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31-8-2011

 

Tantissime cose vorrei dirvi intorno alla macchina, e intorno alla possibilità di approcciare tutta la questione di cui ci stiamo occupando da un altro aspetto che potrebbe essere interessante, partendo cioè da come si sono formate certe idee attraverso per esempio alcuni personaggi, uno di questi è Nietzsche, che ha dato un grosso contributo, senza che lo sapesse, alla nascita, non della psicanalisi in quanto tale ma di una ideologia connessa con la psicanalisi. Poi parlare di ciò che stiamo facendo, di quanto ciò che abbiamo detto riguardo alla necessità che ha il linguaggio quindi la parola di concludere con un’affermazione vera sia determinante per il modo in cui gli umani pensano, per quello che fanno, perché tutto ciò che si trovano a pensare e a fare soprattutto è pilotato dall’esigenza di imporre la propria volontà sull’altro, l’avere ragione, l’essere importante con tutte le varianti che intervengono a partire da questo, poi ci sarebbe ancora un’altra questione che è di notevole interesse riguardo il funzionamento della macchina, e cioè sul come si apprende il linguaggio, ci sono delle questioni che meriterebbero di essere affrontate cioè su come è possibile insegnare a una macchina a pensare. Un computer, un hard disk senza il sistema operativo è un pezzo di ferro, finché non ci si mette dentro il sistema operativo, allora diventa qualche cosa che può fare delle cose di qualche interesse e si faceva la connessione con gli umani, in fondo anche il cervello, se non gli si immette un sistema operativo il cervello va bene per farci la frittura, e anche qui ci sarebbe tantissimo da dire a partire dai problemi sollevati da Hilbert fino alla macchina di Turing, che mostrano problemi che si riscontrano quando si riflette sul funzionamento del pensiero in generale, ma non possiamo affrontarle tutte simultaneamente. Potremmo partire da qualche cosa che ha posto Nietzsche e che rende conto abbastanza bene di una certa ideologia connessa con alcune teorie psicanalitiche, a proposito di quella cosa nota come la scuola del sospetto. La sua idea in due parole è che si incominciano a usare certe parole anziché altre perché vengono imposte da chi ha potere per esempio, l’albero si chiama albero, perché? Perché ad un certo punto qualcuno ha incominciato a chiamarlo così ma chi? Chi ha avuto più potere ha imposto questo modo di descrivere una certa cosa, e ciascuna di queste descrizioni, o di nomi, non sono altro che metafore, metafore per dire qualcosa e quindi da qui arrivando fino alla scienza, ogni affermazione della scienza è di fatto una menzogna perché anche la scienza utilizza delle descrizioni, delle definizioni che sono state imposte da chi ha avuto il potere di farlo e quindi ciascuno vive in questa sorta di menzogna continua. La questione della menzogna è proseguita fino ad arrivare a Freud: ciascuno parlando dice molto di più di quello che vorrebbe dire oppure di quello che sta dicendo, quindi la menzogna è strutturale, la menzogna è strutturale in quanto ciascun significante mente, mente perché dicendo una qualche cosa, questa cosa non è almeno soltanto quella ma ci sono altre questioni. Questo ha preparato per così dire una sorta di ideologia che è nata non con Freud, è nata dopo, è nata intorno agli anni 50/60 avvalorata anche da un’altra corrente filosofica nota come esistenzialismo, soprattutto con Jean Paul Sartre e il suo L’essere e il nulla, l’angoscia nasce dal fatto che l’uomo è irrimediabilmente libero perché non può non esserlo, ma questa libertà lo porta inesorabilmente a prendere di volta in volta delle decisioni che non saranno mai soddisfacenti, ché mentono anche queste cioè queste decisioni che prende non saranno mai esattamente quello che voleva fare e quindi è preso in un’angoscia totale, assoluta e irreversibile, da qui le caricature che facevano negli anni 60/70 gli esistenzialisti quelli con il maglione nero, sempre molto seri, molto nauseati dall’esistenza. L’esistenzialismo aveva questo fondamento teorico, filosofico, cioè il fatto che ciascuna decisione, ciascuna realizzazione di qualunque progetto, e lì si sente l’influenza di Heidegger, è destinato a essere insoddisfacente, a cadere nel nulla, a mostrare il nulla totale. Questa sorta di sfondo ha probabilmente contribuito alla fortuna della psicanalisi, che ha avuto fortuna non hai tempi di Freud, almeno non tantissima, ma dopo, negli anni appunto 50/60 con la semiotica anche. Si è incominciato a considerare che le parole, i discorsi, non hanno un fondamento, poi la semiotica ci ha messo del suo: ciascun segno rinvia inesorabilmente a un altro segno quindi non c’è mai l’ultimo segno e qui interviene C.S.S. Peirce, e da qui ciò che prima ho chiamato mitologia dell’impossibilità di dire le cose, di dire le cose come stanno, gli antichi avrebbero detto “cogliere l’Essere delle cose” cioè l’Essere dell’ente, dicevano così. Questa impossibilità che ha avallato in parte e in parte avvalorato le tesi di Freud che parlando ciascuno è sempre rinviato ad altri pensieri, ad altre cose, ad altre storie praticamente all’infinito, anche se Freud non diceva esattamente così, perché per Freud in fondo “la fine” tra virgolette dell’analisi poteva coincidere con la riappropriazione della persona di ciò che era inconscio ed essendo inconscio opera all’insaputa della persona, lo dice la parola stessa, dal momento in cui ciò che è inconscio diventa conscio ecco che la persona si appropria di qualche cosa che gli appartiene più propriamente, poi naturalmente con Lacan e più ancora con Verdiglione la cosa ha preso un’altra piega. Verdiglione ha seguito più la via di Nietzsche, infatti lo ha citato molto spesso all’inizio e soprattutto della semiotica, in particolare quella di Greimas, di Jakobson anche e cioè quel movimento di pensiero che ha indicato, e anche Peirce naturalmente, ha indicato in modo forte, in modo decisivo l’impossibilità di arresto di una catena segnica, di sequenza di parole in definitiva, è da qui che nascono le ultime idee intorno alla psicanalisi. Ma tutto questo che senso ha? Non moltissimo in effetti, rileva soltanto che ciascun elemento linguistico è connesso con un altro elemento linguistico, quello che dicono tutte queste storie è esattamente questo, e cioè che un elemento linguistico non esiste da sé ma esiste in quanto inserito in una catena e che quindi di conseguenza qualunque elemento, qualunque significante è connesso con un altro significante. La questione è che l’unica cosa che arresta questa sorta di regressio ad infinitum, questa cascata infinita di semiotiche, è il fatto che si sta parlando, al di fuori di questo non è possibile andare, per questo dicevo che la proposizione che afferma che “i parlanti in quanto