ad esempio la proposizione che afferma che tutti gli umani in quanto parlanti parlano, che abbiamo indicata come inoppugnabile, come non confutabile, in effetti non direbbe assolutamente nulla se ciascuno di questi elementi di cui è composta questa frase non fosse provvisto di significato. Allora dovremmo dire che questa affermazione comporta, ancora prima di potere dirsi, che questi elementi abbiano un significato? Parrebbe. Questa è una delle questioni apparentemente senza soluzione, nel senso che in nessun modo può stabilirsi la possibilità della comunicazione fra gli umani, ma d’altra parte per poterlo affermare occorre che ci sia. Che è un intoppo non indifferente nel pensiero occidentale. Ora come affrontare questa questione? E soprattutto cosa ci stiamo domandando domandandoci una cosa del genere? Abbiamo visto e abbiamo anche detto in varie occasioni, forse ho anche scritto qualche proposizione da qualche parte, che ci sono delle domande che non possono porsi, per esempio quella famosissima di Wittgenstein relativa al come sapere che quella è la sua mano, domande che non possono porsi in quanto non è possibile formulare nessuna risposta. Qui però c’è un elemento in più, non soltanto sembra non possibile formulare una risposta, ma il non formularla comporta un paradosso, che suona così: gli umani non si intendono se e soltanto se si intendono. Parrebbe che da questa posizione sia molto difficile muoversi. Questa non è una novità, forse lo stesso Gorgia aveva intravista, magari anche precisamente questo: nulla è, se qualcosa fosse non sarebbe conoscibile. Dubito che non si sia accorto che già lo stava dicendo, il fatto che dicesse una cosa del genere comportava necessariamente l’esistenza di qualche cosa molto prossima alla conoscenza, qualunque cosa si voglia intendere con conoscenza, comunque dicevo, da De Saussure almeno, in poi se non altro da quelli che hanno considerata la questione in termini più precisi, più rigorosi, si sono trovati di fronte appunto all’impossibilità assoluta della comunicazione. Gli umani non possono comunicare, per potere affermare una cosa del genere, cioè tutto sommato dire che non c’è nessun significato che sia accreditabile in qualche modo, per potere affermare questo è necessario qualcosa che è comunemente inteso esattamente come significato. Che cosa ci stiamo chiedendo esattamente con questo? Perché è una formulazione differente da quelle solite, di fatto non abbiamo mai incontrato un paradosso così radicale, così potente, abbiamo formulato proposizioni non negabili, e ciascuna volta abbiamo dissolto ciascun paradosso indicando come la formulazione diventi paradossale laddove almeno un elemento, nella formulazione, è pensato fuori dalla parola, e allora a questo punto chiaramente deve cercare una propria garanzia fuori dalla parola, e troverà altre parole, e non ne verrà più fuori. Però qui la questione sembra leggermente differente, perché chiedendoci qualcosa circa il significato, e per il momento accogliamo la nozione di significato più corrente e necessaria e cioè il rinvio di ciascun termine a uno o a una serie di termini a cui è necessariamente connesso perché possa darsi il linguaggio, una definizione che parafrasa quella di Greimas, il significato lo si cerca in un campo semantico relativamente ristretto al fuori del quale interviene come variante, come figura retorica, ma variante rispetto a qualcosa che non varia, cioè un’isotopia. In questo senso necessario. Se questo rinvio non fosse in nessun modo necessario il linguaggio cesserebbe di esistere, se nulla significasse assolutamente nulla, il linguaggio non potrebbe più esistere. Considerazione molto banale ma che costringe necessariamente a riflettere ancora su una nozione che per quanto riflettuta e elaborata sembra mostrare immutata tutta la sua difficoltà. Perché se avevamo dissolto tutti i paradossi affermando che almeno un elemento contenuto nella proposizione paradossale era considerato fuori dalla parola, qui la cosa sembra non porsi esattamente in questi termini, perché posso considerare con significato anche la nozione proposta da Wittgenstein, cioè l’uso che ne faccio. Ma posso farne qualunque uso, in qualunque momento, se intendo continuare a parlare? Evidentemente no, lui stesso per scrivere le cose che ha scritte ha utilizzato certi significanti, ha utilizzato quelli che ha usato perché hanno un significato e non altri. Non ha scritto una serie di zeri infinita. Perché non l’ha fatto? E allora in questo caso abbiamo la proposizione che, apparentemente, non sembra mostrarsi fuori dalla parola, nonostante questo mostra un paradosso terribile. In questa proposizione “nulla è fuori dalla parola” dicevamo che, accogliendo la proposizione di Wittgenstein circa il significato cioè l’uso che ne faccio, questo uso è sempre un uso linguistico, anche la proposta di Greimas non esce dal linguaggio, si attiene al linguaggio, e pure attendendoci a elementi linguistici il paradosso si mostra inevitabile. Occorre provare a definire questo significato, ed è già stato fatto da molte persone anche in modo acuto e fine, dobbiamo provare a dare un’altra definizione? Può darsi, ma c’è l’eventualità che anche fornendo un’altra definizione, qualunque essa sia, questa si trovi di nuovo di fronte allo stesso problema. Quando diciamo “significato” in effetti intendiamo un riferimento, un rinvio, una connessione o un segno, immediatamente pensiamo all’esistenza di un segno. Parlare del segno comporta parlare di significato, parlare di significato comporta parlare di segno. A quali condizioni un elemento linguistico è provvisto di un significato, qualunque esso sia? Con significato possiamo anche intendere campo semantico. In effetti il famoso esempio di “cane”, comporta una polisemia ma facilmente risolvibile o encatalizzabile, come direbbe Hjelmslev, dal testo in cui è inserito. Se uno cerca di sparare e dice: si è inceppato il cane, l’altro sicuramente non va a pensare a un quadrupede che per qualche motivo si è inceppato lì nei dintorni. Come dire che in ciascun caso occorre che, perché si dia un effetto di senso, che il campo semantico sia ristretto o comunque reperibile, in caso contrario ci si troverà di fronte a un elemento linguistico, un lessema, un monema, un iposema, sono grosso modo la stessa cosa, sprovvisto di senso. Il lessema è la minima unità linguistica provvista di senso, poi per alcuni è considerato diviso, per esempio cane, cane è un monema, però alcuni considerano che il ne, è anche lui provvisto di senso, invece ca, no, allora dovrebbe essere scomposto in due monemi, un monema più un altro elemento non semanticamente marcato, (ca non è un vocabolo del dizionario italiano e quindi non è riferibile a un significato). Dunque l’utilizzo di elementi linguistici conduce inesorabilmente a questo paradosso. Che cos’è un paradosso a questo punto, visto che tutti gli altri non ci hanno preoccupati più di tanto in quanto ne avevamo indicato la fragilità, e questa volta invece ci sembra meno fragile del solito? In questo caso un paradosso è una proposizione che afferma di sé che esiste se e soltanto se non esiste, cosa che ci crea qualche problema. Ci crea qualche problema perché? A me in particolare, perché se tutto ciò che ho scritto è sostenuto da una proposizione che afferma qualcosa che esiste se e soltanto se non esiste, allora non si pone più nemmeno il problema se sia negabile oppure no, perché a questo punto diventa negabile se e soltanto se non è negabile...

