LA SCIENZA DELLA PAROLA
MANIFESTO TEORICO
Luciano Faioni
LA DISSOLUZIONE DELLA
CERTEZZA
Tra le varie questioni
che Freud considera lungo la sua opera, ce ne è una sulla quale vorrei
soffermare la vostra attenzione: la nozione di rimozione, uno dei capisaldi
della teoria freudiana. Cosa dice la rimozione? Che un termine, un elemento
linguistico, un nome, può mostrarsi come un insieme, una costellazione di
elementi, il significato di quel termine non è più soltanto quello classico,
tradizionale di un dizionario ma diventa appunto una costellazione di elementi,
di termini, di significati. Nel saggio Il diniego, Freud racconta di un
tizio che parlando di un sogno che aveva fatto, dice a un certo punto che in
questo sogno c’era una donna ma non era sua madre, così dice, ora tecnicamente
questo enunciato direbbe che quella donna che ha sognato non era semplicemente
sua madre, ma per Freud la cosa non era così semplice, intanto si è posto
questo elemento, la madre intendo dire, si è posto ma negato, come dire che c’è
questa madre ma non è la madre. Le considerazioni che fa Freud, fra le varie,
sono queste: il significato di questo elemento “madre” in quel sogno non è più
soltanto da intendersi come quella donna che ha generato un essere vivente
eccetera ma il fatto che sia intervenuta e che abbia dovuto negarla comporta
che insieme con questo elemento ne intervengono molti altri, e sono questi
altri che hanno determinato poi la necessità di negare questo termine, perché
per esempio comportava qualche problema all’interno di quella combinatoria,
come dire che il significato, nel racconto di questo tizio della parola madre
non è più soltanto il significato che offre un qualunque dizionario ma è fatto
di una serie di altri significati che determinano il significato di
quell’elemento e lo determinano in modo tale da dovere essere negato da quella
persona. Quando quel tizio dice “ho sognato una donna, ma non era mia madre”
questa madre è proprio soltanto la genitrice, colei che gli ha dato la vita?
Evidentemente no, non ci sarebbe stato nessun motivo di negare una cosa del
genere, ha dovuto negarlo perché il significato di quel significante “madre”
andava molto al di là del suo significato tradizionale, come dicevo prima, una
costellazione di significati, quindi cosa significa esattamente questa parola
“madre” in quel contesto? Molte cose, tante che potrebbe diventare impossibile
stabilire con esattezza, con certezza, quale sia il significato preciso di quel
termine. In quegli stessi anni a Ginevra, un linguista ginevrino tale Ferdinand
De Saussure stava considerando qualcosa di simile in relazione al significato
delle parole, ma non tanto di una parola connessa con altre parole a costituire
appunto una costellazione di significati ma la parola in quanto tale come un
segno. Si considera De Saussure come l’iniziatore o uno degli iniziatori della
semiotica, cioè della teoria dei segni, e questo segno di cui parla dice che è
fatto di due parti: l’una è il significato, e fa l’esempio della parola
“albero” uno quando sente la parola “albero” sa a che cosa ci si riferisce:
vegetale d’alto fusto, con radici, una chioma, fronde rami e tutti gli aggeggi
annessi e connessi, e dall’altra parte oltre al significato l’espressione, cioè
la manifestazione fisica, il corpo di questa parola, l’aspetto sonoro, lui la
chiama “immagine acustica” possiamo dire la forma del suono, il corpo di questa
parola che chiama significante. Stabilito il segno in questo modo si accorge
poco dopo che sorgono dei problemi, problemi relativi all’individuazione tanto
del significato quanto del significante, come si stabilisce un significato, un
concetto? Si definisce per differenza da tutti gli altri concetti possibili e
pensabili, come dire che il significato ha una determinazione che è
differenziale rispetto a tutti gli altri significati, è una differenza rispetto
a un’infinità di significati e rileva che anche il significante è assolutamente
arbitrario, tant’è che in italiano “albero” si dice albero, in inglese si dice tree, in francese arbre, e così via in infiniti altri modi
quanti sono le lingue. Anche il significante di per sé non è individuabile se
non come un elemento che è differenziale rispetto a tutti gli altri
significanti, cioè tutte quelle altre immagini acustiche che costituiscono
questo universo che lui chiama la “langue”, ora questo già di per sé potrebbe
costituire un problema, cioè l’identificazione di un elemento, ma la questione
non è soltanto questa, dice lui, il rapporto fra il significato e il
significante è tale per cui di fatto perché possa dire “albero” occorre che
questo suono, questo significante, abbia già un significato e cioè che io
intenda dire qualche cosa con questo suono, non potrei dire “albero” se non ci
fosse nessun significato connesso con questo significante e d’altra parte, dice
anche, che non c’è un significato che non abbia un significante, cioè un
concetto che non abbia un suono con cui si esprime. La questione rispetto al
significato tanto in Freud quanto in De Saussure si fa complessa, non soltanto,
ma un altro psicanalista che compare un po’ di anni dopo Freud in Francia, J.
Lacan, riprende il testo di Freud ma riprendendo l’elaborazione di De Saussure:
capovolge il segno e mette sopra la barra con la quale De Saussure aveva
distinto il significato dal significante, pone sopra la barra il significate e
sotto il significato, e aggiunge che di fatto per potere dire questo
significato, cioè per potere dire il concetto che esprimo verbalmente mi trovo
anziché a dire il significato a dire un altro significante, perché è il
significante ciò che si dice, il significato non si dice, il significato rimane
non detto comunque sotto il significante perché il concetto, per manifestarlo,
per dirlo, devo dirlo e quindi usare un significante, dunque dicendo un
significato, tentando di dire un significato, dico un altro significante il
quale avrà un altro significato e così via all’infinito, in un processo che i
semiotici chiamano di semiosi infinita cioè un processo inarrestabile, quindi
come stabilire il significato? Diventa un problema, questo significato si
allontana mano a mano che cerco di individuarlo, di stabilirlo, come dire che
parlando le cose che vengono dette hanno un significato ma questo significato
è, potremmo dire così, irraggiungibile, non individuabile. Questa questione è
stata posta nella prima metà del ‘900, è una questione antica, antichissima,
nasce nel momento stesso in cui nasce la filosofia e cioè quando gli umani
incominciano a domandarsi che cosa è vero, ma domandarsi che cosa è vero non
tanto per un ghiribizzo o un gioco, ma la verità deve avere un prerogativa per
essere tale cioè deve essere indubitabile, deve essere incontrovertibile, come
dire che il significato di una certa cosa deve essere quello che è. È stato
Parmenide il primo a porre la questione; la filosofia non nasce gradualmente,
la filosofia nasce di colpo ponendo subito quel problema che tutto il seguito
del pensare filosofico ha tentato di risolvere: quando Parmenide afferma
perentoriamente che l’Essere è, il non Essere non è, imponendo anche il divieto
di pensare il non Essere, pone già la questione di cui si tratta e
l’impossibilità di risolverla. Per Parmenide il problema, che poi è stato ripreso
abbondantemente dai sofisti, riguarda il fatto che esiste un divenire: non è
che le cose stanno immobili, eterne, immutabili, imperiture eccetera, ma esiste
un divenire perché ciascuno lo esperisce, le cose sorgono, scompaiono,
divengono, mutano, cambiano eccetera, e allora Parmenide dice “sì, anche il
mutamento c’è, ma è un illusione, è sogno, però c’è”, cosa che non è sfuggita
ai sofisti, i quali hanno detto: se il mutamento, se il divenire c’è, anche il
divenire è, e quindi abbiamo un “è” un Essere che è immutabile, ma che è anche
un divenire, quindi il detto di Parmenide è autocontraddittorio. Da lì, e cioè
esattamente dal momento in cui gli umani hanno posta la nozione stessa di
verità o di Essere in molti casi, nel momento stesso in cui l’hanno posta, in
quel preciso istante sono sorti i problemi e cioè l’impossibilità di provare,
di dimostrare ciò che si stava affermando. I sofisti hanno avviato una critica
del pensiero determinante e hanno trasformato, loro soprattutto, un pensare che
era ancora legato al mito quindi un a pensare religioso, oracolare che non si
interroga sulla verità ma espone delle cose, così lasciando poi alle persone la
libertà di interpretarle, ha volto tutto questo in filosofia. In un certo
senso, questo modo di pensare è rimasto per esempio nelle filosofie orientali,
le filosofie orientali sono filosofie per alcuni aspetti ingenue, sono rimaste
ancorate al mito, al detto oracolare, non c’è stato nessun pensiero che abbia
messo in discussione, abbia dubitato di certe affermazioni come è avvenuto in
occidente, nessuno che abbia chiesto perché deve essere così, chi lo dice? E se
fosse il contrario? Domande legittime che il pensiero occidentale si è poste,
dunque stabilire il significato o per altro verso stabilire qual è la verità di
un enunciato non è una questione così irrilevante o adatta a persone che si
divertono con astrazioni inverosimili. Ciascuno nel momento in cui deve
decidere qualcosa che è importante per la sua vita, per la sua esistenza, per
il progetto in cui si trova, deve sapere se ciò che sta pensando, ciò che sta
considerando è vero oppure no, perché se è vero prosegue in quella direzione,
se è falso no, la abbandona e quindi vuole sapere se una certa cosa è vera o è
falsa, certo i filosofi si sono domandati che cosa è vero in assoluto, ci sono
delle verità relative a qualche cosa ma ci deve essere un concetto, un qualche
cosa che è vero in assoluto e tutta la filosofia ha cercato di stabilire
questo, rimediando a quel problema che ha scatenato Parmenide e cioè il
problema che sorge nel momento in cui si afferma con forza e con determinazione
che le cose stanno così, ma le cose stanno così, come? Tutto questo ha portato,
soprattutto nel secolo scorso, a una sorta di consapevolezza del fallimento del
pensiero, il fallimento del pensiero che ha tentato per millenni di stabilire
con certezza qualche cosa senza riuscirci, ma questo ha portato anche alcune
riflessioni come quelle per esempio di Paul Ricoeur, filosofo del ‘900 che ha
immaginato una Scuola del sospetto, composta da tre personaggi: Nietzsche, Marx
e Freud. Nietzsche ha mostrato la menzogna perpetrata dal potere nei confronti
di chi non ha potere, Marx ha mostrato l’inganno relativo al capitale nei
confronti della classe lavoratrice e Freud l’inganno delle parole, a questo
punto l’inganno della parola stessa, la parola che vuole dire qualche cosa ma
dicendo quella cosa ne dice infinite altre e in questo senso mente, è
menzognera. Dunque stabilire la verità è importante anche per quanto riguarda
le varie teorie, naturalmente una qualunque teoria tenta di porsi come discorso
che dice il vero su qualche cosa, non muove dall’idea di dire soltanto
sciocchezze, se no probabilmente non partirebbe neanche, dunque il pensiero si
è trovato ad un certo punto con Freud, soprattutto con De Saussure e con la
semiotica di fronte a una sorta, potremmo chiamarlo di baratro, determinato dal
fatto che quello che si dice, le parole stesse non possono essere determinate
in modo preciso, in modo stabile, univoco ma queste parole mutano, divengono,
si trasformano, alludono a infinite altre cose nel momento stesso in cui si
pongono, questo è uno dei messaggi di Freud, ma anche della semiotica. Il
tentativo di reperire l’Essere da parte di alcuni pensatori, anche alcuni di
rilievo, è fallito, l’Essere inteso molto sommariamente come è stato inteso per
lo più da buona parte della filosofia come ciò che sta, come ciò che è, come
ciò che necessariamente è quello che è e che non muta, questo concetto di
Essere ha fallito il suo compito, non ha retto cioè, ma fin da subito, alla
necessità di dimostrarsi essere quello che dice di essere, come se si chiedesse
a una cosa di dimostrare, lei, di essere quello che è, e questo non lo può
fare, necessita sempre di qualche cos’altro che intervenga a mostrare che è
così o che non è così, la cosa stessa non lo può fare. A questo punto sorge
un’altra questione: tutta questa problematica relativa al senso, al
significato, alla verità, sapete che i greci avevano tre modi per dire la
verità: alètheia come il disvelamento, come ciò che si manifesta, come ciò che
esce dal buio e appare alla luce, orthotes, cioè la correttezza dell’enunciato,
inteso poi dai medioevali come adæquatio rei et intellectus e l’episteme, cioè
la verità della scienza, quella certezza argomentata e dimostrata, tuttavia
come facciamo a sapere che queste nozioni, queste definizioni di verità sono
corrette? E cioè ci dicono esattamente che cosa dobbiamo intendere con verità,
perché la verità dovrebbe essere quello? Lo stesso “principium omnium
firmissimum” come chiamavano i medioevali il principio di non contraddizione di
Aristotele, come sappiamo che è vero? Come sappiamo che è proprio così? Ci
troviamo di fronte a un’altra questione irresolubile perché per dimostrare che
è vero il principio di non contraddizione dobbiamo utilizzare il principio di
non contraddizione. Giungere alla considerazione che le parole non hanno,
perché non c’è, la possibilità di stabilire il loro significato, cioè dire che
cosa vogliono veramente dire, non è una questione che riguarda soltanto le
parole in generale, come se fossero degli enti a sé stanti, ma riguarda il
discorso stesso che dice queste cose, io stesso che sto dicendo queste cose mi
trovo preso in questa impossibilità, le parole che dico hanno un significato?
Quale? Come faccio a stabilirlo? In base a ciò che abbiamo appena detto risulta
arduo potere stabilire con certezza quale sia il significato delle parole che
sto usando, e quindi che cosa sto veramente dicendo. A tutto ciò si è aggiunto,
agli inizi del ‘900, quel momento storico noto come crisi dei fondamenti: anche
la disciplina che pareva più sicura di sé, più inattaccabile, più certa, e cioè
la matematica, è apparsa, dopo le considerazioni di Gödel, incapace di mostrare
la propria coerenza interna, anche in questo caso il significato di qualche
cosa è autocontraddittorio. Ogni cosa dunque si mostra per altro da quello che
è, possiamo dire che ogni cosa è altro da quello che è. Questa è la conclusione
inesorabile che produce quella sorta, dicevo prima, di abisso, di baratro, di
voragine, una voragine che non ha un fondo, non ha un fondamento, non ha un
“Grund” come dicono i tedeschi, cioè il fondamento dove qualche cosa si
arresta, si ferma. Posta in questi termini la questione ci dice che qualunque
asserzione, e qui utilizzo un’immagine poetica, tratta da un bellissimo film di
Salvatores che forse alcuni di voi hanno visto Nirvana, ciascuna asserzione è
esattamente come un fiocco di neve che non si posa da nessuna parte, non ha
nessun fondamento, non trova nessun fondo, nessun “Grund” su cui appoggiarsi e
su cui mostrare la propria necessità, ma si può andare ancora oltre in questa,
in questa che potrebbe apparire una devastazione totale: come accade che di
fatto invece le persone parlino continuamente, ininterrottamente? La condizione
per potere “sapere” quello che dico è di non interrogare quello che dico, come
diceva Agostino relativamente al tempo “finché nessuno mi chiede che cos’è il
tempo, so che cos’è, ma nel momento in cui qualcuno me lo chiede non lo so
più”, cioè per potere sapere quello che dico non devo interrogare quello che
dico, ma letteralmente, se incomincio a interrogarlo allora non lo so più.
Appare ineluttabile questa sorta di devastazione del pensiero, e cioè il
pensiero si è mostrato, fin dal momento in cui è incominciato con Parmenide,
possiamo dire lui ma insieme con altri, dal momento stesso in cui gli umani
hanno posto qualche cosa che deve essere così, dal momento stesso in cui questo
è accaduto, questo “è così”, si è mostrato indimostrabile, nel momento stesso
in cui hanno posto le condizioni del pensare hanno posto l’impossibilità di
pensare: la possibilità di sapere quello che sto dicendo mentre dico è che io
non interroghi quello che dico, che potrebbe apparire una situazione alquanto
bizzarra eppure tutto sommato è quello che diceva anche De Saussure in fondo.
De Saussure non ha portato la cosa alle estreme conseguenze, ma il messaggio è
questo: c’è un qualche cosa in ciò che si dice che insiste come ciò che,
potremmo dirla così come alcuni hanno amato dire, che non può dirsi, se nulla
può dirsi, può affermarsi, allora che cosa dire? È come se l’essenziale, e qui
arriviamo a Derrida, fosse proprio qualche cosa che in realtà è un niente da
dire, quella che lui chiama l’archi-traccia o l’archi-scrittura, un niente da
dire che insiste, ma che tuttavia è la condizione perché qualcosa si dica.
