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4-7-95

 

L’affermazione e la negazione

Se parlo, parlo di qualcosa. Segno. Rinvio dal conseguente all’antecedente.

 

Dicevo la volta scorsa, proprio mercoledì si poneva una questione intorno, come vi ricordate, intorno all’affermare e al negare, e apparentemente la questione rimaneva irresolubile, qualunque via pareva impedita, pareva impedita perché qualunque definizione che potessimo dare, di fatto non ci consentiva di proseguire eppure, eppure è possibile definire tanto l’affermazione quanto la negazione, affermare e negare, tenendo conto, perché sono queste le definizioni che a noi interessano, le definizioni che non possono essere negate, quindi tenendo conto di ciò che andiamo dicendo. Allora la questione di fatto è molto semplice, che cosa afferma? Afferma la proposizione che dice che ciò che sto dicendo è necessario. Cosa vuol dire che è necessario, tenendo conto di ciò che stiamo facendo? Che non è negabile e allora a questo punto la negazione, il negare, attiene propriamente a tutto ciò che è negabile e pertanto non necessario, molto semplicemente. La negazione afferma ciò che non è necessario, quindi ciò è negabile. D’altra parte provate a riflettere un istante, quando chiunque afferma qualcosa, cerca di fare in modo che ciò che afferma possa essere almeno vero, necessariamente vero, anche con tutte le precauzioni, le prevenzioni, ma ciò cui tende è questo, che ciò che dice sia vero, cioè che non sia negabile, mentre quando nega qualcosa, portando la cosa alle sue estreme conseguenze, nega che una certa proposizione sia necessaria, questo nei termini assolutamente radicali, poi ciò che avviene nel dire quotidiano è altro, è altro perché non muove da queste premesse, ecco però una definizione di affermazione e negazione che tenga conto di ciò che stiamo dicendo e che pertanto risponda al requisito di non poter essere negata. Cosa che ci interessa particolarmente, potere proseguire in modo in cui stiamo facendo e vale a dire non tenendo conto di ciò che è opinabile, di ciò che è negabile ma unicamente di ciò che non può non ammettersi dicendo…ecco allora a questo punto sempre di più risulta importante tenere conto che la nozione di vero, in tutto ciò che andiamo facendo è attribuibile unicamente a ciò che non è negabile, soltanto questo. Questo per esempio, in un agone eristico o dialettico vince evidentemente chi riesce a convincere o a confutare l’argomentazione dell’altro e quindi ciò che dice risulta vero e in ogni caso è sempre un vero comunque opinabile, dal momento che altri meglio addestrati possono confutare la confutazione e così via all’infinito, per cui paradossalmente o parodisticamente un agone eristico condotto da due persone piuttosto addestrate sarebbe come una sfida agli scacchi condotto da due computer, va avanti all’infinito. Ora il vero, dunque come ciò che in nessun modo è né negabile, né opinabile. Cosa consente questo? Consente un’operazione di un certo interesse, cioè non tanto, dicevamo da sempre, la costruzione di una teoria, quanto il tenere sempre più e in maggior conto nella formulazione di qualunque proposizione, di qualunque teorizzazione, di qualunque elaborazione, di ciò di cui non è possibile non tenere conto. Avvertiti di questo, diventa sicuramente molto più arduo il compiere un’elaborazione teorica, ma assolutamente più rigoroso, dal momento che viene, direi per definizione escluso tutto ciò che è opinabile e tutto ciò che è negabile. È stato il tentativo di molti, vedevamo anche Kant, tempo fa, costruire qualche cosa che…sì una proposizione tale che in nessun modo possa essere negata, quella che abbiamo reperita era banale, molto semplice, altre potremmo reperirle, forse, ma considerate ora un altro aspetto, che cos’è un segno? E confrontatela con ciò che stiamo facendo, la proposizione da cui siamo partiti è segno di qualcosa? Intanto proviamo a dire qualcosa del segno, è nota la definizione anche nel