LA SCIENZA DELLA PAROLA

 

MANIFESTO TEORICO

 

Luciano Faioni

 

 

LA DISSOLUZIONE DELLA CERTEZZA

 

 

 

Tra le varie questioni che Freud considera lungo la sua opera, ce ne è una sulla quale vorrei soffermare la vostra attenzione: la nozione di rimozione, uno dei capisaldi della teoria freudiana. Cosa dice la rimozione? Che un termine, un elemento linguistico, un nome, può mostrarsi come un insieme, una costellazione di elementi, il significato di quel termine non è più soltanto quello classico, tradizionale di un dizionario ma diventa appunto una costellazione di elementi, di termini, di significati. Nel saggio Il diniego, Freud racconta di un tizio che parlando di un sogno che aveva fatto, dice a un certo punto che in questo sogno c’era una donna ma non era sua madre, così dice, ora tecnicamente questo enunciato direbbe che quella donna che ha sognato non era semplicemente sua madre, ma per Freud la cosa non era così semplice, intanto si è posto questo elemento, la madre intendo dire, si è posto ma negato, come dire che c’è questa madre ma non è la madre. Le considerazioni che fa Freud, fra le varie, sono queste: il significato di questo elemento “madre” in quel sogno non è più soltanto da intendersi come quella donna che ha generato un essere vivente eccetera ma il fatto che sia intervenuta e che abbia dovuto negarla comporta che insieme con questo elemento ne intervengono molti altri, e sono questi altri che hanno determinato poi la necessità di negare questo termine, perché per esempio comportava qualche problema all’interno di quella combinatoria, come dire che il significato, nel racconto di questo tizio della parola madre non è più soltanto il significato che offre un qualunque dizionario ma è fatto di una serie di altri significati che determinano il significato di quell’elemento e lo determinano in modo tale da dovere essere negato da quella persona. Quando quel tizio dice “ho sognato una donna, ma non era mia madre” questa madre è proprio soltanto la genitrice, colei che gli ha dato la vita? Evidentemente no, non ci sarebbe stato nessun motivo di negare una cosa del genere, ha dovuto negarlo perché il significato di quel significante “madre” andava molto al di là del suo significato tradizionale, come dicevo prima, una costellazione di significati, quindi cosa significa esattamente questa parola “madre” in quel contesto? Molte cose, tante che potrebbe diventare impossibile stabilire con esattezza, con certezza, quale sia il significato preciso di quel termine. In quegli stessi anni a Ginevra, un linguista ginevrino tale Ferdinand De Saussure stava considerando qualcosa di simile in relazione al significato delle parole, ma non tanto di una parola connessa con altre parole a costituire appunto una costellazione di significati ma la parola in quanto tale come un segno. Si considera De Saussure come l’iniziatore o uno degli iniziatori della semiotica, cioè della teoria dei segni, e questo segno di cui parla dice che è fatto di due parti: l’una è il significato, e fa l’esempio della parola “albero” uno quando sente la parola “albero” sa a che cosa ci si riferisce: vegetale d’alto fusto, con radici, una chioma, fronde rami e tutti gli aggeggi annessi e connessi, e dall’altra parte oltre al significato l’espressione, cioè la manifestazione fisica, il corpo di questa parola, l’aspetto sonoro, lui la chiama “immagine acustica” possiamo dire la forma del suono, il corpo di questa parola che chiama significante. Stabilito il segno in questo modo si accorge poco dopo che sorgono dei problemi, problemi relativi all’individuazione tanto del significato quanto del significante, come si stabilisce un significato, un concetto? Si definisce per differenza da tutti gli altri concetti possibili e pensabili, come dire che il significato ha una determinazione che è differenziale rispetto a tutti gli altri significati, è una differenza rispetto a un’infinità di significati e rileva che anche il significante è assolutamente arbitrario, tant’è che in italiano “albero” si dice albero, in inglese si dice tree, in francese arbre, e così via in infiniti altri modi quanti sono le lingue. Anche il significante di per sé non è individuabile se non come un elemento che è differenziale rispetto a tutti gli altri significanti, cioè tutte quelle altre immagini acustiche che costituiscono questo universo che lui chiama la “langue”, ora questo già di per sé potrebbe costituire un problema, cioè l’identificazione di un elemento, ma la questione non è soltanto questa, dice lui, il rapporto fra il significato e il significante è tale per cui di fatto perché possa dire “albero” occorre che questo suono, questo significante, abbia già un significato e cioè che io intenda dire qualche cosa con questo suono, non potrei dire “albero” se non ci fosse nessun significato connesso con questo significante e d’altra parte, dice anche, che non c’è un significato che non abbia un significante, cioè un concetto che non abbia un suono con cui si esprime. La questione rispetto al significato tanto in Freud quanto in De Saussure si fa complessa, non soltanto, ma un altro psicanalista che compare un po’ di anni dopo Freud in Francia, J. Lacan, riprende il testo di Freud ma riprendendo l’elaborazione di De Saussure: capovolge il segno e mette sopra la barra con la quale De Saussure aveva distinto il significato dal significante, pone sopra la barra il significate e sotto il significato, e aggiunge che di fatto per potere dire questo significato, cioè per potere dire il concetto che esprimo verbalmente mi trovo anziché a dire il significato a dire un altro significante, perché è il significante ciò che si dice, il significato non si dice, il significato rimane non detto comunque sotto il significante perché il concetto, per manifestarlo, per dirlo, devo dirlo e quindi usare un significante, dunque dicendo un significato, tentando di dire un significato, dico un altro significante il quale avrà un altro significato e così via all’infinito, in un processo che i semiotici chiamano di semiosi infinita cioè un processo inarrestabile, quindi come stabilire il significato? Diventa un problema, questo significato si allontana mano a mano che cerco di individuarlo, di stabilirlo, come dire che parlando le cose che vengono dette hanno un significato ma questo significato è, potremmo dire così, irraggiungibile, non individuabile. Questa questione è stata posta nella prima metà del ‘900, è una questione antica, antichissima, nasce nel momento stesso in cui nasce la filosofia e cioè quando gli umani incominciano a domandarsi che cosa è vero, ma domandarsi che cosa è vero non tanto per un ghiribizzo o un gioco, ma la verità deve avere un prerogativa per essere tale cioè deve essere indubitabile, deve essere incontrovertibile, come dire che il significato di una certa cosa deve essere quello che è. È stato Parmenide il primo a porre la questione; la filosofia non nasce gradualmente, la filosofia nasce di colpo ponendo subito quel problema che tutto il seguito del pensare filosofico ha tentato di risolvere: quando Parmenide afferma perentoriamente che l’Essere è, il non Essere non è, imponendo anche il divieto di pensare il non Essere, pone già la questione di cui si tratta e l’impossibilità di risolverla. Per Parmenide il problema, che poi è stato ripreso abbondantemente dai sofisti, riguarda il fatto che esiste un divenire: non è che le cose stanno immobili, eterne, immutabili, imperiture eccetera, ma esiste un divenire perché ciascuno lo esperisce, le cose sorgono, scompaiono, divengono, mutano, cambiano eccetera, e allora Parmenide dice “sì, anche il mutamento c’è, ma è un illusione, è sogno, però c’è”, cosa che non è sfuggita ai sofisti, i quali hanno detto: se il mutamento, se il divenire c’è, anche il divenire è, e quindi abbiamo un “è” un Essere che è immutabile, ma che è anche un divenire, quindi il detto di Parmenide è autocontraddittorio. Da lì, e cioè esattamente dal momento in cui gli umani hanno posta la nozione stessa di verità o di Essere in molti casi, nel momento stesso in cui l’hanno posta, in quel preciso istante sono sorti i problemi e cioè l’impossibilità di provare, di dimostrare ciò che si stava affermando. I sofisti hanno avviato una critica del pensiero determinante e hanno trasformato, loro soprattutto, un pensare che era ancora legato al mito quindi un a pensare religioso, oracolare che non si interroga sulla verità ma espone delle cose, così lasciando poi alle persone la libertà di interpretarle, ha volto tutto questo in filosofia. In un certo senso, questo modo di pensare è rimasto per esempio nelle filosofie orientali, le filosofie orientali sono filosofie per alcuni aspetti ingenue, sono rimaste ancorate al mito, al detto oracolare, non c’è stato nessun pensiero che abbia messo in discussione, abbia dubitato di certe affermazioni come è avvenuto in occidente, nessuno che abbia chiesto perché deve essere così, chi lo dice? E se fosse il contrario? Domande legittime che il pensiero occidentale si è poste, dunque stabilire il significato o per altro verso stabilire qual è la verità di un enunciato non è una questione così irrilevante o adatta a persone che si divertono con astrazioni inverosimili. Ciascuno nel momento in cui deve decidere qualcosa che è importante per la sua vita, per la sua esistenza, per il progetto in cui si trova, deve sapere se ciò che sta pensando, ciò che sta considerando è vero oppure no, perché se è vero prosegue in quella direzione, se è falso no, la abbandona e quindi vuole sapere se una certa cosa è vera o è falsa, certo i filosofi si sono domandati che cosa è vero in assoluto, ci sono delle verità relative a qualche cosa ma ci deve essere un concetto, un qualche cosa che è vero in assoluto e tutta la filosofia ha cercato di stabilire questo, rimediando a quel problema che ha scatenato Parmenide e cioè il problema che sorge nel momento in cui si afferma con forza e con determinazione che le cose stanno così, ma le cose stanno così, come? Tutto questo ha portato, soprattutto nel secolo scorso, a una sorta di consapevolezza del fallimento del pensiero, il fallimento del pensiero che ha tentato per millenni di stabilire con certezza qualche cosa senza riuscirci, ma questo ha portato anche alcune riflessioni come quelle per esempio di Paul Ricoeur, filosofo del ‘900 che ha immaginato una Scuola del sospetto, composta da tre personaggi: Nietzsche, Marx e Freud. Nietzsche ha mostrato la menzogna perpetrata dal potere nei confronti di chi non ha potere, Marx ha mostrato l’inganno relativo al capitale nei confronti della classe lavoratrice e Freud l’inganno delle parole, a questo punto l’inganno della parola stessa, la parola che vuole dire qualche cosa ma dicendo quella cosa ne dice infinite altre e in questo senso mente, è menzognera. Dunque stabilire la verità è importante anche per quanto riguarda le varie teorie, naturalmente una qualunque teoria tenta di porsi come discorso che dice il vero su qualche cosa, non muove dall’idea di dire soltanto sciocchezze, se no probabilmente non partirebbe neanche, dunque il pensiero si è trovato ad un certo punto con Freud, soprattutto con De Saussure e con la semiotica di fronte a una sorta, potremmo chiamarlo di baratro, determinato dal fatto che quello che si dice, le parole stesse non possono essere determinate in modo preciso, in modo stabile, univoco ma queste parole mutano, divengono, si trasformano, alludono a infinite altre cose nel momento stesso in cui si pongono, questo è uno dei messaggi di Freud, ma anche della semiotica. Il tentativo di reperire l’Essere da parte di alcuni pensatori, anche alcuni di rilievo, è fallito, l’Essere inteso molto sommariamente come è stato inteso per lo più da buona parte della filosofia come ciò che sta, come ciò che è, come ciò che necessariamente è quello che è e che non muta, questo concetto di Essere ha fallito il suo compito, non ha retto cioè, ma fin da subito, alla necessità di dimostrarsi essere quello che dice di essere, come se si chiedesse a una cosa di dimostrare, lei, di essere quello che è, e questo non lo può fare, necessita sempre di qualche cos’altro che intervenga a mostrare che è così o che non è così, la cosa stessa non lo può fare. A questo punto sorge un’altra questione: tutta questa problematica relativa al senso, al significato, alla verità, sapete che i greci avevano tre modi per dire la verità: alètheia come il disvelamento, come ciò che si manifesta, come ciò che esce dal buio e appare alla luce, orthotes, cioè la correttezza dell’enunciato, inteso poi dai medioevali come adæquatio rei et intellectus e l’episteme, cioè la verità della scienza, quella certezza argomentata e dimostrata, tuttavia come facciamo a sapere che queste nozioni, queste definizioni di verità sono corrette? E cioè ci dicono esattamente che cosa dobbiamo intendere con verità, perché la verità dovrebbe essere quello? Lo stesso “principium omnium firmissimum” come chiamavano i medioevali il principio di non contraddizione di Aristotele, come sappiamo che è vero? Come sappiamo che è proprio così? Ci troviamo di fronte a un’altra questione irresolubile perché per dimostrare che è vero il principio di non contraddizione dobbiamo utilizzare il principio di non contraddizione. Giungere alla considerazione che le parole non hanno, perché non c’è, la possibilità di stabilire il loro significato, cioè dire che cosa vogliono veramente dire, non è una questione che riguarda soltanto le parole in generale, come se fossero degli enti a sé stanti, ma riguarda il discorso stesso che dice queste cose, io stesso che sto dicendo queste cose mi trovo preso in questa impossibilità, le parole che dico hanno un significato? Quale? Come faccio a stabilirlo? In base a ciò che abbiamo appena detto risulta arduo potere stabilire con certezza quale sia il significato delle parole che sto usando, e quindi che cosa sto veramente dicendo. A tutto ciò si è aggiunto, agli inizi del ‘900, quel momento storico noto come crisi dei fondamenti: anche la disciplina che pareva più sicura di sé, più inattaccabile, più certa, e cioè la matematica, è apparsa, dopo le considerazioni di Gödel, incapace di mostrare la propria coerenza interna, anche in questo caso il significato di qualche cosa è autocontraddittorio. Ogni cosa dunque si mostra per altro da quello che è, possiamo dire che ogni cosa è altro da quello che è. Questa è la conclusione inesorabile che produce quella sorta, dicevo prima, di abisso, di baratro, di voragine, una voragine che non ha un fondo, non ha un fondamento, non ha un “Grund” come dicono i tedeschi, cioè il fondamento dove qualche cosa si arresta, si ferma. Posta in questi termini la questione ci dice che qualunque asserzione, e qui utilizzo un’immagine poetica, tratta da un bellissimo film di Salvatores che forse alcuni di voi hanno visto Nirvana, ciascuna asserzione è esattamente come un fiocco di neve che non si posa da nessuna parte, non ha nessun fondamento, non trova nessun fondo, nessun “Grund” su cui appoggiarsi e su cui mostrare la propria necessità, ma si può andare ancora oltre in questa, in questa che potrebbe apparire una devastazione totale: come accade che di fatto invece le persone parlino continuamente, ininterrottamente? La condizione per potere “sapere” quello che dico è di non interrogare quello che dico, come diceva Agostino relativamente al tempo “finché nessuno mi chiede che cos’è il tempo, so che cos’è, ma nel momento in cui qualcuno me lo chiede non lo so più”, cioè per potere sapere quello che dico non devo interrogare quello che dico, ma letteralmente, se incomincio a interrogarlo allora non lo so più. Appare ineluttabile questa sorta di devastazione del pensiero, e cioè il pensiero si è mostrato, fin dal momento in cui è incominciato con Parmenide, possiamo dire lui ma insieme con altri, dal momento stesso in cui gli umani hanno posto qualche cosa che deve essere così, dal momento stesso in cui questo è accaduto, questo “è così”, si è mostrato indimostrabile, nel momento stesso in cui hanno posto le condizioni del pensare hanno posto l’impossibilità di pensare: la possibilità di sapere quello che sto dicendo mentre dico è che io non interroghi quello che dico, che potrebbe apparire una situazione alquanto bizzarra eppure tutto sommato è quello che diceva anche De Saussure in fondo. De Saussure non ha portato la cosa alle estreme conseguenze, ma il messaggio è questo: c’è un qualche cosa in ciò che si dice che insiste come ciò che, potremmo dirla così come alcuni hanno amato dire, che non può dirsi, se nulla può dirsi, può affermarsi, allora che cosa dire? È come se l’essenziale, e qui arriviamo a Derrida, fosse proprio qualche cosa che in realtà è un niente da dire, quella che lui chiama l’archi-traccia o l’archi-scrittura, un niente da dire che insiste, ma che tuttavia è la condizione perché qualcosa si dica. Tutto ciò che vi sto dicendo non è nulla di nuovo, è noto da sempre, io l’ho soltanto riassunto brevemente, sono questioni che sono state discusse nel corso dei millenni fino a Sartre, in fondo Sartre che con la sua “nausée de vivre”, la nausea del vivere ha indicato in questo, e soprattutto nel suo romanzo più noto quello che l’ha reso celebre, La nausea appunto, quella sensazione dell’uomo di fronte a tale abisso, perché questo abisso di cui si parla non ha letteralmente il fondo, per cui quel fiocco di neve continuerà a cadere in eterno senza nessuna possibilità di fermarsi su niente, ma questo fiocco di neve è una qualunque asserzione, una qualunque parola, un qualunque concetto. Tutto questo allude a un problema, un grosso problema che riguarda il pensiero occidentale, ma non solo, al punto in cui siamo potremmo dire che il discorso occidentale è il pensiero planetario, visto che ha dominato il mondo intero attraverso la tecnica, sì, in fondo le tesi di Heidegger poi approdano a questo: l’unico modo possibile per l’uomo è quello di manipolare l’ente senza chiedersi che cosa sta facendo, né che cos’è ciò che sta trattando, né quando manipola qualcosa, appunto gli enti, gli enti possono essere qualunque cosa: umani, atomi, parole, qualunque cosa, per questo dice Heidegger che la metafisica, che non è altro che il pensiero, qualsiasi pensiero iniziato con Parmenide, è giunto alla sua conclusione, la metafisica cioè la filosofia ha compiuto il suo percorso consegnandosi letteralmente alla tecnica, e cioè compiendo quell’operazione che da sempre il pensiero ha cercato di fare rispetto all’ente, da quando ha cominciato a domandarsi “ti to on”, che cos’è l’ente? E per sapere che cos’è bisogna sapere che cos’è effettivamente quindi l’Essere di questo ente, ma la tecnica è ciò che consente agli umani effettivamente di compiere tutto ciò che la metafisica ha tentato di fare vale a dire la conoscenza, la manipolazione, l’elaborazione dell’ente, cosa che oggi avviene correntemente attraverso l’informatica, anche la produzione dell’ente: cioè l’uomo si è messo al posto di dio, produce gli enti, li crea come e quando vuole, a che scopo tutto questo? Ce lo ha spiegato in modo mirabile Nietzsche: per la volontà di potenza, cioè controllare gli enti, controllare gli uomini, controllare le cose per averne il potere totale e assoluto, a questo serve in definitiva sapere, o almeno a questo è servito agli umani sapere che cos’è la verità, anche se, come dicevo prima, questa ricerca ha comportato non pochi problemi e a tutt’oggi non è affatto risolta; il gesto inaugurale di Parmenide è rimasto esattamente dove Parmenide l’ha lasciato, per cui gli umani in generale possono procedere a pensare, a fare, costruire, a fare tutte le cose che fanno a quella condizione di cui dicevo prima, e cioè non domandarsi che cos’è ciò che stanno facendo, questa questione ha una soluzione? Posta in questi termini no, cioè posta nei termini in cui l’ha posta Parmenide no, non ha nessuna soluzione, questo abisso non sarà mai colmato da niente e da nessuno, gli umani continueranno a muoversi senza sapere, senza soprattutto potere sapere che cosa stanno facendo: che cosa significa ciò che stanno facendo, che cosa significa ciò che stanno dicendo, ciò che stanno pensando, ciò che stanno affermando? Wittgenstein a proposito della dimostrazione si chiede: che cos’è la dimostrazione? Che cosa abbiamo fatto dopo che abbiamo compiuta una dimostrazione? La dimostrazione dovrebbe dimostrare che cosa è vero, questo è ciò che ci si attende generalmente, bene, dice lui, dopo che avremo compiuto la dimostrazione ciò che avremo fatto sarà stato di esserci attenuti scrupolosamente alle regole di tale dimostrazione, abbiamo messo in atto un algoritmo, l’abbiamo compiuto e siamo giunti alla conclusione, abbiamo fatto esattamente e soltanto questo, niente di più, letteralmente non c’è nient’altro che questo, cioè abbiamo svolto un gioco, questo gioco si è compiuto. Per questo parlavo della nausea, questa sensazione di totale, irreversibile impossibilità di appoggiare il piede su qualcosa di solido, di saldo, di definitivo, che è ciò che gli umani hanno cercato, un fondamento, qualcosa che dia sicurezza, non cercano forse la sicurezza gli umani? Il sogno di trovarla è svanito, è svanito nel momento stesso in cui si è posto.