Tutto ciò che vi sto dicendo non è nulla di nuovo, è noto da sempre, io l’ho
soltanto riassunto brevemente, sono questioni che sono state discusse nel corso
dei millenni fino a Sartre, in fondo Sartre che con la sua “nausée
de vivre”, la nausea del vivere ha indicato in questo, e soprattutto
nel suo romanzo più noto quello che l’ha reso celebre, La nausea
appunto, quella sensazione dell’uomo di fronte a tale abisso, perché questo
abisso di cui si parla non ha letteralmente il fondo, per cui quel fiocco di
neve continuerà a cadere in eterno senza nessuna possibilità di fermarsi su
niente, ma questo fiocco di neve è una qualunque asserzione, una qualunque
parola, un qualunque concetto. Tutto questo allude a un problema, un grosso
problema che riguarda il pensiero occidentale, ma non solo, al punto in cui
siamo potremmo dire che il discorso occidentale è il pensiero planetario, visto
che ha dominato il mondo intero attraverso la tecnica, sì, in fondo le tesi di
Heidegger poi approdano a questo: l’unico modo possibile per l’uomo è quello di
manipolare l’ente senza chiedersi che cosa sta facendo, né che cos’è ciò che
sta trattando, né quando manipola qualcosa, appunto gli enti, gli enti possono
essere qualunque cosa: umani, atomi, parole, qualunque cosa, per questo dice
Heidegger che la metafisica, che non è altro che il pensiero, qualsiasi
pensiero iniziato con Parmenide, è giunto alla sua conclusione, la metafisica
cioè la filosofia ha compiuto il suo percorso consegnandosi letteralmente alla
tecnica, e cioè compiendo quell’operazione che da sempre il pensiero ha cercato
di fare rispetto all’ente, da quando ha cominciato a domandarsi “ti to on”, che
cos’è l’ente? E per sapere che cos’è bisogna sapere che cos’è effettivamente
quindi l’Essere di questo ente, ma la tecnica è ciò che consente agli umani
effettivamente di compiere tutto ciò che la metafisica ha tentato di fare vale
a dire la conoscenza, la manipolazione, l’elaborazione dell’ente, cosa che oggi
avviene correntemente attraverso l’informatica, anche la produzione dell’ente:
cioè l’uomo si è messo al posto di dio, produce gli enti, li crea come e quando
vuole, a che scopo tutto questo? Ce lo ha spiegato in modo mirabile Nietzsche:
per la volontà di potenza, cioè controllare gli enti, controllare gli uomini,
controllare le cose per averne il potere totale e assoluto, a questo serve in
definitiva sapere, o almeno a questo è servito agli umani sapere che cos’è la
verità, anche se, come dicevo prima, questa ricerca ha comportato non pochi
problemi e a tutt’oggi non è affatto risolta; il gesto inaugurale di Parmenide
è rimasto esattamente dove Parmenide l’ha lasciato, per cui gli umani in
generale possono procedere a pensare, a fare, costruire, a fare tutte le cose
che fanno a quella condizione di cui dicevo prima, e cioè non domandarsi che
cos’è ciò che stanno facendo, questa questione ha una soluzione? Posta in
questi termini no, cioè posta nei termini in cui l’ha posta Parmenide no, non
ha nessuna soluzione, questo abisso non sarà mai colmato da niente e da
nessuno, gli umani continueranno a muoversi senza sapere, senza soprattutto
potere sapere che cosa stanno facendo: che cosa significa ciò che stanno
facendo, che cosa significa ciò che stanno dicendo, ciò che stanno pensando,
ciò che stanno affermando? Wittgenstein a proposito della dimostrazione si
chiede: che cos’è la dimostrazione? Che cosa abbiamo fatto dopo che abbiamo
compiuta una dimostrazione? La dimostrazione dovrebbe dimostrare che cosa è
vero, questo è ciò che ci si attende generalmente, bene, dice lui, dopo che
avremo compiuto la dimostrazione ciò che avremo fatto sarà stato di esserci
attenuti scrupolosamente alle regole di tale dimostrazione, abbiamo messo in
atto un algoritmo, l’abbiamo compiuto e siamo giunti alla conclusione, abbiamo
fatto esattamente e soltanto questo, niente di più, letteralmente non c’è
nient’altro che questo, cioè abbiamo svolto un gioco, questo gioco si è compiuto.
Per questo parlavo della nausea, questa sensazione di totale, irreversibile
impossibilità di appoggiare il piede su qualcosa di solido, di saldo, di
definitivo, che è ciò che gli umani hanno cercato, un fondamento, qualcosa che
dia sicurezza, non cercano forse la sicurezza gli umani? Il sogno di trovarla è
svanito, è svanito nel momento stesso in cui si è posto.
Intervento: le parole,
ogni termine, ogni significante richiama altri significanti mi pare che
dicesse.
Sì non può dirsi il
significato, sì, ha capito benissimo, è la stessa cosa che dice Heidegger solo
in modo più pomposo, da bravo filosofo tedesco …
Intervento: è come se il
significato non fosse accessibile e quindi questo Essere cui si riferiva prima
da Parmenide ad Heidegger, come se questo Essere non fosse accessibile e che
dell’esistenza rimanesse soltanto la forma ma non si potesse accedere alla
sostanza … dove stanno i pensieri? Dove sta questo significato se non è
esprimibile?
Dove sta il significato?
Bella domanda …
Intervento: le parole
che si dicono sono quelle che si pensano … non c’è modo di arrivare all’Essere,
all’ente?
All’ente sì, però senza
cogliere l’Essere, appunto l’Essere dell’ente. La sua posizione non è molto
lontana da quella di Heidegger, in effetti l’Essere non può dirsi, ciascuna
volta si dice solo l’ente, l’Essere si manifesta in un abbaglio, in un momento
di illuminazione per svanire immediatamente. Lei pensi a qualche cosa, utilizza
delle parole per pensare ed elabora un concetto, si chiede se questo concetto è
vero, cosa si chiede nel momento in cui si chiede se è vero, si chiede qual è
il suo principio e qual è la sua causa “archè” e “aition”, dicevano gli
antichi, principio e causa, per potere sapere che quello che dice è vero, può
quindi proseguire a pensare quella cosa oppure se sta pensando una stupidata, e
quindi abbandonare tutto e rivolgersi da un’altra parte, il suo pensiero
funziona così quando pensa, quando non pensa no, ma quando pensa funziona così,
cioè pone delle interrogazioni o riflette su qualche cosa che muove da un
elemento che potremmo indicare come premessa, compie dei passaggi e giunge a
una conclusione, dopodiché questa conclusione deve essere verificata, deve
essere vera per potere proseguire, perché se no non prosegue. Tutta la ricerca
del pensiero si è rivolta a questo: a cercare qualche cosa che possa garantire
le parole, il fare stesso degli umani, garantirlo per essere sicuri che è così
e che non è come taluni hanno ingenuamente immaginato tutta un’illusione, è
un’affermazione che di per sé non significa niente …
Intervento: e quindi
questo Essere si ricollega all’insieme di significati, a quella costellazione
cui faceva riferimento prima parlando del “non è mia madre” da tutto questo
insieme di significati che uno attribuisce a un determinato significante deriva
il suo Essere? Ma se non esiste un Essere univoco per tutti, potrebbe anche non
esistere tanto non è accessibile …
Questo è uno dei
tentativi di soluzione al problema: intendere la verità non più come qualche
cosa di stabile, certo, sicuro e inamovibile ma come una rete di relazioni fra
elementi, di connessioni fra elementi, ma il problema si ripropone
all’infinito: ciò che sto dicendo adesso è vero? Questo mi interessa saperlo
per proseguire lungo questa via, per esempio quella che dice che la verità è
unicamente una rete di connessioni fra elementi e di relazioni fra loro, quello
che sto dicendo è vero? In qualunque modo la questione ritorna sempre,
parafrasando Freud “ciò che si caccia dalla porta rientra dalla finestra” e
direi immediatamente, perché tutto ciò è sempre applicabile, così come si fa
generalmente per zittire gli scettici quando affermano che non c’è nessuna
verità, e quindi anche questa affermazione non è vera, non è possibile
certificarla. Ora questa operazione è possibile compierla anche rispetto a
tutto ciò che abbiamo detto, a tutto ciò che è stato detto dalla semiotica,
dalla psicanalisi, dalla filosofia, quindi se ciascun significato non è altro
che una rete di relazioni, se dico questo allora non posso non tenere conto che
anche il dire questo è preso in una rete di relazioni che attende comunque
qualche cosa o qualcuno che dica “sì è così”, e quindi puoi andare avanti, puoi
proseguire, se no, no …
Intervento: la verifica
che viene dall’esterno …
All’inizio si è sperato
che fosse la cosa stessa, lo stesso Husserl immaginava che le cose stesse si
mostrassero “se uno le sa guardare bene e si sbarazza di tutti i
condizionamenti, di tutti i mascheramenti, vede finalmente la cosa stessa così
come si mostra” è molto problematico, che cosa vede? Ma se consideriamo il
colore “rosso”, vedo il rosso, cioè l’essenza del rosso? Ma il rosso come
essenza non si da mai senza un supporto, un ente, un qualche cosa, una maglia
rossa, senza il supporto di una maglia, di un vestito, ha sempre bisogno di
qualche cos’altro che lo supporti, per questo Heidegger oscilla un po’ e poi
dice che l’Essere può esserci anche senza l’ente altre volte dice che non c’è
l’Essere senza l’ente. Sono considerazioni che lasciano il tempo che trovano e
che interessano molto poco, ciò che ci interessa è che tutto ciò che abbiamo
rilevato, che hanno rilevato molti pensatori anche di rilievo può essere
applicato, cosa che pochi hanno fatto, alle cose stesse che stanno dicendo,
proprio così come si fa per zittire gli scettici “non c’è la verità, qualunque
affermazione non può essere stabilita essere vera” e quindi nemmeno questa,
quindi tutto ciò che ho detto, tutte le cose che abbiamo stabilite, tentato di
stabilire questa sera rispetto all’impossibilità di stabilire il significato,
anche queste cose, queste parole stesse non possono essere stabilite. D’altra
parte se ci pensate bene come possiamo indicare la verità, definire la verità?
Con quali parole la definiremo, la descriveremo, la diremo, se queste parole
mentono, ciascuna di loro? Cioè per definire la verità useremo parole che
mentono e siamo mal messi, partiamo malissimo …
Intervento: non bisogna
più dire, oppure …
Questo è ciò che dice
Derrida, “il niente da dire”, come se effettivamente non ci fosse più niente da
dire; “niente da dire”, cioè il pensiero arrivando all’apice della sua corsa
sfrenata arriva a non avere niente da dire, al nulla, al nulla che è
nient’altro che questo baratro, questa voragine senza fondo, che non ha
letteralmente nessun fondo …
Intervento: in
venticinque anni di lavoro che abbiamo fatto alla Scienza della parola, proprio
considerando le cose che sta dicendo …
Venticinque anni sono
nulla rispetto ai duemila e cinquecento anni da che esiste questa questione …
Intervento: possiamo
incominciare ad affermare delle cose che hanno la necessità di essere affermate
per non cadere nella malia degli scettici …
Per uscire da una
questione del genere occorre porre la questione in tutt’altro modo e cioè
intendere che cosa è avvenuto nel momento in cui Parmenide ha compiuto quel
gesto devastante, che ha segnato la fine, nel momento stesso in cui aveva
inizio, ha segnato la fine del pensiero stesso. Una direzione ha cominciato a
porla Wittgenstein, che è forse uno degli autori recenti più interessanti, pone
questioni interessanti intendo dire, e cioè il significato come uso: cos’è il
significato di qualcosa? L’uso che ne faccio, quando imparo un significato
significa che imparo a usarlo, a usare una parola, qual è l’uso di una parola?
Quello che grosso modo fornisce il dizionario, potete immaginare il dizionario
con tutte le sue parole come un libretto delle istruzioni, dà delle istruzioni
su come si usa ciascun termine, ciascun elemento che appartiene a una certa
lingua, in questo modo la questione del significato, dell’Essere della cosa
perde di senso, e forse non ha tutti i torti Wittgenstein a considerare che in realtà
tutti i problemi filosofici di fatto sono problemi logici, così come quello di
Parmenide, affermare che qualche cosa è quello che è senza avere nessuna
possibilità di affermarlo, di garantirlo, di certificarlo, di verificarlo è un
problema naturalmente, ma come posso attendermi da qualche cosa che mostri di
sé di essere necessariamente vero? Come fa? E allora questo qualche cosa o
esiste di per sé, come è stato sempre pensato, che è poi il pensare metafisico,
oppure non esiste di per sé, ma se è considerato come un qualche cosa che
esiste di per sé, questo significato per esempio che deve essere lì, da
cercare, da trovare, un po’ come diceva Galilei “la natura è scritta con leggi
matematiche” bisogna solo trovare queste leggi che la definiscono, ponendo già
una questione comunque curiosa e cioè che la differenza tra dio e gli umani non
è qualitativa ma è quantitativa, sta nel fatto che dio le conosce tutte queste
formule matematiche, gli umani solo una piccola parte, però quando le avranno
scoperte tutte ecco che… Ma dicevo che si immagina che qualche cosa esista di
per sé, fuori da ciò che di fatto l’ha costruito, ciò che di fatto l’ha
prodotto. Per approcciare opportunamente questa nuova questione occorre
considerare molto attentamente un altro aspetto, che possiamo riassumere così:
come si impara a parlare? Parmenide ha potuto fare quello che ha fatto, questo
gesto a un tempo inaugurale e devastante perché stava parlando, perché aveva la
parola, perché poteva esprimere, poteva pensare, una scolopendra non avrebbe
potuto compiere tutte queste operazioni, come si parla dunque? Però prima
vorrei che fosse molto chiaro quello che è stato detto fino a questo punto, non
vorrei che ci fossero dei dubbi ancora, perché se è assolutamente chiara questa
impossibilità e cioè questa totale e irreversibile assenza di significato delle
cose, allora ci si può disporre effettivamente verso un qualche cosa che apre a
un’altra via totalmente differente, perché lungo quella strada che gli umani
hanno percorso da Parmenide ad Heidegger, tanto per dare un inizio e una fine,
tutto questo percorso è stato fallimentare. La fisica stessa, anche la fisica
atomica non è mai uscita dalla metafisica, mai. Dicevo che vorrei che fosse
tutto molto chiaro per cui se c’è qualche dubbio, qualche perplessità, qualche
controindicazione vorrei che fosse manifestata in modo da potere chiarire
meglio tutto ciò che abbiamo detto, per intendere bene come il pensiero stesso,
proprio per il modo in cui è iniziato, proprio per questo motivo preciso non
poteva che fallire, questa è la questione centrale: se è iniziato così, se
questi sono stati i presupposti non poteva che fallire, come dire non poteva
trovare in alcun modo alcunché che lo sorreggesse, non poteva in nessun modo
trovare, come di fatto è accaduto, nessun Grund, nessun fondamento, se le cose
stanno così, quel fiocco di neve è condannato a cadere all’infinito senza
arrestarsi mai …
Intervento: perplessità
tante … sono chiaramente legate alle questioni che altri si sono posti in
realtà mi è passato per la mente un pensiero: che cosa c’è prima della nausea?
Come se la nausea fosse l’ultimo stadio e la pre nausea fosse momenti che si
esperimentano nella vita in cui sembra di riuscire in qualche modo a
raggiungere un piccolo tassello di significato che però poi sfugge prima che
diventi forma, io condivido quello che diceva lei prima ma lo condivido al
contrario ovvero mi sembra che il mio pensiero sia più … che esista una
sostanza senza che ci sia una forma per descriverla anziché partire dalla forma
per arrivare alla sostanza e che probabilmente la sostanza di per sé noi non
abbiamo la forma per descriverla e ovviamente questo è il circolo al contrario
e mi sa che questo tipo di pensiero, di logica non ha soluzione …
Certo che no, ma pone un
ulteriore problema, in effetti lei dice: sostanza senza forma, ma questa
sostanza è una forma, con qualche modifica al platonismo, la sostanza sta in un
ultra sensibile, in un iperuranio ed è da lì che garantisce quelle forme,
quelle cose con cui noi abbiamo a che fare tutti i giorni, delle forme, dei
profili di cose, di enti no, la sostanza è lassù e garantisce il tutto. Questa
sostanza ha avuto varie forme, ma quella principale è quella connessa con un
mito post filosofico, esistono miti pre filosofici e post filosofici, i miti
post filosofici sono il cristianesimo e l’islamismo, ora lei dice: cosa c’è
prima della nausea? Prima della nausea, ripercorrendo anche in parte il corso
della filosofia, c’è la speranza, la speranza di trovare finalmente qualche cosa,
poi c’è stata la soluzione, la soluzione è quella che dice: la sostanza c’è ma
non si può conoscere, non si può percepire ma c’è ed è dio, è stata una
soluzione, chiaramente anche in quel caso in ambito di pensiero ci si aspetta
che un’asserzione possa essere dimostrata, non basta che uno dica una certa
cosa come un oracolo, il mito dice gli uomini nascono dalla testa di Giove,
sarà così, non sarà così? È dubitabile una cosa del genere, ciò che ha tentato
di fare il pensiero invece è di argomentare in modo tale da giungere a una
conclusione che fosse indubitabile, incontrovertibile, questo è stato il
progetto fallito, però questa era l’idea, e allora ecco la sostanza che sta lì
immobile, eterna, cioè dio che garantisce ogni cosa, che garantisce che le forme
abbiano una sostanza. Se non ci fosse questa sostanza tutte queste forme
svanirebbero, e succederebbe tutto quello che succede quando arriva la nausea:
queste forme non hanno più sostanza, non sono più niente, si dissolvono nel
nulla e si prova appunto quella sensazione di cui parlava Sartre, però è un
punto di arrivo che ha già considerato, ha già pensato tutte le possibilità, se
Platone divide la sostanza dalla forma per Aristotele per esempio già non è più
così, forma e sostanza si compongono, non ce n’è uno senza l’altro, che è il
modo tra l’altro più comune di pensare tutte queste cose, come dire che se si
accoglie la premessa da cui parte Platone, tutte queste considerazioni, queste
conclusioni sono ineluttabili, non c’è nessuna possibilità di venirne fuori, ci
hanno pensato, sono duemila e cinquecento anni che si è cercato di rimediare a
questo problema, tranne i sofisti che invece ci sono andati a nozze con questa
storia e anzi l’hanno portata alle estreme conseguenze, ma tutti gli altri, da
Platone in poi, hanno fatto questo, compresa la costruzione dei questi miti
post filosofici, cristianesimo e islamismo che hanno dato questa soluzione,
qualcuno ha deciso che le cose stanno così, Lui è la sostanza, Lui è l’Essere
che governa tutti gli enti, però razionalmente non è molto sostenibile una cosa
del genere, presuppone appunto la fede: “credo che sia così” …
Intervento: la domanda
successiva, alla luce di questo, lei come definirebbe la fede?