parlanti parlano” costituisce il punto di partenza, costituisce quella affermazione che non può essere negata in nessun modo e per nessun motivo, è un po’ come se chiedessi per esempio a Eleonora “dì qualcosa che non sia una parola” è un problema, come fa a dire qualcosa che non sia una parola? È una contraddizione in termini, se dice qualcosa dice una parola ovviamente, ora questa proposizione che avevo proposta è quella che costituisce effettivamente il punto di arresto di questa discesa agli inferi, come qualcuno l’ha chiamata, perché oltre non si può andare, oltre cioè quell’elemento che consente di fare tutte queste considerazioni, che per esempio non c’è nessuna possibilità di arrestare la semiosi, come lo so? Lo so perché in prima istanza ho costruito questa teoria per esempio, e l’ho costruita perché sono provvisto di linguaggio, in caso contrario non mi sarebbe neanche mai passato per la mente una cosa del genere, quindi questa proposizione semplice semplice che ha la forma di una tautologia, cioè che “i parlanti in quanto parlanti parlano” definisce un punto di partenza su cui costruire una teoria necessaria, dando qui al termine necessario quella definizione forte che abbiamo sempre fornita e cioè “ciò che non può non essere perché se non fosse non sarebbe né quella cosa né nessun altra”, che è anche l’unica possibile. A partire da questa proposizione è possibile costruire una teoria necessaria perché se è necessario il punto di partenza, è necessaria la premessa da cui muove, ovviamente se ci si attiene passo dopo passo sempre alla premessa si giunge ad affermazioni necessarie, inesorabilmente, una di queste è che non c’è uscita dal linguaggio per esempio, ma oltre a questo mostra anche l’assoluta vanità oltre che vacuità di qualunque affermazione che non muova da questa. Sto dicendo che una teoria o muove da questa affermazione o si candida a una totale inconsistenza, cioè non dimostrabilità, naturalmente rispetto alla dimostrabilità ci sono state molte questioni che molte persone hanno poste e cioè che non è possibile dimostrare alcunché, e poi perché la dimostrazione dovrebbe essere una garanzia? Naturalmente questa obiezione è possibile farsi a condizione di non sapere, primo, come funziona il linguaggio, come funziona la struttura del linguaggio e, secondo, che gli umani sono fatti di questa struttura, se si ignora questo allora effettivamente ci si domanda “perché la dimostrazione dovrebbe costituire una prova certa?” ma perché il linguaggio funziona così, non c’è nessun altro motivo, perché gli umani sono fatti di linguaggio. A questo punto si tratta di costruire effettivamente la Scienza della Parola a partire da questa proposizione che in nessun modo può essere negata, negandola si costruisce una contraddizione, ovviamente se io nego il fatto che i parlanti in quanto parlanti parlano sto dicendo che non è vero che stanno parlando mentre io, parlante, sto parlando, come dire che per negarla sono costretto ad affermarla, non ho altre possibilità, costruire dunque una Scienza della Parola a partire da questo, ma come costruirla? Ci dobbiamo pensare, però intanto abbiamo posta la base che certo era già presente anche prima quando parlavamo del linguaggio, però ponendola in questi termini, cioè come parola, rende la cosa più semplice e anche forse più rapida non soltanto da intendere, ma anche da trattare tutto sommato. Intanto occorre incominciare a dedurre tutte le possibili proposizioni e solo quelle che sono deducibili da questa affermazione, esattamente come fa la logica, cosa dice il teorema di completezza di Goedel? Dice che la teoria, lui si riferisce alla teoria del primo ordine, è completa perché all’interno di questa teoria è possibile costruire tutte le proposizioni che sono provabili, dati certi sistemi di verifica, tutte le proposizioni vere, che sono anche dei teoremi, possiamo anche dirla così, cioè sono deducibili ed essendo deducibili sono necessariamente vere, è questo che dobbiamo fare: costruire tutte le proposizioni che sono deducibili da questa prima affermazione, utilizzando ciò che usa la logica in definitiva e cioè i connettivi che sono quelli che si usano parlando, la negazione, la congiunzione, la disgiunzione e l’implicazione e poi ci si aggiunge anche la doppia implicazione, è per questo motivo che ho ripreso alcune questioni della logica formale, della logica assiomatica, perché di fatto non fa che mostrare come si costruisce, quando si costruisce correttamente, una teoria, cioè un pensiero. Dopo tutto, quelle che la logica chiama formule ben formate non sono altro che proposizioni corrette all’interno del sistema, e il sistema è dato dalla premessa da cui partiamo e cioè che i parlanti in quanto parlanti parlano e dai connettivi che ci consentono di parlare e poi da variabili, individuali o proposizionali a seconda dei casi, questo è ciò che costituisce quella che la logica chiama la grammatica e cioè l’insieme della sintassi e delle variabili. Procedendo lungo questa via è possibile costruire una teoria assolutamente perfetta, perché muove da un’affermazione che non può essere negata e deduttivamente trae da questa affermazione tutto ciò che è deducibile attraverso la grammatica stabilita che è la grammatica che usa il linguaggio per altro, non c’è altro da metterci dentro, tutto quello che serve c’è già in effetti. È il percorso dalla psicanalisi alla scienza della parola, la psicanalisi ci ha mostrato che è possibile interrogare le cose ed è possibile interrogare ciò stesso che interroga, la psicanalisi non ci ha mostrato proprio questo a dire il vero, però lo abbiamo mostrato noi partendo comunque da ciò che ha fatto la psicanalisi, almeno da un aspetto clinico, sicuramente non quello religioso, quello fideistico “Freud ha detto così quindi è così”, non necessariamente, magari ci riflettiamo e riflettendoci può anche accadere di reperire l’insostenibilità di certe affermazioni, una di queste, per esempio, è che l’ascolto è fluttuante, definire una cosa del genere è straordinariamente arduo, in effetti nessuno l’ha mai definito in modo soddisfacente. Freud diceva che bisogna mettersi in questa posizione di ascolto fluttuante e cioè di ascoltare ciò che si nasconde nelle pieghe del dire, lì ci sarebbe un richiamo ad Heidegger, ma assolutamente improprio perché Freud non ha mai letto Heidegger in vita sua e quindi non possiamo attribuirgli nulla di questo tipo, perché come sapete è possibile fare dire a chiunque qualunque cosa, basta prendere quello che ha detto e piegarlo in un certo modo, aggiungere delle cose, connetterlo con altre cose fino ad arrivare al punto in cui è possibile giungere a dire e fare sostenere esattamente il contrario di quello che ha detto, è possibile, un bravo retore non avrebbe neanche grosse difficoltà.

