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31-10-2000

 

Allora la questione teorica, vediamo di concludere ciò che abbiamo avviato la settimana scorsa, qual era la questione Cesare? (la questione del tornaconto) tornaconto sì, e l’ha risolta? (…) cosa cercano gli umani da sempre inesorabilmente? (cercano la verità, dei punti fermi) perché? (sui quali potere appoggiare il loro discorso, per poter bloccare il loro pensiero) sì tutto questo c’è sì, certamente, però occorre qualcosa di molto più generale. Sa cosa cercano gli umani da sempre e non possono non fare? problemi da risolvere. Sembra una cosa strana problemi da risolvere cioè avere un qualche cosa che interroghi e della quale si avverta, si intuisca una soluzione, che è risolvere il problema, che è ciò che ciascuno va cercando in qualunque modo, che si tratti di un problema teorico, che si tratti di un pensiero, che si tratti di una relazione sessuale in qualunque caso, adesso ho fatto un esempio agli antipodi, in ogni caso è stato risolvere un problema, cioè un qualcosa che è avvertito come tale. Cos’è un problema? letteralmente è ciò che è gettato innanzi, come sapete, quindi di ciò che nel discorso si pone innanzi e da quella posizione rinvia a qualche altra cosa. Perché gli umani non possono non fare una cosa del genere? Perché è strutturale? Perché è strutturale al linguaggio, posta in termini logici la questione può dirsi in questo modo, ciascun atto linguistico ne comporta necessariamente un altro, il quale altro ne ha un altro ancora come rinvio, ecco perché non possono fermarsi. Ciò che chiamiamo o abbiamo chiamato problema non è altro che, questo logicamente in termini prettamente linguistici, che l’atto linguistico che necessariamente quello in cui mi trovo comporta, e quello che comporta a sua volta ne ha un altro ancora, questo è il problema che deve essere risolto, la soluzione così nella vulgata non è altro che, l’abbiamo detto mille volte, trovare quell’elemento che paradossalmente sarebbe l’ultimo elemento (l’interpretante logico finale) ma se paradossalmente trovasse una cosa del genere cesserebbe il desiderio, non ci sarebbe più nessun desiderio e allora quindi non ci sarebbe più la parola. Ora gli umani (la soluzione non è questa altra parola, l’elemento linguistico) si è perso un passaggio, io ho detto nella vulgata, nella vulgata si intende così appunto quello che deve chiudere il discorso, appunto dicevo paradossalmente, perché se lo facesse si arresterebbe tutto, ed è quella sensazione che talvolta gli umani hanno quando non avvertono più il desiderio, cosa comporta questo, non avvertire più il desiderio? non avvertire più la possibilità di parlare perché è il desiderio, possiamo chiamarlo così, ciò che muove a fare, a parlare che non è altro che tutta la questione di dio, ora dicevo gli umani cercano questo, se qualcuno domandasse che cosa vogliono gli umani, questo e nient’altro che questo e non possono volere nient’altro che questo, dal momento che la cessazione del desiderio non è altri che la cessazione del linguaggio, della parola, è ciò che chiamano desiderio è ciò che consente alla parola di andare avanti che sarebbe la forma folcloristica di descrivere il rinvio della parola e cioè il fatto che ciascuna parola rinvia necessariamente ad un’altra. Però in termini retorici la questione può porsi effettivamente in questo modo cioè risolvere il problema e quindi avere un problema da risolvere necessariamente, anche per questo motivo gli umani se ne creano incessantemente, ininterrottamente se non c’è nessun problema è una catastrofe bisogna trovarlo. Faccio un esempio banale, però può rendere forse più chiaro quanto sto dicendo, pensate a una relazione, una relazione con un partner ideale, che è esattamente ciò che si è sempre voluto, sempre desiderato, questo risponde a tutte le aspettative, se una cosa del genere potesse capitare, se cioè tutti i desideri fossero eliminati, sarebbe come talvolta accade fantasmaticamente una catastrofe, una catastrofe immane perché questa persona avrebbe tolto, questo partner ideale, ogni desiderio e quindi la possibilità di proseguire a parlare e quindi sarebbe mortale, tant’è che questa relazione il più delle volte si trasforma in odio, in odio che poi per altro comporta sensi di colpa inenarrabili, perché questa persona è assolutamente perfetta e quindi non può essere odiata, questa è una cosa che si riscontra, può riscontrarsi in certe relazioni, questa catastrofe che segue al fatto che uno dei due impedisce all’altro di desiderare alcunché. Dunque avere problemi da risolvere, gli umani non lo sanno ma questo è una necessità logica cioè il fatto che il problema non è altro che quel significante, quell’elemento linguistico, quell’atto di parola in molti casi, che si pone innanzi, il quale rinvia ad un altro e quindi non è chiuso in sé, non in finito, perché rinvia ad un altro e quindi deve finire, perché vogliono finirlo? Perché vogliono arrivare alla fine? Diciamo che il linguaggio è strutturato in modo tale da comportare una cosa del genere, (…) sì, sarebbe