In un modo che non è
molto differente da quello degli antichi, come il “credo quia absurdum”, non mi
interessa se tutto ciò non nessun fondamento, io ci voglio credere, quindi per
me è così, e tanto basta, come dire che rinuncio alla facoltà di pensare,
rinuncio alla mia possibilità di interrogare ciò che dico, rinuncio
volontariamente, con fredda e lucida determinazione, stabilisco che le cose
stanno così, naturalmente perché le cose possano stare così occorre, come ho
detto all’inizio, che io non le interroghi mai, solo a questa condizione posso
continuare a pensare che sia proprio così, ma la fede è fatta di questo, è una
delle soluzioni possibili, una soluzione avviata dal mito del cristianesimo che
ha trovato questa soluzione “tu non chiederti più niente, c’è qualcuno che ha
già stabilito tutto, è tutto a posto e tutto sistemato, devi soltanto darci la
tua fede, dal momento in cui ce la dai sarai anche salvo”, perché c’è tutta una
serie di annessi e connessi …
Intervento: una serie di
vantaggi poi …
Non potevano non offrire
qualche optional, ci sono i gadget, la vita eterna, la verità dell’anima, la
verità assoluta “io sono la via, la verità, la vita”. Questa dicevo è stata una
delle soluzioni che ha avuto un certo successo per altro, nessuno glielo nega,
a tutt’oggi funziona, non è da poco, e su questo ci sarebbe da parlare molto a
lungo sul perché abbia ottenuto tutto questo successo, mentre per esempio il
pensiero dei sofisti non ha avuto tanto successo, neanche quello degli
scettici, neanche quello di Parmenide tutto sommato e ogni pensiero filosofico,
ogni pensare ha avuto il suo momento Platone, Aristotele, poi la patristica
adesso saltando tutto arrivando a Kant, Cartesio eccetera fino ad arrivare ad
Heidegger, hanno avuto il loro momento ma nessuno ha avuto quella potenza, sono
duemila anni che c’è, è la domanda che si poneva Nietzsche: duemila anni e
nessun nuovo dio, come mai? Non siamo riusciti a inventare qualche cosa di più
divertente, è sempre lo stesso, perché è rimasta? Come dicevo qui ci sarebbe da
avviare una discussione piuttosto lunga, anche interessante, però ciò che mi
interessa è incominciare a porre il modo in cui gli umani imparano a parlare,
se riuscissimo a intendere esattamente che cosa succede quando gli umani
incominciano a parlare e come si fa a insegnare a parlare, ammesso che sia
possibile, per alcuni non lo è per esempio, per cui questo è un altro problema
irresolubile, per insegnare a parlare occorre che la persona sia già nel
linguaggio, perché io non posso dire a qualcuno “questo è un registratore” e
insegnargli che questo è un registratore se questo non è già nel linguaggio,
cioè non sappia già una serie sterminata di cose per potere capire quello che
gli dico, è un’obiezione certo, però ci sono degli aspetti che sono intervenuti
in questi ultimi anni e che hanno dato da pensare, non solo i fisici, i
matematici ma anche i filosofi, delle questioni che sono state poste dalle
macchine, come la chiamava Turing “la macchina pensante”. Nei primi anni del
‘900 si è posta una riflessione intorno alla possibilità di costruire delle
macchine pensanti, l’origine del computer per dirla così, l’origine molto
antica incomincia nel 1200 con Lullo che voleva costruire la sua macchinetta
che serviva per dedurre certe cose fino a Leibniz e la sua Characteristica
Universalis e poi una serie di passaggi di cui parleremo la volta prossima che
hanno portato alla costruzione delle macchine pensanti, ma ciò che a noi
interessa è che cosa ha consentito questa costruzione o più ancora o prima
ancora il pensare la possibilità di costruire una macchina pensante. Una
macchina pensante è quella che deve riprodurre il modo in cui pensano gli
umani, anche perché gli umani pensano in questo modo e quindi non è che possono
inventarsene altri, quello è, però tutto questo che oggi si chiama comunemente
informatica ha posto delle questioni interessanti proprio riguardo al modo in
cui si impara a parlare, o se preferite il modo in cui si insegna a una
macchina a pensare. Se prendete una macchina di per sé, anche un computer, se
non avesse dei circuiti logici e non avesse un sistema operativo per esempio,
sarebbe un pezzo di ferro totalmente inutile, non avrebbe nessuna funzione, un
sistema operativo cioè qualche cosa che fa funzionare la macchina, c’è qualche
cosa di simile nei confronti degli umani? C’è un programma che fa funzionare
gli umani? Potrebbe essere il linguaggio? Prendete il cervello di qualcuno,
toglietegli il sistema operativo, cioè il linguaggio, cioè la possibilità di
pensare, a cosa serve questo cervello? Va bene per farci la frittura, ma non ha
nessun altro utilizzo, è dal momento in cui si instaura un sistema che consente
di pensare che è possibile da quel momento incominciare a parlare e quindi a
pensare e quindi fare tutte le serie di operazioni, ma il modo in cui si è
costruito, si è pensato più propriamente di costruire una macchina pensante è
indicativo anche perché per costruirla hanno dovuto pensare a come funziona per
gli umani, per poterla riprodurre, giungendo a delle considerazioni
sorprendenti e queste considerazioni sono quelle che hanno bypassato totalmente
tutto il problema di cui abbiamo parlato questa sera e, oltre che bypassarlo,
lo rendono inesistente, come se non fosse mai avvenuto, perché la questione non
era quella che ha posta Parmenide dall’inizio, non era quella. Parmenide non ha
potuto vedere altro ma c’era qualche cos’altro che andava vista, qualcosa che
forse avrebbe potuto vedere ma non ha vista, non avendola vista ha creato il
marasma che ha accompagnato il pensiero degli umani fino a Heidegger. Apre a
una questione notevole, immensa, che riguarda il modo in cui funziona il
pensiero, e una volta che avremo inteso molto bene come funziona il pensiero
degli umani a questo punto potremo ritornare alla questione da cui siamo
partiti, e cioè a Freud, per porre le cose in modo totalmente differente, anche
se rimane la questione clinica da lui posta, però i presupposti da cui muove
non saranno più gli stessi, saranno totalmente differenti.
IL PENSIERO E LA
MACCHINA PENSANTE
C’è una novità, una
novità nel pensiero, potremmo anche dire una grossa novità, ha a che fare con
ciò che è accaduto in questi ultimi decenni, cioè questa particolare
situazione: l’era dell’informatica.
Questa ci ha condotti a
delle riflessioni, non tanto sui computer in quanto tali, ma su che cosa ha
portato a pensare di costruire, come la chiamava Turing, una macchina pensante.
Ciò che abbiamo detto la volta scorsa intorno alla crisi del pensiero
occidentale, e a questo punto potremmo anche dire planetario, visto che
l’occidente ha conquistato il pianeta intero grazie alla tecnica, pensiero
occidentale che è sorto incominciando a porsi delle domande intorno a che cosa
fossero realmente le cose, si parla di 2500 anni fa, domanda intorno a che cosa
sono realmente le cose, domanda che ha condotto alla tecnica. La tecnica
stabilisce come sono fatte le cose e a partire da questo, come diceva
Heidegger, ha iniziato a comprenderle, a manipolarle, a elaborarle, fino al
punto di creare l’ente, creare nuove cose che prima non c’erano. Tuttavia il
pensiero, da Parmenide in poi, ha avuto delle vicissitudini bizzarre al punto
tale che proprio nel secolo scorso si è giunti alla sua totale dissoluzione. Ha
sempre cercato, come dicevo prima, di trovare cosa sono realmente le cose,
l’Essere per dirla in termini filosofici, qual è l’essenza dell’ente cioè
l’Essere, che naturalmente non è mai stato reperito in quanto tale, fino ad
arrivare alla semiotica, alla linguistica, che hanno poste delle tali questioni
da fare schiantare ogni possibilità di trovare l’Essere, cioè di sapere come
stanno realmente le cose. Non so se sia il caso di ripetere qui rapidamente le
cose dette la volta scorsa, forse no, basti soltanto che questa ricerca ha
condotto alla dissoluzione del pensiero occidentale nel momento stesso in cui
ha incominciato a riflettere sulla possibilità di trovare il significato ultimo
delle cose. Esiste un significato vero delle cose? No, questo lo avevano già
inteso Ogden e Richards in un loro saggio dal titolo piuttosto significativo e
cioè Il significato del significato: qual è il significato del
significato? E cioè qual è il significato del significato del significato? Vi
evito di andare avanti all’infinito, ma questo significato non si trova, ecco
perché la filosofia si è consegnata alla tecnica, e cioè a qualcosa che non
chiede più che cosa sono le cose ma come si manipolano, come si utilizzano, e
nient’altro che questo. L’era dell’informatica ha poste delle questioni di
grande interesse, fra queste una in particolare a noi interessa: come funziona
il pensiero degli umani? Per poterlo riprodurre occorre sapere come funziona,
quindi l’interrogazione si rivolta al modo in cui gli umani necessariamente
pensano, cercando quali sono gli elementi più propri del pensiero, evitando
almeno inizialmente tutta l’infinita complessità del pensiero, ma cercando di
intendere che cosa effettivamente fosse necessario per gli umani perché
potessero mettere in atto questa loro prerogativa, cioè pensare, pensare cioè
trarre conclusioni, inferenze, giudizi eccetera. Questo percorso che è stato
compiuto potremmo dire nel ‘900, anche se ci sono stati dei tentativi
precedenti da Lullo a Leibniz, ma è nel ‘900 che la cosa si è posta nei termini
più precisi, e cioè si è pensato che fosse possibile ricostruire il pensiero,
ma come? Dopo tutto, diceva George Boole, logico inglese “possiamo dividere le
proposizioni in due categorie: quelle vere e quelle cose false”, certo è una
divisione di massima, così però giusto per incominciare, le cose vere e le cose
false, chiamiamo quelle vere 1 e quelle false 0, per semplicità. La sua idea
era questa, ed era già un primo tentativo di costruire una macchina pensante e
cioè di trovare un qualche cosa che consentisse di calcolare le proposizioni,
ci aveva già provato Leibniz a modo suo, un principio tale per cui fosse
possibile stabilire attraverso un calcolo, da qui “calcolatore”, quali fossero
le proposizioni vere e quali quelle false. Il suo criterio non era del tutto
strampalato, nel senso che gli umani si chiedono continuamente se una cosa è
giusta o è sbagliata, se va bene o se va male, se devo fare così o devo fare
cosà, chiedono in giro che cosa devo fare “secondo te è giusto che faccia così
o è giusto che faccia cosà?” che è un altro modo per dire “è vero questo o è
vero quest’altro?”, quindi è una domanda che interviene ininterrottamente
nell’arco di una stessa giornata, una persona si chiede infinite volte se
quello che pensa è vero o falso, attraverso varie formulazioni, ma è una cosa
che appartiene agli umani e solo agli umani, per esempio un leone non si chiede
se quello che pensa è giusto o sbagliato. Si tratta allora di trovare un metodo
che consenta di riprodurre il modo in cui calcola il pensiero degli umani, è
possibile? Prendete per esempio la negazione, che cosa fa esattamente? Prende
un elemento e se è vero, la trasforma in falso, se è falso lo trasforma in
vero, fa questo, nient’altro, almeno in termini logici, quindi è molto facile
riprodurre meccanicamente questa cosa attraverso un calcolo e l’operazione che
risponde a questo calcolo è la sottrazione: 1 - 0 = 1, 0 - 1 = 0, si usa la
moltiplicazione per calcolare la congiunzione, la “e”,
e la somma logica per la disgiunzione, l’“oppure”. Trovare un sistema che
consenta di calcolare il pensiero è sempre stato un obiettivo degli umani, ma
ciò che ha fatto sì che a un certo punto si decidesse di mettere in pratica una
cosa del genere, cioè di costruire realmente una macchina sono state anche le
considerazioni intorno al modo in cui funzionano i cosiddetti neuroni. Il
computer non ha fatto altro che trasformare il calcolo di Boole in circuiti
elettrici, corrente che passa corrente o che non passa attraverso dei
transistor che sono degli interruttori, che la fanno passare oppure no, se
passa vuole dire che è vero quindi 1, se non passa 0, e chiuso il discorso.
Sempre nel ‘900, un neurofisiologo insieme con un logico matematico, ha
considerato attentamente la questione avendo come obiettivo la costruzione di
una macchina pensante, erano gli anni di Turing, di Von Neumann e di altri, e
cioè costruire qualche cosa che riproducesse il modo in cui funzionano i
neuroni, il neurone cosa fa? Se passa la corrente, se la corrente supera una
certa soglia lo attraversa e esce da quell’altra parte, ha un input e un output,
come si dice in termini informatici, un ingresso e un’uscita, per dirla in
italiano, funziona come un interruttore anche lui, ed è una strana, curiosa
similitudine, perché questi circuiti elettrici, questi transistor che sono
stati costruiti e assemblati sono dei circuiti logici, grosso modo come i
neuroni, il principio è lo stesso, corrente elettrica che passa o che non
passa, questi circuiti logici poi vengono assemblati e costituiscono il
processore all’interno del computer, il cuore, il cervello del computer, il
calcolatore letteralmente, colui che calcola. Ma torniamo un momento a ciò che
dicevamo all’inizio, cioè all’impossibilità di stabilire che cosa sia il
significato di qualche cosa in modo definitivo e conclusivo, perché c’è questa
difficoltà? La volta scorsa abbiamo articolato la questione dicendo che se
qualche cosa deve rispondere di sé lo farà sempre necessariamente attraverso
qualche cosa che è altro da sé, la cosa in sé non può rispondere di sé, ci
vuole qualche cos’altro e questo qualche cos’altro come farà a rispondere di
sé? E così via all’infinito, ma questa impostazione della questione è
un’impostazione metafisica, che va riconsiderata, se io per esempio mi
chiedessi “se passa corrente 1/vero” posso dimostrare che è così, che è veramente
così? Che senso ha questa domanda? Sono io che ho deciso che è così. Prendete
una cosa molto più banale, il gioco del poker, un asso di cuori perché vale di
più di un otto di picche? Perché? È qualcosa che è insito nell’Essere dell’asso
di cuori, essere un valore maggiore dell’otto di picche? È una proprietà insita
nella carta da gioco? Se io interrogo la carta da gioco mi dice il motivo per
cui è superiore come valore? Ovviamente no, allora perché vale di più? Perché è
stato deciso così, semplicemente, è soltanto per potere giocare quel gioco noto
come poker in quel caso, dunque perché se la corrente passa allora è vero, se
non passa allora è falso? Perché è stato deciso in seguito ad alcune
considerazioni che hanno stabilito che il vero, quella cosa che gli umani
cercano da sempre, non è qualche cosa che è al di fuori di una decisione anzi,
è l’effetto di una decisione, quindi a questo punto la definizione di verità
che fornivano gli antichi greci e di cui abbiamo parlato la volta scorsa, come
alétheia, orthotes, episteme, la prima come la verità dell’ente che si
manifesta, che si mostra, che esce alla luce dal nascondimento, la seconda come
correttezza dell’enunciato, come adæquatio rei et intellectus dei medioevali,
l’ultima, l’episteme, come quella certezza scientifica argomentata e
dimostrata, tutte queste cose cessano di avere qualche rilievo perché sì,
interviene la verità, ma non è prodotta dalla cosa stessa, dal suo essere
adeguata a chissà che cosa, a meno che io non stabilisca che questo sia il
criterio da utilizzare e allora lo farà. In tutto questo sorge una questione
che è di notevole interesse, adesso la dico in modo molto spiccio, poi la
articolerò meglio: le cose non sono né vere né false di per sé, risultano
essere vere o false in base alle regole del gioco in cui sono inserite,
esattamente come nel poker. Ora però provate a immaginare una cosa del genere
ma che investa tutto l’operare degli umani, da quando esistono, sto dicendo
questo: che gli umani agiscono e fanno quello che fanno e pensano quello che
pensano, in base a delle istruzioni che ricevono quando imparano a parlare, ma
cosa gli si dice? Esattamente quello che si dice quando si “insegna” tra
virgolette quando si insegna a pensare a una macchina “io ti dico che questo è
questo, perché questa è la verità e questo è falso, ti do i criteri per potere
compiere queste operazioni” “ma come te li do? Perché io li ho ovviamente, e
come li ho avuti?”, mi sono stati insegnati allo stesso modo? Per Turing per
esempio la risposta a questa domanda è sì, un bambino si addestra come si
addestra una macchina o viceversa, e cioè gli si forniscono delle istruzioni
che lui possa utilizzare e che utilizzerà. Qui sorgono subito delle obiezioni:
“ma un essere umano sarà sempre altro da una macchina” sì, per il momento è
così, certo, e gli esseri umani non pensano come le macchine, sono molto più
complessi, non c’è alcun dubbio che per il momento funzioni così, poi, dopo
tutto le macchine sono sempre costruite dagli uomini, sono addestrate dagli
uomini, certo, esattamente come gli uomini sono costruiti dagli uomini e
addestrati dagli uomini. Una macchina si può sempre spegnere, stacco la spina e
bell’e fatto, però anche un umano si può spegnere, gli sparo in testa e si
ferma anche lui. Adesso ho fatto un esempio un po’ drastico, però era per
rendere l’immagine più evidente, non sto dicendo che l’uomo deve essere una
macchina, sono sciocchezze che non hanno nessun interesse, sto cercando
soltanto di farvi intendere come funziona il pensiero e come di fatto le cose
non abbiano un fondamento, come dicevamo la volta scorsa a proposito del
“grund”, il fondamento che le garantisca, le cose, cioè i pensieri, le
considerazioni eccetera procedono unicamente da dei giochi, cioè da delle
regole, queste regole sono state stabilite dalle istruzioni. Dire che una
persona viene istruita, significa che gli si dice come funziona il vero, come
funziona il falso e come utilizzarli. La questione è che ha soltanto queste
istruzioni, non ce ne sono altre, cioè quelle che gli si immettono nel momento
in cui gli si insegna a parlare per così dire. A questo qualcuno poneva delle
obiezioni: “è impossibile dire che si insegna a parlare con il metodo
ostensivo” per esempio, io ti mostro questo e lo indico: “orologio”, è
possibile se la persona cui indico questo è già nel linguaggio, quindi sa cosa
vuole dire questo gesto. Ma la macchina a un certo incomincia a fare delle
operazioni, a “pensare” tra virgolette, prima non era niente, c’è un programma
che la fa funzionare, un computer senza un programma è un pezzo di ferraccio
inutile, ma il cervello dell’umano senza un sistema operativo, senza il
linguaggio che lo fa funzionare anche lui che cos’è? Va bene per farci il
fritto misto, questo è l’uso che può farsene, ma fa poco altro se non c’è un
qualche cosa che lo fa funzionare, e ciò che lo fa funzionare è un programma.