 

Intervento: le parole, ogni termine, ogni significante richiama altri significanti mi pare che dicesse.

 

Sì non può dirsi il significato, sì, ha capito benissimo, è la stessa cosa che dice Heidegger solo in modo più pomposo, da bravo filosofo tedesco …

 

Intervento: è come se il significato non fosse accessibile e quindi questo Essere cui si riferiva prima da Parmenide ad Heidegger, come se questo Essere non fosse accessibile e che dell’esistenza rimanesse soltanto la forma ma non si potesse accedere alla sostanza … dove stanno i pensieri? Dove sta questo significato se non è esprimibile?

 

Dove sta il significato? Bella domanda …

 

Intervento: le parole che si dicono sono quelle che si pensano … non c’è modo di arrivare all’Essere, all’ente?

 

All’ente sì, però senza cogliere l’Essere, appunto l’Essere dell’ente. La sua posizione non è molto lontana da quella di Heidegger, in effetti l’Essere non può dirsi, ciascuna volta si dice solo l’ente, l’Essere si manifesta in un abbaglio, in un momento di illuminazione per svanire immediatamente. Lei pensi a qualche cosa, utilizza delle parole per pensare ed elabora un concetto, si chiede se questo concetto è vero, cosa si chiede nel momento in cui si chiede se è vero, si chiede qual è il suo principio e qual è la sua causa “archè” e “aition”, dicevano gli antichi, principio e causa, per potere sapere che quello che dice è vero, può quindi proseguire a pensare quella cosa oppure se sta pensando una stupidata, e quindi abbandonare tutto e rivolgersi da un’altra parte, il suo pensiero funziona così quando pensa, quando non pensa no, ma quando pensa funziona così, cioè pone delle interrogazioni o riflette su qualche cosa che muove da un elemento che potremmo indicare come premessa, compie dei passaggi e giunge a una conclusione, dopodiché questa conclusione deve essere verificata, deve essere vera per potere proseguire, perché se no non prosegue. Tutta la ricerca del pensiero si è rivolta a questo: a cercare qualche cosa che possa garantire le parole, il fare stesso degli umani, garantirlo per essere sicuri che è così e che non è come taluni hanno ingenuamente immaginato tutta un’illusione, è un’affermazione che di per sé non significa niente …

 

Intervento: e quindi questo Essere si ricollega all’insieme di significati, a quella costellazione cui faceva riferimento prima parlando del “non è mia madre” da tutto questo insieme di significati che uno attribuisce a un determinato significante deriva il suo Essere? Ma se non esiste un Essere univoco per tutti, potrebbe anche non esistere tanto non è accessibile …

 

Questo è uno dei tentativi di soluzione al problema: intendere la verità non più come qualche cosa di stabile, certo, sicuro e inamovibile ma come una rete di relazioni fra elementi, di connessioni fra elementi, ma il problema si ripropone all’infinito: ciò che sto dicendo adesso è vero? Questo mi interessa saperlo per proseguire lungo questa via, per esempio quella che dice che la verità è unicamente una rete di connessioni fra elementi e di relazioni fra loro, quello che sto dicendo è vero? In qualunque modo la questione ritorna sempre, parafrasando Freud “ciò che si caccia dalla porta rientra dalla finestra” e direi immediatamente, perché tutto ciò è sempre applicabile, così come si fa generalmente per zittire gli scettici quando affermano che non c’è nessuna verità, e quindi anche questa affermazione non è vera, non è possibile certificarla. Ora questa operazione è possibile compierla anche rispetto a tutto ciò che abbiamo detto, a tutto ciò che è stato detto dalla semiotica, dalla psicanalisi, dalla filosofia, quindi se ciascun significato non è altro che una rete di relazioni, se dico questo allora non posso non tenere conto che anche il dire questo è preso in una rete di relazioni che attende comunque qualche cosa o qualcuno che dica “sì è così”, e quindi puoi andare avanti, puoi proseguire, se no, no …

 

Intervento: la verifica che viene dall’esterno …

 

All’inizio si è sperato che fosse la cosa stessa, lo stesso Husserl immaginava che le cose stesse si mostrassero “se uno le sa guardare bene e si sbarazza di tutti i condizionamenti, di tutti i mascheramenti, vede finalmente la cosa stessa così come si mostra” è molto problematico, che cosa vede? Ma se consideriamo il colore “rosso”, vedo il rosso, cioè l’essenza del rosso? Ma il rosso come essenza non si da mai senza un supporto, un ente, un qualche cosa, una maglia rossa, senza il supporto di una maglia, di un vestito, ha sempre bisogno di qualche cos’altro che lo supporti, per questo Heidegger oscilla un po’ e poi dice che l’Essere può esserci anche senza l’ente altre volte dice che non c’è l’Essere senza l’ente. Sono considerazioni che lasciano il tempo che trovano e che interessano molto poco, ciò che ci interessa è che tutto ciò che abbiamo rilevato, che hanno rilevato molti pensatori anche di rilievo può essere applicato, cosa che pochi hanno fatto, alle cose stesse che stanno dicendo, proprio così come si fa per zittire gli scettici “non c’è la verità, qualunque affermazione non può essere stabilita essere vera” e quindi nemmeno questa, quindi tutto ciò che ho detto, tutte le cose che abbiamo stabilite, tentato di stabilire questa sera rispetto all’impossibilità di stabilire il significato, anche queste cose, queste parole stesse non possono essere stabilite. D’altra parte se ci pensate bene come possiamo indicare la verità, definire la verità? Con quali parole la definiremo, la descriveremo, la diremo, se queste parole mentono, ciascuna di loro? Cioè per definire la verità useremo parole che mentono e siamo mal messi, partiamo malissimo …

 

Intervento: non bisogna più dire, oppure …

 

Questo è ciò che dice Derrida, “il niente da dire”, come se effettivamente non ci fosse più niente da dire; “niente da dire”, cioè il pensiero arrivando all’apice della sua corsa sfrenata arriva a non avere niente da dire, al nulla, al nulla che è nient’altro che questo baratro, questa voragine senza fondo, che non ha letteralmente nessun fondo …

 

Intervento: in venticinque anni di lavoro che abbiamo fatto alla Scienza della parola, proprio considerando le cose che sta dicendo …

 

Venticinque anni sono nulla rispetto ai duemila e cinquecento anni da che esiste questa questione …

 

Intervento: possiamo incominciare ad affermare delle cose che hanno la necessità di essere affermate per non cadere nella malia degli scettici …

 

Per uscire da una questione del genere occorre porre la questione in tutt’altro modo e cioè intendere che cosa è avvenuto nel momento in cui Parmenide ha compiuto quel gesto devastante, che ha segnato la fine, nel momento stesso in cui aveva inizio, ha segnato la fine del pensiero stesso. Una direzione ha cominciato a porla Wittgenstein, che è forse uno degli autori recenti più interessanti, pone questioni interessanti intendo dire, e cioè il significato come uso: cos’è il significato di qualcosa? L’uso che ne faccio, quando imparo un significato significa che imparo a usarlo, a usare una parola, qual è l’uso di una parola? Quello che grosso modo fornisce il dizionario, potete immaginare il dizionario con tutte le sue parole come un libretto delle istruzioni, dà delle istruzioni su come si usa ciascun termine, ciascun elemento che appartiene a una certa lingua, in questo modo la questione del significato, dell’Essere della cosa perde di senso, e forse non ha tutti i torti Wittgenstein a considerare che in realtà tutti i problemi filosofici di fatto sono problemi logici, così come quello di Parmenide, affermare che qualche cosa è quello che è senza avere nessuna possibilità di affermarlo, di garantirlo, di certificarlo, di verificarlo è un problema naturalmente, ma come posso attendermi da qualche cosa che mostri di sé di essere necessariamente vero? Come fa? E allora questo qualche cosa o esiste di per sé, come è stato sempre pensato, che è poi il pensare metafisico, oppure non esiste di per sé, ma se è considerato come un qualche cosa che esiste di per sé, questo significato per esempio che deve essere lì, da cercare, da trovare, un po’ come diceva Galilei “la natura è scritta con leggi matematiche” bisogna solo trovare queste leggi che la definiscono, ponendo già una questione comunque curiosa e cioè che la differenza tra dio e gli umani non è qualitativa ma è quantitativa, sta nel fatto che dio le conosce tutte queste formule matematiche, gli umani solo una piccola parte, però quando le avranno scoperte tutte ecco che… Ma dicevo che si immagina che qualche cosa esista di per sé, fuori da ciò che di fatto l’ha costruito, ciò che di fatto l’ha prodotto. Per approcciare opportunamente questa nuova questione occorre considerare molto attentamente un altro aspetto, che possiamo riassumere così: come si impara a parlare? Parmenide ha potuto fare quello che ha fatto, questo gesto a un tempo inaugurale e devastante perché stava parlando, perché aveva la parola, perché poteva esprimere, poteva pensare, una scolopendra non avrebbe potuto compiere tutte queste operazioni, come si parla dunque? Però prima vorrei che fosse molto chiaro quello che è stato detto fino a questo punto, non vorrei che ci fossero dei dubbi ancora, perché se è assolutamente chiara questa impossibilità e cioè questa totale e irreversibile assenza di significato delle cose, allora ci si può disporre effettivamente verso un qualche cosa che apre a un’altra via totalmente differente, perché lungo quella strada che gli umani hanno percorso da Parmenide ad Heidegger, tanto per dare un inizio e una fine, tutto questo percorso è stato fallimentare. La fisica stessa, anche la fisica atomica non è mai uscita dalla metafisica, mai. Dicevo che vorrei che fosse tutto molto chiaro per cui se c’è qualche dubbio, qualche perplessità, qualche controindicazione vorrei che fosse manifestata in modo da potere chiarire meglio tutto ciò che abbiamo detto, per intendere bene come il pensiero stesso, proprio per il modo in cui è iniziato, proprio per questo motivo preciso non poteva che fallire, questa è la questione centrale: se è iniziato così, se questi sono stati i presupposti non poteva che fallire, come dire non poteva trovare in alcun modo alcunché che lo sorreggesse, non poteva in nessun modo trovare, come di fatto è accaduto, nessun Grund, nessun fondamento, se le cose stanno così, quel fiocco di neve è condannato a cadere all’infinito senza arrestarsi mai …

 

Intervento: perplessità tante … sono chiaramente legate alle questioni che altri si sono posti in realtà mi è passato per la mente un pensiero: che cosa c’è prima della nausea? Come se la nausea fosse l’ultimo stadio e la pre nausea fosse momenti che si esperimentano nella vita in cui sembra di riuscire in qualche modo a raggiungere un piccolo tassello di significato che però poi sfugge prima che diventi forma, io condivido quello che diceva lei prima ma lo condivido al contrario ovvero mi sembra che il mio pensiero sia più … che esista una sostanza senza che ci sia una forma per descriverla anziché partire dalla forma per arrivare alla sostanza e che probabilmente la sostanza di per sé noi non abbiamo la forma per descriverla e ovviamente questo è il circolo al contrario e mi sa che questo tipo di pensiero, di logica non ha soluzione …

 

Certo che no, ma pone un ulteriore problema, in effetti lei dice: sostanza senza forma, ma questa sostanza è una forma, con qualche modifica al platonismo, la sostanza sta in un ultra sensibile, in un iperuranio ed è da lì che garantisce quelle forme, quelle cose con cui noi abbiamo a che fare tutti i giorni, delle forme, dei profili di cose, di enti no, la sostanza è lassù e garantisce il tutto. Questa sostanza ha avuto varie forme, ma quella principale è quella connessa con un mito post filosofico, esistono miti pre filosofici e post filosofici, i miti post filosofici sono il cristianesimo e l’islamismo, ora lei dice: cosa c’è prima della nausea? Prima della nausea, ripercorrendo anche in parte il corso della filosofia, c’è la speranza, la speranza di trovare finalmente qualche cosa, poi c’è stata la soluzione, la soluzione è quella che dice: la sostanza c’è ma non si può conoscere, non si può percepire ma c’è ed è dio, è stata una soluzione, chiaramente anche in quel caso in ambito di pensiero ci si aspetta che un’asserzione possa essere dimostrata, non basta che uno dica una certa cosa come un oracolo, il mito dice gli uomini nascono dalla testa di Giove, sarà così, non sarà così? È dubitabile una cosa del genere, ciò che ha tentato di fare il pensiero invece è di argomentare in modo tale da giungere a una conclusione che fosse indubitabile, incontrovertibile, questo è stato il progetto fallito, però questa era l’idea, e allora ecco la sostanza che sta lì immobile, eterna, cioè dio che garantisce ogni cosa, che garantisce che le forme abbiano una sostanza. Se non ci fosse questa sostanza tutte queste forme svanirebbero, e succederebbe tutto quello che succede quando arriva la nausea: queste forme non hanno più sostanza, non sono più niente, si dissolvono nel nulla e si prova appunto quella sensazione di cui parlava Sartre, però è un punto di arrivo che ha già considerato, ha già pensato tutte le possibilità, se Platone divide la sostanza dalla forma per Aristotele per esempio già non è più così, forma e sostanza si compongono, non ce n’è uno senza l’altro, che è il modo tra l’altro più comune di pensare tutte queste cose, come dire che se si accoglie la premessa da cui parte Platone, tutte queste considerazioni, queste conclusioni sono ineluttabili, non c’è nessuna possibilità di venirne fuori, ci hanno pensato, sono duemila e cinquecento anni che si è cercato di rimediare a questo problema, tranne i sofisti che invece ci sono andati a nozze con questa storia e anzi l’hanno portata alle estreme conseguenze, ma tutti gli altri, da Platone in poi, hanno fatto questo, compresa la costruzione dei questi miti post filosofici, cristianesimo e islamismo che hanno dato questa soluzione, qualcuno ha deciso che le cose stanno così, Lui è la sostanza, Lui è l’Essere che governa tutti gli enti, però razionalmente non è molto sostenibile una cosa del genere, presuppone appunto la fede: “credo che sia così” …

 

Intervento: la domanda successiva, alla luce di questo, lei come definirebbe la fede?