- Intervento: può riprendere questo...

Si, dicevo che questa proposizione, prima ancora di essere negata occorre che sia intesa, che sia qualche cosa di fatto.

- Intervento: quindi abbia un significato?

Esattamente, a questo punto sono sorti i problemi, perché avendo scritto tutta una serie di cose che si reggono su questa affermazione, questa affermazione posta in questi termini diventa nulla. Nulla in quanto, come dicevo, non si pone nemmeno il problema di sapere se sia negabile oppure no, perché se può affermarsi se e soltanto se non può affermarsi, o se si afferma se e soltanto se non si afferma, allora diventa un’altra cosa, e il tutto occorre che sia riconsiderato. Allora di che cosa è fatto questo paradosso che afferma che una cosa esiste se non esiste? Dice qualcosa di molto importante.

- Intervento: La questione non è intorno al termine esistenza?

Non necessariamente, io ho semplificato con “esistenza” però...

- Intervento: per enunciare il paradosso si utilizzano i significanti come esistenza di cui in un certo qual modo bisogna precisare.

È proprio questo il paradosso, perché io parlavo di significato e non di esistenza. Le dirò, c’è una leggera differenza qui, perché parlando di esistenza si, lo sviamento potrebbe procedere dall’idea che l’esistenza esista da qualche parte di per sé, in questo caso no, il significato è soltanto una procedura linguistica.

- Intervento: è il rinvio, il significato.