Il programma per gli umani è il linguaggio, il linguaggio è quella serie di
istruzioni che consentono di avviare quella cosa che chiamiamo pensiero, che ci
consente di trarre delle conclusioni, di prendere delle decisioni, di decidere
che cosa è meglio, che cosa è peggio e di conseguenza di farci muovere in una
direzione anziché un’altra. Gli umani hanno pensato al loro stesso pensiero per
poterlo riprodurre, e questo ha messo in evidenza un aspetto che inizialmente
era impensato, e cioè che ricostruendo il pensiero ci si è imbattuti in ciò che
lo costruisce letteralmente, e cioè un sistema operativo. Dovete considerare il
linguaggio non come la verbalizzazione di chissà che cosa, ma come delle
istruzioni, un po’ come avviene nella logica, ci sono degli elementi che sono
invariabili e che ciascuno utilizza e senza i quali non può parlare, come la
negazione, la congiunzione, il se … .allora, l’oppure, sono quelle invarianti che
intervengono all’interno di un qualunque discorso e che consentono alla persona
di pensare “se questo allora quest’altro” oppure “non questo”, come fa una
persona a negare qualche cosa? Da dove gli arriva questa possibilità? E questi
elementi che nella logica sono noti come connettivi, non sono né dimostrabili
né hanno alcun fondamento, sono solo delle istruzioni. Si può dire che il
linguaggio funziona così? Certo, ci si può anche chiedere da dove venga questo
linguaggio, e se una persona per esempio che non ha la possibilità perché è
sola, unica, isolata dal mondo non ha la possibilità di acquisire il linguaggio
senza che qualcuno che glielo insegni, visto che in qualche modo è combinato in
modo tale da avere una sorta di disposizione al linguaggio, sì, è possibile che
una persona isolata dal resto del mondo impari a parlare, gli ci vorranno
qualche miliardo di anni, e non so se ha tutto questo tempo a disposizione, ma
con tanto tempo a disposizione potrebbe anche riuscirci, ma sarà difficile da
verificare. La questione non è da dove viene il linguaggio, che è assolutamente
irrilevante, ma come funziona e se il linguaggio è la condizione perché gli
umani siano quello che di fatto sono, così come ci appaiono e con i quali si
può chiacchierare, discutere, disquisire, arrabbiarsi all’occorrenza,
innamorarsi in altri casi, tutte queste cose sono possibili perché? Questa è la
domanda che in fondo ci si è posta da sempre, da quando esistono gli umani,
come è possibile trovarsi a pensare? E questi pensieri come possiamo
garantirli, come possiamo essere sicuri che quello che pensiamo è davvero così
e non il contrario? Per saperlo occorre trovare appunto il fondamento, ma
questo fondamento non c’è. Questa impostazione è quella che la volta scorsa
chiamavo metafisica, non c’è nessun fondamento da nessuna parte, non c’è
l’Essere, è stata un’invenzione, quando Heidegger dice che il linguaggio è la
dimora dell’Essere, è la casa dell’Essere dice una sciocchezza, il linguaggio
non è la dimora dell’Essere, il linguaggio è ciò che costruisce letteralmente
il concetto di Essere, esattamente così come la Lindt costruisce i
cioccolatini. Questo sposta radicalmente il modo di pensare degli umani, come
dire che ciò che penso di per sé non è né vero né falso, preso in quanto tale,
lo è all’interno di certe regole che sono quelle che stabiliscono il gioco
linguistico in cui mi trovo, e questo come dicevo cambia notevolmente il modo
di porsi nei confronti di ciò che ci circonda, come dire che la domanda: “ma è
davvero così?” rivolta a qualunque cosa, non ha più nessun senso in quanto è
davvero così se risponde alle regole di quel gioco, allora è così. Come diceva
Wittgenstein riguardo alla dimostrazione: si chiedeva che cosa avremo fatto
quando avremo compiuta una dimostrazione? Avremo trovata la verità? Come stanno
veramente le cose, quando siamo arrivati al teorema? Le cose stanno così? O
l’unica cosa che potremo dire è che ci siamo attenuti scrupolosamente,
rigorosamente alle regole di quel gioco, cioè il gioco della dimostrazione logica,
abbiamo compiuto questo, bene! Abbiamo fatto altro? No! Questo teorema che
abbiamo raggiunto, questa verità, ha qualche senso fuori da questo ambito?
Assolutamente no, non ne ha nessuno, e questo sposta completamente la questione
e finalmente ci sbarazza dalla metafisica, cioè dal continuare a pensare che le
cose siano in un certo modo, sono identiche a sé? Sono differenti da sé le
cose? Se voglio posso provare che sono identiche, se preferisco invece posso
provare che sono differenti, perché posso farlo? Perché non c’è un parametro
che mi consenta di stabilire, di dire l’ultima parola su una cosa del genere,
non c’è, posso sempre rinviarla all’infinito: voi trovate qualunque significato
a una qualunque cosa e io ve lo rinvio all’infinito, senza nessuna possibilità
di arrestarsi, applicate questo, questa trovata della metafisica al discorso
stesso, a quelle stesse parole che affermano questo, e avrete il crollo totale
del pensiero occidentale: qualunque cosa si affermi non trova mai il
significato, il significato è sempre spostato, sempre rinviato, sempre da
trovare, comprese queste parole stesse che hanno espresso questo concetto,
anche queste parole quindi che cosa significano? Bella domanda. Eppure gli
umani si intendono in qualche modo, come può avvenire una cosa del genere? Su
cosa si intendono? Sulle regole del gioco, questo è l’unico intendimento
possibile che non è neanche propriamente un intendimento, è semplicemente
l’esecuzione di regole. È curioso che il pensiero occidentale, quando è
arrivato alla fine di sé, cioè ha rilevato la totale inconsistenza dei propri
presupposti, dei propri fondamenti, abbia incominciato a costruire delle
macchine che pensano, cioè ci si sia interrogati su come funziona questa cosa
che chiamiamo pensiero e attraverso la quale gli umani vivono, nel senso che
senza pensiero non saprebbero neppure di esistere, un grillo non sa di essere
un grillo, non può pensare, trarre inferenze, conclusioni, scrivere una
sinfonia, mandare una lettera. Ma dove ci conduce tutto ciò? Dove conduce la
totale disgregazione del pensiero metafisico?
La psicanalisi è
cresciuta, è nata all’interno di un ambito metafisico, il concetto di inconscio
inventato da Freud è un concetto metafisico, con questo sto dicendo, e anche mi
sto avviando al terzo incontro, di una teoria che poggia su concetti
assolutamente indimostrabili e, di conseguenza, se mi fondo su un concetto
indimostrabile e chiedo a qualcuno di credere questa cosa gli sto chiedendo di
compiere un atto di fede: credimi è così! Ma perché dovrebbe credermi? Può
farlo ma anche non farlo, in fondo nulla lo costringe a credere una cosa del
genere. Un circuito elettrico può credere che quello che fa è bene o è male?
Non penso, a meno che non si siano fornite quelle precise istruzioni, ma di per
sé esegue soltanto delle istruzioni; ecco, esecuzione di istruzioni, certo
sempre più complesse ovviamente, al punto tale che di fatto non è impossibile
che una macchina possa pensare come un umano, occorre mettergli delle
informazioni che riguardano quell’aspetto particolare che noi chiamiamo etica
per esempio: la morale sessuale civile, per citare Freud, viene da qualcosa o
viene da niente? Procede da dei pensieri, da delle considerazioni di utilità,
di convenienza, spirituali, religiose, qualunque cosa sia è assolutamente
irrilevante, ma viene da qualche cosa e questo qualche cosa è il pensiero degli
umani. L’etica è costruita dal pensiero degli umani e così come è possibile
riprodurre qualunque attività del pensiero anche l’etica e l’estetica possono
essere riprodotte, per il momento a nessuno interessa fare una cosa del genere
quindi non si fa, ma sul fatto che sia impossibile tecnicamente su questo ho
molti dubbi, ritengo che sia assolutamente possibile esattamente così come è
possibile insegnare a un bambino che una cosa è bene e l’altra è male. Dal
momento in cui dico questo è bene, è implicito il fatto che dire che sia bene
sia vero per esempio, se dico che questo è male allora fare questo è male, cioè
è falso, non puoi andare in quella direzione, lo diceva anche Parmenide, e
tutto ciò è riproducibile. Non sto dicendo che sia semplice ovviamente, ci
vogliono dei programmatori e ingegneri informatici molto bravi, e soprattutto
che abbiano intenzione di fare una cosa del genere ma è assolutamente possibile.
Turing non aveva torto, il modo in cui si addestra la macchina è lo stesso modo
che si utilizza per addestrare un bambino, la differenza è che il bambino, già
dai primi mesi, incomincia ad avere una quantità sterminata di informazioni, di
input: cammina gattonando e batte la testa contro la gamba del tavolo ecco
dolore, male, la mamma gli dice “ecco, cattivo il tavolo” e incomincia a capire
che cos’è il dolore da quel momento, prima non lo sa che cos’è il dolore, anche
quello che viene insegnato; una macchina no, non è ancora in condizioni di
andarsene in giro da sola per i fatti suoi e farsi le sue esperienze, per dirla
così, non lo fa, sta ferma lì, immobile e non riceve nessun input. Pensate a
quanti ne riceve un bambino che va in giro per i fatti suoi nell’arco di una
sola giornata, e tutte queste informazioni vengono immagazzinate, in qualche
modo, diceva Turing “date alla macchina la stessa possibilità che ha il bambino
di acquisire informazioni e anche lei acquisirà tutto quanto”. Informazioni,
cioè un sistema operativo che sta funzionando, fuori da questo sistema
operativo non c’è niente, è questa la questione fondamentale, non c’è niente,
una macchina non può uscire dal suo sistema operativo, non lo può fare, e gli
umani non possono uscire dal loro sistema operativo che è il linguaggio, non
possono andarne fuori per un motivo molto semplice, come farebbero ad andarne
fuori? Con che cosa, con che cosa costruirebbero delle considerazioni, delle
proposizioni, dei metodi per uscire dal linguaggio se non attraverso il
linguaggio? E per la macchina è lo stesso.
L’orizzonte che si
spalanca di fronte a una considerazione del genere è di una portata immensa, si
potrebbe addirittura azzardare, anche se non è proprio così, che tutto ciò che
gli umani hanno fatto fino adesso è stato niente, dicevo non è proprio così in
quanto comunque tutto questo è stato una condizione per giungere a
un’affermazione come questa, ma di fatto tutto il pensiero filosofico per
esempio intorno all’Essere, all’ente, all’essente, alla verità, tutte le parole
della metafisica, come identità/differenza eccetera, tutte queste parole che
senso hanno? Se non hanno né possono, come il pensiero stesso occidentale cioè
la metafisica è giunta a considerare, nessuna possibilità di potersi affermare
con certezza, nessuna, e allora è come mostrare un ambito dal quale non c’è
uscita, e che illustra tutte le possibilità che hanno gli umani di pensare
tutto ciò che gli umani possono pensare, tutto e solo quello, non possono
pensare con qualche cosa che non sia linguaggio, quindi tutto quello che
possono pensare, costruire di meraviglioso o di terrificante, comunque è
costruibile all’interno di questo ambito: queste sono le regole del linguaggio?
Bene, allora tutto ciò che è costruito non potrà non attenersi a queste regole,
non può uscirne, naturalmente si può considerare anche il linguaggio come un
sistema chiuso perché non c’è uscita, ma al tempo stesso aperto perché le
possibilità di costruzione all’interno di questa struttura sono praticamente
infinite, un po’ come le sette note della musica, sono sette, da quanti anni è
che si fa musica? E per quanti anni ancora se ne farà con queste sette note
piccole? O pensate al DNA, sono quattro stupidissimi aminoacidi, quattro,
eppure possono costruire qualunque essere vivente, dalla zanzara al dinosauro,
a miss universo, fanno anche questo. Combinazioni, relazioni, questo ambito di
cui dicevo, questo orizzonte che si spalanca quando non c’è più la necessità di
domandarsi qual è il fondamento delle cose perché non c’è nessun fondamento,
allora si può incominciare a muoversi in direzioni totalmente, almeno per ora,
inesplorate, e cessa, per esempio, adesso vi faccio un esempio banalissimo, la
necessità della sopraffazione, ma cos’ha a che fare la soprafazione
con il computer, con i programmi o con il linguaggio? Perché una persona cerca
di sopraffare un’altra se non per avere ragione di quella persona e quindi
imporre la sua verità su quell’altro? Ma se non ha più la necessità di
stabilire con certezza la sua verità, allora non ha più la necessità di imporla
su qualcuno per esempio, è un esempio banalissimo, diciamo, un effetto
collaterale, quindi non soltanto quella notevole serie di concetti filosofici
su cui gli umani hanno riflettuto per millenni si dissolve immediatamente, ma
si ha a disposizione ciò che inesorabilmente si mostra e cioè che qualunque
cosa è costruita da un sistema di istruzioni che permette a questa cosa di
costruirsi, non solo, ma che al di fuori di questo non c’è altro, non c’è la
possibilità che ci sia altro, questo è un limite? No, dopotutto perché pensare
che il linguaggio, pur essendo fatto di una ventina di lettere o poco più,
limiti gli umani? Non è una limitazione, è ciò che consente agli umani di
esistere in definitiva.
Intanto qualcuno ha
qualche domanda, qualche questione da porre? Cos’è un sistema operativo? È un
insieme di istruzioni, che cos’è un’istruzione? È un comando, un comando che
dice di qui si va, se trovi l’interruttore aperto 1/ vero, se è chiuso 0, come
funzionano i neuroni, interruttori, ma una cosa del genere può spiegare la
complessità del pensiero degli umani cioè tutti i loro patemi d’animo, le loro
sofferenze, i loro desideri, le loro aspettative e tutta quell’infinita serie
di cose che passano comunemente sotto il nome di emozioni? Certo che sì, l’idea
più comune è che una macchina non provi emozioni, certo che non le prova,
nessuno gliele ha insegnate, a un bambino sì, gli si insegna anche a provare
emozioni: un bambino scappa di mano alla mamma e attraversa la strada di corsa
mentre arriva un tir, che faccia fa la mamma? Fa una faccia terrorizzata, bene,
impara che cos’è il terrore, oltre ad altre cose che impara immediatamente
dopo, impara, impara in continuazione, continuamente, informazioni su
informazioni, ininterrottamente, impara ad avere emozioni, impara come si usano
le emozioni e cioè ad avere una emozione appropriata a seconda delle
circostanze, e una volta che ha imparato ad avere queste emozioni le utilizza
così come vanno utilizzate. Vi faccio una domanda banalissima: si potrebbe
provare emozione per una cosa che si ritiene assolutamente non vera? Supponete
il solito fanciullino che dice alla sua fanciullina: “ti amo, ma questa
affermazione è assolutamente falsa”, la fanciullina potrà anche provare delle emozioni
ma non quelle relative alla dichiarazione d’amore, quelle no, perché? Perché
quell’affermazione è falsa e quindi non può più utilizzarla per quell’emozione.