dizionario: ciò che rappresenta qualcosa per qualcuno, o ciò che rinvia qualcosa a qualcuno, è senza dubbio un rinvio, perché senza dubbio un rinvio? Bisogna andare cauti nell’affermare senza dubbio, perché? E se ci fosse il dubbio? C’è questa eventualità occorre che teniamo conto, dunque la questione è che se non c’è un rinvio per cui qualche cosa mi si pone di fronte, c’è l’eventualità che questo qualche cosa in nessun modo potrebbe essere percepito, percepito in quanto nei modi in cui lo percepisco, qui ci troviamo di fronte ad una duplice questione, quella semiotica e quella linguistica, che sicuramente vanno affrontate ciascuna lungo la sua elaborazione, ma tenendo conto che non c’è l’una senza l’altra. Come distinguere la linguistica dalla semiotica? Per esempio? La linguistica si occupa del fatto linguistico in quanto tale, e quindi delle strutture e quindi delle sue connessioni, implicazioni, il suo accadere; la semiotica si occupa del fatto linguistico in quanto segno per altri o per qualcuno di altro, cioè come rinvio e allora ci stavamo domandando questo, se qualcosa può non essere rinvio e abbiamo, provvisoriamente, risposto di no, per questo motivo, se un elemento in quanto tale, intanto potremmo dirla così, non fosse tale per qualcuno, che ne sarebbe di questo elemento? Possiamo dire che esisterebbe? No, dal momento che l’esistenza è un fatto linguistico e come tale necessariamente prevede qualcuno per cui sia un fatto linguistico, quindi oltre che un fatto linguistico, anche un segno, simultaneamente. Ora la questione che più ci interessa è che il segno in quanto tale non è altro che il rinviare qualcosa a se stessa per poter definirsi in quanto tale, e questa è la definizione che qui do di segno, provvisoriamente, il rinviare di un elemento a se stesso, per potere definirsi in quanto tale. Quindi, intanto, non un rinvio di qualcosa a qualcun altro ma, è chiaro che tutto ciò comporta necessariamente anche un altro rinvio o adesso vedremo come possano essere aspetti della stessa questione. In questo modo io ho, per dirla così, bypassato la presenza di qualcuno in quanto tale, l’ho aggirata, ho parlato soltanto di elementi, elementi linguistici evidentemente, perché un elemento linguistico sia tale, qual è la condizione? Dire che un elemento linguistico è tale già c’è, per dirla così, uno iato, uno sfasamento, un porsi di fronte, riprendendo le tesi di Derrida, cui accennavamo qualche tempo fa, allora dico che occorre che un elemento linguistico rinvii a se stesso per poter essere tale, perché al contrario non sarebbe nulla, non sarebbe proprio. È una definizione di segno che in questo caso, almeno apparentemente è duale, adesso vedremo come interviene il terzo elemento di cui parla Peirce, però per il momento forse è il caso di precisare questa nozione, e di stabilire se effettivamente è così, cioè se non potremmo dire altrimenti, e allora torniamo alla questione che sempre ci interroga e cioè a quale condizione possiamo dire che un elemento linguistico è tale, quello di cui parliamo indubbiamente, ma cosa comporta questo, il fatto che parli? L’eventualità che ne parli. E qual è la condizione per cui possa parlarne? (Importante questa particella “ne”) che questo elemento possa rinviare a se stesso, altrimenti sarebbe…svanendo nello stesso istante in cui lo colgo, non ci sarebbe nessuna traccia di lui, se non fosse segno, cioè se non implicasse se stesso, potrei dirne qualcosa? Potrei dirne, semplicemente? Questo ne, si riferirebbe a che esattamente? A nulla. Per dirla in termini un po’ parodistici, potrei parlare, ma non parlarne. Però ancora non è così chiara la questione, perché questo ne, questa particella, indica che sta al posto di qualche cosa, di un nome magari o comunque di un elemento linguistico… ora dunque tutto ciò implica questa formula di cui dicevamo, che se P allora P, dove è necessario che cosa? Che non si dia l’uno senza l’altro, e questo cos’è se non la formula di un rinvio?