Certo, tuttavia come avviene che parlando si utilizzino certi significanti perché provvisti di un significato, e che se questo non si desse non esisterebbe il linguaggio in nessun modo? Abbiamo detto che hanno un significato, però possiamo dire che questo significato è una procedura linguistica, certo, ma al punto in cui ci troviamo non è più sufficiente dire questo, perché questa procedura linguistica cosa fa? Unisce di fatto a un significante un significato, o un campo semantico, come preferite, e noi ci stiamo chiedendo se questa cosa che stiamo dicendo è negabile oppure no. Attenendoci con questo al criterio dal quale siamo partiti e al quale ci atteniamo tutto sommato, perché ci ha condotti in un modo di un certo interesse, ebbene a questa domanda occorrerebbe rispondere che si, è negabile, è negabile che abbia un significato, cosa che hanno fatta già De Saussure, Wittgenstein e altri in modo molto preciso, ma l’hanno fatta utilizzando un significato, è qui che si impianta il paradosso. Perché è vero, noi abbiamo indicato il significato come una procedura linguistica, ma al punto in cui ci troviamo, questo, ai nostri occhi, pare una sorta di escamotage, dal momento che questa esistenza del significato, che pure è ciò che ci consente di fare tutte le affermazioni che abbiamo fatte è assolutamente negabile. È negabile pertanto anche l’uso che ne abbiamo fatto affermando che tutti gli umani in quanto parlanti parlano e quindi, per questo aspetto, questa proposizione è negabile e non, non negabile, come abbiamo sempre affermato. Ma allora provate a riflettere bene sulla questione, cosa dice una cosa del genere? incominciamo a muovere da ciò che in qualche modo abbiamo acquisito, perché in effetti, ciò che abbiamo costruito e quindi acquisito, è soltanto ciò che abbiamo potuto affermare in modo tale che non potesse essere negato, esattamente per quelle procedure che consentono al linguaggio di esistere. Senza andare molto lontano da questo, tutto ciò che ho scritto procede unicamente da una proposizione: non c’è uscita dal linguaggio, avrei potuto dire anche soltanto questo, ho soltanto esplicitate delle implicazioni, dei risvolti, delle connessioni. Questa affermazione “non c’è uscita dal linguaggio” in quanto innegabile è anche negabile, in quanto, perché sia qualcosa, questa proposizione occorre che sia provvista di un significato, e il significato è negabile.

- Intervento: perché il significato è negabile?

Potremmo dirla così, è negabile il significato che si attribuisce ma non è negabile che debba esserci un significato. In effetti è proprio qui che ci siamo fermati, proprio su questo, che non è negabile in nessun modo che possa darsi un significato, quindi occorre che ci sia, ma d’altra parte qualunque significato noi possiamo o vogliamo o immaginiamo di attribuire a un qualunque significante, questo sarà negabile. Noi non possiamo attribuire nessun significato in nessun modo, però non possiamo non dire che occorre un significato,

Intervento:...

Non si precipiti. Dicendo che nessun significato può attribuirsi, chiaramente intendiamo con questo, mettiamola proprio in modo più semplice, un rinvio, non c’è nessun rinvio dunque che sia possibile stabilire, però questo rinvio deve esserci. Che cos’è allora questo rinvio che in nessun modo può esserci ma che tuttavia deve esserci? Possiamo provare in modo assolutamente indubitabile l’assoluta impossibilità di potere definire il significato, di poterlo stabilire in qualunque modo, dicevo anche che non possiamo non accoglierlo. Ma ciò che non possiamo non accogliere in che modo si distingue, come dice giustamente Sandro, da quell’altro?

- Intervento:.. due rinvii, quello come procedura e quello “ontologizzante”...

Si, parrebbe, tuttavia per compiere queste affermazioni, una serie di proposizioni, di frasi ecc., in tutto questo che Lei ha detto, il significato che è intervenuto mano a mano in tutto ciò che ha detto e che lo costituisce, lo pensa, lo immagina come procedura o in accezione ontologica?

- Intervento: quello che io dico è negabile, il fatto che io dica non è negabile

Ecco si fermi qui: non è negabile certo, ma a quali condizioni non è negabile? Perché per potere stabilire che non è negabile deve già essere accaduta un’operazione in precedenza, e cioè che Lei abbia inteso questa proposizione e stabilito o affermato che non è negabile, perché una proposizione che non significa assolutamente nulla non può in nessun modo essere negata né affermata, è negabile quindi è qualcosa, perché sia qualcosa occorre che sia provvista di significato, allora quando parliamo di significato, parliamo del significato, come diceva Lei, sia come rinvio necessario, sia invece come rimando non necessario, usiamo questi due termini anche se sono sinonimi, giusto per differirli, allora in ogni caso parliamo del significato utilizzando già un significato. Intendo dire questo, che per affermare che il rinvio è necessario io mi trovo già preso nel significato. Perché dico “il rinvio è necessario”, e non “il posacenere è fatto di acqua”, perché non dico quest’altra cosa? Perché esiste un significato o qualcosa che io chiamo in questo modo e di cui è fatto il linguaggio, senza questo non potremmo in nessun modo esistere, perché la sua notazione è ciò che io chiamavo escamotage, in un certo senso, perché aggira la questione dicendo “il significato come procedura linguistica”. Per cui un elemento deve avere necessariamente un rinvio, se non avesse nessun rinvio sarebbe isolato dal linguaggio, quindi sarebbe fuori dalla parola e pertanto non potrebbe dirsi, abbiamo detto così in varie occasioni, quindi necessariamente occorre che abbia un rinvio. Ma questa proposizione che afferma una cosa del genere ha un significato oppure no?