 

In un modo che non è molto differente da quello degli antichi, come il “credo quia absurdum”, non mi interessa se tutto ciò non nessun fondamento, io ci voglio credere, quindi per me è così, e tanto basta, come dire che rinuncio alla facoltà di pensare, rinuncio alla mia possibilità di interrogare ciò che dico, rinuncio volontariamente, con fredda e lucida determinazione, stabilisco che le cose stanno così, naturalmente perché le cose possano stare così occorre, come ho detto all’inizio, che io non le interroghi mai, solo a questa condizione posso continuare a pensare che sia proprio così, ma la fede è fatta di questo, è una delle soluzioni possibili, una soluzione avviata dal mito del cristianesimo che ha trovato questa soluzione “tu non chiederti più niente, c’è qualcuno che ha già stabilito tutto, è tutto a posto e tutto sistemato, devi soltanto darci la tua fede, dal momento in cui ce la dai sarai anche salvo”, perché c’è tutta una serie di annessi e connessi …

 

Intervento: una serie di vantaggi poi …

 

Non potevano non offrire qualche optional, ci sono i gadget, la vita eterna, la verità dell’anima, la verità assoluta “io sono la via, la verità, la vita”. Questa dicevo è stata una delle soluzioni che ha avuto un certo successo per altro, nessuno glielo nega, a tutt’oggi funziona, non è da poco, e su questo ci sarebbe da parlare molto a lungo sul perché abbia ottenuto tutto questo successo, mentre per esempio il pensiero dei sofisti non ha avuto tanto successo, neanche quello degli scettici, neanche quello di Parmenide tutto sommato e ogni pensiero filosofico, ogni pensare ha avuto il suo momento Platone, Aristotele, poi la patristica adesso saltando tutto arrivando a Kant, Cartesio eccetera fino ad arrivare ad Heidegger, hanno avuto il loro momento ma nessuno ha avuto quella potenza, sono duemila anni che c’è, è la domanda che si poneva Nietzsche: duemila anni e nessun nuovo dio, come mai? Non siamo riusciti a inventare qualche cosa di più divertente, è sempre lo stesso, perché è rimasta? Come dicevo qui ci sarebbe da avviare una discussione piuttosto lunga, anche interessante, però ciò che mi interessa è incominciare a porre il modo in cui gli umani imparano a parlare, se riuscissimo a intendere esattamente che cosa succede quando gli umani incominciano a parlare e come si fa a insegnare a parlare, ammesso che sia possibile, per alcuni non lo è per esempio, per cui questo è un altro problema irresolubile, per insegnare a parlare occorre che la persona sia già nel linguaggio, perché io non posso dire a qualcuno “questo è un registratore” e insegnargli che questo è un registratore se questo non è già nel linguaggio, cioè non sappia già una serie sterminata di cose per potere capire quello che gli dico, è un’obiezione certo, però ci sono degli aspetti che sono intervenuti in questi ultimi anni e che hanno dato da pensare, non solo i fisici, i matematici ma anche i filosofi, delle questioni che sono state poste dalle macchine, come la chiamava Turing “la macchina pensante”. Nei primi anni del ‘900 si è posta una riflessione intorno alla possibilità di costruire delle macchine pensanti, l’origine del computer per dirla così, l’origine molto antica incomincia nel 1200 con Lullo che voleva costruire la sua macchinetta che serviva per dedurre certe cose fino a Leibniz e la sua Characteristica Universalis e poi una serie di passaggi di cui parleremo la volta prossima che hanno portato alla costruzione delle macchine pensanti, ma ciò che a noi interessa è che cosa ha consentito questa costruzione o più ancora o prima ancora il pensare la possibilità di costruire una macchina pensante. Una macchina pensante è quella che deve riprodurre il modo in cui pensano gli umani, anche perché gli umani pensano in questo modo e quindi non è che possono inventarsene altri, quello è, però tutto questo che oggi si chiama comunemente informatica ha posto delle questioni interessanti proprio riguardo al modo in cui si impara a parlare, o se preferite il modo in cui si insegna a una macchina a pensare. Se prendete una macchina di per sé, anche un computer, se non avesse dei circuiti logici e non avesse un sistema operativo per esempio, sarebbe un pezzo di ferro totalmente inutile, non avrebbe nessuna funzione, un sistema operativo cioè qualche cosa che fa funzionare la macchina, c’è qualche cosa di simile nei confronti degli umani? C’è un programma che fa funzionare gli umani? Potrebbe essere il linguaggio? Prendete il cervello di qualcuno, toglietegli il sistema operativo, cioè il linguaggio, cioè la possibilità di pensare, a cosa serve questo cervello? Va bene per farci la frittura, ma non ha nessun altro utilizzo, è dal momento in cui si instaura un sistema che consente di pensare che è possibile da quel momento incominciare a parlare e quindi a pensare e quindi fare tutte le serie di operazioni, ma il modo in cui si è costruito, si è pensato più propriamente di costruire una macchina pensante è indicativo anche perché per costruirla hanno dovuto pensare a come funziona per gli umani, per poterla riprodurre, giungendo a delle considerazioni sorprendenti e queste considerazioni sono quelle che hanno bypassato totalmente tutto il problema di cui abbiamo parlato questa sera e, oltre che bypassarlo, lo rendono inesistente, come se non fosse mai avvenuto, perché la questione non era quella che ha posta Parmenide dall’inizio, non era quella. Parmenide non ha potuto vedere altro ma c’era qualche cos’altro che andava vista, qualcosa che forse avrebbe potuto vedere ma non ha vista, non avendola vista ha creato il marasma che ha accompagnato il pensiero degli umani fino a Heidegger. Apre a una questione notevole, immensa, che riguarda il modo in cui funziona il pensiero, e una volta che avremo inteso molto bene come funziona il pensiero degli umani a questo punto potremo ritornare alla questione da cui siamo partiti, e cioè a Freud, per porre le cose in modo totalmente differente, anche se rimane la questione clinica da lui posta, però i presupposti da cui muove non saranno più gli stessi, saranno totalmente differenti.

 

 

 

IL PENSIERO E LA MACCHINA PENSANTE

 

 

C’è una novità, una novità nel pensiero, potremmo anche dire una grossa novità, ha a che fare con ciò che è accaduto in questi ultimi decenni, cioè questa particolare situazione: l’era dell’informatica.

Questa ci ha condotti a delle riflessioni, non tanto sui computer in quanto tali, ma su che cosa ha portato a pensare di costruire, come la chiamava Turing, una macchina pensante. Ciò che abbiamo detto la volta scorsa intorno alla crisi del pensiero occidentale, e a questo punto potremmo anche dire planetario, visto che l’occidente ha conquistato il pianeta intero grazie alla tecnica, pensiero occidentale che è sorto incominciando a porsi delle domande intorno a che cosa fossero realmente le cose, si parla di 2500 anni fa, domanda intorno a che cosa sono realmente le cose, domanda che ha condotto alla tecnica. La tecnica stabilisce come sono fatte le cose e a partire da questo, come diceva Heidegger, ha iniziato a comprenderle, a manipolarle, a elaborarle, fino al punto di creare l’ente, creare nuove cose che prima non c’erano. Tuttavia il pensiero, da Parmenide in poi, ha avuto delle vicissitudini bizzarre al punto tale che proprio nel secolo scorso si è giunti alla sua totale dissoluzione. Ha sempre cercato, come dicevo prima, di trovare cosa sono realmente le cose, l’Essere per dirla in termini filosofici, qual è l’essenza dell’ente cioè l’Essere, che naturalmente non è mai stato reperito in quanto tale, fino ad arrivare alla semiotica, alla linguistica, che hanno poste delle tali questioni da fare schiantare ogni possibilità di trovare l’Essere, cioè di sapere come stanno realmente le cose. Non so se sia il caso di ripetere qui rapidamente le cose dette la volta scorsa, forse no, basti soltanto che questa ricerca ha condotto alla dissoluzione del pensiero occidentale nel momento stesso in cui ha incominciato a riflettere sulla possibilità di trovare il significato ultimo delle cose. Esiste un significato vero delle cose? No, questo lo avevano già inteso Ogden e Richards in un loro saggio dal titolo piuttosto significativo e cioè Il significato del significato: qual è il significato del significato? E cioè qual è il significato del significato del significato? Vi evito di andare avanti all’infinito, ma questo significato non si trova, ecco perché la filosofia si è consegnata alla tecnica, e cioè a qualcosa che non chiede più che cosa sono le cose ma come si manipolano, come si utilizzano, e nient’altro che questo. L’era dell’informatica ha poste delle questioni di grande interesse, fra queste una in particolare a noi interessa: come funziona il pensiero degli umani? Per poterlo riprodurre occorre sapere come funziona, quindi l’interrogazione si rivolta al modo in cui gli umani necessariamente pensano, cercando quali sono gli elementi più propri del pensiero, evitando almeno inizialmente tutta l’infinita complessità del pensiero, ma cercando di intendere che cosa effettivamente fosse necessario per gli umani perché potessero mettere in atto questa loro prerogativa, cioè pensare, pensare cioè trarre conclusioni, inferenze, giudizi eccetera. Questo percorso che è stato compiuto potremmo dire nel ‘900, anche se ci sono stati dei tentativi precedenti da Lullo a Leibniz, ma è nel ‘900 che la cosa si è posta nei termini più precisi, e cioè si è pensato che fosse possibile ricostruire il pensiero, ma come? Dopo tutto, diceva George Boole, logico inglese “possiamo dividere le proposizioni in due categorie: quelle vere e quelle cose false”, certo è una divisione di massima, così però giusto per incominciare, le cose vere e le cose false, chiamiamo quelle vere 1 e quelle false 0, per semplicità. La sua idea era questa, ed era già un primo tentativo di costruire una macchina pensante e cioè di trovare un qualche cosa che consentisse di calcolare le proposizioni, ci aveva già provato Leibniz a modo suo, un principio tale per cui fosse possibile stabilire attraverso un calcolo, da qui “calcolatore”, quali fossero le proposizioni vere e quali quelle false. Il suo criterio non era del tutto strampalato, nel senso che gli umani si chiedono continuamente se una cosa è giusta o è sbagliata, se va bene o se va male, se devo fare così o devo fare cosà, chiedono in giro che cosa devo fare “secondo te è giusto che faccia così o è giusto che faccia cosà?” che è un altro modo per dire “è vero questo o è vero quest’altro?”, quindi è una domanda che interviene ininterrottamente nell’arco di una stessa giornata, una persona si chiede infinite volte se quello che pensa è vero o falso, attraverso varie formulazioni, ma è una cosa che appartiene agli umani e solo agli umani, per esempio un leone non si chiede se quello che pensa è giusto o sbagliato. Si tratta allora di trovare un metodo che consenta di riprodurre il modo in cui calcola il pensiero degli umani, è possibile? Prendete per esempio la negazione, che cosa fa esattamente? Prende un elemento e se è vero, la trasforma in falso, se è falso lo trasforma in vero, fa questo, nient’altro, almeno in termini logici, quindi è molto facile riprodurre meccanicamente questa cosa attraverso un calcolo e l’operazione che risponde a questo calcolo è la sottrazione: 1 - 0 = 1, 0 - 1 = 0, si usa la moltiplicazione per calcolare la congiunzione, la “e”, e la somma logica per la disgiunzione, l’“oppure”. Trovare un sistema che consenta di calcolare il pensiero è sempre stato un obiettivo degli umani, ma ciò che ha fatto sì che a un certo punto si decidesse di mettere in pratica una cosa del genere, cioè di costruire realmente una macchina sono state anche le considerazioni intorno al modo in cui funzionano i cosiddetti neuroni. Il computer non ha fatto altro che trasformare il calcolo di Boole in circuiti elettrici, corrente che passa corrente o che non passa attraverso dei transistor che sono degli interruttori, che la fanno passare oppure no, se passa vuole dire che è vero quindi 1, se non passa 0, e chiuso il discorso. Sempre nel ‘900, un neurofisiologo insieme con un logico matematico, ha considerato attentamente la questione avendo come obiettivo la costruzione di una macchina pensante, erano gli anni di Turing, di Von Neumann e di altri, e cioè costruire qualche cosa che riproducesse il modo in cui funzionano i neuroni, il neurone cosa fa? Se passa la corrente, se la corrente supera una certa soglia lo attraversa e esce da quell’altra parte, ha un input e un output, come si dice in termini informatici, un ingresso e un’uscita, per dirla in italiano, funziona come un interruttore anche lui, ed è una strana, curiosa similitudine, perché questi circuiti elettrici, questi transistor che sono stati costruiti e assemblati sono dei circuiti logici, grosso modo come i neuroni, il principio è lo stesso, corrente elettrica che passa o che non passa, questi circuiti logici poi vengono assemblati e costituiscono il processore all’interno del computer, il cuore, il cervello del computer, il calcolatore letteralmente, colui che calcola. Ma torniamo un momento a ciò che dicevamo all’inizio, cioè all’impossibilità di stabilire che cosa sia il significato di qualche cosa in modo definitivo e conclusivo, perché c’è questa difficoltà? La volta scorsa abbiamo articolato la questione dicendo che se qualche cosa deve rispondere di sé lo farà sempre necessariamente attraverso qualche cosa che è altro da sé, la cosa in sé non può rispondere di sé, ci vuole qualche cos’altro e questo qualche cos’altro come farà a rispondere di sé? E così via all’infinito, ma questa impostazione della questione è un’impostazione metafisica, che va riconsiderata, se io per esempio mi chiedessi “se passa corrente 1/vero” posso dimostrare che è così, che è veramente così? Che senso ha questa domanda? Sono io che ho deciso che è così. Prendete una cosa molto più banale, il gioco del poker, un asso di cuori perché vale di più di un otto di picche? Perché? È qualcosa che è insito nell’Essere dell’asso di cuori, essere un valore maggiore dell’otto di picche? È una proprietà insita nella carta da gioco? Se io interrogo la carta da gioco mi dice il motivo per cui è superiore come valore? Ovviamente no, allora perché vale di più? Perché è stato deciso così, semplicemente, è soltanto per potere giocare quel gioco noto come poker in quel caso, dunque perché se la corrente passa allora è vero, se non passa allora è falso? Perché è stato deciso in seguito ad alcune considerazioni che hanno stabilito che il vero, quella cosa che gli umani cercano da sempre, non è qualche cosa che è al di fuori di una decisione anzi, è l’effetto di una decisione, quindi a questo punto la definizione di verità che fornivano gli antichi greci e di cui abbiamo parlato la volta scorsa, come alétheia, orthotes, episteme, la prima come la verità dell’ente che si manifesta, che si mostra, che esce alla luce dal nascondimento, la seconda come correttezza dell’enunciato, come adæquatio rei et intellectus dei medioevali, l’ultima, l’episteme, come quella certezza scientifica argomentata e dimostrata, tutte queste cose cessano di avere qualche rilievo perché sì, interviene la verità, ma non è prodotta dalla cosa stessa, dal suo essere adeguata a chissà che cosa, a meno che io non stabilisca che questo sia il criterio da utilizzare e allora lo farà. In tutto questo sorge una questione che è di notevole interesse, adesso la dico in modo molto spiccio, poi la articolerò meglio: le cose non sono né vere né false di per sé, risultano essere vere o false in base alle regole del gioco in cui sono inserite, esattamente come nel poker. Ora però provate a immaginare una cosa del genere ma che investa tutto l’operare degli umani, da quando esistono, sto dicendo questo: che gli umani agiscono e fanno quello che fanno e pensano quello che pensano, in base a delle istruzioni che ricevono quando imparano a parlare, ma cosa gli si dice? Esattamente quello che si dice quando si “insegna” tra virgolette quando si insegna a pensare a una macchina “io ti dico che questo è questo, perché questa è la verità e questo è falso, ti do i criteri per potere compiere queste operazioni” “ma come te li do? Perché io li ho ovviamente, e come li ho avuti?”, mi sono stati insegnati allo stesso modo? Per Turing per esempio la risposta a questa domanda è sì, un bambino si addestra come si addestra una macchina o viceversa, e cioè gli si forniscono delle istruzioni che lui possa utilizzare e che utilizzerà. Qui sorgono subito delle obiezioni: “ma un essere umano sarà sempre altro da una macchina” sì, per il momento è così, certo, e gli esseri umani non pensano come le macchine, sono molto più complessi, non c’è alcun dubbio che per il momento funzioni così, poi, dopo tutto le macchine sono sempre costruite dagli uomini, sono addestrate dagli uomini, certo, esattamente come gli uomini sono costruiti dagli uomini e addestrati dagli uomini. Una macchina si può sempre spegnere, stacco la spina e bell’e fatto, però anche un umano si può spegnere, gli sparo in testa e si ferma anche lui. Adesso ho fatto un esempio un po’ drastico, però era per rendere l’immagine più evidente, non sto dicendo che l’uomo deve essere una macchina, sono sciocchezze che non hanno nessun interesse, sto cercando soltanto di farvi intendere come funziona il pensiero e come di fatto le cose non abbiano un fondamento, come dicevamo la volta scorsa a proposito del “grund”, il fondamento che le garantisca, le cose, cioè i pensieri, le considerazioni eccetera procedono unicamente da dei giochi, cioè da delle regole, queste regole sono state stabilite dalle istruzioni. Dire che una persona viene istruita, significa che gli si dice come funziona il vero, come funziona il falso e come utilizzarli. La questione è che ha soltanto queste istruzioni, non ce ne sono altre, cioè quelle che gli si immettono nel momento in cui gli si insegna a parlare per così dire. A questo qualcuno poneva delle obiezioni: “è impossibile dire che si insegna a parlare con il metodo ostensivo” per esempio, io ti mostro questo e lo indico: “orologio”, è possibile se la persona cui indico questo è già nel linguaggio, quindi sa cosa vuole dire questo gesto. Ma la macchina a un certo incomincia a fare delle operazioni, a “pensare” tra virgolette, prima non era niente, c’è un programma che la fa funzionare, un computer senza un programma è un pezzo di ferraccio inutile, ma il cervello dell’umano senza un sistema operativo, senza il linguaggio che lo fa funzionare anche lui che cos’è? Va bene per farci il fritto misto, questo è l’uso che può farsene, ma fa poco altro se non c’è un qualche cosa che lo fa funzionare, e ciò che lo fa funzionare è un programma. Il programma per gli umani è il linguaggio, il linguaggio è quella serie di istruzioni che consentono di avviare quella cosa che chiamiamo pensiero, che ci consente di trarre delle conclusioni, di prendere delle decisioni, di decidere che cosa è meglio, che cosa è peggio e di conseguenza di farci muovere in una direzione anziché un’altra. Gli umani hanno pensato al loro stesso pensiero per poterlo riprodurre, e questo ha messo in evidenza un aspetto che inizialmente era impensato, e cioè che ricostruendo il pensiero ci si è imbattuti in ciò che lo costruisce letteralmente, e cioè un sistema operativo. Dovete considerare il linguaggio non come la verbalizzazione di chissà che cosa, ma come delle istruzioni, un po’ come avviene nella logica, ci sono degli elementi che sono invariabili e che ciascuno utilizza e senza i quali non può parlare, come la negazione, la congiunzione, il se … .allora, l’oppure, sono quelle invarianti che intervengono all’interno di un qualunque discorso e che consentono alla persona di pensare “se questo allora quest’altro” oppure “non questo”, come fa una persona a negare qualche cosa? Da dove gli arriva questa possibilità? E questi elementi che nella logica sono noti come connettivi, non sono né dimostrabili né hanno alcun fondamento, sono solo delle istruzioni. Si può dire che il linguaggio funziona così? Certo, ci si può anche chiedere da dove venga questo linguaggio, e se una persona per esempio che non ha la possibilità perché è sola, unica, isolata dal mondo non ha la possibilità di acquisire il linguaggio senza che qualcuno che glielo insegni, visto che in qualche modo è combinato in modo tale da avere una sorta di disposizione al linguaggio, sì, è possibile che una persona isolata dal resto del mondo impari a parlare, gli ci vorranno qualche miliardo di anni, e non so se ha tutto questo tempo a disposizione, ma con tanto tempo a disposizione potrebbe anche riuscirci, ma sarà difficile da verificare. La questione non è da dove viene il linguaggio, che è assolutamente irrilevante, ma come funziona e se il linguaggio è la condizione perché gli umani siano quello che di fatto sono, così come ci appaiono e con i quali si può chiacchierare, discutere, disquisire, arrabbiarsi all’occorrenza, innamorarsi in altri casi, tutte queste cose sono possibili perché? Questa è la domanda che in fondo ci si è posta da sempre, da quando esistono gli umani, come è possibile trovarsi a pensare? E questi pensieri come possiamo garantirli, come possiamo essere sicuri che quello che pensiamo è davvero così e non il contrario? Per saperlo occorre trovare appunto il fondamento, ma questo fondamento non c’è. Questa impostazione è quella che la volta scorsa chiamavo metafisica, non c’è nessun fondamento da nessuna parte, non c’è l’Essere, è stata un’invenzione, quando Heidegger dice che il linguaggio è la dimora dell’Essere, è la casa dell’Essere dice una sciocchezza, il linguaggio non è la dimora dell’Essere, il linguaggio è ciò che costruisce letteralmente il concetto di Essere, esattamente così come la Lindt costruisce i cioccolatini. Questo sposta radicalmente il modo di pensare degli umani, come dire che ciò che penso di per sé non è né vero né falso, preso in quanto tale, lo è all’interno di certe regole che sono quelle che stabiliscono il gioco linguistico in cui mi trovo, e questo come dicevo cambia notevolmente il modo di porsi nei confronti di ciò che ci circonda, come dire che la domanda: “ma è davvero così?” rivolta a qualunque cosa, non ha più nessun senso in quanto è davvero così se risponde alle regole di quel gioco, allora è così. Come diceva Wittgenstein riguardo alla dimostrazione: si chiedeva che cosa avremo fatto quando avremo compiuta una dimostrazione? Avremo trovata la verità? Come stanno veramente le cose, quando siamo arrivati al teorema? Le cose stanno così? O l’unica cosa che potremo dire è che ci siamo attenuti scrupolosamente, rigorosamente alle regole di quel gioco, cioè il gioco della dimostrazione logica, abbiamo compiuto questo, bene! Abbiamo fatto altro? No! Questo teorema che abbiamo raggiunto, questa verità, ha qualche senso fuori da questo ambito? Assolutamente no, non ne ha nessuno, e questo sposta completamente la questione e finalmente ci sbarazza dalla metafisica, cioè dal continuare a pensare che le cose siano in un certo modo, sono identiche a sé? Sono differenti da sé le cose? Se voglio posso provare che sono identiche, se preferisco invece posso provare che sono differenti, perché posso farlo? Perché non c’è un parametro che mi consenta di stabilire, di dire l’ultima parola su una cosa del genere, non c’è, posso sempre rinviarla all’infinito: voi trovate qualunque significato a una qualunque cosa e io ve lo rinvio all’infinito, senza nessuna possibilità di arrestarsi, applicate questo, questa trovata della metafisica al discorso stesso, a quelle stesse parole che affermano questo, e avrete il crollo totale del pensiero occidentale: qualunque cosa si affermi non trova mai il significato, il significato è sempre spostato, sempre rinviato, sempre da trovare, comprese queste parole stesse che hanno espresso questo concetto, anche queste parole quindi che cosa significano? Bella domanda. Eppure gli umani si intendono in qualche modo, come può avvenire una cosa del genere? Su cosa si intendono? Sulle regole del gioco, questo è l’unico intendimento possibile che non è neanche propriamente un intendimento, è semplicemente l’esecuzione di regole. È curioso che il pensiero occidentale, quando è arrivato alla fine di sé, cioè ha rilevato la totale inconsistenza dei propri presupposti, dei propri fondamenti, abbia incominciato a costruire delle macchine che pensano, cioè ci si sia interrogati su come funziona questa cosa che chiamiamo pensiero e attraverso la quale gli umani vivono, nel senso che senza pensiero non saprebbero neppure di esistere, un grillo non sa di essere un grillo, non può pensare, trarre inferenze, conclusioni, scrivere una sinfonia, mandare una lettera. Ma dove ci conduce tutto ciò? Dove conduce la totale disgregazione del pensiero metafisico?