Intervento: se P allora Q…

No, no, se P allora P. La formula proprio più semplice. Che cos’è, se non un rinvio a sé? Ora tuttavia abbiamo detto in varie circostanze che un elemento non è identico a sé, però abbiamo posto qualche obiezione, dal momento che a noi ciò che interessa non è ciò che può essere provato, ma ciò che non può essere negato, che è molto differente, incominciate ad accorgervi di un gioco linguistico in tutto ciò, nulla può essere provato, ma ci sono elementi che non possono essere negati, perché strutturali al gioco linguistico, senza questi elementi cesserebbe di essere tale.

Intervento:

Dicevo in modo un po’ parodistico in effetti risulta arduo…ricordate, ho fatto un breve accenno, ora riprenderemo, nella Critica della ragion Pura, di Kant: la costruzione matematica come giudizio sintetico; cioè come un’invenzione, una costruzione, può essere logicamente tutto quello che mi pare però, nulla rende necessario che il due sia tale, per esempio, cioè è possibile sostituire alla notazione matematica un’altra, che abbia la stessa funzione, ma questa sostituzione è possibile, anche la costruzione di una notazione matematica è possibile per via di una struttura linguistica, che possiamo anche dire arbitraria, per un certo verso, ma necessaria per un altro. Il verso per cui diciamo che è necessaria la struttura linguistica, non è lo stesso in cui diciamo che è necessaria una struttura matematica, un sistema notazionale matematico, perché sono le premesse, gli assiomi da cui muoviamo rispetto alla questione del linguaggio che risultano necessari, per il fatto che ci troviamo nel linguaggio e questo risulta non negabile, dicevamo, in nessun modo, perché qualunque modo di negare questo, avverrebbe comunque nel linguaggio, il sistema notazionale matematico no, non ha questa forma di necessità, tant’è che lo stesso Kant, lo pone come giudizio sintetico, per quanto a priori sia, non è mai analitico, cioè mai necessario.

Intervento: anche il sistema matematico parte da delle premesse, da degli assiomi

Certo e allora? È Inevitabile partire da premesse

Intervento: allora non capisco…

Non capisce la differenza, adesso gliela spiego. Gli assiomi della matematica, vediamola con Kant, sono giudizi sintetici cioè nulla rende necessaria che 2x5 = 10 se non un sistema notazionale matematico costruito, un regola, ma come possiamo noi pensare un sistema matematico, qualunque esso sia, se non perché esiste una struttura linguistica che lo consente? e questa struttura è tale, in quanto ciò che risulta assolutamente imprescindibile è il fatto che esista, per poter costruire anche un sistema notazionale matematico, o un sistema di calcola qualunque esso sia, che Lei calcoli, per esempio, che lei usi un sistema matematico, non può essere negato che Lei si trovi nella parola, anche quando tace, e torno a ripetere non… può essere provato, non può essere negato e torno a dire è molto differente. Dunque per tornare alla questione che ci interessava del segno, del rinvio stavamo dicendo che il modo in cui noi affermiamo P è attraverso un segno che ci dice che se P allora P, e stiamo dicendo che soltanto a questa condizione P o di P posso parlarne, cioè soltanto se un elemento rinvia a se stesso. Perché rinvia a se stesso? E perché comunque ciascun elemento rinvia ad un altro? Abbiamo accennato ad una questione adesso, appena accennato perché non è così semplice, adesso poniamo l’altra che forse è più radicale, la questione grammaticale direbbe Wittgenstein, nel senso che se parlo, per definizione grammaticale, parlo di qualcosa, anche se in alcuni casi sembra che qualcuno parli di niente di fatto sta parlando di qualcosa, ciò che risulta imprescindibile è che parlare sia di qualche cosa

Intervento: sì però perché grammaticale?