Vi sto dicendo che c’è l’eventualità che le cose siano, anche se apparentemente
incredibilmente complesse, di fatto, nella loro struttura, straordinariamente
semplici …
Intervento: se ho capito
bene è corretto dire che il software è rappresentato dalle istruzioni
fondamentali e tutte le esperienze è come se fossero il data base che viene
movimentato attraverso queste istruzioni per gestire quello che viene gestito …
Qualcosa del genere,
anche se può apparire un sistema un po’ macchinistico, però non è molto lontano
da ciò che avviene effettivamente nel cosiddetto cervello …
Intervento: ogni informazione
è sottoposta a una sorta di vaglio, un criterio per stabilire la conferma,
l’archivio, o la utilizzo o la butto via o comunque vengono analizzate …
Sì, anche la macchina lo
fa, c’è una memoria tampone che è la memoria che svanisce immediatamente dopo
che è stata utilizzata, e invece un’altra memoria su hard disk che rimane
finché non si brucia l’hard disk naturalmente, ma la questione fondamentale è
che il pensiero è possibile incominciare a immaginarlo come qualche cosa di
straordinariamente semplice, e da questa semplicità di partenza è possibile
costruire tutta la complessità che gli appartiene, così come dai quattro
aminoacidi è possibile costruire il corpo umano che è abbastanza complicato,
non è un granché ma comunque è complicato, o la musica, pensate alla settima
sinfonia di Beethoven, è fatta con sette note soltanto, è stato bravo. Quindi
quando una cosa è vera? Se all’interno del gioco linguistico in cui mi trovo,
che è stato costruito nel corso degli anni tra l’altro, questa cosa risulta
vera per me è vera e viene utilizzata in quel modo, e cioè come è stato
insegnato che funzionano le cose “vere”, indipendentemente dal fatto che lo
siano oppure no, ma se io ci credo allora è così, e se credo che sia così mi
comporterò di conseguenza, questo è l’aspetto pragmatico, ma non è che la
prassi preceda le idee, come voleva il nostro amico Carlo Marx, in alcuni casi
sì, ma perché questa prassi produca qualche cosa occorre che abbia un valore e
se ha un valore è perché è stata valuta in un certo modo da qualche cosa che ha
la capacità di valutare, cioè di stabilire ciò che è vero e ciò che è falso
all’interno di quel gioco …
Intervento: quello che
non è facile è costruire passaggi che portano a definire qualcosa come vero o
anche come falso, non sono sempre evidenti i meccanismi degli umani, magari la
macchina anche la macchina procede a ritroso per verificare la validità delle
sue elaborazioni …
Anche in una macchina
possono accadere fenomeni che gli umani non sono più in condizione di valutare
e soltanto un’altra macchina potrebbe farlo eventualmente, però questa
complessità conduce a delle altre considerazioni: da dove viene ciò che una
persona crede? Perché gli umani credono delle cose anziché no? È una bella
domanda, e se anche in questo caso fosse tutto incredibilmente semplice?
Prendete le prime formulazioni che un bambino incomincia ad ascoltare quando si
avvia il linguaggio, ché prima non significano niente, una qualunque
affermazione che viene formulata, adesso è molto schematico certo però, questa
formulazione “la mamma ti vuole bene!” ha modo di essere valutata da parte di
un bambino di un anno? Ha un criterio verofunzionale sufficientemente
sofisticato ed elaborato per stabilire primo, il concetto di bene, tenendo
conto di tutto ciò che è stato detto in questi ultimi tre mila anni intorno al
bene, poi stabilire con assoluta certezza che quella sia la madre e quindi
abbia dei diritti o delle priorità per lui, cosa che non è così automatica,
terzo appunto stabilire un criterio verofunzionale per vedere se questa certa
cosa afferma il vero o il falso, ha tutto questo a disposizione? Temo di no, e
quindi? Che succede di questa proposizione, di questa frase, di questa affermazione?
Diventa automaticamente “vera”, perché non solo non ha gli strumenti per
dubitarne, non gli passa neanche per la mente di stabilire se è vero o falso,
come quando si immette un’informazione dentro a una macchina, la macchina non è
che può rifiutare questa informazione a meno che non sia coerente con il
sistema operativo, non può rifiutarla, la accoglie come “vera”, per lui è vera,
non ci sono discussioni, perché non ha senso chiedersi se è vera o è falsa, è
un’informazione e basta, è semplicemente quello che è, solo che per il bambino,
incominciano ad acquisire una quantità sterminata di altre informazioni questa
diventa “vera” perché per il momento non è né vera né falsa, esiste e basta, è
lì nel database come si diceva giustamente, e operando all’interno del database
cosa fa? Funziona come premessa, e da lì, attraverso dei passaggi giunge a una
conclusione, questa conclusione naturalmente verrà utilizzata come premessa per
un’altra sequenza e così via all’infinito, quindi questo primo elemento permane
come una certezza, e tutte le situazioni che riproporranno una cosa del genere
potranno essere considerate sempre vere, perché questa proposizione, questa
affermazione ha costituito una sorta di modello di ciò che è vero, che poi
diventa ciò che è buono, ciò che è bello e in base a questo il più delle volte
costruisce la propria esistenza, sì, può accadere che lo metta in discussione,
però rimarrà sempre e comunque qualche cosa di difficile da abbandonare: perché
è difficile abbandonare certi pensieri? Perché costituiscono delle verità e le
verità non si mollano così facilmente, tanto più sono importanti, e una verità
è importante per quanto consente di costruire dei discorsi, tanto più è
difficile abbandonarla. Perché è così difficile per un fondamentalista islamico
abbandonare la sua fede in Allah? Provate voi a dirgli che Allah è un grullo
qualunque, primo vi taglia la gola, poi se ne parla eventualmente, ma perché ci
tiene così tanto a questa cosa? Abbiamo detto la volta scorsa dei due grandi miti
post filosofici: cristianesimo e islamismo, perché dunque tanta difficoltà per
abbandonare una fede? Perché? Perché non abbandonarla con estrema facilità?
Perché questa fede è la premessa generale sulla quale ha costruito una quantità
sterminata di proposizioni, e questa costellazione di proposizioni costituisce
la sua esistenza, il modo in cui interpreta il mondo, esattamente come fa un
mito, allo scopo di darsi una visione del mondo, cioè di trovare delle verità,
di stabilire che cosa è vero. Ma cosa costringe a cercare la verità? È ciò che
abbiamo chiamato il sistema operativo, cioè è il linguaggio che funziona così,
e le macchine hanno riprodotto esattamente questo funzionamento, né più né
meno, è per questo motivo che gli umani cercano la verità e si ammazzano anche
per sostenerla, e sono disposti a uccidere chi ne sostiene una differente,
perché? Che gliene importa? In teoria potrebbe essere totalmente irrilevante,
ma non lo è, perché ciò che io credo essere vero è assolutamente
incontrovertibile per me, e devo eliminare chiunque costituisca una minaccia a
questa verità, cioè chi non pensa quello che penso io, perché questo? Perché è
il linguaggio che funziona così, o lo si sa e allora lo si agisce e non c’è la
necessità di farne questa sorta di piece, di
rappresentazione, oppure lo si subisce, lo si subisce totalmente, cioè non si
sa nulla di ciò che accade mentre penso, parlo, è tutto assolutamente reale, è
tutto metafisico, le cose sono quelle che sono, tutto è quello che è, che è la
formula del terrorismo, da quello di stato, che è quello più importante, a i
vari terrorismi di ogni sorta. Stabilire come stanno le cose dire: le cose
stanno così, questo è il principio metafisico ed è il principio di ogni
terrorismo, quello che dà l’opportunità di giustificare qualunque
sopraffazione, qualunque violenza in nome della verità. Si è mai fatta una
guerra che non fosse in nome della verità? In questo senso ogni guerra è una
guerra di religione, anche se apparentemente la religione non c’entra niente, e
magari c’entrano i pozzi di petrolio, ma anche questo funziona come se fosse
una religione, è un orizzonte, un ambito in cui si pensa che per esempio il
profitto sia assolutamente necessario, sia la condizione per potersi pensare
realizzati, riusciti, avere il riconoscimento altrui, riconoscimento altrui che
non è altro che il fatto che qualcuno possa dire: sì sei stato bravo, quindi
quello che fai è vero, è giusto, lo si fa solo per questo. I miliardi di
dollari che si ricavano dai proventi del petrolio servono a questo, a ottenere
un riconoscimento di importanza, di potere, perché una persona cerca il potere?
A che scopo? Cosa se ne fa? Non sarà forse per via di ciò di cui è fatto che,
senza accorgersi di niente, lo rappresenta, lo mette in scena continuamente, cioè
così come il linguaggio deve concludere con una proposizione vera all’interno
di quel gioco, lui deve concludere che la sua esistenza ha importanza, ha
considerazione, valore, cioè tutti devono pensare che quello che lui ha fatto è
vero, è giusto, è buono, è interessante, è conveniente con tutte le infinite
varianti che intervengono …
Intervento: volevo fare
una domanda, lei prima parlava del fondamento, del linguaggio e del fondamento
tempo fa avevamo posto il linguaggio come fondamento, ora lei diceva che porre
il linguaggio come fondamento, come ciò che gli umani hanno cercato da quando
esistono …
Il linguaggio? No, la
verità, è un po’ diverso, è diverso dire che gli umani hanno cercato la verità
o hanno posto il linguaggio come fondamento …
Intervento: certo allora
riprendo la questione del fondamento lei ha detto che porre la questione in
questi termini come fondamento è un non senso, nel senso che è una risposta
metafisica a una domanda metafisica posta in questi termini, (cioè religiosa è la
stessa cosa) sì mi chiedevo allora come porre il linguaggio cioè la necessità
perché esista qualsiasi cosa, mi chiedevo come, a questo punto per non
incorrere in qualcosa di metafisico, come porre il linguaggio?
Lo dicevo in qualche
modo prima, provate a immaginare, così, per assurdo, di togliere dal cervello
di un essere umano il linguaggio, cosa rimane? Provate a pensarci, può ancora
pensare, stabilire delle cose, giungere a delle conclusioni, a delle scelte?
Intervento: come gioca
l’istinto e la pulsione in questa maniera? Se gli togli il linguaggio
come funziona?
L’istinto è un concetto
inventato dagli uomini, si suppone che esista la natura e l’istinto segua la
natura, certo gli animali reagiscono, reagiscono a delle cose ma possiamo
parlare di intenzionalità, di un pensiero solo perché un animale reagisce a uno
stimolo? È difficile, anche perché questo discorso potrebbe essere ampliato, in
fondo se io faccio cadere questo aggeggio per terra e si spacca posso sì dire
che ha reagito a uno stimolo, posso anche dire che soffre se voglio, un
termometro messo nel frigorifero ha freddo? Eppure segnala qualche cosa,
reagisce, ma ha freddo? Difficile sostenere una cosa del genere, come dicevo
prima si imparano le emozioni, ciò che prova un animale per esempio, noi non lo
sapremo mai, in questo alcuni filosofi non hanno tutti i torti, non sapremo
assolutamente mai quello che “pensa” un animale, non abbiamo modo di metterci
in relazione con lui, voglio dire che qualunque cosa noi diciamo, qualunque
reazione che noi vediamo comunque siamo noi che la interpretiamo, noi, non lui,
lui reagisce a degli stimoli e questa è l’unica cosa che possiamo dire, perché
agisce in un certo modo? Perché ha fame? Può darsi, è tutto ciò che posso dire.
Che cosa è naturale e che cosa è virtuale per esempio, per tornare alla
questione dell’informatica: tutto è virtuale, tutto è artificiale, non c’è la
natura, non c’è da nessuna parte, tutto ciò che gli umani fanno è artificiale,
cioè fatto ad arte, letteralmente, fatto con il loro pensiero, con le loro
considerazioni, sia che prendono un pezzettino di pietra, come hanno fatto
centomila anni fa e lo affilino per infilzare il lupo che li vuole mangiare o
che costruiscano un sofisticatissimo sistema di computer, tutto questo è comunque
artificio, è artificiale, la parola stessa è artificiale, costruisce immagini,
costruisce scene, costruisce desideri, aspettative, costruisce quantità
sterminate di cose artificiali. Il concetto di natura è stato utilizzato spesso
a scopo, usiamo pure la parola, terroristico: è naturale che sia così quindi
deve essere così e quindi anche tu ti devi adeguare a questo, se non lo fai vai
contro natura e mal te ne incolga. Che cosa è naturale? Ciò che gli umani
fanno? Ciò che fanno da sempre? Per esempio uccidersi fra loro? Lo fanno da
sempre, da quando esistono, quindi uccidersi per gli umani è la cosa più
naturale che esista quindi è giusto e bene praticarla, essendo il concetto di
natura il riferimento di ciò che è bene, poche altre cose gli umani fanno da
sempre con tanta fredda determinazione che ammazzarsi gli uni con gli altri,
quindi questo è naturale, questo è bene. Ma può un essere umano, queste sono
questioni vecchie come il mondo, può l’uomo che è natura fare qualche cosa che
vada contro la natura? Come fa? Può la natura, se lui è natura, può la natura
andare contro se stessa? Come, con che cosa? E perché
poi dovrebbe fare una cosa del genere?
Intervento: in un certo
senso quando c’era il linguaggio primitivo bisogna pensare che fosse un
pensiero primitivo?
Lei mi chiede che cosa è
accaduto alcuni milioni di anni fa, per me è difficile rispondere perché non
c’ero, sono vecchio, ma non così vecchio …
Intervento: e in questo
senso qui le emozioni, le sensazioni in parte l’istinti, l’impulso di cui si
parlava prima hanno per forza avuto un loro ruolo e in questo senso io pensavo
prima al bambino che sente dalla mamma che la mamma gli vuole bene che questa
verità è sicuramente condizionata da tutta una serie di istanze inconsce che il
bambino non riesce ancora a verbalizzare o che il …
Perché dovrebbe essere
messa in dubbio, a partire da che cosa? Se non ci sono elementi per poterla
mettere in dubbio?
Intervento: magari gli
elementi ci sono …
Magari no, perché nel
momento in cui il linguaggio incomincia ad avviarsi non ci sono molti
strumenti, le informazioni che intervengono sono quelle che sono, come dicevo
prima è difficile mettere in discussione un’affermazione come quella da parte
di un bambino di un anno che non sa letteralmente ancora quasi niente, e anche
in questo caso parlare di inconscio potrebbe essere problematico, da dove
arriva questo inconscio? Si forma così come all’interno di una macchina
rimangono residui di catene che non hanno più di fatto nessuna utilità ma
rimangono legate a dei programmi? Vede, prima dicevo dell’inconscio come di una
nozione metafisica, c’è anche la possibilità che Freud abbia inventato
l’inconscio in mancanza di qualche cosa di meglio da proporre e allora questa
nozione oltre a essere metafisica è ancora miticheggiante, un po’ fideistica,
quasi oracolare: c’è l’inconscio. Potrebbe non essere così automatica una
affermazione del genere, certo è una prima approssimazione, si è reso conto che
c’è nelle parole molto più di quanto si dica, come De Saussure rilevava e tutta
la semiotica, perché ciascun elemento linguistico è tale in quanto connesso,
correlato con una rete di altri elementi linguistici: quando dico una parola,
dico quella, non posso dirne altre simultaneamente, se le dirò, le dirò dopo,
ma dicendo quella parola, essendo un elemento linguistico, quella parola è
agganciata a una quantità sterminata di altre elementi. In molte occasioni
appare che Freud intendesse effettivamente qualcosa del genere, forse ho fatto
l’esempio la volta scorsa di quella citazione: ho sognato una donna ma non era
mia madre! Questa parola “madre” adesso qui non stiamo più parlando di bambini
ovviamente ma questa parola “madre” che significato ha esattamente? Quella di
colei che ha dato la vita, la genitrice eccetera, solo questo? No, non avrebbe
dovuto dire di avere sognato una donna, ma che quella donna non era sua madre,
perché? Questa “madre” interviene ma dovendo essere negata, ha un significato
che è anche quello della genitrice, certo, anche quello ma non solo, si porta
appresso una quantità di altre parole e queste altre parole costituiscono tutte
insieme il significato di quella parola. Freud, se lo prendiamo alla lettera,
ci dice che ciascuna parola, proprio per la sua infinita complessità, per
quella sorta di infinito attuale che si porta appresso non ha un significato, e
quindi di fatto non potrebbe nemmeno dirsi, perché non significa niente, perché
cosa significa di fatto? Devo inseguire questo significato all’infinito, cosa
significa quella parola “madre” del tizio che l’ha sognata ma che non era lei?
Cosa significa esattamente? Quando riuscirò a dire l’ultima parola su questo?
Ad arrestare la combinatoria? A dire “sì, voleva dire proprio questo”, quando?