La psicanalisi è cresciuta, è nata all’interno di un ambito metafisico, il concetto di inconscio inventato da Freud è un concetto metafisico, con questo sto dicendo, e anche mi sto avviando al terzo incontro, di una teoria che poggia su concetti assolutamente indimostrabili e, di conseguenza, se mi fondo su un concetto indimostrabile e chiedo a qualcuno di credere questa cosa gli sto chiedendo di compiere un atto di fede: credimi è così! Ma perché dovrebbe credermi? Può farlo ma anche non farlo, in fondo nulla lo costringe a credere una cosa del genere. Un circuito elettrico può credere che quello che fa è bene o è male? Non penso, a meno che non si siano fornite quelle precise istruzioni, ma di per sé esegue soltanto delle istruzioni; ecco, esecuzione di istruzioni, certo sempre più complesse ovviamente, al punto tale che di fatto non è impossibile che una macchina possa pensare come un umano, occorre mettergli delle informazioni che riguardano quell’aspetto particolare che noi chiamiamo etica per esempio: la morale sessuale civile, per citare Freud, viene da qualcosa o viene da niente? Procede da dei pensieri, da delle considerazioni di utilità, di convenienza, spirituali, religiose, qualunque cosa sia è assolutamente irrilevante, ma viene da qualche cosa e questo qualche cosa è il pensiero degli umani. L’etica è costruita dal pensiero degli umani e così come è possibile riprodurre qualunque attività del pensiero anche l’etica e l’estetica possono essere riprodotte, per il momento a nessuno interessa fare una cosa del genere quindi non si fa, ma sul fatto che sia impossibile tecnicamente su questo ho molti dubbi, ritengo che sia assolutamente possibile esattamente così come è possibile insegnare a un bambino che una cosa è bene e l’altra è male. Dal momento in cui dico questo è bene, è implicito il fatto che dire che sia bene sia vero per esempio, se dico che questo è male allora fare questo è male, cioè è falso, non puoi andare in quella direzione, lo diceva anche Parmenide, e tutto ciò è riproducibile. Non sto dicendo che sia semplice ovviamente, ci vogliono dei programmatori e ingegneri informatici molto bravi, e soprattutto che abbiano intenzione di fare una cosa del genere ma è assolutamente possibile. Turing non aveva torto, il modo in cui si addestra la macchina è lo stesso modo che si utilizza per addestrare un bambino, la differenza è che il bambino, già dai primi mesi, incomincia ad avere una quantità sterminata di informazioni, di input: cammina gattonando e batte la testa contro la gamba del tavolo ecco dolore, male, la mamma gli dice “ecco, cattivo il tavolo” e incomincia a capire che cos’è il dolore da quel momento, prima non lo sa che cos’è il dolore, anche quello che viene insegnato; una macchina no, non è ancora in condizioni di andarsene in giro da sola per i fatti suoi e farsi le sue esperienze, per dirla così, non lo fa, sta ferma lì, immobile e non riceve nessun input. Pensate a quanti ne riceve un bambino che va in giro per i fatti suoi nell’arco di una sola giornata, e tutte queste informazioni vengono immagazzinate, in qualche modo, diceva Turing “date alla macchina la stessa possibilità che ha il bambino di acquisire informazioni e anche lei acquisirà tutto quanto”. Informazioni, cioè un sistema operativo che sta funzionando, fuori da questo sistema operativo non c’è niente, è questa la questione fondamentale, non c’è niente, una macchina non può uscire dal suo sistema operativo, non lo può fare, e gli umani non possono uscire dal loro sistema operativo che è il linguaggio, non possono andarne fuori per un motivo molto semplice, come farebbero ad andarne fuori? Con che cosa, con che cosa costruirebbero delle considerazioni, delle proposizioni, dei metodi per uscire dal linguaggio se non attraverso il linguaggio? E per la macchina è lo stesso.

L’orizzonte che si spalanca di fronte a una considerazione del genere è di una portata immensa, si potrebbe addirittura azzardare, anche se non è proprio così, che tutto ciò che gli umani hanno fatto fino adesso è stato niente, dicevo non è proprio così in quanto comunque tutto questo è stato una condizione per giungere a un’affermazione come questa, ma di fatto tutto il pensiero filosofico per esempio intorno all’Essere, all’ente, all’essente, alla verità, tutte le parole della metafisica, come identità/differenza eccetera, tutte queste parole che senso hanno? Se non hanno né possono, come il pensiero stesso occidentale cioè la metafisica è giunta a considerare, nessuna possibilità di potersi affermare con certezza, nessuna, e allora è come mostrare un ambito dal quale non c’è uscita, e che illustra tutte le possibilità che hanno gli umani di pensare tutto ciò che gli umani possono pensare, tutto e solo quello, non possono pensare con qualche cosa che non sia linguaggio, quindi tutto quello che possono pensare, costruire di meraviglioso o di terrificante, comunque è costruibile all’interno di questo ambito: queste sono le regole del linguaggio? Bene, allora tutto ciò che è costruito non potrà non attenersi a queste regole, non può uscirne, naturalmente si può considerare anche il linguaggio come un sistema chiuso perché non c’è uscita, ma al tempo stesso aperto perché le possibilità di costruzione all’interno di questa struttura sono praticamente infinite, un po’ come le sette note della musica, sono sette, da quanti anni è che si fa musica? E per quanti anni ancora se ne farà con queste sette note piccole? O pensate al DNA, sono quattro stupidissimi aminoacidi, quattro, eppure possono costruire qualunque essere vivente, dalla zanzara al dinosauro, a miss universo, fanno anche questo. Combinazioni, relazioni, questo ambito di cui dicevo, questo orizzonte che si spalanca quando non c’è più la necessità di domandarsi qual è il fondamento delle cose perché non c’è nessun fondamento, allora si può incominciare a muoversi in direzioni totalmente, almeno per ora, inesplorate, e cessa, per esempio, adesso vi faccio un esempio banalissimo, la necessità della sopraffazione, ma cos’ha a che fare la soprafazione con il computer, con i programmi o con il linguaggio? Perché una persona cerca di sopraffare un’altra se non per avere ragione di quella persona e quindi imporre la sua verità su quell’altro? Ma se non ha più la necessità di stabilire con certezza la sua verità, allora non ha più la necessità di imporla su qualcuno per esempio, è un esempio banalissimo, diciamo, un effetto collaterale, quindi non soltanto quella notevole serie di concetti filosofici su cui gli umani hanno riflettuto per millenni si dissolve immediatamente, ma si ha a disposizione ciò che inesorabilmente si mostra e cioè che qualunque cosa è costruita da un sistema di istruzioni che permette a questa cosa di costruirsi, non solo, ma che al di fuori di questo non c’è altro, non c’è la possibilità che ci sia altro, questo è un limite? No, dopotutto perché pensare che il linguaggio, pur essendo fatto di una ventina di lettere o poco più, limiti gli umani? Non è una limitazione, è ciò che consente agli umani di esistere in definitiva.