Questo per dare un’idea generale di ciò che ha consentito, almeno in parte, la fortuna della psicanalisi che è stata sorretta in parte anche dal pensiero di Nietzsche, infatti non a caso nei primi anni Verdiglione citava moltissimo Nietzsche, gli dava un supporto teorico filosofico di un certo rilevo, e poi la semiotica, e tutte queste cose, insieme anche ad altre che adesso ho omesse, hanno concorso alla fortuna della psicanalisi e a dare, in qualche occasione, la parvenza di un fondamento teorico; il fatto che la parola alluda sempre ad altro e che non sia possibile individuarla, bloccarla, fermarla in un significato, cioè nell’Essere, come dicevano i filosofi, ecco questo ha fornito il destro per confortare e convalidare le tesi della psicanalisi che c’è sempre qualche altra cosa, che non ci ferma mai, è un rinvio continuo. Questa infinitizzazione c’è naturalmente, perché ciascun significante rinvia a un altro significante, e anche perché si pone almeno un elemento fuori dal linguaggio e gli si chiede di rispondere di sé: se io chiedo a un elemento di rispondere del suo significato questo mi rimanderà a un altro significato e a un altro ancora, cioè questa cosa non potrà mai rispondere di sé, potrebbe rispondere invece, che è un elemento del gioco. Se io chiedo a un Re di cuori: “perché tu vali di più di un dieci di fiori?” beh la carta non parla ma se potesse parlare, direbbe “è stato deciso così, è una regola del gioco”. Ecco, questo risolve il problema, semplicemente ponendolo come una regola del gioco, come abbiamo detto in modo più proprio, come un’istruzione. La famosa identità, identità che si è cercata da sempre che non è altro che ciò che l’ente è, la domanda che si sono posti i semiotici e i filosofi anche, come fa il significante a dire il significato? Che poi come dicono i filosofi “come fa l’ente a dire l’essere?”, come fa dunque il significante a dire il significato e a stabilire che è proprio quello il significato? È il punto in cui si fermò De Saussure “questa relazione è arbitraria però non si sa di fatto, come faccia questo significante a dire questo significato, visto che il significato rinvia a un altro significato” è la stessa cosa che si poneva esattamente Heidegger e cioè il fatto che l’ente non può mai dire l’Essere, se dico l’essere dico un altro ente non l’Essere, cioè ciò che è necessariamente proprio a quella cosa, solo che mentre Heidegger ne ha fatto un discorso enorme, De Saussure l’ha detto in quattro e quattr’otto parlando semplicemente anziché di ente e di essere, di significante e di significato.