Grammaticale nell’accezione di Wittgenstein, cioè della necessità del gioco linguistico in questo senso, per cui se parlo, risulta necessario che io parli di qualcosa. Già qui c’è un rinvio cioè un segno, il fatto che parli è segno che c’è qualcosa di cui sto parlando. In una prima approssimazione direi che è la definizione di segno che meglio si attaglia a ciò che andiamo dicendo, perché non prevede null’altro all’infuori al fatto che si parli. Se parlo, parlo di qualcosa necessariamente, qualunque cosa dica per qualunque motivo, in qualunque circostanza. Ancora non ci interessa il che cosa? O il di che cosa io stia parlando? Ora è possibile radicalizzare ancora di più, prendendo spunto, per esempio da cosa dice Peirce, l’uomo come segno, cioè diciamola così in termini ancora un po’ rozzi, colui per il quale qualunque cosa è segno, per cui esiste il segno, di fatto è un segno, perché io dell’uomo ne parlo, a meno di non stabilire per questo significante un’ipostasi extralinguistica, ma abbiamo visto che porre questi elementi ci porta poco lontano. Se nella semiotica nulla è pensabile o dicibile fuori del segno, possiamo accogliere questa tesi in questa accezione, che non è possibile parlare se non di qualche cosa, qualunque cosa sia, compreso l’uomo.

Intervento: volevo domandare questo: il rinvio di qualcosa a se stesso, per essere tale, e nello stesso tempo dire che quando si parla, si parla di qualcosa. Allora c’è un segno che rinvia a se stesso per essere tale, ma c’è qualcuno che comunque deve parlarne perché ci sia un segno che possa rinviare a se stesso, per essere tale. Se uno si limita alla prima proposizione del segno come rinvio a se stesso non si vede come ci sia bisogno che ci sia qualcuno che ne parli…

Sì, questo qualcuno è un segno anche lui, ma dicevo un segno è qualcosa che rinvia a se stesso e nello stesso tempo dicevo che parlare è parlare di qualcosa….È perché esiste il qualche cosa di cui parlo, che di fatto parlo, che io posso stabilire che parlo. In questo senso dicevo che segno è ciò che rinvia a se stesso, in quanto il parlare…

Intervento: ecco il rinvio a se stesso non è una differenziazione di esistenza

Certo io avevo formulato la cosa in modo un po’ più articolato e cioè un elemento che rinvia a se stesso, è soltanto a condizione di questo rinvio che questo elemento può dirsi tale…è chiaro che in questo modo, un elemento viene rinviato a se stesso e soltanto a questo punto, il parlare, proprio perché è parlare di qualche cosa, diventa parlare, cioè è parlare di fatto. Ci sono altre obiezioni prima che prosegua? Cosa non risulta assolutamente chiaro?

Intervento: stavo pensando alla negazione…

Parlare di qualcosa di cui non si vorrebbe parlare? io ho detto così?… Sì potrebbe essere, ci sono molti modi di dire ciò che non si vuol dire, dicendo e non dicendo, ci sono molte figure retoriche che assolvono a questo compito…

Intervento

Se non si vuol negare allora che problema c’è? Prima dice: è qualcosa che non si vuole dire

Intervento:

Noi abbiamo detto che affermare è dire ciò che in nessun modo può essere negato. Negare invece è dire ciò che quindi risulta negabile, tutto ciò che non è necessario, tutto ciò in cui risulta… esclusa la necessità, è negabile. Tant’è che qualunque affermazione che risulti non necessaria, in questa accezione, è negabile, tutto ciò che è opinabile è negabile. Ecco affermare è dire ciò che necessariamente è, negare è dire ciò che non necessariamente è, molto semplicemente. Questa è una definizione che tiene conto di ciò che stiamo dicendo, ché dicevamo, chi vuole affermare qualche cosa pretende almeno in linea teorica, che ciò che dice non sia negabile e quindi portando la cosa alle estreme conseguenze, l’affermazione afferma ciò che in nessun modo può essere negabile

Intervento: e che in nessun modo può essere provato

No, questo proprio non ci interessa, no, può essere anche provato, ma non ci riguarda….