Intanto qualcuno ha qualche domanda, qualche questione da porre? Cos’è un sistema operativo? È un insieme di istruzioni, che cos’è un’istruzione? È un comando, un comando che dice di qui si va, se trovi l’interruttore aperto 1/ vero, se è chiuso 0, come funzionano i neuroni, interruttori, ma una cosa del genere può spiegare la complessità del pensiero degli umani cioè tutti i loro patemi d’animo, le loro sofferenze, i loro desideri, le loro aspettative e tutta quell’infinita serie di cose che passano comunemente sotto il nome di emozioni? Certo che sì, l’idea più comune è che una macchina non provi emozioni, certo che non le prova, nessuno gliele ha insegnate, a un bambino sì, gli si insegna anche a provare emozioni: un bambino scappa di mano alla mamma e attraversa la strada di corsa mentre arriva un tir, che faccia fa la mamma? Fa una faccia terrorizzata, bene, impara che cos’è il terrore, oltre ad altre cose che impara immediatamente dopo, impara, impara in continuazione, continuamente, informazioni su informazioni, ininterrottamente, impara ad avere emozioni, impara come si usano le emozioni e cioè ad avere una emozione appropriata a seconda delle circostanze, e una volta che ha imparato ad avere queste emozioni le utilizza così come vanno utilizzate. Vi faccio una domanda banalissima: si potrebbe provare emozione per una cosa che si ritiene assolutamente non vera? Supponete il solito fanciullino che dice alla sua fanciullina: “ti amo, ma questa affermazione è assolutamente falsa”, la fanciullina potrà anche provare delle emozioni ma non quelle relative alla dichiarazione d’amore, quelle no, perché? Perché quell’affermazione è falsa e quindi non può più utilizzarla per quell’emozione. Vi sto dicendo che c’è l’eventualità che le cose siano, anche se apparentemente incredibilmente complesse, di fatto, nella loro struttura, straordinariamente semplici …

 

Intervento: se ho capito bene è corretto dire che il software è rappresentato dalle istruzioni fondamentali e tutte le esperienze è come se fossero il data base che viene movimentato attraverso queste istruzioni per gestire quello che viene gestito …

 

Qualcosa del genere, anche se può apparire un sistema un po’ macchinistico, però non è molto lontano da ciò che avviene effettivamente nel cosiddetto cervello …

 

Intervento: ogni informazione è sottoposta a una sorta di vaglio, un criterio per stabilire la conferma, l’archivio, o la utilizzo o la butto via o comunque vengono analizzate …

 

Sì, anche la macchina lo fa, c’è una memoria tampone che è la memoria che svanisce immediatamente dopo che è stata utilizzata, e invece un’altra memoria su hard disk che rimane finché non si brucia l’hard disk naturalmente, ma la questione fondamentale è che il pensiero è possibile incominciare a immaginarlo come qualche cosa di straordinariamente semplice, e da questa semplicità di partenza è possibile costruire tutta la complessità che gli appartiene, così come dai quattro aminoacidi è possibile costruire il corpo umano che è abbastanza complicato, non è un granché ma comunque è complicato, o la musica, pensate alla settima sinfonia di Beethoven, è fatta con sette note soltanto, è stato bravo. Quindi quando una cosa è vera? Se all’interno del gioco linguistico in cui mi trovo, che è stato costruito nel corso degli anni tra l’altro, questa cosa risulta vera per me è vera e viene utilizzata in quel modo, e cioè come è stato insegnato che funzionano le cose “vere”, indipendentemente dal fatto che lo siano oppure no, ma se io ci credo allora è così, e se credo che sia così mi comporterò di conseguenza, questo è l’aspetto pragmatico, ma non è che la prassi preceda le idee, come voleva il nostro amico Carlo Marx, in alcuni casi sì, ma perché questa prassi produca qualche cosa occorre che abbia un valore e se ha un valore è perché è stata valuta in un certo modo da qualche cosa che ha la capacità di valutare, cioè di stabilire ciò che è vero e ciò che è falso all’interno di quel gioco …

 

Intervento: quello che non è facile è costruire passaggi che portano a definire qualcosa come vero o anche come falso, non sono sempre evidenti i meccanismi degli umani, magari la macchina anche la macchina procede a ritroso per verificare la validità delle sue elaborazioni …

 

Anche in una macchina possono accadere fenomeni che gli umani non sono più in condizione di valutare e soltanto un’altra macchina potrebbe farlo eventualmente, però questa complessità conduce a delle altre considerazioni: da dove viene ciò che una persona crede? Perché gli umani credono delle cose anziché no? È una bella domanda, e se anche in questo caso fosse tutto incredibilmente semplice? Prendete le prime formulazioni che un bambino incomincia ad ascoltare quando si avvia il linguaggio, ché prima non significano niente, una qualunque affermazione che viene formulata, adesso è molto schematico certo però, questa formulazione “la mamma ti vuole bene!” ha modo di essere valutata da parte di un bambino di un anno? Ha un criterio verofunzionale sufficientemente sofisticato ed elaborato per stabilire primo, il concetto di bene, tenendo conto di tutto ciò che è stato detto in questi ultimi tre mila anni intorno al bene, poi stabilire con assoluta certezza che quella sia la madre e quindi abbia dei diritti o delle priorità per lui, cosa che non è così automatica, terzo appunto stabilire un criterio verofunzionale per vedere se questa certa cosa afferma il vero o il falso, ha tutto questo a disposizione? Temo di no, e quindi? Che succede di questa proposizione, di questa frase, di questa affermazione? Diventa automaticamente “vera”, perché non solo non ha gli strumenti per dubitarne, non gli passa neanche per la mente di stabilire se è vero o falso, come quando si immette un’informazione dentro a una macchina, la macchina non è che può rifiutare questa informazione a meno che non sia coerente con il sistema operativo, non può rifiutarla, la accoglie come “vera”, per lui è vera, non ci sono discussioni, perché non ha senso chiedersi se è vera o è falsa, è un’informazione e basta, è semplicemente quello che è, solo che per il bambino, incominciano ad acquisire una quantità sterminata di altre informazioni questa diventa “vera” perché per il momento non è né vera né falsa, esiste e basta, è lì nel database come si diceva giustamente, e operando all’interno del database cosa fa? Funziona come premessa, e da lì, attraverso dei passaggi giunge a una conclusione, questa conclusione naturalmente verrà utilizzata come premessa per un’altra sequenza e così via all’infinito, quindi questo primo elemento permane come una certezza, e tutte le situazioni che riproporranno una cosa del genere potranno essere considerate sempre vere, perché questa proposizione, questa affermazione ha costituito una sorta di modello di ciò che è vero, che poi diventa ciò che è buono, ciò che è bello e in base a questo il più delle volte costruisce la propria esistenza, sì, può accadere che lo metta in discussione, però rimarrà sempre e comunque qualche cosa di difficile da abbandonare: perché è difficile abbandonare certi pensieri? Perché costituiscono delle verità e le verità non si mollano così facilmente, tanto più sono importanti, e una verità è importante per quanto consente di costruire dei discorsi, tanto più è difficile abbandonarla. Perché è così difficile per un fondamentalista islamico abbandonare la sua fede in Allah? Provate voi a dirgli che Allah è un grullo qualunque, primo vi taglia la gola, poi se ne parla eventualmente, ma perché ci tiene così tanto a questa cosa? Abbiamo detto la volta scorsa dei due grandi miti post filosofici: cristianesimo e islamismo, perché dunque tanta difficoltà per abbandonare una fede? Perché? Perché non abbandonarla con estrema facilità? Perché questa fede è la premessa generale sulla quale ha costruito una quantità sterminata di proposizioni, e questa costellazione di proposizioni costituisce la sua esistenza, il modo in cui interpreta il mondo, esattamente come fa un mito, allo scopo di darsi una visione del mondo, cioè di trovare delle verità, di stabilire che cosa è vero. Ma cosa costringe a cercare la verità? È ciò che abbiamo chiamato il sistema operativo, cioè è il linguaggio che funziona così, e le macchine hanno riprodotto esattamente questo funzionamento, né più né meno, è per questo motivo che gli umani cercano la verità e si ammazzano anche per sostenerla, e sono disposti a uccidere chi ne sostiene una differente, perché? Che gliene importa? In teoria potrebbe essere totalmente irrilevante, ma non lo è, perché ciò che io credo essere vero è assolutamente incontrovertibile per me, e devo eliminare chiunque costituisca una minaccia a questa verità, cioè chi non pensa quello che penso io, perché questo? Perché è il linguaggio che funziona così, o lo si sa e allora lo si agisce e non c’è la necessità di farne questa sorta di piece, di rappresentazione, oppure lo si subisce, lo si subisce totalmente, cioè non si sa nulla di ciò che accade mentre penso, parlo, è tutto assolutamente reale, è tutto metafisico, le cose sono quelle che sono, tutto è quello che è, che è la formula del terrorismo, da quello di stato, che è quello più importante, a i vari terrorismi di ogni sorta. Stabilire come stanno le cose dire: le cose stanno così, questo è il principio metafisico ed è il principio di ogni terrorismo, quello che dà l’opportunità di giustificare qualunque sopraffazione, qualunque violenza in nome della verità. Si è mai fatta una guerra che non fosse in nome della verità? In questo senso ogni guerra è una guerra di religione, anche se apparentemente la religione non c’entra niente, e magari c’entrano i pozzi di petrolio, ma anche questo funziona come se fosse una religione, è un orizzonte, un ambito in cui si pensa che per esempio il profitto sia assolutamente necessario, sia la condizione per potersi pensare realizzati, riusciti, avere il riconoscimento altrui, riconoscimento altrui che non è altro che il fatto che qualcuno possa dire: sì sei stato bravo, quindi quello che fai è vero, è giusto, lo si fa solo per questo. I miliardi di dollari che si ricavano dai proventi del petrolio servono a questo, a ottenere un riconoscimento di importanza, di potere, perché una persona cerca il potere? A che scopo? Cosa se ne fa? Non sarà forse per via di ciò di cui è fatto che, senza accorgersi di niente, lo rappresenta, lo mette in scena continuamente, cioè così come il linguaggio deve concludere con una proposizione vera all’interno di quel gioco, lui deve concludere che la sua esistenza ha importanza, ha considerazione, valore, cioè tutti devono pensare che quello che lui ha fatto è vero, è giusto, è buono, è interessante, è conveniente con tutte le infinite varianti che intervengono …

 

Intervento: volevo fare una domanda, lei prima parlava del fondamento, del linguaggio e del fondamento tempo fa avevamo posto il linguaggio come fondamento, ora lei diceva che porre il linguaggio come fondamento, come ciò che gli umani hanno cercato da quando esistono …

 

Il linguaggio? No, la verità, è un po’ diverso, è diverso dire che gli umani hanno cercato la verità o hanno posto il linguaggio come fondamento …

 

Intervento: certo allora riprendo la questione del fondamento lei ha detto che porre la questione in questi termini come fondamento è un non senso, nel senso che è una risposta metafisica a una domanda metafisica posta in questi termini, (cioè religiosa è la stessa cosa) sì mi chiedevo allora come porre il linguaggio cioè la necessità perché esista qualsiasi cosa, mi chiedevo come, a questo punto per non incorrere in qualcosa di metafisico, come porre il linguaggio?

 

Lo dicevo in qualche modo prima, provate a immaginare, così, per assurdo, di togliere dal cervello di un essere umano il linguaggio, cosa rimane? Provate a pensarci, può ancora pensare, stabilire delle cose, giungere a delle conclusioni, a delle scelte?

 

Intervento: come gioca l’istinto e la pulsione in questa maniera? Se gli togli il linguaggio

come funziona?

 

L’istinto è un concetto inventato dagli uomini, si suppone che esista la natura e l’istinto segua la natura, certo gli animali reagiscono, reagiscono a delle cose ma possiamo parlare di intenzionalità, di un pensiero solo perché un animale reagisce a uno stimolo? È difficile, anche perché questo discorso potrebbe essere ampliato, in fondo se io faccio cadere questo aggeggio per terra e si spacca posso sì dire che ha reagito a uno stimolo, posso anche dire che soffre se voglio, un termometro messo nel frigorifero ha freddo? Eppure segnala qualche cosa, reagisce, ma ha freddo? Difficile sostenere una cosa del genere, come dicevo prima si imparano le emozioni, ciò che prova un animale per esempio, noi non lo sapremo mai, in questo alcuni filosofi non hanno tutti i torti, non sapremo assolutamente mai quello che “pensa” un animale, non abbiamo modo di metterci in relazione con lui, voglio dire che qualunque cosa noi diciamo, qualunque reazione che noi vediamo comunque siamo noi che la interpretiamo, noi, non lui, lui reagisce a degli stimoli e questa è l’unica cosa che possiamo dire, perché agisce in un certo modo? Perché ha fame? Può darsi, è tutto ciò che posso dire. Che cosa è naturale e che cosa è virtuale per esempio, per tornare alla questione dell’informatica: tutto è virtuale, tutto è artificiale, non c’è la natura, non c’è da nessuna parte, tutto ciò che gli umani fanno è artificiale, cioè fatto ad arte, letteralmente, fatto con il loro pensiero, con le loro considerazioni, sia che prendono un pezzettino di pietra, come hanno fatto centomila anni fa e lo affilino per infilzare il lupo che li vuole mangiare o che costruiscano un sofisticatissimo sistema di computer, tutto questo è comunque artificio, è artificiale, la parola stessa è artificiale, costruisce immagini, costruisce scene, costruisce desideri, aspettative, costruisce quantità sterminate di cose artificiali. Il concetto di natura è stato utilizzato spesso a scopo, usiamo pure la parola, terroristico: è naturale che sia così quindi deve essere così e quindi anche tu ti devi adeguare a questo, se non lo fai vai contro natura e mal te ne incolga. Che cosa è naturale? Ciò che gli umani fanno? Ciò che fanno da sempre? Per esempio uccidersi fra loro? Lo fanno da sempre, da quando esistono, quindi uccidersi per gli umani è la cosa più naturale che esista quindi è giusto e bene praticarla, essendo il concetto di natura il riferimento di ciò che è bene, poche altre cose gli umani fanno da sempre con tanta fredda determinazione che ammazzarsi gli uni con gli altri, quindi questo è naturale, questo è bene. Ma può un essere umano, queste sono questioni vecchie come il mondo, può l’uomo che è natura fare qualche cosa che vada contro la natura? Come fa? Può la natura, se lui è natura, può la natura andare contro se stessa? Come, con che cosa? E perché poi dovrebbe fare una cosa del genere?

 

Intervento: in un certo senso quando c’era il linguaggio primitivo bisogna pensare che fosse un pensiero primitivo?

 

Lei mi chiede che cosa è accaduto alcuni milioni di anni fa, per me è difficile rispondere perché non c’ero, sono vecchio, ma non così vecchio …

 

Intervento: e in questo senso qui le emozioni, le sensazioni in parte l’istinti, l’impulso di cui si parlava prima hanno per forza avuto un loro ruolo e in questo senso io pensavo prima al bambino che sente dalla mamma che la mamma gli vuole bene che questa verità è sicuramente condizionata da tutta una serie di istanze inconsce che il bambino non riesce ancora a verbalizzare o che il …

 

Perché dovrebbe essere messa in dubbio, a partire da che cosa? Se non ci sono elementi per poterla mettere in dubbio?

 

Intervento: magari gli elementi ci sono …

 

Magari no, perché nel momento in cui il linguaggio incomincia ad avviarsi non ci sono molti strumenti, le informazioni che intervengono sono quelle che sono, come dicevo prima è difficile mettere in discussione un’affermazione come quella da parte di un bambino di un anno che non sa letteralmente ancora quasi niente, e anche in questo caso parlare di inconscio potrebbe essere problematico, da dove arriva questo inconscio? Si forma così come all’interno di una macchina rimangono residui di catene che non hanno più di fatto nessuna utilità ma rimangono legate a dei programmi? Vede, prima dicevo dell’inconscio come di una nozione metafisica, c’è anche la possibilità che Freud abbia inventato l’inconscio in mancanza di qualche cosa di meglio da proporre e allora questa nozione oltre a essere metafisica è ancora miticheggiante, un po’ fideistica, quasi oracolare: c’è l’inconscio. Potrebbe non essere così automatica una affermazione del genere, certo è una prima approssimazione, si è reso conto che c’è nelle parole molto più di quanto si dica, come De Saussure rilevava e tutta la semiotica, perché ciascun elemento linguistico è tale in quanto connesso, correlato con una rete di altri elementi linguistici: quando dico una parola, dico quella, non posso dirne altre simultaneamente, se le dirò, le dirò dopo, ma dicendo quella parola, essendo un elemento linguistico, quella parola è agganciata a una quantità sterminata di altre elementi. In molte occasioni appare che Freud intendesse effettivamente qualcosa del genere, forse ho fatto l’esempio la volta scorsa di quella citazione: ho sognato una donna ma non era mia madre! Questa parola “madre” adesso qui non stiamo più parlando di bambini ovviamente ma questa parola “madre” che significato ha esattamente? Quella di colei che ha dato la vita, la genitrice eccetera, solo questo? No, non avrebbe dovuto dire di avere sognato una donna, ma che quella donna non era sua madre, perché? Questa “madre” interviene ma dovendo essere negata, ha un significato che è anche quello della genitrice, certo, anche quello ma non solo, si porta appresso una quantità di altre parole e queste altre parole costituiscono tutte insieme il significato di quella parola. Freud, se lo prendiamo alla lettera, ci dice che ciascuna parola, proprio per la sua infinita complessità, per quella sorta di infinito attuale che si porta appresso non ha un significato, e quindi di fatto non potrebbe nemmeno dirsi, perché non significa niente, perché cosa significa di fatto? Devo inseguire questo significato all’infinito, cosa significa quella parola “madre” del tizio che l’ha sognata ma che non era lei? Cosa significa esattamente? Quando riuscirò a dire l’ultima parola su questo? Ad arrestare la combinatoria? A dire “sì, voleva dire proprio questo”, quando? Mai. È questo che dice Freud, e l’inconscio non sarà forse questa quantità di termini che ciascun elemento si porta appresso? È chiaro che se poi un elemento va in conflitto con un altro il sistema si blocca, come fa un computer, cioè se c’è un conflitto di file potremmo dire in termini molto meccanicistici, un conflitto di file vuole dire che una qualche cosa che è considerata vera va in conflitto con un’altra che è considerata vera che e queste due verità sono fra loro come si diceva una volta “incompossibili” delle due se ne può scegliere una, e allora si reagisce di fronte a una cosa del genere in modi differenti, l’ossessivo per esempio si arresta e non decide più niente, rimane in attesa che gli eventi decidano per lui, l’isterica decide quello che gli passa nella mente per primo senza pensarci neanche un istante, il paranoico esclude la possibilità che ci siano due elementi in conflitto nel suo discorso, non è possibile, quindi considera l’altro come se non esistesse, tutti questi sono semplicemente modi di risolvere dei problemi, modi di risolvere il problema dato dal principio di non contraddizione, il “principium omnium firmissimum” come lo chiamavano i latini. Altra grossa questione: è dimostrabile la validità del principio di non contraddizione? Come, se non usando lo stesso principio di non contraddizione? E questo in retorica per esempio non si fa, si chiama petizione di principio, cioè utilizzare ciò stesso che deve essere dimostrato all’interno della dimostrazione, è scorretto, non si fa. Quindi ecco la questione dell’inconscio: Freud si è accorto che c’era qualche cosa, c’era molto di più nelle parole che dicevano le persone che incominciavano a parlare con lui, più di quanto dicessero effettivamente, e cioè che la parola è molto più complessa di quanto appare d’acchito se no avrebbe potuto semplicemente dire: ho sognato una donna ma non era mia madre, questa donna era sua madre? Sì/no? No. Chiuso il discorso. Ma non è andata così, e perché non è andata così? Perché ha lasciato che la persona continuasse a parlare, che è esattamente quello che fa l’analisi, lasciare parlare la persona, senza precipitarsi a dirgli come stanno le cose. La persona per la prima volta in vita sua si trova a parlare con qualcuno che non si affanna a dirgli come stanno le cose e soprattutto a dirgli come la pensa lui, ma è lì, da solo con le sue parole che continuano a dirsi, e si accorge mano a mano che procede che qualunque cosa dica, in qualunque modo, c’è sempre ancora da dire, che la cosa non finisce e che è questa in fondo la sua ricchezza, questo avere sempre ancora da dire, e poi ancora, e poi ancora, finché questa chiamiamola “consapevolezza” diventa qualcosa che fa parte del suo stesso discorso, fa parte della sua parola, e allora si rende conto che non c’è l’ultima parola, non può dire l’ultima parola su qualche cosa e se non può dire l’ultima parola non può nemmeno starci male, perché lo starci male prevede che sia stata detta l’ultima parola e che quindi tutto questo comporti la certezza che le cose stanno così, ma se questa certezza non c’è diventa più difficile stare male, non è proibito, ma diventa più difficile, diventa più difficile per me stare male per qualche cosa che non è così. Ho detto tutto questo in modo molto rapido, ma è così che funziona una psicanalisi, si incomincia ad accorgersi che il proprio discorso non raggiunge, non può raggiungere mai l’ultima parola perché non c’è questa ultima parola, perché il discorso continua, perché le parole continuano a dirsi e c’è sempre ancora da dire: una persona incomincia a raccontarsi e non riesce mai a dire “sì, io sono così, io sono questo”. Se qualcuno lo interrompe immediatamente o incomincia a dargli contro, e allora si innesta un battibecco e la discussione è chiusa, ma se no, se è da solo con le sue parole, si trova a procedere lungo questa strada che lo condurrà inesorabilmente a considerare che lui è quello, ma poi anche questo, ma anche quest’altro, ma anche quest’altro ancora e si accorgerà che sono aspetti che magari sono contraddittori fra loro, perché no? Incominciare a prendere in considerazione anche questi, come dicevo prima, incominciare ad accorgersi della infinita ricchezza che ha a disposizione e che è l’unica ad essere effettivamente senza limiti …