anche la sua cessazione, però dicevo prima non possono non farlo, il linguaggio li costringe a fare questo, in che modo li costringe? Adesso faccio così una specie di allegoria, metto il linguaggio che prende qualcuno per mano, dice adesso vai lì, perché questo è da risolvere e allora lui cerca di risolverlo, una volta che l’ha risolto chiaramente è come se il linguaggio gli dicesse va bene adesso bisogna trovarne un altro, io non mi posso fermare e quindi devi darti da fare, trova un altro problema, adesso io ho detto così in modo come fosse un fumetto da bambini, ma il linguaggio è strutturato in modo tale, come diciamo da tempo per cui un elemento linguistico essendo tale necessita di un altro elemento linguistico, non può fermarsi (…) la domanda perché gli umani cercano di risolvere i problemi, la risposta più corretta è perché non possono non farlo, però possiamo anche porla in termini più precisi, non possono non inseguire quell’elemento che rinvia ad un altro elemento, molto semplicemente, per questo non possono non farlo (…) sì è il linguaggio che li costringe a fare questo, di fronte a un qualunque atto linguistico il linguaggio li costringe a cercare quell’altro elemento che lo “sostiene” tra virgolette o comunque al quale rinvia, gli umani hanno chiamato questo procedere come risolvere i problemi, poi generalmente la soluzione di un problema o quella che comunemente viene chiamata tale è chiaramente come potremmo definirla? Perché c’è la soluzione di un problema ciascuna volta, se qualcosa non funziona e lo riparo ho risolto il problema, nel calcolo numerico due + due fa quattro, questo cosa comporta? Comporta che alcuni elementi hanno…adesso diciamola così molto provvisoriamente, hanno per convenzione una soluzione nel senso che lo stesso modo di porre il problema, lo stesso proponimento, la stessa esposizione del problema già prevede questa soluzione, come dire che la soluzione del problema è già implicita nella posizione del problema e questa è ciò che si chiama soluzione del problema; se questo orologio cessa di funzionare, lo porto dall’orologiaio il quale tocca qualche cosa ma la soluzione di questo problema è già implicito nella costruzione dell’orologio, così come qualunque altra cosa anche i problemi più sofisticati di software, se hanno un problema è perché questo problema è risolvibile in quanto è pensabile se è pensabile è risolvibile , ora dunque c’è l’eventualità piuttosto prossima che noi siamo in grado di risolvere, di rispondere al quesito che gli umani si pongono da sempre cioè che cosa vogliono gli umani, o perché fanno quello che fanno o non fanno quello che non fanno, non ha nessuna importanza, insomma la domanda che si porrebbero il filosofi e alla quale abbiamo risposto “perché gli umani esistono?”Ricordate la famosa domanda di Heidegger “perché esiste qualcosa anziché nulla?” Esiste qualcosa anziché nulla perché gli umani sono costretti a risolvere problemi, compreso questo, abbiamo dato un’altra botta a tutto il sistema occidentale mostrando in modo molto semplice e molto chiaro che cosa gli umani vogliono, una cosa che gli umani si chiedono da sempre, cosa vuole la gente, che cosa vogliono gli umani? questo e non possono volere nient’altro che questo, perché se non lo volessero allora sarebbero fuori dal linguaggio se fossero fuori dal linguaggio non potrebbero porsi la questione, semplice… (non è che io sono contento) va bene, ne trovi un altro allora (stavo pensando a come connettere questo discorso…) sì appena abbozzato che va poi posto in modo più acconcio (io due settimane fa ho posto la questione del tornaconto) già lei era rimasto alla questione del tornaconto che noi abbiamo… (connettere questa soluzione alla questione del tornaconto di cui ha parlato Freud per esempio) perché dobbiamo fare una operazione del genere? (perché nelle conferenze che andiamo a fare si parlerà ovviamente di ciò che ha detto Freud, l’altra volta dovevamo porre le cose in modo semplice, in un modo che paia talmente evidente e quindi porre una sorta di coercizione, si tratta in questo caso di porre le cose di fronte a un pubblico che non sa assolutamente nulla del discorso che abbiamo fatto in Associazione, si diceva che parlare nei termini di tornaconto è una cosa difficile da far digerire, occorre trovare una formulazione ché trovare che gli umani cerchino dei problemi da risolvere lascia trasparire la questione, il disagio è qualche cosa che è introdotto dal discorso, certamente e la domanda che interviene è la stessa domanda che interviene ogni volta che ci si trova di fronte a qualcuno in analisi e cioè a come farglielo intendere, è l’aspetto più complesso e nello stesso tempo più urgente, posta in questi termini e rispetto all’elaborazione che stiamo facendo va benissimo ma) questa è l’operazione che potrebbe fare lei, io ho posta la questione e ho dato una soluzione teorica lei giustamente solleva un altro problema che questo che io stesso vi ho dato non è ancora nella forma nella quale occorre metterlo per potere essere così cogente e costrittivo (è costrittivo