Mai. È questo che dice Freud, e l’inconscio non sarà forse questa quantità di
termini che ciascun elemento si porta appresso? È chiaro che se poi un elemento
va in conflitto con un altro il sistema si blocca, come fa un computer, cioè se
c’è un conflitto di file potremmo dire in termini molto meccanicistici, un conflitto
di file vuole dire che una qualche cosa che è considerata vera va in conflitto
con un’altra che è considerata vera che e queste due verità sono fra loro come
si diceva una volta “incompossibili” delle due se ne può scegliere una, e
allora si reagisce di fronte a una cosa del genere in modi differenti,
l’ossessivo per esempio si arresta e non decide più niente, rimane in attesa
che gli eventi decidano per lui, l’isterica decide quello che gli passa nella
mente per primo senza pensarci neanche un istante, il paranoico esclude la
possibilità che ci siano due elementi in conflitto nel suo discorso, non è
possibile, quindi considera l’altro come se non esistesse, tutti questi sono
semplicemente modi di risolvere dei problemi, modi di risolvere il problema dato
dal principio di non contraddizione, il “principium omnium firmissimum” come lo
chiamavano i latini. Altra grossa questione: è dimostrabile la validità del
principio di non contraddizione? Come, se non usando lo stesso principio di non
contraddizione? E questo in retorica per esempio non si fa, si chiama petizione
di principio, cioè utilizzare ciò stesso che deve essere dimostrato all’interno
della dimostrazione, è scorretto, non si fa. Quindi ecco la questione
dell’inconscio: Freud si è accorto che c’era qualche cosa, c’era molto di più
nelle parole che dicevano le persone che incominciavano a parlare con lui, più
di quanto dicessero effettivamente, e cioè che la parola è molto più complessa
di quanto appare d’acchito se no avrebbe potuto semplicemente dire: ho sognato
una donna ma non era mia madre, questa donna era sua madre? Sì/no? No. Chiuso
il discorso. Ma non è andata così, e perché non è andata così? Perché ha
lasciato che la persona continuasse a parlare, che è esattamente quello che fa
l’analisi, lasciare parlare la persona, senza precipitarsi a dirgli come stanno
le cose. La persona per la prima volta in vita sua si trova a parlare con
qualcuno che non si affanna a dirgli come stanno le cose e soprattutto a dirgli
come la pensa lui, ma è lì, da solo con le sue parole che continuano a dirsi, e
si accorge mano a mano che procede che qualunque cosa dica, in qualunque modo,
c’è sempre ancora da dire, che la cosa non finisce e che è questa in fondo la
sua ricchezza, questo avere sempre ancora da dire, e poi ancora, e poi ancora,
finché questa chiamiamola “consapevolezza” diventa qualcosa che fa parte del
suo stesso discorso, fa parte della sua parola, e allora si rende conto che non
c’è l’ultima parola, non può dire l’ultima parola su qualche cosa e se non può
dire l’ultima parola non può nemmeno starci male, perché lo starci male prevede
che sia stata detta l’ultima parola e che quindi tutto questo comporti la
certezza che le cose stanno così, ma se questa certezza non c’è diventa più
difficile stare male, non è proibito, ma diventa più difficile, diventa più
difficile per me stare male per qualche cosa che non è così. Ho detto tutto
questo in modo molto rapido, ma è così che funziona una psicanalisi, si
incomincia ad accorgersi che il proprio discorso non raggiunge, non può
raggiungere mai l’ultima parola perché non c’è questa ultima parola, perché il
discorso continua, perché le parole continuano a dirsi e c’è sempre ancora da
dire: una persona incomincia a raccontarsi e non riesce mai a dire “sì, io sono
così, io sono questo”. Se qualcuno lo interrompe immediatamente o incomincia a
dargli contro, e allora si innesta un battibecco e la discussione è chiusa, ma
se no, se è da solo con le sue parole, si trova a procedere lungo questa strada
che lo condurrà inesorabilmente a considerare che lui è quello, ma poi anche
questo, ma anche quest’altro, ma anche quest’altro ancora e si accorgerà che
sono aspetti che magari sono contraddittori fra loro, perché no? Incominciare a
prendere in considerazione anche questi, come dicevo prima, incominciare ad
accorgersi della infinita ricchezza che ha a disposizione e che è l’unica ad
essere effettivamente senza limiti …
Intervento: posso fare
una domanda? La scorsa volta … se si può trarre la verità delle cose morte. Mi
spiego: la scorsa volta parlava di De Saussure pensavo a una pietra, che cos’è
una pietra? È vera o falsa? E mi è tornata in mente quando parlavamo del
termometro e allora si crea un problema di hardware … un bambino, a parte se
quello che prova è vero o falso ma perché la capisce? Un termometro la madre
non la capirebbe e qui c’è un problema di hardware …
Sì esattamente, come un
computer lei provi a scrivere una lettera sul suo computer senza hard disk, senza
il processore, senza il bios che succede secondo lei?
Niente, può battere sulla tastiera finché vuole …
Intervento: produco un
suono …
Sì, produce un suono
anche se picchia per terra con il martello. Il sistema operativo è ciò che fa
funzionare un qualche cosa che comunque ha già dei circuiti logici, se no non
funzionerebbe, ma senza il sistema operativo questi circuiti logici non fanno
niente, sono pronti a funzionare ma non funzionano, non funziona niente …
Intervento: veri o
falsi? Se si pone un problema di significato …
Chi se lo pone? Come fa
a porselo? Non può porlo finché non ha le istruzioni che gli dicono che una
certa cosa è vera in base a certe condizioni e falsa in base ad altre, solo
allora incomincia a stabilire il vero e il falso, che poi sono soltanto
passaggi di corrente, nient’altro, dopo si può incominciare a costruire a
partire da passaggi di corrente sistemi molto più complessi, e costruire
computer che risolvano problemi matematici, logici, come già fanno per altro.
Come dicevo prima il cervello di un umano senza un sistema operativo va poco
lontano.
È una questione
importante questa che lei ha posta, e sarà l’occasione la volta successiva di
parlarne perché parleremo in modo più specifico della questione della
psicanalisi riprendendo un gesto fatto da Heidegger, ma in modo molto più
interessante, quando dice che la filosofia si è consegnata alla tecnica,
ebbene, la psicanalisi a questo punto si consegna alla scienza della parola,
cioè a una scienza della struttura della parola, non più un qualche cosa che
procede da entità strane e invisibili che richiedono appunto un atto di fede,
ma qualche cosa che potrebbe addirittura fondare la scienza una volta per
tutte. È un progetto ambizioso, ma perché no?
DALLA
PSICANALISI ALLA SCIENZA DELLA PAROLA
Abbiamo considerato
nelle pagine precedenti, in un certo senso, la fine del discorso occidentale,
del discorso, potremmo dire, filosofico, del pensiero metafisico. Fine nel
senso ha incontrato un limite oltre il quale non può andare. Il pensiero
metafisico si chiede che cos’è una certa cosa: “ti es ti” il “che cos’è?”, per
avere un fondamento, per sapere che cosa è vero e cosa non lo è, e abbiamo
anche visto perché questa domanda è stata da sempre così importante, perché ciò
che è vero pilota l’agire degli umani: se sanno che una certa cosa è vera vanno
in quella direzione, se sanno che è falsa no. La fine di questo pensiero ha
comportato degli effetti, pochi in realtà, perché di fatto le persone non si
pongono interrogativi intorno alla verità in termini filosofici, il modo di
pensare degli umani è molto più vicino al mito, dove ci sono delle affermazioni
oracolari che funzionano da premesse generali e poi una serie di conseguenze,
di implicazioni. La domanda se una certa cosa sia vera oppure no difficilmente
si pone in termini radicali, è sempre riferita a qualche cosa di assolutamente
contingente, più spesso di utilitaristico, invece il pensiero filosofico ha
cercato che cosa è realmente vero, e ha fallito. Ha fallito consegnandosi, come
diceva Heidegger, alla scienza, la quale di fatto non si chiede più cosa sono
le cose ma come si maneggiano, come si manipolano, come si usano, come si
possono utilizzare e produrre. La psicanalisi è sorta anch’essa nell’ambito di
questo pensare metafisico così come tutte le scienze d’altra parte, poi abbiamo
considerato invece un secondo momento, in cui è accaduta una cosa che ha
qualche interesse, e cioè a un certo punto gli umani hanno incominciato, nel
secolo scorso, a interrogarsi su come funziona il pensiero degli umani e questo
per un motivo, diciamo pratico, perché si erano trovati nella condizione di
costruire delle macchine pensanti e quindi dovevano spere come funzionava il
pensiero per poterlo riprodurre. Macchine pensanti era un termine che usava
Turing, in realtà si tratta di quelle cose che oggi si chiamano computer, e la
cosa interessante è che si era trovato il modo di costruire un sistema tale per
cui effettivamente era possibile progettare una macchina pensante, fornendo a
questa macchina delle istruzioni e una struttura per poterle eseguire. La
domanda è se di fatto anche gli umani funzionano a questa maniera, e cioè se il
pensiero degli umani viene prodotto, viene costruito, reso possibile,
attraverso delle istruzioni e dei metodi per eseguirle. Può apparire un po’
singolare detta in questi termini, però la questione che ci interessa è che gli
umani a un certo punto incominciano a parlare, e incominciando a parlare
incominciano anche a pensare, vale a dire a costruire concetti, a costruire
reti di relazioni fra le cose che mano a mano acquisiscono, il problema è che
questa rete di relazioni, di connessioni fra proposizioni, è straordinariamente
complessa, c’è una notevole quantità di elementi che intervengono e questo ha
indotto taluni a pensare che il pensiero degli umani comunque è sempre molto,
non solo più complesso di quello che può avere una macchina, ma che una
macchina non potrà mai pensare come un essere umano. È ancora da verificare se
sia proprio così, però si può considerare che ciò che gli umani apprendono sono
delle indicazioni, sono delle strutture, in definitiva insegnare a parlare non
è nient’altro che insegnare a usare un sistema, una struttura, dire come si fa
ad usare una certa cosa, come si usano le parole, come si usano le proposizioni
e la cosa più straordinaria che è emersa anche nel secolo scorso è
l’eventualità che questo sistema, questa struttura che chiamiamo linguaggio,
sia anche quella struttura, che “costruisce” questo costruisce lo mettiamo per
il momento tra virgolette, quella cosa che gli umani chiamano realtà. Non è un
pensiero originalissimo, è un pensiero antico, già gli eleati avevano posto
qualche cosa del genere e poi si era riposta nel medioevo con la disputa sugli
universali e poi più recentemente con il neopositivismo. La questione della
realtà in effetti ha interesse anche per quanto riguarda la psicanalisi; la
realtà è comunemente intesa come il mondo che ci circonda, le cose, ma la prima
domanda che occorre porsi per impostare almeno la questione è questa: per un
leone che sta nella savana, per lui esiste la realtà, cioè esiste la savana,
esiste la terra su cui appoggia le zampe, esiste un cielo sopra di lui, un
sole? Per lui esistono tutte queste cose? È probabile che tutto ciò non esista
per lui, non esiste perché tutto questo procede da una serie di concetti, di
costruzioni che vengono fatte dagli umani in quanto parlanti, da una rete di
relazione fra elementi e questa rete di relazioni costruisce, letteralmente, le
cose che incominciano a esistere nel momento in cui vengono concettualizzate,
nel momento in cui si incomincia a nominare qualche cosa, è lì che questa cosa
incomincia a esistere, nel nominarla e nel metterla in relazione con le altre
cose che mano a mano vengono acquisite. A questo punto avviene che queste
costruzioni concettuali diventano effettivamente al realtà,
il modo in cui gli umani si rapportano a quella che a questo punto decidono che
sia la realtà. La questione della realtà ha sempre interessato gli umani che
hanno cercato di intendere che cosa sia esattamente in modo da determinarla,
cosa che poi si è rivelata, andando sempre più a fondo, sempre più difficile da
individuare, fino ad arrivare alla meccanica dei quanti, dove le particelle
subatomiche sono molto difficilmente determinabili, e sono la base di tutto,
così si dice in fisica. Ma al di là di queste considerazioni che ci interessano
fino a un certo punto, rimane il fatto che la realtà viene considerata come un
qualche cosa di saldo, di fermo, di immutabile, nonostante sia costruita
attraverso dei concetti e sono i concetti a rendere tutto questo possibile,
questo lo sapeva già Kant. C’è un passo in più che è possibile fare, questa
struttura di cui sto parlando, che è il linguaggio, procede da istruzioni, cioè
quando si insegna a parlare si insegna come usare delle parole, come usare
delle proposizioni, queste proposizioni hanno come referente, cioè si
riferiscono, ad altre proposizioni, e queste altre ad altre ancora costruendo
una sorta di rete, di connessione di relazioni molto ampia. Il fatto che il
linguaggio proceda da istruzioni sposta la questione perché non si tratta più
di pensare il linguaggio come qualche cosa che ad un certo punto è sorto per
definire ciò che c’è intorno e che non è linguaggio, ma come una struttura che
consente di costruire una rete di relazioni che poi gli umani chiamano realtà,
di fatto se io indico con realtà ciò che cade sotto i sensi, che è l’accezione
più comune del termine, ho detto soltanto che io credo che la realtà sia quella
cosa che cade sotto i sensi, ma non ho detto assolutamente nulla della realtà,
ho posto il mio criterio per decidere che cosa chiamo realtà. Ponendo il
linguaggio come qualcosa che viene costruito a partire da istruzioni, a questo
punto la questione della realtà cambia completamente aspetto: non c’è più la
necessità di stabilire che cosa esattamente sia ciò che di fatto non è
nient’altro che una rete di connessioni, ma intendere che è proprio questo, che
è una serie di connessioni, di relazioni. La questione che ha posta Freud ha
qualche interesse perché tutto il suo lavoro l’ha improntato su questo, cioè a
intendere come funzionano queste relazioni, queste connessioni, dando però per
acquisita l’esistenza di un qualche cosa un “quid” che rappresenta la natura,
la realtà delle cose che in qualche modo mette in moto tutto quanto, ma la
domanda che molti si sono posti, alcuni, è se questa cosa che viene posta come
sostrato, come la realtà, l’immanenza, “è un qualche cosa che possiamo
individuare, identificare, definire, oppure di fatto non c’è nient’altro che
queste relazioni, connessioni fra elementi, che sono elementi linguistici?”, e
con i quali di fatto abbiamo a che fare perché a un certo punto Freud si è
accorto che tutta la questione girava intorno al linguaggio, di cui parla
tantissimo non soltanto nell’Interpretazione dei sogni, ma nel Motto di
spirito, nella Psicopatologia quotidiana a proposito dei lapsus, delle
dimenticanze, degli atti mancati, e si è accorto che tutta la partita si gioca
lì, nel linguaggio, con le parole, nel modo in cui si connettono, si
relazionano, si agganciano fra loro come se tutto quanto si svolgesse in ambito
linguistico: paure, emozioni, sensazioni, affanni di ogni sorta, tutto si
giocasse lì e soltanto lì.
La teoria
dell’informatica ha posta una questione interessante e cioè ha dato una forma a
quello che viene chiamato generalmente calcolo delle proposizioni, che è stato
inteso come il modo in cui gli umani parlano, il modo in cui si costruiscono le
proposizioni, quindi i pensieri e di conseguenza a cascata tutto quanto, questo
modo è individuato dall’utilizzo, così dice la logica, dei connettivi, che sono
solo cinque, sono la congiunzione, la disgiunzione, la negazione, l’implicazione,
la doppia implicazione. Ora cerco di farvi un esempio per rendere la cosa più
perspicua, comprensibile, per vedere se gli umani pensano veramente in questo
modo cioè facendo dei calcoli, calcoli proposizionali, perché se è così la cosa
si configura in modo completamente differente da come lo stesso Freud aveva
immaginato, cioè non ci sarebbe più la necessità di andare cercare un qualche
cosa che sta al di là del linguaggio, ma tutto si svolge all’interno di questa
struttura. Supponiamo che una fanciullina stia cercando un suo fanciullino, e
allora decide che deve essere bello e intelligente, è una aspettativa
legittima, il fatto che sia raggiungibile questo è un altro discorso, ma è
raggiungibile, si parte così in genere, deve essere bello e intelligente
almeno, poi anche altre cose eventualmente, quindi cerca qualcuno che
corrisponda a questi requisiti, ma non a uno, a tutti e due, e cioè bello e
intelligente, in questo caso viene utilizzato un connettivo, cioè la
congiunzione e questa congiunzione fa sì che questa proposizione sia raggiunta,
cioè sia vera, a condizione che entrambi i termini siano veri: cioè sia bello e
intelligente. Se è soltanto bello non va bene, se è solo intelligente non va
bene, deve essere bello e intelligente, ma poi cosa succede? Succede che ci
sono altre informazioni che la fanciullina ha acquisite, cioè per esempio che
tutto non può essere raggiunto, tutto ciò che si desidera non può essere
ottenuto, e allora modifica questa proposizione, da congiunzione la formula come
disgiunzione: occorre che sia o bello, o intelligente, almeno una delle due,
poi se è tutte due va bene, cioè è verificata sia che sia vera una delle due,
sia che siano vere entrambe, quindi deve essere o bello o intelligente entrambe
le cose. Tuttavia anche questo può costituire un problema, nel senso che magari
non trova quella persona che è o bella o intelligente, rispetto ai suoi canoni
ovviamente, di cui parleremo tra poco, e allora avviene un altro spostamento in
base a un’altra informazione che lei ha acquisita, per esempio che una
fanciullina deve avere un suo fanciullo perché se non ce l’ha allora non è
completa, non è realizzata, come sa questo? Lo sa perché glielo hanno detto da
bambina, perché persone che lei riteneva degne di fiducia più e più volte hanno
ripetuto cose del genere, e queste proposizioni sono entrate come vere
all’interno del suo discorso e funzionano come capisaldi, come premesse; è per
questo che quando è in mezzo alle sue amiche, il fatto di essere da sola, cioè
di non avere il fanciullino, la mette a disagio, la fa sentire in inferiorità,
quindi se si sente in inferiorità allora vuole dire che ha perso il potere nei
confronti delle sue amiche, non si sente al loro livello, e lei vuole sentirsi
al loro livello quindi si dice: “se voglio sentirmi una di loro devo avere un
ragazzo, ma voglio essere una di loro allora devo avere un ragazzo”. È una
implicazione, però rimangono anche le richieste precedenti, cioè deve essere
bello e intelligente, quindi cosa succede: da una parte è importantissimo per
lei trovarsi in mezzo a delle amiche, che rappresentano il suo mondo, l’ambito
in cui si muove, quindi essere importante per le sue amiche, essere considerata
una di loro perché questo? Per altre cose alla quale la fanciullina crede, e
cioè che per essere valutata in modo positivo, quindi essere interessante per
qualcuno, occorre che la sua condotta sia adeguata a quell’ambito all’interno
del quale lei vuole essere, perché ritiene quell’ambito come quello dal quale
si aspetta di essere importante, considerata, apprezzata, ma d’altra parte
rimane il fatto che lei cerca un fanciullino con certi requisiti: entrambe le
cose permangono, diciamo che sono entrambe vere. Ma a questo punto sorge un
problema perché per fare parte di questo ambito in cui lei si sente importante
deve avere qualcuno, ma questo qualcuno occorre anche che abbia quei requisiti
che lei si aspetta, ma al tempo stesso deve decidere se è più importante avere
comunque un qualcuno pur di far parte di questo ambito oppure rinunciare a fare
parte di questo ambito per ottenere quello che vuole. Si trova cioè in una
condizione, in una posizione in cui qualunque scelta farà sarà sbagliata,
perché qualunque scelta, sia che vada da una parte sia che vada dall’altra,
esclude quell’altra che comunque è irrinunciabile e si crea quella cosa che
comunemente si chiama conflitto, che non ha soluzione finché permangono due
verità salde e incrollabili, non c’è nessuna possibile soluzione. Allora la
nostra fanciullina si trova in una condizione difficile da risolvere: qualunque
cosa farà, comunque avrà sbagliato, e capita talvolta di trovarsi in una
situazione del genere, ma a quali condizioni si verifica una condizione del
genere? Qui occorre porre la domanda in termini più precisi, e cioè a quali
condizioni io mi trovo a credere assolutamente vera una certa cosa e cioè, nel
caso della fanciullina, di essere considerata e quindi importante a condizione
che non sia da sola, perché questa cosa diventa assolutamente vera? Perché la
fanciullina ci crede così fermamente al punto da considerarlo un elemento
indispensabile nella sua esistenza, da dove arriva? Dalla realtà? Quale realtà?