La psicanalisi ha ripreso tutte queste cose e ne ha fatto in parte ciò che ha costituito e continua a costituire per esempio nella teoria di Verdiglione quella che dovrebbe costituire la pars destruens di un pensiero, e cioè mostrare come ciascuna cosa non è questo, non è quest’altro, se voi leggete i testi di Verdiglione trovate continuamente il “non è questo, non è quest’altro, non c’è più questo, non c’è più quest’altro” c’è sempre un “non” davanti, una negazione, che poi da qualcuno è stata presa come l’asserzione del fatto che il “non” sia originario.  Verdiglione dice che la rimozione è originaria sia perché se non si trova la battuta di arresto, e se non si trova quell’elemento si continua ad andare avanti in questa discesa all’infinito, non c’è nessuna possibilità di arrestarsi, come non c’è da parte di nessuna cosa la possibilità di rispondere di sé, dicendo che cos’è da fuori dal linguaggio, cioè l’Essere o il suo significato ultimo, come diceva Peirce l’interpretante logico finale, quello che arresta la catena e che da un senso a tutto.

Questo per mostrare perché la psicanalisi oggi si trova a dire quello che dice, e cioè a ripetere all’infinito questa pars destruens senza nessuna possibilità di venirne fuori, se non mostrando che le cose stanno così, cioè una caduta infinita e inarrestabile, poi naturalmente ci hanno messo dentro degli atti di fede stipulati in modo preciso, e cioè che esiste una cosa che si chiama inconscio, che esiste una cosa che si chiama rimozione, che esiste una cosa che si chiama transfert eccetera, e allora a partire da questo si è costruita una teoria, sempre tenendo conto dell’impossibilità di arrestare la combinatoria, di arrestare la parola in definitiva, e invece la parola può arrestarsi, “arrestarsi” in un certo senso, si arresta quando trova quella cosa che la costituisce, che la fa esistere, che è appunto il linguaggio. Indicavo la parola come nient’altro che l’esecuzione delle istruzioni di cui è fatta, e per intendere come si producono queste istruzioni ecco che qui c’è la seconda parte, seconda parte di cui diremo la volta prossima che parte da Hilbert, dal suo programma, dalle difficoltà che ha incontrate che sono abbastanza simili a quelle della filosofia ma ovviamente in un altro settore che è quello della matematica …

Intervento: che parte dalle istruzioni?

Si, la parola è l’esecuzione di istruzioni che sono il linguaggio, la parola è fatta di linguaggio, e il linguaggio costituisce le istruzioni che la parola esegue, come una macchina dunque, di cui diremo la volta prossima a partire proprio da Hilbert e arrivando a Turing. Il modo in cui si costruisce una macchina ci mostra come si costruisce il pensiero, letteralmente.