- Intervento: È la questione della variante e dell’invariante

In effetti posta nei termini precedenti non è circolare è paradossale, che non è propriamente un circolo, semplicemente una cosa che si afferma soltanto se non si afferma

- Intervento: Mi chiedo soltanto dove si va a parare, cioè mi chiedo se si tratta di stabilire qualche cosa di necessario

Direi non necessariamente, si ci stiamo lasciando interrogare da questo paradosso...

- Intervento: Mi chiedo se non sia strutturale...

- Intervento:...mi chiedo cosa vuol dire a questo punto strutturale... non si può negare che parlando stiamo dicendo delle cose...

Qualunque affermazione contraria è paradossale, che in effetti il paradosso che ho enunciato conduce inesorabilmente a un’altra affermazione forse più facilmente comprensibile, che è questa: gli umani parlano se e soltanto se non parlano.

- Intervento: Va bene perché non potrebbe essere?... Il paradosso nasce quando si dà necessità a qualche cosa...allora se è l’uso portatore di significato allora dove sta il paradosso, se soltanto voglio stabilirne una necessità incontro il paradosso ma se io non ho la necessità di definirne la necessità, cioè se io non lo voglio risolvere davvero, ma allora dove sta la necessità della necessità...

Però bisogna tenere conto di un aspetto, da dove siamo partiti per tutta questa operazione che stiamo facendo e cioè da una considerazione che qualunque affermazione è negabile e quindi nulla può costruirsi in modo tale da potere procedere senza che a ogni passo possiamo demolire tutto con assoluta facilità e quindi affermare qualunque cosa e il suo contrario a pari merito, e abbiamo pensato che forse una proposizione da cui è possibile partire e cioè quella che ci costringe ad affermare che appunto gli umani in quanto parlanti parlano, perché negare una cosa del genere non può farsi perché appunto per negarla occorre parlare. Abbiamo attribuito al significante necessario, questo significato, di non poter negarsi salvo essere immediatamente annullato. Ora detto questo ci siamo trovati di fronte a un’altra considerazione e cioè questa proposizione, che afferma che i parlanti ecc., è qualcosa oppure no? Cioè ha un significato? Dice qualche cosa? perché per dire che, che io dica, per esempio, comporta che io dica qualcosa, perché questo possa farsi occorre che esista un linguaggio, anche molto ben strutturato, se io non fossi nel linguaggio ed emettessi soltanto dei suoni non potrei fare una cosa del genere, non potrei affermare che io dica comporta che io dica qualcosa, quindi già tutto questo sta operando, sta funzionando. Ora ci siamo trovati dunque di fronte a questa considerazione che la posizione da cui siamo partiti, che se ci è parsa non negabile tuttavia per potere farsi occorre che sia strutturata in un certo modo e cioè sia provvista di significato. L’esistenza del significato, qualunque sia quello che gli attribuiamo è necessaria oppure no? Cioè questo necessario occorre che ci sia oppure no? Per il momento stiamo dicendo che parrebbe di si, perché altrimenti emetteremmo dei suoni, saremmo fuori dal linguaggio e quindi non potremmo fare nessuna di queste discussioni, dunque occorre che ci sia. Ma uno qualunque o uno preciso? Neanche uno qualunque perché come dicevo prima Wittgenstein ha scritto tutte le sue cose non facendo tutta una lista di zeri ma facendo un’altra cosa e quindi occorre che ci sia un significato, questo sembra che sia assolutamente inevitabile, proprio perché si dia, perché esista il linguaggio, tuttavia l’altra questione su cui ci siamo fermati è invece l’assoluta impossibilità di potere stabilire propriamente che c’è un significato e se non ci fosse un significato allora ce ne sarebbe uno qualunque e se ce ne fosse uno qualunque il linguaggio non esisterebbe più. È questo l’intoppo perché abbiamo detto un sacco di volte che non può darsi un significato, ma l’abbiamo sempre detto attenendoci in modo rigorosissimo ad un significato. Ecco questo riassunto in breve il paradosso che ci sta interrogando e che ha l’unica virtù di consentirci di riflettere, non ne ha nessun altra però questo non è poco e quindi ci riflettiamo questa settimana...