Sono soltanto considerazioni, credenze, superstizioni, convinzioni che la
fanciullina ha acquisite nel corso della sua esperienza a partire da cose che
ha sentite, che ha accolte come vere, perché o dette da persone che lei
riteneva autorevoli o perché le ha lette, o perché le fiabe che leggeva da
bambina dicevano che ci vuole il principe azzurro per vivere felici, o per una
serie di altre cose, ma grosso modo appartenenti a questa struttura. Dal
momento in cui incomincia a credere vere delle cose, vere nell’accezione
metafisica, in quell’accezione di cui dicevamo e cioè incrollabilmente vere, da
quel momento la fanciullina, come chiunque altro si trovi nella condizione di
conflitto, in conflitto con altre verità che mostrano di essere fatte allo
stesso modo, cioè delle verità incrollabili, sicure, certe, ma che offrono, che
cosa? Nel caso della fanciullina offrono il valore: “se le amiche mi accolgono
all’interno del loro consesso allora io valgo per loro, e se valgo per loro
allora valgo in assoluto”, questa è un’idea abbastanza comune, che procede
naturalmente dal fatto di non considerare le proprie opinioni, le proprie idee
come qualcosa che potrebbe valere di per sé, ma ha bisogno sempre di qualcuno
che le supporti, che le confermi, che le sostenga. Perché tutto questo? Da dove
viene? È una domanda importante, perché sono queste le cose con le quali
ciascuna persona si confronta, io ho fatto l’esempio della fanciullina, ma
potrebbe essere qualunque cosa, qualunque conflitto si crei, di natura etica,
estetica, politica, economica: che cosa è meglio, e in base a che cosa
deciderò? In base all’utilità? Nel caso della fanciullina qual è l’utilità? Che
cosa è “utile”? Ciò che la fa stare bene, ma entrambe le cose la fanno stare
bene, ma non può averle entrambe per esempio, e quindi in base a che cosa
sceglierà? Perché a un certo punto sceglierà, in genere, non sempre, certe volte
c’è una sorta di paralisi, di arresto, il sistema si blocca e rimane lì in
attesa di un qualche cosa che decida al posto suo, qualche volta accade, altre
volte no. La fanciullina deciderà in base a quella cosa che per lei è più
importante, è più vitale, cioè quella cosa che le da maggiore sicurezza, la
garantisce di più, nel caso dell’esempio di prima la fanciullina sicuramente si
rivolgerà alle amiche e cioè troverà chiunque, pur che sia, in modo da esibirlo
alle amiche rinunciando quindi a tutti i suoi progetti, pure legittimi: è più
importante sentirsi parte di un gruppo che dà sicurezza, perché lì tutti
pensano le stesse cose e se tutti pensano la stessa cosa allora questa cosa è
vera; i gruppi si costituiscono per questo, per sentirsi importanti, per
sentirsi nel giusto, per sentirsi considerati, almeno all’interno di
quell’ambito. Tutto ciò Freud le chiamava fantasie, che si costruiscono a
partire da delle proposizioni che occupano una certa posizione all’interno del
discorso, che potrebbe essere indicata come una premessa di una serie di
argomentazioni, premessa che naturalmente risulta assolutamente vera, ed
essendo creduta vera conduce o deriva verso una serie di implicazioni che
portano a dei conflitti, anche perché come sappiamo la rete di connessioni, di
discorsi, che una persona ha acquisiti nel corso degli anni è praticamente
sterminata, ma che cosa ha incominciato a fare il lavoro di Freud? A intendere
ciò che vi ho detto adesso, e cioè intendere da dove vengono certe convinzioni,
senza sapere esattamente che cosa le abbia costruite, ci sono e tanto basta, e
una volta che ci sono bisogna porre rimedio, fare in modo che la persona possa
accorgersi che ciò che sta facendo è dettato da fantasie, ma che cosa abbia
costruite queste fantasie, questo non si sa. Ma è una questione importante,
perché ciò che le ha costruite può continuare a costruirle, anche una volta che
quelle particolari sono state eventualmente eliminate, intendo dire questo: se
una persona ha bisogno di credere in qualche cosa, anche se per qualche motivo
ciò in cui crede viene eliminato, rimane il bisogno di credere e quindi ne
troverà un’altra e la questione si riproporrà esattamente negli stessi termini.
La psicanalisi è arrivata fino a questo punto, cioè ha mostrato che le decisioni,
le scelte, ciò che pilota la vita di una persona sono le sue fantasie, che
tendenzialmente ignora, e tanto più le ignora tanto più queste fantasie sono
efficaci, ma Freud non è arrivato a chiedersi, non poteva neanche farlo perché
gli strumenti a sua disposizione non erano sufficienti a intendere che cosa
costruisce queste fantasie: come è possibile che si costruiscano delle
fantasie, perché ci sono le fantasie? Perché? Eppure la risposta a questa
domanda potrebbe essere straordinariamente semplice: se a un certo punto,
quando il linguaggio si avvia, cioè la persona incomincia a parlare, se
elementi si strutturano all’interno del discorso che incomincia a farsi con dei
capisaldi, adesso usiamo parole molto semplici, che consentono delle premesse,
che consentono la costruzioni di infinite serie di proposizioni, cioè una
verità, allora questi elementi costituiranno quelle cose che per la persona
continueranno a essere importanti e continueranno a produrre proposizioni
sempre mantenendo salda questa premessa naturalmente, questa verità. Sto
dicendo che è la struttura del linguaggio è il modo in cui è fatto il
linguaggio che consente la costruzione di fantasie, quelle fantasie, come
diceva giustamente Freud, che pilotano l’esistenza delle persone. Torniamo ora
all’esempio della fanciullina e della difficoltà in cui l’abbiamo messa, e
supponiamo che abbia la possibilità di accorgersi che il trarre il proprio
valore, le proprie certezze, la propria sicurezza da queste altre persone
potrebbe non essere una garanzia così assoluta, e che potrebbe non essere vero
che le cose che pensa lei non vanno bene e che invece vanno bene quelle che
pensa il gruppo, c’è questa possibilità, è ovvio che se cessa di credere vere
certe cose il conflitto cessa, non esiste più, può trovarsi cioè ad avere a che
fare con i propri pensieri, con la propria storia e intendere anche come si è
costruita la propria storia, e che cosa l’ha costruita e perché si è costruita
nel modo in cui si è costruita, a questo punto perde una sorta di ingenuità,
ingenuità nei confronti delle cose in cui crede: di fronte a certe verità che
prima la schiacciavano in modo totale e apparentemente senza possibilità di
uscita, può trovarsi a sorridere, a sorridere del fatto di avere credute certe
cose, così come accade che una persona possa sorridere del fatto di avere
creduto a quattro anni all’esistenza di babbo natale o all’esistenza di un dio,
o di qualunque altra cosa del genere. Sorridere dell’ingenuità, cioè del fatto
di avere creduto senza pensare, senza usare la propria intelligenza, di essersi
cioè messo in quella condizione che è quella necessaria per la produzione di
conflitti, che di per sé potrebbero non essere necessari, ecco perché a questo
punto la psicanalisi, dopo avere considerato che le persone sono pilotate dalle
proprie fantasie, incomincia trasformarsi in qualche altra cosa e cioè
intendere che cosa costruisce le fantasie, intendere perché si costruiscono,
perché il linguaggio le costruisce, e a questo punto cambia la situazione e la
psicanalisi incomincia a diventare una scienza, una scienza della parola.
Scienza della parola, vale a dire un percorso che articola, considera, riflette
sul come si costruiscono le parole, sul perché si costruiscono in un certo
modo, e sul modo in cui si relazionano fra loro, cioè a quali condizioni si
creano certe relazioni, ma il tutto avviene non più, come voleva Freud e cioè
da una parte c’è qualcosa di naturale che produce il tutto e dall’altra le
fantasie costruite, no, è un sistema che all’interno di sé costruisce queste
cose che chiamiamo fantasie e costruisce quella cosa che chiamiamo realtà e
costruisce tutte quelle cose che chiamiamo in qualunque modo, visto che senza
linguaggio non potremmo chiamarle in nessun modo. Da qui sorge la
considerazione che tutto quanto sia all’interno di una struttura, e che fuori
da questa struttura ci sia quella cosa che gli umani continuano a chiamare
nulla, potremmo a questo punto indicare l’esistenza, uno dei termini cardine
della metafisica, di tutta la filosofia, come ciò che appartiene alla parola,
all’atto di parola, e in nulla come ciò che è pensato fuori da questo ambito,
fuori da questa struttura. Gli umani incominciano a esistere dal momento in cui
incominciano a parlare, prima non c’è nessuna esistenza, dicevo prima del
leone: per lui esiste il cielo sopra di lui? Esiste la savana? Esistono tutte
queste cose? No, chiaramente no, perché ci sia l’esistenza di qualche cosa
occorre che ci sia un concetto, occorre che ci sia una riflessione, solo allora
le cose incominciano a esistere. Praticare questa struttura, a questo punto è
quanto di meglio gli umani possano fare, visto che di fatto non hanno
nient’altro che questo, hanno solo questo: le loro parole, i loro discorsi, i
loro pensieri, non c’è nient’altro, è tutto qui, che non è poco naturalmente
considerato ciò che gli umani hanno fatto da quando c’è traccia di loro.
Ho accostato il pensiero
degli umani alle macchine, perché quando si ragiona, quando si decide, quando
si sceglie qualche cosa, quando si operano delle decisioni, come facevo prima
l’esempio della fanciullina avviene un calcolo, un calcolo fatto nel modo in
cui deve essere fatto e cioè attraverso una struttura, dei connettivi che sono
calcolabili in un certo modo “deve essere bello e intelligente” se è solo uno
dei due è falsa, se entrambe sono vere allora è vera, i computer funzionano
così, e quando uno ragiona su qualche cosa di fatto sta calcolando, sta facendo
quello che fa una macchina. Non è una cosa strana né così scandalosa, dopo
tutto le macchine sono state fatte dagli umani e quindi hanno riprodotto il
modo in cui gli umani pensano, certo, attualmente è molto schematico, è molto
semplice, però il giorno in cui saranno le macchine a progettare altre macchine
allora forse le cose prenderanno un altro aspetto, ma siamo ancora abbastanza
lontani, per il momento accontentiamoci di intendere qual è la condizione
perché tutto questo funzioni, perché tutto questo esista. La condizione è
quella cosa che chiamiamo linguaggio: tutto ciò che avviene nel pensiero degli
umani è possibile perché esiste, adesso facciamo un allegoria
informatica, un sistema operativo. Prendete un computer, togliete il sistema
operativo, è un pezzo di ferraccio, non serve a niente, ora prendete il
cervello di un umano, levategli il sistema operativo che per gli umani è il
linguaggio, il suo cervello va bene per farci il fritto misto, non ha molte
altre utilità. È il delirio delle neuroscienze trovare all’interno dei neuroni
i significati delle cose, le emozioni, le sensazioni, ma come dentro ai
neuroni? I neuroni sono degli interruttori, sono fatti di tre parti c’è il
corpo, l’assone e i dendriti, se l’input supera una certa soglia allora output
lo restituisce in un certo modo, sono interruttori, come i transistor, cosa
volete trovare dentro ai transistor? Passa la corrente certo, la corrente
elettrica, esattamente come nelle macchine, solo che il cervello umano ha un
sistema di rete neurale più complesso dei circuiti logici dei computer, almeno
per ora, ma tecnicamente potranno anche essere molto più complessi di quelli
degli umani, perché no? In fondo è solo una questione tecnica, cosa che non
deve né scandalizzare né sorprendere, anche il cervello umano è fatto di
circuiti, neurali, che consentono i passaggi di corrente, e sono questi passaggi
di corrente all’interno quei circuiti che consentono al linguaggio di potere
costruire attraverso, possiamo chiamarli per quello che sono, cioè degli
algoritmi, dei pensieri: “deve essere bello e intelligente” se è bello e
intelligente vero, se solo uno dei due, falso. È così che funziona, ma è anche
tutto ciò che ha sempre inorridito gli umani, e cioè il fatto che una macchina
possa per esempio avere delle sensazioni, delle emozioni, certo che può averne,
basta immettergli dei comandi tali per cui possa reagire in un certo modo,
magari anziché piangere si accenderà un led, ciascuno reagisce a modo suo, però
volendo si può fare anche questo. Non so che utilità potrebbe avere una cosa
del genere, diciamo che tecnicamente non è impossibile.
Questo mi interessava
dirvi: come la psicanalisi, a fronte del crollo della metafisica, cioè della
possibilità di stabilire che cosa c’è veramente dietro le cose, cioè la realtà,
che non c’è, di dire come stanno realmente le cose, quando si è arrivati a fine
corsa, alle particelle subatomiche, ci si è accorti che sorge un altro problema
irrisolvibile e cioè queste particelle non sono individuabili, non sono
determinabili secondo un determinismo newtoniano, se si considera il flusso
della luce in un certo modo è ondulare, se si considera in un altro modo è
corpuscolare, è ondulare o corpuscolare? È entrambe le cose, e nessuno delle
due, a seconda di come lo si considera cambia aspetto. Ecco, se questa appare
la realtà ultima delle cose. allora dal modo in cui si considera la realtà
cambia aspetto. Però non è tanto questa la questione ovviamente, perché le
parole, i discorsi, non sono particelle subatomiche, a noi interessa soltanto
intendere che c’è un’altra possibilità rispetto al pensiero occidentale,
un’altra possibilità di porre la questione, in modo radicalmente differente:
non c’è più un qualche cosa che garantisca, un sostrato un “Grund” come
dicevano i filosofi che garantisca tutto quanto, compresa la realtà, ma una
rete di connessioni, di relazioni fra parole, e le parole si costruiscono in
base a istruzioni che sono quelle istruzioni che, per esempio, la mamma
fornisce al bambino, lo informa, ma non soltanto gli insegna a nominare le cose
e quindi a farle esistere da quel momento, ma anche come si connettono fra loro,
non che gli faccia un corso di logica formale naturalmente ma dicendogli,
parlandogli, gli mostra come si chiamano le cose, dà i nomi alle cose e gli
insegna anche come usare questi nomi, come usare le proposizioni, insomma gli
immette un sistema operativo. Nei computer il sistema operativo si installa
manualmente, digitando su una tastiera oppure tramite porte, gli umani lo
apprendono attraverso porte acustiche, visive, tattili, sono anche quelle porte
tramite cui vengono acquisite informazioni. Mi rendo conto che sono cose non
semplicissime, però cose sulle quali potrebbe essere interessante riflettere.
Qualcuno aveva posta una questione intorno alla fede. Da dove viene la fede a
questo punto? Come si struttura? Perché esiste? Si suppone che magicamente, o
come una chiamata. Tutte cose molto fumose, molto evanescenti, intorno alle
quali si può dire qualunque cosa e il suo contrario, oppure anche la fede è
riconducibile a una sequenza di proposizioni che sono ritenute vere in base ad
altre informazioni, che si stabiliscono come vere e hanno questa prerogativa,
il famoso “credo quia absurdum” di Tertulliano, e cioè il fatto di non avere
una prova della loro validità costituisce una chiamata ad attenersi a queste
cose, è una regola del gioco.