Intervento:

Adesso ci occorrerebbe un criterio di prova, se no.

Intervento: la negazione?

La negazione coglie un aspetto di ciò che è negabile. Però anche la negazione se portata alle estreme conseguenze che cosa deve negare? Deve negare che qualcosa necessariamente non sia. La negazione cosa fa invece? Dice semplicemente che qualcosa non è necessario, poi le applicazioni della negazione sono sterminate, però a noi interessava una definizione che risultasse in questa accezione necessaria.

Intervento: il passaggio dalla negazione al segno?

Il passaggio è avvenuto attraverso una riflessione intorno al come abbiamo affrontato questa questione, vale a dire tenendo conto di fatto, a ciò che attiene al gioco linguistico, a questo punto ci siamo domandati, rispetto a questo gioco linguistico, a quali condizioni io posso dire che un qualunque cosa è un elemento linguistico, e da qui ci siamo trovati di fronte alla nozione di segno e cioè che qualunque cosa è un segno di fatto e quindi rinvia, ora la necessità qui era di trovare una nozione di segno che ci consentisse di utilizzarla senza ricorrere a qualcosa di negabile, che potesse essere negato. Perché in tal caso, se può essere negato, risulta non necessario, risulta una congettura, risulta arbitrario, noi potremmo dare di segno, una quantità sterminata di definizioni, ma quale definizione risulta necessaria? nel senso di non negabile, perché il negarla comporterebbe negare la possibilità stessa di definire il segno, per esempio, e dicendo che il segno non è altro che un rinvio di un elemento a se stesso, perché possa considerarsi tale, questo se stesso, diciamo qualcosa, che di fatto, se apparentemente non dice nulla, ci consente però di stabilire la condizione per potere affermare, per potere dirne di qualunque cosa, perché dicevamo se questo non si verificasse, se un elemento non rinviasse a se stesso, allora dicevamo parodisticamente potrei dire, senza dirne, perché si dissolverebbe nel nulla, non sarebbe mai esistito. Ora il punto in cui eravamo giunti era questo, riflettere se è effettivamente è così

Intervento: lei dice che il segno è il rinvio a se stesso per potersi definire…

Per potersi dire, definire è ancora…

Intervento: mi sfugge questo rinvio a se stesso, Lei lo da come postulato

Però Lei non ha sentito bene la definizione che ho data, perché lì è possibile affermare… perché lì c’è il rinvio del fatto che parlo di qualche cosa, a questo punto parlo evidentemente, perché parlo di qualcosa, se no il parlare non c’è

Intervento: perché se stesso?

È una formulazione linguistica che offre il fianco a qualche obiezione, per il momento possiamo provvisoriamente accoglierla per indicare…

Intervento: questa particella ne, indica qualcosa come l’oggetto, ha a che fare con l’oggetto?

Possiamo anche chiamarlo così però di fatto…

Intervento: Peirce parla di oggetto

Sì, sì possiamo indicarla anche come l’oggetto, in questo caso parlare, parlare di qualche cosa, questo qualche cosa, che cosa sia ancora non l’abbiamo preso in considerazione, abbiamo soltanto detto che parlare per essere tale, occorre che sia parlare di qualche cosa, per definizione, direi.

Intervento: Non è che questo rinvio sia un ritorno, proprio perché se c’è questa particella ne, c’è questo ritorno? Questo rinvio a se stesso?

Ritorna, ma non c’era prima…

Intervento: Sì ma in quanto c’è questo ritorno

Intervento: Sarà perché c’è questo pronome personale che crea questo senso?