 

Intervento: posso fare una domanda? La scorsa volta … se si può trarre la verità delle cose morte. Mi spiego: la scorsa volta parlava di De Saussure pensavo a una pietra, che cos’è una pietra? È vera o falsa? E mi è tornata in mente quando parlavamo del termometro e allora si crea un problema di hardware … un bambino, a parte se quello che prova è vero o falso ma perché la capisce? Un termometro la madre non la capirebbe e qui c’è un problema di hardware …

 

Sì esattamente, come un computer lei provi a scrivere una lettera sul suo computer senza hard disk, senza il processore, senza il bios che succede secondo lei? Niente, può battere sulla tastiera finché vuole …

 

Intervento: produco un suono …

 

Sì, produce un suono anche se picchia per terra con il martello. Il sistema operativo è ciò che fa funzionare un qualche cosa che comunque ha già dei circuiti logici, se no non funzionerebbe, ma senza il sistema operativo questi circuiti logici non fanno niente, sono pronti a funzionare ma non funzionano, non funziona niente …

 

Intervento: veri o falsi? Se si pone un problema di significato …

 

Chi se lo pone? Come fa a porselo? Non può porlo finché non ha le istruzioni che gli dicono che una certa cosa è vera in base a certe condizioni e falsa in base ad altre, solo allora incomincia a stabilire il vero e il falso, che poi sono soltanto passaggi di corrente, nient’altro, dopo si può incominciare a costruire a partire da passaggi di corrente sistemi molto più complessi, e costruire computer che risolvano problemi matematici, logici, come già fanno per altro. Come dicevo prima il cervello di un umano senza un sistema operativo va poco lontano.

È una questione importante questa che lei ha posta, e sarà l’occasione la volta successiva di parlarne perché parleremo in modo più specifico della questione della psicanalisi riprendendo un gesto fatto da Heidegger, ma in modo molto più interessante, quando dice che la filosofia si è consegnata alla tecnica, ebbene, la psicanalisi a questo punto si consegna alla scienza della parola, cioè a una scienza della struttura della parola, non più un qualche cosa che procede da entità strane e invisibili che richiedono appunto un atto di fede, ma qualche cosa che potrebbe addirittura fondare la scienza una volta per tutte. È un progetto ambizioso, ma perché no?

 

 

 

DALLA PSICANALISI ALLA SCIENZA DELLA PAROLA

 

 

Abbiamo considerato nelle pagine precedenti, in un certo senso, la fine del discorso occidentale, del discorso, potremmo dire, filosofico, del pensiero metafisico. Fine nel senso ha incontrato un limite oltre il quale non può andare. Il pensiero metafisico si chiede che cos’è una certa cosa: “ti es ti” il “che cos’è?”, per avere un fondamento, per sapere che cosa è vero e cosa non lo è, e abbiamo anche visto perché questa domanda è stata da sempre così importante, perché ciò che è vero pilota l’agire degli umani: se sanno che una certa cosa è vera vanno in quella direzione, se sanno che è falsa no. La fine di questo pensiero ha comportato degli effetti, pochi in realtà, perché di fatto le persone non si pongono interrogativi intorno alla verità in termini filosofici, il modo di pensare degli umani è molto più vicino al mito, dove ci sono delle affermazioni oracolari che funzionano da premesse generali e poi una serie di conseguenze, di implicazioni. La domanda se una certa cosa sia vera oppure no difficilmente si pone in termini radicali, è sempre riferita a qualche cosa di assolutamente contingente, più spesso di utilitaristico, invece il pensiero filosofico ha cercato che cosa è realmente vero, e ha fallito. Ha fallito consegnandosi, come diceva Heidegger, alla scienza, la quale di fatto non si chiede più cosa sono le cose ma come si maneggiano, come si manipolano, come si usano, come si possono utilizzare e produrre. La psicanalisi è sorta anch’essa nell’ambito di questo pensare metafisico così come tutte le scienze d’altra parte, poi abbiamo considerato invece un secondo momento, in cui è accaduta una cosa che ha qualche interesse, e cioè a un certo punto gli umani hanno incominciato, nel secolo scorso, a interrogarsi su come funziona il pensiero degli umani e questo per un motivo, diciamo pratico, perché si erano trovati nella condizione di costruire delle macchine pensanti e quindi dovevano spere come funzionava il pensiero per poterlo riprodurre. Macchine pensanti era un termine che usava Turing, in realtà si tratta di quelle cose che oggi si chiamano computer, e la cosa interessante è che si era trovato il modo di costruire un sistema tale per cui effettivamente era possibile progettare una macchina pensante, fornendo a questa macchina delle istruzioni e una struttura per poterle eseguire. La domanda è se di fatto anche gli umani funzionano a questa maniera, e cioè se il pensiero degli umani viene prodotto, viene costruito, reso possibile, attraverso delle istruzioni e dei metodi per eseguirle. Può apparire un po’ singolare detta in questi termini, però la questione che ci interessa è che gli umani a un certo punto incominciano a parlare, e incominciando a parlare incominciano anche a pensare, vale a dire a costruire concetti, a costruire reti di relazioni fra le cose che mano a mano acquisiscono, il problema è che questa rete di relazioni, di connessioni fra proposizioni, è straordinariamente complessa, c’è una notevole quantità di elementi che intervengono e questo ha indotto taluni a pensare che il pensiero degli umani comunque è sempre molto, non solo più complesso di quello che può avere una macchina, ma che una macchina non potrà mai pensare come un essere umano. È ancora da verificare se sia proprio così, però si può considerare che ciò che gli umani apprendono sono delle indicazioni, sono delle strutture, in definitiva insegnare a parlare non è nient’altro che insegnare a usare un sistema, una struttura, dire come si fa ad usare una certa cosa, come si usano le parole, come si usano le proposizioni e la cosa più straordinaria che è emersa anche nel secolo scorso è l’eventualità che questo sistema, questa struttura che chiamiamo linguaggio, sia anche quella struttura, che “costruisce” questo costruisce lo mettiamo per il momento tra virgolette, quella cosa che gli umani chiamano realtà. Non è un pensiero originalissimo, è un pensiero antico, già gli eleati avevano posto qualche cosa del genere e poi si era riposta nel medioevo con la disputa sugli universali e poi più recentemente con il neopositivismo. La questione della realtà in effetti ha interesse anche per quanto riguarda la psicanalisi; la realtà è comunemente intesa come il mondo che ci circonda, le cose, ma la prima domanda che occorre porsi per impostare almeno la questione è questa: per un leone che sta nella savana, per lui esiste la realtà, cioè esiste la savana, esiste la terra su cui appoggia le zampe, esiste un cielo sopra di lui, un sole? Per lui esistono tutte queste cose? È probabile che tutto ciò non esista per lui, non esiste perché tutto questo procede da una serie di concetti, di costruzioni che vengono fatte dagli umani in quanto parlanti, da una rete di relazione fra elementi e questa rete di relazioni costruisce, letteralmente, le cose che incominciano a esistere nel momento in cui vengono concettualizzate, nel momento in cui si incomincia a nominare qualche cosa, è lì che questa cosa incomincia a esistere, nel nominarla e nel metterla in relazione con le altre cose che mano a mano vengono acquisite. A questo punto avviene che queste costruzioni concettuali diventano effettivamente al realtà, il modo in cui gli umani si rapportano a quella che a questo punto decidono che sia la realtà. La questione della realtà ha sempre interessato gli umani che hanno cercato di intendere che cosa sia esattamente in modo da determinarla, cosa che poi si è rivelata, andando sempre più a fondo, sempre più difficile da individuare, fino ad arrivare alla meccanica dei quanti, dove le particelle subatomiche sono molto difficilmente determinabili, e sono la base di tutto, così si dice in fisica. Ma al di là di queste considerazioni che ci interessano fino a un certo punto, rimane il fatto che la realtà viene considerata come un qualche cosa di saldo, di fermo, di immutabile, nonostante sia costruita attraverso dei concetti e sono i concetti a rendere tutto questo possibile, questo lo sapeva già Kant. C’è un passo in più che è possibile fare, questa struttura di cui sto parlando, che è il linguaggio, procede da istruzioni, cioè quando si insegna a parlare si insegna come usare delle parole, come usare delle proposizioni, queste proposizioni hanno come referente, cioè si riferiscono, ad altre proposizioni, e queste altre ad altre ancora costruendo una sorta di rete, di connessione di relazioni molto ampia. Il fatto che il linguaggio proceda da istruzioni sposta la questione perché non si tratta più di pensare il linguaggio come qualche cosa che ad un certo punto è sorto per definire ciò che c’è intorno e che non è linguaggio, ma come una struttura che consente di costruire una rete di relazioni che poi gli umani chiamano realtà, di fatto se io indico con realtà ciò che cade sotto i sensi, che è l’accezione più comune del termine, ho detto soltanto che io credo che la realtà sia quella cosa che cade sotto i sensi, ma non ho detto assolutamente nulla della realtà, ho posto il mio criterio per decidere che cosa chiamo realtà. Ponendo il linguaggio come qualcosa che viene costruito a partire da istruzioni, a questo punto la questione della realtà cambia completamente aspetto: non c’è più la necessità di stabilire che cosa esattamente sia ciò che di fatto non è nient’altro che una rete di connessioni, ma intendere che è proprio questo, che è una serie di connessioni, di relazioni. La questione che ha posta Freud ha qualche interesse perché tutto il suo lavoro l’ha improntato su questo, cioè a intendere come funzionano queste relazioni, queste connessioni, dando però per acquisita l’esistenza di un qualche cosa un “quid” che rappresenta la natura, la realtà delle cose che in qualche modo mette in moto tutto quanto, ma la domanda che molti si sono posti, alcuni, è se questa cosa che viene posta come sostrato, come la realtà, l’immanenza, “è un qualche cosa che possiamo individuare, identificare, definire, oppure di fatto non c’è nient’altro che queste relazioni, connessioni fra elementi, che sono elementi linguistici?”, e con i quali di fatto abbiamo a che fare perché a un certo punto Freud si è accorto che tutta la questione girava intorno al linguaggio, di cui parla tantissimo non soltanto nell’Interpretazione dei sogni, ma nel Motto di spirito, nella Psicopatologia quotidiana a proposito dei lapsus, delle dimenticanze, degli atti mancati, e si è accorto che tutta la partita si gioca lì, nel linguaggio, con le parole, nel modo in cui si connettono, si relazionano, si agganciano fra loro come se tutto quanto si svolgesse in ambito linguistico: paure, emozioni, sensazioni, affanni di ogni sorta, tutto si giocasse lì e soltanto lì.