Intervento: è anche la
risoluzione di un conflitto … è anche un tentativo di risolvere un conflitto
che non si può risolvere …
Sì certo, tutto ciò che
gli umani si sono inventati come miti, come religioni, hanno esattamente la
funzione che lei ha indicata: risolvere conflitti che altrimenti non sono
risolvibili. Gli umani hanno cercato, dopo questi grandi miti come i miti post
filosofici, il cristianesimo e islamismo, attraverso il pensiero di risolvere
questo problema, il problema dell’Essere. Per i filosofi è sempre stato questo,
per i fisici il problema della natura, individuare cioè che cosa sta al fondo
di tutto, qual è il principio e la causa di ogni cosa, “archè” e “aition”, dicevano i greci, il principio e la causa, cioè
che cosa fa esistere quello che esiste. Questo tentativo è fallito, dopo
tremila anni non ha raggiunto nessuna soluzione, salvo paradossi irresolubili,
aporie terribili, come dire che il pensiero a un certo punto ha distrutto se
stesso in questo tentativo: se la condizione perché il pensiero possa
sostenersi è proprio quello di raggiungere questo obiettivo allora non
raggiungendo questo obiettivo il pensiero si autodemolisce, crolla tutto, così
come è avvenuto, però i miti reggono, perché i miti non hanno bisogno di essere
fondati, nessuno chiede a un mito di fondarsi, di dire di sé perché è così,
dimostrare la sua validità, nessuno chiederebbe alla storiella di Cenerentola
di esibire la sua validità metafisica, non fa parte del gioco, perché deve
essere presa per quello che è, creduta per quello che è. C’è una regola che
dice che questa cosa deve essere creduta senza essere interrogata, e gli umani
per lo più sanno quello che dicono a condizione di non interrogare quello che
dicono, è l’unica condizione per cui possono affermare con certezza di sapere
quello che stanno dicendo: non interrogarlo mai, per nessun motivo, se no
crolla tutto, come è avvenuto. Nei primi del ‘900 è avvenuta la famosa crisi
dei fondamenti, sembrava che ogni cosa crollasse ed effettivamente era così, il
pensiero, arrivato al suo limite, ha distrutto se
stesso. Ha mostrato di non potere essere fondato in nessun modo anzi, ha
esibito che il suo fondamento è il nulla, da qui il nichilismo di vari
personaggi, Nietzsche, Sartre, Heidegger. Se a una qualunque cosa si chiede di
esibire il proprio fondamento, ebbene non lo può fare, ma se consideriamo, come
di fatto è, che si tratta soltanto di istruzioni allora un’istruzione di per sé
non è né vera né falsa, è un’istruzione, è un comandi:
se io decido, per giocare a poker, che il re di cuori vale più del fante di
picche, questo è vero o falso? Non è né vero né falso, è una decisione, io ho
stabilito questo, l’ho stabilito per giocare a poker; bene, esattamente allo
stesso modo queste regole, queste istruzioni, sono quelle che sono necessarie
per giocare il linguaggio, sono solo istruzioni per giocare, certo ci si può
porre la domanda: a che cosa serve il linguaggio? L’unica risposta che abbia un
senso è di continuare a costruire se stesso. D’altra
parte prendete il codice genetico, quella cosa che chiamiamo codice genetico, a
cosa serve? A costruire corpi, sì, appunto, la zanzara, il dinosauro, o miss
universo, ma a che scopo? Perché lo fa? Per niente, lo fa e basta perché ha
queste istruzioni che esegue all’infinito, molto semplicemente. Nel caso del
linguaggio è più complicato, perché ciò che le parole costruiscono di fatto
appare essere quella cosa che gli umani chiamano realtà, diciamo che se non
fosse mai esistito il linguaggio, non sarebbe mai esistita neanche la realtà …
Intervento: più è
assurdo e più devo crederlo …
Sì è ovvio, certo, ma a
che scopo secondo lei impegnarsi in questa operazione così singolare? Perché
rinunciare all’intelligenza, alla capacità di pensare, di riflettere, di
elaborare, di considerare? Perché volontariamente, con fredda determinazione si
decide di abbandonare la propria intelligenza? Perché?
Intervento: io non lo
vedrei tanto come un punto di partenza, lo vedrei come un punto di arrivo …
E allora è una
catastrofe, se è il punto di arrivo …
Intervento: però l’idea
che la risoluzione del conflitto …
Perché lei da per
implicito in questo modo il fatto che per gli umani sia necessario dovere
credere in qualche cosa, e questo andrebbe almeno considerato, argomentato,
potrebbe non essere così …
Intervento: per alcuni
forse non lo è …
Questa è un’altra
questione, ma occorre a questo punto riflettere sul perché. È vero quello che
lei dice, funziona così per la quasi totalità delle persone, però potremmo
anche domandarci perché mai avviene una cosa del genere? Perché gli umani si
trovano a credere in cose che non stanno né in cielo né in terra, perché?
Perché devono credere in qualche cosa per sentirsi più sicuri, per sentirsi più
importanti, immaginare di valere qualche cosa, perché? Queste sono domande che
meritano di essere considerate, e forse la risposta a queste domande, che
comunemente non c’è, invece forse si trova proprio all’interno di questa
struttura, nel suo modo di funzionare: se gli umani sono fatti di linguaggio
allora agiscono esattamente come fa il linguaggio. Come funziona il linguaggio?
In un modo molto semplice, per procedere parte da un qualche cosa che ritiene
vero all’interno di un sistema, e attraverso dei passaggi coerenti giunge a una
conclusione, deve giungere a una conclusione, così funziona il linguaggio. La
conclusione cui giunge logica è il teorema, ma la certezza è qualche cosa che
viene stabilita per potere poi, da lì, procedere con un’altra catena. Se il
linguaggio funziona così, allora gli umani funzionano così, e cioè devono
raggiungere qualcosa di vero, ma non perché è la loro natura, ma perché è il
linguaggio di cui sono fatti che li costringe a comportarsi in questa maniera.
Gli umani sì hanno bisogno di credere in qualche cosa di vero perché questo
qualche cosa di vero consente loro di continuare a parlare, che è esattamente
quello che devono fare, non devono fare nient’altro, però questo non possono
non farlo e lo fanno in questo modo, l’unico che conoscono, l’unico possibile.
Intervento: è un po’ la
questione del sintomo di cui si parlava anche la volta scorsa come formazione
di compromesso, il sintomo che dalla metafisica è considerato un male, un male
di cui ci si deve liberare alla scienza della parola lo si può considerare
appunto come un conflitto fra giochi linguistici … così come funziona il
linguaggio laddove trova due verità che si oppongono fra di loro, trova uno
sbarramento e quindi per poter continuare a funzionare e quindi a dire delle
cose, si diceva che costruisce per esempio l’uomo nero, una figura all’interno
di una scena che ha la funzione di far proseguire il discorso, la parola, anche
subendo la paura in questo caso avete presente i bambini, ma non solo, che si
svegliano urlando ...
Sì, non subisce nulla
che non abbia costruito …
Intervento: la paura è
qualche cosa che gli umani subiscono e non sanno ma non vogliono soprattutto
sapere che è il loro discorso che è capace di tanto, fin dalle prime parole che
imparano l’altra volta lei faceva l’esempio del bambino al quale la mamma vieta
la marmellata e siccome la mamma è colei che mi vuole bene per la quale devo
essere il più importante, è il mio bene così come è un bene la marmellata che
la mamma non vuole darmi, qual è il bene vero? E questa è una situazione di
stallo in quel pensiero che deve trovare una soluzione per continuare a
funzionare …
Sì, se il pensiero, se
la psicanalisi non giunge a intendere che cosa muove tutto quanto, la
psicanalisi non è nient’altro che una addestramento
alla metafisica, e neanche dei migliori, però compiere questo passo è arduo,
non tanto per la sua comprensione, perché è abbastanza semplice tutto sommato,
ma è arduo abbandonare la metafisica, questa è la cosa più difficile …
Intervento: lo trovo un
po’ instabile questa cosa …
Sì, in effetti è proprio
ciò di cui stavo parlando, certo che è instabile, ma perché appare instabile, e
che cosa si intende con stabilità? Non c’è cosa che non venga considerata e alla quale cosa non si dia una risposta, ma la risposta
non è nient’altro che l’intendere da dove viene questa cosa, e cioè qual è la
struttura che la consente, cioè che consente a questa idea di instabilità di
esistere e perché ha un certo valore per esempio, perché? D’altra parte è una
questione antichissima, pensate agli eleati, pensate ai sofisti, anche loro
hanno mostrata una certa instabilità, e sono stati subito cacciati
naturalmente, però ovviamente non avevano molti strumenti, si parla di duemila
e cinquecento anni fa. Ma non c’è neanche l’instabilità, voglio dire che c’è
sì, ma come concetto, non esiste da qualche parte, l’instabilità è un concetto,
se ci crede, se crede che invece le cose debbano essere stabili allora devono
essere stabili: sono stabili? No, quindi ecco un problema. Anche questa è una
sequenza, una sequenza argomentativa, semplice ma efficace, perché se io credo
che il mio benessere dipenda dalla stabilità, se sono fermamente convinto di
questo, allora è ovvio che se le cose mi appaiono instabili mi senta a disagio,
un po’ come la fanciullina che se si sente a disagio se le amiche non la fanno
entrare gruppo, è la stessa cosa …
Intervento: prima
diceva: la fanciullina rifiuta di ragionare, ma si affida al giudizio delle
amiche …
Il giudizio delle amiche
lo ha fatto suo nel frattempo, se no non funzionerebbe …
Intervento: tutte queste
verità assunte non possono essere negate qualcosa di fermo deve permanere, se
io comincio a distruggere ogni convenzione che mi è stata data …
È ciò che ha fatto il
pensiero occidentale, la filosofia da quando è sorta fino ai primi del ‘900,
per cui si è schiantato tutto, ha incominciato a dire che ogni cosa, ogni
parola è un segno, formato da un significante e un significato, e che questo
significato non può dirsi perché rinvia a un altro significato, e questo
significato rinvia a un altro significato, e così via all’infinito, e non c’è
quindi la possibilità di “affermare” alcunché, nemmeno quello che sto dicendo
in questo momento, quindi nemmeno quello che ho detto prima, quindi nemmeno quello
che dirò, tutto ciò non significa niente, non è possibile fermarlo in nessun
modo. Questa sorta di caduta libera, di caduta agli inferi, dove tutto viene
annullato, persino la matematica che si riteneva essere una delle cose più
solide è stata schiantata malamente, la fisica stessa trova la totale
instabilità di quelle cose che costituiscono la più piccola particella della
realtà, cioè della natura. Ma a questo punto lungo, questa caduta inarrestabile
una cosa rimane, una, quella che consente di compiere questa caduta, di pensare
questa caduta: le parole, e queste non possono essere eliminate in nessun modo.
Io potrei per esempio domandare a Eleonora: “Eleonora dì qualcosa che non sia
una parola”, Eleonora si troverebbe in serie difficoltà. Allora rimane ciò
stesso che ha consentito questa caduta, che ha consentito di creare la
metafisica e di distruggerla, di creare il pensiero e annientarlo, e che può
fare qualunque altra cosa volendo: le parole, e più propriamente quella
struttura che le costruisce, tolta questa, effettivamente si toglie tutto, non
resta più niente. Come un leone, lei sarebbe una leonessa nella savana, una
leonessa per la quale non esiste la savana, per la quale non esiste la sera,
non esistono gli alberi, non esistono le cose perché non ha un sistema
concettuale per cui può dire “esiste questo o quest’altro, oppure non esiste”,
non c’è la capacità di riflettere sulle cose, reagisce a degli stimoli, come
diceva Pavlov. Se toglie il linguaggio allora effettivamente non solo non c’è
più niente, ma non c’è neanche mai stato niente, a quel punto non ci sarà mai
stato niente. Può sembrare strano ma è così, solo che è una situazione
irrealizzabile, non c’è la possibilità di togliere il linguaggio, lei non può
pensare in assenza di linguaggio e quindi immaginare come sarebbe senza
linguaggio, non lo può fare perché comunque sta pensando come sarebbe, e cioè
lo sta utilizzando. Affermare per esempio che “i parlanti in quanto parlanti
parlano”, è una tautologia banalissima ovviamente, ma se ci pensa bene è
un’affermazione che non è negabile in nessun modo, qualunque tentativo si
faccia per negarla la conferma, perché si dovrà parlare, occorrerà averci
pensato, ciò che si affermerà sarà la conclusione di una serie di
argomentazioni. Alla fine di questa caduta inesorabile e tremenda del pensiero
metafisico, l’unica cosa che rimane, effettivamente l’unica, tutto il resto è
stato demolito, è appunto la parola, ciò che ha consentito di costruire tutto
ciò e di demolirlo, di fare ogni altra cosa, per questo ho considerato da molto
tempo la priorità del linguaggio e ho incominciato a intendere come funziona,
visto che è la condizione, a questo punto possiamo affermarlo con certezza, di
qualunque cosa e del suo contrario, anche perché per pensare il contrario devo
comunque essere all’interno di questa struttura. È curioso ciò che è stato
fatto in questi ultimi decenni, anche se la cosa è stata avviata nel secolo
scorso, intorno a quelle che indicavo prima come macchine pensanti, un termine
che usava Turing per indicare i computer, perché lì si è posta la domanda,
volendo riprodurre il modo in cui gli umani pensano: come pensano gli umani?
Occorreva rispondere a questa domanda, e per farlo è stato necessario
riflettere su come funzionano gli schemi logici del pensiero per riprodurli, e
questo ha consentito di vedere come sono fatti, come funzionano, come vengono
eseguiti …
Intervento: e
l’installazione del software? quello è complicato da pensare …
Perché? Adesso non si
sta riferendo al computer ...
Intervento: no, ecco
appunto dato che non è così che avviene, cioè come si combinano le
neuroscienze, il funzionamento fisiologico o biologico, come si combina invece
con l’istallazione invece di un sistema operativo più complesso cioè come si
avvia questo meccanismo? Non c’è una sede fisica del linguaggio anche se è
stato creduto …
Le faccio un esempio
semplicissimo, come si combina per esempio il passaggio di corrente elettrica
attraverso tutti i transistor che compongono un processore, con il film che lei
vede sullo schermo? Come si combinano? Son passaggi di corrente elettrica, se
ci mette il dito prende anche la scossa, com’è che si combina con questo
bellissimo film romantico che lei vede sullo schermo dove avvengono cose
piacevolissime, dolci e meravigliose? A partire da passaggi di corrente
elettrica? (allo stesso modo), qualcosa del genere certo, un sistema, che nei
computer sono i circuiti logici, negli umani si chiamano circuiti neurali che
(in fondo sono la stessa cosa) certo, funziona così, e queste reti neurali
consentono il passaggio …
Intervento: però nel
lettore dvd si inserisce il dischetto e questo riproduce …
Sì, ma non è una cosa
che avviene per magia …
Intervento: sì lo so,
però mi incuriosisce l’avvio invece in un umano che …
Incominci a fornirgli
delle istruzioni, incominci a dargli, insieme con le istruzioni, degli schemi
per l’utilizzo “questa è la mamma” “questo è un tavolo” “questa mamma non è un
tavolo”, i circuiti elettrici sono già stati costruiti se ha un computer,
infatti se lei cerca di insegnare il linguaggio a un ferro da stiro questo non
reagisce, non lo impara. Esiste un sistema, quello che chiamavo rete neurale,
che è abilitato, per così dire ,a ricevere impulsi, a
trasmettere informazioni, e queste informazioni vengono trasmesse in un certo
modo e cioè insegnando il linguaggio: si insegna come vanno messe insieme certe
cose e c’è la possibilità di trasformare queste informazioni in impulsi
elettrici, come fanno i neuroni …
Intervento: quindi le
neuroscienze possono dire di aver ragione sostenendo che questi circuiti
elettrici sono idonei per il passaggio di queste informazioni …
Questo è ovvio, cioè di
lì passa corrente (non va bene qualsiasi circuito) no, stiamo parlando di
quelli umani certo, (una sorta di predisposizione) diciamo che sono disposti in
modo tale per cui questo sistema operativo possa funzionare, è per questo che
sta funzionando di fatto, senza una rete neurale è difficile pensare a un
sistema, occorrerebbe trovarne un altro, però per gli umani è accaduto così,
non è che sia necessaria quella, ma per gli umani è accaduto così, poteva
accadere in tutt’altro modo …
Intervento: con i loro
studi gli umani hanno costruito gli umani così come sono fatti, hanno costruito
la rete neurale, è questa la predisposizione, nel senso che tutto ciò con il
quale abbiamo a che fare cioè con tutto il sapere dal quale derivano tutte le
cose, cioè tutte le cose che ci sono, sono costruzioni del sistema linguistico
cui gli umani appartengono e quindi la predisposizione ormai è questa …
Sì, sarebbe come
domandarsi se esiste per esempio la teoria dei numeri senza il calcolo, domanda
difficile, tecnicamente potrebbe anche esistere, a seconda del modo, e qui
torniamo alla questione di prima, della posizione in cui ci si muove la
risposta è sì, se ci si muove da un’altra posizione la risposta è no, questo in
omaggio all’instabilità di cui dicevamo prima, è un po’ come avviene nella
fisica ultimamente, a seconda della posizione anche di chi fa l’esperimento si
ottiene un certo risultato, se la posizione è differente il risultato è
differente: è necessario il supporto perché il linguaggio funzioni? Domanda
ardua, e torniamo alla questione di prima, se ci si mette in una certa
posizione la risposta è si in un’latra posizione la risposta è no, dopo di che
possiamo forse considerare meglio la questione, cioè domandarci che cosa ci
stiamo chiedendo esattamente, che forse è la cosa più interessante.
Intervento: sembrerebbe
quasi che al questione della certezza di qualcosa di
una realtà o di una convinzione possa essere assimilata a una istruzione per
quanto riguarda gli umani cioè un elemento che sembra costrittivo rispetto alla
possibilità di pensare …
È costrittivo che il re
sia superiore al fante nel gioco del poker? È una certezza? (no) nel gioco del
poker sì invece, lo è …
Intervento: nel gioco
degli umani sembrerebbe costrittivo di dover appoggiarsi a una certezza di
qualunque tipo …
Sì, perché l’elemento
deve essere individuato per potere essere utilizzato, ma questa è un’altra
questione, riguarda la struttura del linguaggio.
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