per noi) adesso il lavoro da fare è di volgerlo molto rapidamente in una serie di proposizioni estremamente semplici e quindi estremamente persuasive e quindi estremamente efficaci questo è il lavoro che dobbiamo fare, allora Sandro si è ufficialmente proposto (posso fare una domanda? L’altra volta parlavamo dell’attrazione. Ecco, tutto questo discorso che lei ha fatto adesso è sempre un’attrazione, il problema da risolvere è un’attrazione) se il piacere è ciò che gli umani cercano, abbiamo detto, e se cercano questo, allora il piacere è questo crearsi il problema e risolverlo e in effetti non potremmo dire altrimenti (il tornaconto è un’attrazione perché interviene quello che è il tornaconto) già, sono trenta secoli che gli umani si interrogano su questa questione e in effetti non può essere altrimenti per via dell’impianto che abbiamo dato nella Seconda Sofistica e cioè l’assoluta impossibilità di uscire dal linguaggio, la quale impossibilità, comporta necessariamente questo, dovevamo pensare un momento, non avevate pensato mai a questo, chissà a cosa pensate… (il problema è il piacere, viene creato…) (quando però interviene come sofferenza?) quando non può essere ammesso come tale, adesso magari Sandro dirà che “magari” è così però bisogna trovare il modo molto più efficace per dire una cosa del genere in modo che le persone possano (…) la sofferenza non è nient’altro che piacere non ammesso in quanto tale (lo aveva già detto in varie circostanze, per esempio nei Giochi linguistici) vero non lo nego… (il computer non pensa) si però abbiamo detto come potrebbe fare, incominciare a porsi delle domande (incominciare a porsi delle domande su come si trova a pensare ciò che pensa e cioè quale impiego posso fare di ciò che interviene) (…) sì del piacere dicevamo forse… c’era quella volta? abbiamo fatto tutto il percorso (…) qualche questione intorno a ciò che abbiamo detto? (se la sofferenza è il piacere non ammesso perché gli umani se ne vogliono disfare?) non se ne vogliono disfare, se se ne volessero disfare in verità non soffrirebbero più (…) perché non lo ammettono come piacere, ma possono esserci molti motivi : conflitti di file. “perché se lo ammetto allora sono cattivo” per esempio, l’altra volta facevo l’esempio del bambino con la mamma, se penso quello allora vuol dire che non voglio bene alla mamma, e la mamma dopo mi abbandona quindi non può ammettere una cosa del genere e quando non lo può ammettere lo chiama in un altro modo, non è più piacere, si chiama sofferenza (può essere?) spesso sì certo può essere qualunque cosa, sì Sandro non ha torto a dire che tutto ciò è detto ancora in un modo rozzo (no rozzo) bisogna trovare questa formulazione molto semplice e molto persuasiva e perciò molto efficace (…) ecco scusi se la interrompo, parlava di mancanza, tutto questo sbarazza da tutta la storia della mancanza degli umani che mancano che è una superstizione, non manca nulla nel senso che tutto ciò di cui hanno bisogno è lì a disposizione, non manca assolutamente niente, la mancanza è una fantasia, serve a mantenere i sudditi (gli umani non rinunciano al piacere questo è il punto di partenza) potrebbe esserci una obiezione però è rintuzzabile (perché?) in molti casi si rinuncia al piacere per il dovere (se è questo il suo piacere) questo però per alcuni non è così immediato, tenete sempre conto d elle possibili obiezioni, l’altro risponde no, per me non lo è, perché io anziché andare in ufficio la mattina preferirei dormire, e invece devo andare in ufficio e questo è dovere e l’altro piacere, rinuncio al piacere per il dovere, certo l’obiezione è rintuzzabile (questa persona lo fare sempre) no, non potrà farlo se gli si tolgono le armi in tronco, “questo dovere di che cosa è fatto?” ha un beneficio da questo dovere, oppure no? Questo beneficio è tradotto generalmente in quattrini o in soddisfazioni… (…) è il vantaggio che gli umani perseguono, il vantaggio è ciò che procura piacere, a questo punto come la mettiamo? (…) infatti occorre partire dal piacere e definirlo in modo tale per cui non sia più possibile compiere una operazione del genere… (il piacere è tutto ciò che serve al raggiungimento di un obiettivo) come abbiamo fatto l’altra volta definire in modo preciso e che non comporti nessuna possibilità di obiezioni (…) bisogna compiere quel passaggio che abbiamo compiuto che afferma che tutto ciò a cui non si rinuncia è necessariamente piacere e allora a questo punto anche la sofferenza è qualcosa a cui non si rinuncia assolutamente. Si tratta di un cambiamento di segno, come se non potessi esserne responsabile perché se lo fossi questo metterebbe in crisi tutta una serie di altre cose e quindi debbo rimanere non responsabile e per poter compiere tutta questa operazione devo cambiare questa parola da piacere in sofferenza, che non è altro che qualcosa che dà forti sensazioni allo stesso modo ma non è mia responsabilità, questa è la questione centrale, va bene allora martedì prossimo vediamo di mettere tutte queste cose in una forma un po’ più acconcia, però rifletteteci anche voi.