La teoria dell’informatica ha posta una questione interessante e cioè ha dato una forma a quello che viene chiamato generalmente calcolo delle proposizioni, che è stato inteso come il modo in cui gli umani parlano, il modo in cui si costruiscono le proposizioni, quindi i pensieri e di conseguenza a cascata tutto quanto, questo modo è individuato dall’utilizzo, così dice la logica, dei connettivi, che sono solo cinque, sono la congiunzione, la disgiunzione, la negazione, l’implicazione, la doppia implicazione. Ora cerco di farvi un esempio per rendere la cosa più perspicua, comprensibile, per vedere se gli umani pensano veramente in questo modo cioè facendo dei calcoli, calcoli proposizionali, perché se è così la cosa si configura in modo completamente differente da come lo stesso Freud aveva immaginato, cioè non ci sarebbe più la necessità di andare cercare un qualche cosa che sta al di là del linguaggio, ma tutto si svolge all’interno di questa struttura. Supponiamo che una fanciullina stia cercando un suo fanciullino, e allora decide che deve essere bello e intelligente, è una aspettativa legittima, il fatto che sia raggiungibile questo è un altro discorso, ma è raggiungibile, si parte così in genere, deve essere bello e intelligente almeno, poi anche altre cose eventualmente, quindi cerca qualcuno che corrisponda a questi requisiti, ma non a uno, a tutti e due, e cioè bello e intelligente, in questo caso viene utilizzato un connettivo, cioè la congiunzione e questa congiunzione fa sì che questa proposizione sia raggiunta, cioè sia vera, a condizione che entrambi i termini siano veri: cioè sia bello e intelligente. Se è soltanto bello non va bene, se è solo intelligente non va bene, deve essere bello e intelligente, ma poi cosa succede? Succede che ci sono altre informazioni che la fanciullina ha acquisite, cioè per esempio che tutto non può essere raggiunto, tutto ciò che si desidera non può essere ottenuto, e allora modifica questa proposizione, da congiunzione la formula come disgiunzione: occorre che sia o bello, o intelligente, almeno una delle due, poi se è tutte due va bene, cioè è verificata sia che sia vera una delle due, sia che siano vere entrambe, quindi deve essere o bello o intelligente entrambe le cose. Tuttavia anche questo può costituire un problema, nel senso che magari non trova quella persona che è o bella o intelligente, rispetto ai suoi canoni ovviamente, di cui parleremo tra poco, e allora avviene un altro spostamento in base a un’altra informazione che lei ha acquisita, per esempio che una fanciullina deve avere un suo fanciullo perché se non ce l’ha allora non è completa, non è realizzata, come sa questo? Lo sa perché glielo hanno detto da bambina, perché persone che lei riteneva degne di fiducia più e più volte hanno ripetuto cose del genere, e queste proposizioni sono entrate come vere all’interno del suo discorso e funzionano come capisaldi, come premesse; è per questo che quando è in mezzo alle sue amiche, il fatto di essere da sola, cioè di non avere il fanciullino, la mette a disagio, la fa sentire in inferiorità, quindi se si sente in inferiorità allora vuole dire che ha perso il potere nei confronti delle sue amiche, non si sente al loro livello, e lei vuole sentirsi al loro livello quindi si dice: “se voglio sentirmi una di loro devo avere un ragazzo, ma voglio essere una di loro allora devo avere un ragazzo”. È una implicazione, però rimangono anche le richieste precedenti, cioè deve essere bello e intelligente, quindi cosa succede: da una parte è importantissimo per lei trovarsi in mezzo a delle amiche, che rappresentano il suo mondo, l’ambito in cui si muove, quindi essere importante per le sue amiche, essere considerata una di loro perché questo? Per altre cose alla quale la fanciullina crede, e cioè che per essere valutata in modo positivo, quindi essere interessante per qualcuno, occorre che la sua condotta sia adeguata a quell’ambito all’interno del quale lei vuole essere, perché ritiene quell’ambito come quello dal quale si aspetta di essere importante, considerata, apprezzata, ma d’altra parte rimane il fatto che lei cerca un fanciullino con certi requisiti: entrambe le cose permangono, diciamo che sono entrambe vere. Ma a questo punto sorge un problema perché per fare parte di questo ambito in cui lei si sente importante deve avere qualcuno, ma questo qualcuno occorre anche che abbia quei requisiti che lei si aspetta, ma al tempo stesso deve decidere se è più importante avere comunque un qualcuno pur di far parte di questo ambito oppure rinunciare a fare parte di questo ambito per ottenere quello che vuole. Si trova cioè in una condizione, in una posizione in cui qualunque scelta farà sarà sbagliata, perché qualunque scelta, sia che vada da una parte sia che vada dall’altra, esclude quell’altra che comunque è irrinunciabile e si crea quella cosa che comunemente si chiama conflitto, che non ha soluzione finché permangono due verità salde e incrollabili, non c’è nessuna possibile soluzione. Allora la nostra fanciullina si trova in una condizione difficile da risolvere: qualunque cosa farà, comunque avrà sbagliato, e capita talvolta di trovarsi in una situazione del genere, ma a quali condizioni si verifica una condizione del genere? Qui occorre porre la domanda in termini più precisi, e cioè a quali condizioni io mi trovo a credere assolutamente vera una certa cosa e cioè, nel caso della fanciullina, di essere considerata e quindi importante a condizione che non sia da sola, perché questa cosa diventa assolutamente vera? Perché la fanciullina ci crede così fermamente al punto da considerarlo un elemento indispensabile nella sua esistenza, da dove arriva? Dalla realtà? Quale realtà? Sono soltanto considerazioni, credenze, superstizioni, convinzioni che la fanciullina ha acquisite nel corso della sua esperienza a partire da cose che ha sentite, che ha accolte come vere, perché o dette da persone che lei riteneva autorevoli o perché le ha lette, o perché le fiabe che leggeva da bambina dicevano che ci vuole il principe azzurro per vivere felici, o per una serie di altre cose, ma grosso modo appartenenti a questa struttura. Dal momento in cui incomincia a credere vere delle cose, vere nell’accezione metafisica, in quell’accezione di cui dicevamo e cioè incrollabilmente vere, da quel momento la fanciullina, come chiunque altro si trovi nella condizione di conflitto, in conflitto con altre verità che mostrano di essere fatte allo stesso modo, cioè delle verità incrollabili, sicure, certe, ma che offrono, che cosa? Nel caso della fanciullina offrono il valore: “se le amiche mi accolgono all’interno del loro consesso allora io valgo per loro, e se valgo per loro allora valgo in assoluto”, questa è un’idea abbastanza comune, che procede naturalmente dal fatto di non considerare le proprie opinioni, le proprie idee come qualcosa che potrebbe valere di per sé, ma ha bisogno sempre di qualcuno che le supporti, che le confermi, che le sostenga. Perché tutto questo? Da dove viene? È una domanda importante, perché sono queste le cose con le quali ciascuna persona si confronta, io ho fatto l’esempio della fanciullina, ma potrebbe essere qualunque cosa, qualunque conflitto si crei, di natura etica, estetica, politica, economica: che cosa è meglio, e in base a che cosa deciderò? In base all’utilità? Nel caso della fanciullina qual è l’utilità? Che cosa è “utile”? Ciò che la fa stare bene, ma entrambe le cose la fanno stare bene, ma non può averle entrambe per esempio, e quindi in base a che cosa sceglierà? Perché a un certo punto sceglierà, in genere, non sempre, certe volte c’è una sorta di paralisi, di arresto, il sistema si blocca e rimane lì in attesa di un qualche cosa che decida al posto suo, qualche volta accade, altre volte no. La fanciullina deciderà in base a quella cosa che per lei è più importante, è più vitale, cioè quella cosa che le da maggiore sicurezza, la garantisce di più, nel caso dell’esempio di prima la fanciullina sicuramente si rivolgerà alle amiche e cioè troverà chiunque, pur che sia, in modo da esibirlo alle amiche rinunciando quindi a tutti i suoi progetti, pure legittimi: è più importante sentirsi parte di un gruppo che dà sicurezza, perché lì tutti pensano le stesse cose e se tutti pensano la stessa cosa allora questa cosa è vera; i gruppi si costituiscono per questo, per sentirsi importanti, per sentirsi nel giusto, per sentirsi considerati, almeno all’interno di quell’ambito. Tutto ciò Freud le chiamava fantasie, che si costruiscono a partire da delle proposizioni che occupano una certa posizione all’interno del discorso, che potrebbe essere indicata come una premessa di una serie di argomentazioni, premessa che naturalmente risulta assolutamente vera, ed essendo creduta vera conduce o deriva verso una serie di implicazioni che portano a dei conflitti, anche perché come sappiamo la rete di connessioni, di discorsi, che una persona ha acquisiti nel corso degli anni è praticamente sterminata, ma che cosa ha incominciato a fare il lavoro di Freud? A intendere ciò che vi ho detto adesso, e cioè intendere da dove vengono certe convinzioni, senza sapere esattamente che cosa le abbia costruite, ci sono e tanto basta, e una volta che ci sono bisogna porre rimedio, fare in modo che la persona possa accorgersi che ciò che sta facendo è dettato da fantasie, ma che cosa abbia costruite queste fantasie, questo non si sa. Ma è una questione importante, perché ciò che le ha costruite può continuare a costruirle, anche una volta che quelle particolari sono state eventualmente eliminate, intendo dire questo: se una persona ha bisogno di credere in qualche cosa, anche se per qualche motivo ciò in cui crede viene eliminato, rimane il bisogno di credere e quindi ne troverà un’altra e la questione si riproporrà esattamente negli stessi termini. La psicanalisi è arrivata fino a questo punto, cioè ha mostrato che le decisioni, le scelte, ciò che pilota la vita di una persona sono le sue fantasie, che tendenzialmente ignora, e tanto più le ignora tanto più queste fantasie sono efficaci, ma Freud non è arrivato a chiedersi, non poteva neanche farlo perché gli strumenti a sua disposizione non erano sufficienti a intendere che cosa costruisce queste fantasie: come è possibile che si costruiscano delle fantasie, perché ci sono le fantasie? Perché? Eppure la risposta a questa domanda potrebbe essere straordinariamente semplice: se a un certo punto, quando il linguaggio si avvia, cioè la persona incomincia a parlare, se elementi si strutturano all’interno del discorso che incomincia a farsi con dei capisaldi, adesso usiamo parole molto semplici, che consentono delle premesse, che consentono la costruzioni di infinite serie di proposizioni, cioè una verità, allora questi elementi costituiranno quelle cose che per la persona continueranno a essere importanti e continueranno a produrre proposizioni sempre mantenendo salda questa premessa naturalmente, questa verità. Sto dicendo che è la struttura del linguaggio è il modo in cui è fatto il linguaggio che consente la costruzione di fantasie, quelle fantasie, come diceva giustamente Freud, che pilotano l’esistenza delle persone. Torniamo ora all’esempio della fanciullina e della difficoltà in cui l’abbiamo messa, e supponiamo che abbia la possibilità di accorgersi che il trarre il proprio valore, le proprie certezze, la propria sicurezza da queste altre persone potrebbe non essere una garanzia così assoluta, e che potrebbe non essere vero che le cose che pensa lei non vanno bene e che invece vanno bene quelle che pensa il gruppo, c’è questa possibilità, è ovvio che se cessa di credere vere certe cose il conflitto cessa, non esiste più, può trovarsi cioè ad avere a che fare con i propri pensieri, con la propria storia e intendere anche come si è costruita la propria storia, e che cosa l’ha costruita e perché si è costruita nel modo in cui si è costruita, a questo punto perde una sorta di ingenuità, ingenuità nei confronti delle cose in cui crede: di fronte a certe verità che prima la schiacciavano in modo totale e apparentemente senza possibilità di uscita, può trovarsi a sorridere, a sorridere del fatto di avere credute certe cose, così come accade che una persona possa sorridere del fatto di avere creduto a quattro anni all’esistenza di babbo natale o all’esistenza di un dio, o di qualunque altra cosa del genere. Sorridere dell’ingenuità, cioè del fatto di avere creduto senza pensare, senza usare la propria intelligenza, di essersi cioè messo in quella condizione che è quella necessaria per la produzione di conflitti, che di per sé potrebbero non essere necessari, ecco perché a questo punto la psicanalisi, dopo avere considerato che le persone sono pilotate dalle proprie fantasie, incomincia trasformarsi in qualche altra cosa e cioè intendere che cosa costruisce le fantasie, intendere perché si costruiscono, perché il linguaggio le costruisce, e a questo punto cambia la situazione e la psicanalisi incomincia a diventare una scienza, una scienza della parola. Scienza della parola, vale a dire un percorso che articola, considera, riflette sul come si costruiscono le parole, sul perché si costruiscono in un certo modo, e sul modo in cui si relazionano fra loro, cioè a quali condizioni si creano certe relazioni, ma il tutto avviene non più, come voleva Freud e cioè da una parte c’è qualcosa di naturale che produce il tutto e dall’altra le fantasie costruite, no, è un sistema che all’interno di sé costruisce queste cose che chiamiamo fantasie e costruisce quella cosa che chiamiamo realtà e costruisce tutte quelle cose che chiamiamo in qualunque modo, visto che senza linguaggio non potremmo chiamarle in nessun modo. Da qui sorge la considerazione che tutto quanto sia all’interno di una struttura, e che fuori da questa struttura ci sia quella cosa che gli umani continuano a chiamare nulla, potremmo a questo punto indicare l’esistenza, uno dei termini cardine della metafisica, di tutta la filosofia, come ciò che appartiene alla parola, all’atto di parola, e in nulla come ciò che è pensato fuori da questo ambito, fuori da questa struttura. Gli umani incominciano a esistere dal momento in cui incominciano a parlare, prima non c’è nessuna esistenza, dicevo prima del leone: per lui esiste il cielo sopra di lui? Esiste la savana? Esistono tutte queste cose? No, chiaramente no, perché ci sia l’esistenza di qualche cosa occorre che ci sia un concetto, occorre che ci sia una riflessione, solo allora le cose incominciano a esistere. Praticare questa struttura, a questo punto è quanto di meglio gli umani possano fare, visto che di fatto non hanno nient’altro che questo, hanno solo questo: le loro parole, i loro discorsi, i loro pensieri, non c’è nient’altro, è tutto qui, che non è poco naturalmente considerato ciò che gli umani hanno fatto da quando c’è traccia di loro.

Ho accostato il pensiero degli umani alle macchine, perché quando si ragiona, quando si decide, quando si sceglie qualche cosa, quando si operano delle decisioni, come facevo prima l’esempio della fanciullina avviene un calcolo, un calcolo fatto nel modo in cui deve essere fatto e cioè attraverso una struttura, dei connettivi che sono calcolabili in un certo modo “deve essere bello e intelligente” se è solo uno dei due è falsa, se entrambe sono vere allora è vera, i computer funzionano così, e quando uno ragiona su qualche cosa di fatto sta calcolando, sta facendo quello che fa una macchina. Non è una cosa strana né così scandalosa, dopo tutto le macchine sono state fatte dagli umani e quindi hanno riprodotto il modo in cui gli umani pensano, certo, attualmente è molto schematico, è molto semplice, però il giorno in cui saranno le macchine a progettare altre macchine allora forse le cose prenderanno un altro aspetto, ma siamo ancora abbastanza lontani, per il momento accontentiamoci di intendere qual è la condizione perché tutto questo funzioni, perché tutto questo esista. La condizione è quella cosa che chiamiamo linguaggio: tutto ciò che avviene nel pensiero degli umani è possibile perché esiste, adesso facciamo un allegoria informatica, un sistema operativo. Prendete un computer, togliete il sistema operativo, è un pezzo di ferraccio, non serve a niente, ora prendete il cervello di un umano, levategli il sistema operativo che per gli umani è il linguaggio, il suo cervello va bene per farci il fritto misto, non ha molte altre utilità. È il delirio delle neuroscienze trovare all’interno dei neuroni i significati delle cose, le emozioni, le sensazioni, ma come dentro ai neuroni? I neuroni sono degli interruttori, sono fatti di tre parti c’è il corpo, l’assone e i dendriti, se l’input supera una certa soglia allora output lo restituisce in un certo modo, sono interruttori, come i transistor, cosa volete trovare dentro ai transistor? Passa la corrente certo, la corrente elettrica, esattamente come nelle macchine, solo che il cervello umano ha un sistema di rete neurale più complesso dei circuiti logici dei computer, almeno per ora, ma tecnicamente potranno anche essere molto più complessi di quelli degli umani, perché no? In fondo è solo una questione tecnica, cosa che non deve né scandalizzare né sorprendere, anche il cervello umano è fatto di circuiti, neurali, che consentono i passaggi di corrente, e sono questi passaggi di corrente all’interno quei circuiti che consentono al linguaggio di potere costruire attraverso, possiamo chiamarli per quello che sono, cioè degli algoritmi, dei pensieri: “deve essere bello e intelligente” se è bello e intelligente vero, se solo uno dei due, falso. È così che funziona, ma è anche tutto ciò che ha sempre inorridito gli umani, e cioè il fatto che una macchina possa per esempio avere delle sensazioni, delle emozioni, certo che può averne, basta immettergli dei comandi tali per cui possa reagire in un certo modo, magari anziché piangere si accenderà un led, ciascuno reagisce a modo suo, però volendo si può fare anche questo. Non so che utilità potrebbe avere una cosa del genere, diciamo che tecnicamente non è impossibile.

Questo mi interessava dirvi: come la psicanalisi, a fronte del crollo della metafisica, cioè della possibilità di stabilire che cosa c’è veramente dietro le cose, cioè la realtà, che non c’è, di dire come stanno realmente le cose, quando si è arrivati a fine corsa, alle particelle subatomiche, ci si è accorti che sorge un altro problema irrisolvibile e cioè queste particelle non sono individuabili, non sono determinabili secondo un determinismo newtoniano, se si considera il flusso della luce in un certo modo è ondulare, se si considera in un altro modo è corpuscolare, è ondulare o corpuscolare? È entrambe le cose, e nessuno delle due, a seconda di come lo si considera cambia aspetto. Ecco, se questa appare la realtà ultima delle cose. allora dal modo in cui si considera la realtà cambia aspetto. Però non è tanto questa la questione ovviamente, perché le parole, i discorsi, non sono particelle subatomiche, a noi interessa soltanto intendere che c’è un’altra possibilità rispetto al pensiero occidentale, un’altra possibilità di porre la questione, in modo radicalmente differente: non c’è più un qualche cosa che garantisca, un sostrato un “Grund” come dicevano i filosofi che garantisca tutto quanto, compresa la realtà, ma una rete di connessioni, di relazioni fra parole, e le parole si costruiscono in base a istruzioni che sono quelle istruzioni che, per esempio, la mamma fornisce al bambino, lo informa, ma non soltanto gli insegna a nominare le cose e quindi a farle esistere da quel momento, ma anche come si connettono fra loro, non che gli faccia un corso di logica formale naturalmente ma dicendogli, parlandogli, gli mostra come si chiamano le cose, dà i nomi alle cose e gli insegna anche come usare questi nomi, come usare le proposizioni, insomma gli immette un sistema operativo. Nei computer il sistema operativo si installa manualmente, digitando su una tastiera oppure tramite porte, gli umani lo apprendono attraverso porte acustiche, visive, tattili, sono anche quelle porte tramite cui vengono acquisite informazioni. Mi rendo conto che sono cose non semplicissime, però cose sulle quali potrebbe essere interessante riflettere. Qualcuno aveva posta una questione intorno alla fede. Da dove viene la fede a questo punto? Come si struttura? Perché esiste? Si suppone che magicamente, o come una chiamata. Tutte cose molto fumose, molto evanescenti, intorno alle quali si può dire qualunque cosa e il suo contrario, oppure anche la fede è riconducibile a una sequenza di proposizioni che sono ritenute vere in base ad altre informazioni, che si stabiliscono come vere e hanno questa prerogativa, il famoso “credo quia absurdum” di Tertulliano, e cioè il fatto di non avere una prova della loro validità costituisce una chiamata ad attenersi a queste cose, è una regola del gioco.