Non è che lo crea, diciamo che indica questo rinvio

Intervento: L’uso del pronome personale alla terza persona indica qualcosa che stia lì ad indicare qualche cosa che esiste di per sé, è qui l’equivoco

Allora riprendiamo la questione, poniamoci la questione in questi termini, perché parlare è parlare di qualche cosa? Perché il parlare, anziché per esempio, essere un parlare di nulla? Ora in questo caso, che ne è di questo parlare, laddove questo parlare fosse il parlare di nulla? Assolutamente nulla?

Intervento: Parlare di nulla è comunque negare di parlare di qualcosa

Ma questa sorta di petizione di principio, è proprio questo che cerchiamo di cogliere, cioè se, di fatto, non ci sia in nessun modo possibile parlare di nulla, in questo caso lo stesso parlare si annulli, cessi di esistere in quanto parlare. Parlare in questo caso, nell’accezione di cui stiamo parlando sarebbe trovarsi fuori dalla parola, come?

Intervento: Per questo non si può parlare di nulla

Stavamo in effetti giungendo a questa considerazione, per indicare come di fatto parlare, sia necessariamente parlare di qualcosa, in quanto in caso contrario lo stesso parlare, cesserebbe di esistere. Ma allora se parlare, per definizione grammaticale, sempre in accezione di gioco linguistico, è parlare di qualcosa, l’uso, il suo uso è questo, non ce ne sono altri, è parlare di qualche cosa, allora immediatamente avvertite come le due cose, il parlare e il qualche cosa di cui si parla, costituiscono una sorta di implicazione assolutamente necessaria, così come quella che indicavo prima di se P allora P. Perché dire che se parlo, parlo di qualcosa, e altrimenti detto, che se parlo, parlo, e con questo non ho detto un granché, però ho detto anche molto, ho detto come di fatto il qualche cosa di cui sto parlando, segua necessariamente il parlare, e non possa negarsi. Ora rispetto al segno, il rinvio qui dove sta? Che nel caso di se P allora P, il rinvio è dal secondo al primo, cioè dal conseguente all’antecedente, dall’apodosi alla protasi, ma è proprio perché c’è questo rinvio che esistono entrambi, perché che cosa dice l’implicazione quella stretta di cui parla Lewis? Che è tale quando non si da il caso che ci sia l’uno senza l’altro. Tant’è che l’implicazione può scriversi o con il ferro di cavallo o con una freccia puntata a destra. Abbiamo detto che parlare di qualcosa è come dire che se parlo, parlo. Cosa diciamo con questo? Diciamo che la condizione per cui io parli, sia che parli, ora questa condizione che cos’è se non un rinvio? Un rinvio del conseguente all’antecedente? Perché io parli occorre che parli, questo occorre che parli è il conseguente di un antecedente che risulta, più che confermato, risulta posto dal condizionale e cioè dall’esistenza del conseguente.

Intervento:

Perché stiamo cercando di illustrare la nozione di segno nella definizione che abbiamo data prima… il segno come rinvio, rinvio dal conseguente all’antecedente, e con questo sfioriamo la questione che pone Morris, rispetto al fatto che interagiscano i vari aspetti…

Intervento:

È di una semplicità sconcertante, talmente semplice capace da risultare difficile da pensarsi…

Intervento: perché la necessità da rinviare dal conseguente all’antecedente?

È la questione da cui siamo partiti, vale a dire, vale a dire che se parlo, parlo di qualcosa…Non lo abbiamo dimostrato, abbiamo detto solo che non è negabile, non abbiamo dimostrato niente

Intervento: il rinvio dal conseguente all’antecedente…

Per dimostrare nulla, per illustrare la necessità, il fatto che se parlo, parlo di qualcosa, e quindi è questo di qualcosa che è il conseguente, a fare esistere per così dire l’antecedente…

Intervento:

L’implicazione stretta, quella di Lewis. Parlando, parlo di qualche cosa…bene riprendiamo domani, buona notte a tutti.