 

Intervento: è anche la risoluzione di un conflitto … è anche un tentativo di risolvere un conflitto che non si può risolvere …

 

Sì certo, tutto ciò che gli umani si sono inventati come miti, come religioni, hanno esattamente la funzione che lei ha indicata: risolvere conflitti che altrimenti non sono risolvibili. Gli umani hanno cercato, dopo questi grandi miti come i miti post filosofici, il cristianesimo e islamismo, attraverso il pensiero di risolvere questo problema, il problema dell’Essere. Per i filosofi è sempre stato questo, per i fisici il problema della natura, individuare cioè che cosa sta al fondo di tutto, qual è il principio e la causa di ogni cosa, “archè” e “aition”, dicevano i greci, il principio e la causa, cioè che cosa fa esistere quello che esiste. Questo tentativo è fallito, dopo tremila anni non ha raggiunto nessuna soluzione, salvo paradossi irresolubili, aporie terribili, come dire che il pensiero a un certo punto ha distrutto se stesso in questo tentativo: se la condizione perché il pensiero possa sostenersi è proprio quello di raggiungere questo obiettivo allora non raggiungendo questo obiettivo il pensiero si autodemolisce, crolla tutto, così come è avvenuto, però i miti reggono, perché i miti non hanno bisogno di essere fondati, nessuno chiede a un mito di fondarsi, di dire di sé perché è così, dimostrare la sua validità, nessuno chiederebbe alla storiella di Cenerentola di esibire la sua validità metafisica, non fa parte del gioco, perché deve essere presa per quello che è, creduta per quello che è. C’è una regola che dice che questa cosa deve essere creduta senza essere interrogata, e gli umani per lo più sanno quello che dicono a condizione di non interrogare quello che dicono, è l’unica condizione per cui possono affermare con certezza di sapere quello che stanno dicendo: non interrogarlo mai, per nessun motivo, se no crolla tutto, come è avvenuto. Nei primi del ‘900 è avvenuta la famosa crisi dei fondamenti, sembrava che ogni cosa crollasse ed effettivamente era così, il pensiero, arrivato al suo limite, ha distrutto se stesso. Ha mostrato di non potere essere fondato in nessun modo anzi, ha esibito che il suo fondamento è il nulla, da qui il nichilismo di vari personaggi, Nietzsche, Sartre, Heidegger. Se a una qualunque cosa si chiede di esibire il proprio fondamento, ebbene non lo può fare, ma se consideriamo, come di fatto è, che si tratta soltanto di istruzioni allora un’istruzione di per sé non è né vera né falsa, è un’istruzione, è un comandi: se io decido, per giocare a poker, che il re di cuori vale più del fante di picche, questo è vero o falso? Non è né vero né falso, è una decisione, io ho stabilito questo, l’ho stabilito per giocare a poker; bene, esattamente allo stesso modo queste regole, queste istruzioni, sono quelle che sono necessarie per giocare il linguaggio, sono solo istruzioni per giocare, certo ci si può porre la domanda: a che cosa serve il linguaggio? L’unica risposta che abbia un senso è di continuare a costruire se stesso. D’altra parte prendete il codice genetico, quella cosa che chiamiamo codice genetico, a cosa serve? A costruire corpi, sì, appunto, la zanzara, il dinosauro, o miss universo, ma a che scopo? Perché lo fa? Per niente, lo fa e basta perché ha queste istruzioni che esegue all’infinito, molto semplicemente. Nel caso del linguaggio è più complicato, perché ciò che le parole costruiscono di fatto appare essere quella cosa che gli umani chiamano realtà, diciamo che se non fosse mai esistito il linguaggio, non sarebbe mai esistita neanche la realtà …

 

Intervento: più è assurdo e più devo crederlo …

 

Sì è ovvio, certo, ma a che scopo secondo lei impegnarsi in questa operazione così singolare? Perché rinunciare all’intelligenza, alla capacità di pensare, di riflettere, di elaborare, di considerare? Perché volontariamente, con fredda determinazione si decide di abbandonare la propria intelligenza? Perché?

 

Intervento: io non lo vedrei tanto come un punto di partenza, lo vedrei come un punto di arrivo …

 

E allora è una catastrofe, se è il punto di arrivo …

 

Intervento: però l’idea che la risoluzione del conflitto …

 

Perché lei da per implicito in questo modo il fatto che per gli umani sia necessario dovere credere in qualche cosa, e questo andrebbe almeno considerato, argomentato, potrebbe non essere così …

 

Intervento: per alcuni forse non lo è …

 

Questa è un’altra questione, ma occorre a questo punto riflettere sul perché. È vero quello che lei dice, funziona così per la quasi totalità delle persone, però potremmo anche domandarci perché mai avviene una cosa del genere? Perché gli umani si trovano a credere in cose che non stanno né in cielo né in terra, perché? Perché devono credere in qualche cosa per sentirsi più sicuri, per sentirsi più importanti, immaginare di valere qualche cosa, perché? Queste sono domande che meritano di essere considerate, e forse la risposta a queste domande, che comunemente non c’è, invece forse si trova proprio all’interno di questa struttura, nel suo modo di funzionare: se gli umani sono fatti di linguaggio allora agiscono esattamente come fa il linguaggio. Come funziona il linguaggio? In un modo molto semplice, per procedere parte da un qualche cosa che ritiene vero all’interno di un sistema, e attraverso dei passaggi coerenti giunge a una conclusione, deve giungere a una conclusione, così funziona il linguaggio. La conclusione cui giunge logica è il teorema, ma la certezza è qualche cosa che viene stabilita per potere poi, da lì, procedere con un’altra catena. Se il linguaggio funziona così, allora gli umani funzionano così, e cioè devono raggiungere qualcosa di vero, ma non perché è la loro natura, ma perché è il linguaggio di cui sono fatti che li costringe a comportarsi in questa maniera. Gli umani sì hanno bisogno di credere in qualche cosa di vero perché questo qualche cosa di vero consente loro di continuare a parlare, che è esattamente quello che devono fare, non devono fare nient’altro, però questo non possono non farlo e lo fanno in questo modo, l’unico che conoscono, l’unico possibile.

 

Intervento: è un po’ la questione del sintomo di cui si parlava anche la volta scorsa come formazione di compromesso, il sintomo che dalla metafisica è considerato un male, un male di cui ci si deve liberare alla scienza della parola lo si può considerare appunto come un conflitto fra giochi linguistici … così come funziona il linguaggio laddove trova due verità che si oppongono fra di loro, trova uno sbarramento e quindi per poter continuare a funzionare e quindi a dire delle cose, si diceva che costruisce per esempio l’uomo nero, una figura all’interno di una scena che ha la funzione di far proseguire il discorso, la parola, anche subendo la paura in questo caso avete presente i bambini, ma non solo, che si svegliano urlando ...

 

Sì, non subisce nulla che non abbia costruito …

 

Intervento: la paura è qualche cosa che gli umani subiscono e non sanno ma non vogliono soprattutto sapere che è il loro discorso che è capace di tanto, fin dalle prime parole che imparano l’altra volta lei faceva l’esempio del bambino al quale la mamma vieta la marmellata e siccome la mamma è colei che mi vuole bene per la quale devo essere il più importante, è il mio bene così come è un bene la marmellata che la mamma non vuole darmi, qual è il bene vero? E questa è una situazione di stallo in quel pensiero che deve trovare una soluzione per continuare a funzionare …

 

Sì, se il pensiero, se la psicanalisi non giunge a intendere che cosa muove tutto quanto, la psicanalisi non è nient’altro che una addestramento alla metafisica, e neanche dei migliori, però compiere questo passo è arduo, non tanto per la sua comprensione, perché è abbastanza semplice tutto sommato, ma è arduo abbandonare la metafisica, questa è la cosa più difficile …

 

Intervento: lo trovo un po’ instabile questa cosa …

 

Sì, in effetti è proprio ciò di cui stavo parlando, certo che è instabile, ma perché appare instabile, e che cosa si intende con stabilità? Non c’è cosa che non venga considerata e alla quale cosa non si dia una risposta, ma la risposta non è nient’altro che l’intendere da dove viene questa cosa, e cioè qual è la struttura che la consente, cioè che consente a questa idea di instabilità di esistere e perché ha un certo valore per esempio, perché? D’altra parte è una questione antichissima, pensate agli eleati, pensate ai sofisti, anche loro hanno mostrata una certa instabilità, e sono stati subito cacciati naturalmente, però ovviamente non avevano molti strumenti, si parla di duemila e cinquecento anni fa. Ma non c’è neanche l’instabilità, voglio dire che c’è sì, ma come concetto, non esiste da qualche parte, l’instabilità è un concetto, se ci crede, se crede che invece le cose debbano essere stabili allora devono essere stabili: sono stabili? No, quindi ecco un problema. Anche questa è una sequenza, una sequenza argomentativa, semplice ma efficace, perché se io credo che il mio benessere dipenda dalla stabilità, se sono fermamente convinto di questo, allora è ovvio che se le cose mi appaiono instabili mi senta a disagio, un po’ come la fanciullina che se si sente a disagio se le amiche non la fanno entrare gruppo, è la stessa cosa …

 

Intervento: prima diceva: la fanciullina rifiuta di ragionare, ma si affida al giudizio delle amiche …

 

Il giudizio delle amiche lo ha fatto suo nel frattempo, se no non funzionerebbe …

 

Intervento: tutte queste verità assunte non possono essere negate qualcosa di fermo deve permanere, se io comincio a distruggere ogni convenzione che mi è stata data …

 

È ciò che ha fatto il pensiero occidentale, la filosofia da quando è sorta fino ai primi del ‘900, per cui si è schiantato tutto, ha incominciato a dire che ogni cosa, ogni parola è un segno, formato da un significante e un significato, e che questo significato non può dirsi perché rinvia a un altro significato, e questo significato rinvia a un altro significato, e così via all’infinito, e non c’è quindi la possibilità di “affermare” alcunché, nemmeno quello che sto dicendo in questo momento, quindi nemmeno quello che ho detto prima, quindi nemmeno quello che dirò, tutto ciò non significa niente, non è possibile fermarlo in nessun modo. Questa sorta di caduta libera, di caduta agli inferi, dove tutto viene annullato, persino la matematica che si riteneva essere una delle cose più solide è stata schiantata malamente, la fisica stessa trova la totale instabilità di quelle cose che costituiscono la più piccola particella della realtà, cioè della natura. Ma a questo punto lungo, questa caduta inarrestabile una cosa rimane, una, quella che consente di compiere questa caduta, di pensare questa caduta: le parole, e queste non possono essere eliminate in nessun modo. Io potrei per esempio domandare a Eleonora: “Eleonora dì qualcosa che non sia una parola”, Eleonora si troverebbe in serie difficoltà. Allora rimane ciò stesso che ha consentito questa caduta, che ha consentito di creare la metafisica e di distruggerla, di creare il pensiero e annientarlo, e che può fare qualunque altra cosa volendo: le parole, e più propriamente quella struttura che le costruisce, tolta questa, effettivamente si toglie tutto, non resta più niente. Come un leone, lei sarebbe una leonessa nella savana, una leonessa per la quale non esiste la savana, per la quale non esiste la sera, non esistono gli alberi, non esistono le cose perché non ha un sistema concettuale per cui può dire “esiste questo o quest’altro, oppure non esiste”, non c’è la capacità di riflettere sulle cose, reagisce a degli stimoli, come diceva Pavlov. Se toglie il linguaggio allora effettivamente non solo non c’è più niente, ma non c’è neanche mai stato niente, a quel punto non ci sarà mai stato niente. Può sembrare strano ma è così, solo che è una situazione irrealizzabile, non c’è la possibilità di togliere il linguaggio, lei non può pensare in assenza di linguaggio e quindi immaginare come sarebbe senza linguaggio, non lo può fare perché comunque sta pensando come sarebbe, e cioè lo sta utilizzando. Affermare per esempio che “i parlanti in quanto parlanti parlano”, è una tautologia banalissima ovviamente, ma se ci pensa bene è un’affermazione che non è negabile in nessun modo, qualunque tentativo si faccia per negarla la conferma, perché si dovrà parlare, occorrerà averci pensato, ciò che si affermerà sarà la conclusione di una serie di argomentazioni. Alla fine di questa caduta inesorabile e tremenda del pensiero metafisico, l’unica cosa che rimane, effettivamente l’unica, tutto il resto è stato demolito, è appunto la parola, ciò che ha consentito di costruire tutto ciò e di demolirlo, di fare ogni altra cosa, per questo ho considerato da molto tempo la priorità del linguaggio e ho incominciato a intendere come funziona, visto che è la condizione, a questo punto possiamo affermarlo con certezza, di qualunque cosa e del suo contrario, anche perché per pensare il contrario devo comunque essere all’interno di questa struttura. È curioso ciò che è stato fatto in questi ultimi decenni, anche se la cosa è stata avviata nel secolo scorso, intorno a quelle che indicavo prima come macchine pensanti, un termine che usava Turing per indicare i computer, perché lì si è posta la domanda, volendo riprodurre il modo in cui gli umani pensano: come pensano gli umani? Occorreva rispondere a questa domanda, e per farlo è stato necessario riflettere su come funzionano gli schemi logici del pensiero per riprodurli, e questo ha consentito di vedere come sono fatti, come funzionano, come vengono eseguiti …

 

Intervento: e l’installazione del software? quello è complicato da pensare …

 

Perché? Adesso non si sta riferendo al computer ...

 

Intervento: no, ecco appunto dato che non è così che avviene, cioè come si combinano le neuroscienze, il funzionamento fisiologico o biologico, come si combina invece con l’istallazione invece di un sistema operativo più complesso cioè come si avvia questo meccanismo? Non c’è una sede fisica del linguaggio anche se è stato creduto …

 

Le faccio un esempio semplicissimo, come si combina per esempio il passaggio di corrente elettrica attraverso tutti i transistor che compongono un processore, con il film che lei vede sullo schermo? Come si combinano? Son passaggi di corrente elettrica, se ci mette il dito prende anche la scossa, com’è che si combina con questo bellissimo film romantico che lei vede sullo schermo dove avvengono cose piacevolissime, dolci e meravigliose? A partire da passaggi di corrente elettrica? (allo stesso modo), qualcosa del genere certo, un sistema, che nei computer sono i circuiti logici, negli umani si chiamano circuiti neurali che (in fondo sono la stessa cosa) certo, funziona così, e queste reti neurali consentono il passaggio …

 

Intervento: però nel lettore dvd si inserisce il dischetto e questo riproduce …

 

Sì, ma non è una cosa che avviene per magia …

 

Intervento: sì lo so, però mi incuriosisce l’avvio invece in un umano che …

 

Incominci a fornirgli delle istruzioni, incominci a dargli, insieme con le istruzioni, degli schemi per l’utilizzo “questa è la mamma” “questo è un tavolo” “questa mamma non è un tavolo”, i circuiti elettrici sono già stati costruiti se ha un computer, infatti se lei cerca di insegnare il linguaggio a un ferro da stiro questo non reagisce, non lo impara. Esiste un sistema, quello che chiamavo rete neurale, che è abilitato, per così dire ,a ricevere impulsi, a trasmettere informazioni, e queste informazioni vengono trasmesse in un certo modo e cioè insegnando il linguaggio: si insegna come vanno messe insieme certe cose e c’è la possibilità di trasformare queste informazioni in impulsi elettrici, come fanno i neuroni …

 

Intervento: quindi le neuroscienze possono dire di aver ragione sostenendo che questi circuiti elettrici sono idonei per il passaggio di queste informazioni …

 

Questo è ovvio, cioè di lì passa corrente (non va bene qualsiasi circuito) no, stiamo parlando di quelli umani certo, (una sorta di predisposizione) diciamo che sono disposti in modo tale per cui questo sistema operativo possa funzionare, è per questo che sta funzionando di fatto, senza una rete neurale è difficile pensare a un sistema, occorrerebbe trovarne un altro, però per gli umani è accaduto così, non è che sia necessaria quella, ma per gli umani è accaduto così, poteva accadere in tutt’altro modo …

 

Intervento: con i loro studi gli umani hanno costruito gli umani così come sono fatti, hanno costruito la rete neurale, è questa la predisposizione, nel senso che tutto ciò con il quale abbiamo a che fare cioè con tutto il sapere dal quale derivano tutte le cose, cioè tutte le cose che ci sono, sono costruzioni del sistema linguistico cui gli umani appartengono e quindi la predisposizione ormai è questa …

 

Sì, sarebbe come domandarsi se esiste per esempio la teoria dei numeri senza il calcolo, domanda difficile, tecnicamente potrebbe anche esistere, a seconda del modo, e qui torniamo alla questione di prima, della posizione in cui ci si muove la risposta è sì, se ci si muove da un’altra posizione la risposta è no, questo in omaggio all’instabilità di cui dicevamo prima, è un po’ come avviene nella fisica ultimamente, a seconda della posizione anche di chi fa l’esperimento si ottiene un certo risultato, se la posizione è differente il risultato è differente: è necessario il supporto perché il linguaggio funzioni? Domanda ardua, e torniamo alla questione di prima, se ci si mette in una certa posizione la risposta è si in un’latra posizione la risposta è no, dopo di che possiamo forse considerare meglio la questione, cioè domandarci che cosa ci stiamo chiedendo esattamente, che forse è la cosa più interessante.

 

Intervento: sembrerebbe quasi che al questione della certezza di qualcosa di una realtà o di una convinzione possa essere assimilata a una istruzione per quanto riguarda gli umani cioè un elemento che sembra costrittivo rispetto alla possibilità di pensare …

 

È costrittivo che il re sia superiore al fante nel gioco del poker? È una certezza? (no) nel gioco del poker sì invece, lo è …

 

Intervento: nel gioco degli umani sembrerebbe costrittivo di dover appoggiarsi a una certezza di qualunque tipo …

 

Sì, perché l’elemento deve essere individuato per potere essere utilizzato, ma questa è un’altra questione, riguarda la struttura del linguaggio.


 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

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