31-8-2004
Qual è
la questione che sta affrontando Beatrice?
Intervento: la questione è sempre la stessa e cioè di rendere semplice quello che andiamo dicendo, semplice utilizzando la questione della vita per questo la mia conferenza che si intitola “a chi interessa pensare?” dovrà essere provocatoria, è questo ciò su cui sto lavorando perché molti affermano di essere dei buoni pensatori, ci sono degli ottimi pensatori nel mondo ma se tutto ciò che significa pensare non tiene conto della questione fondamentale e cioè che qualsiasi cosa avvenga avviene perché una struttura linguistica lo permette allora tutto ciò che si trova a produrre è assolutamente arbitrario…
Intervento: Secondo me la questione di dire che tutto è condizionato da questa
struttura non è difficilmente accoglibile in effetti… la questione è che ciò
che non viene accolto sono le implicazioni di una cosa del genere come dire che
tutto ciò che facciamo, che pensiamo, che consideriamo, tutto dipende da questa
struttura può… secondo me occorre giocare retoricamente intorno a questa
questione della realtà, del reale
In che
modo?
Intervento: questo non mi è chiaro, però intendo dire, forse è questa la questione
perché ciascuno di noi si trova ad avere a che fare con qualcosa che presume
essere reale, in ogni frammento della vita quotidiana… in questo caso diventa
molto più difficile introdurre la questione del linguaggio perché sono i
dettagli della vita quotidiana che fanno immaginare in qualche modo di essere
spettatori più che attori
Intervento: certo, però riprenderemo ancora una volta la questione del linguaggio
che non è un mezzo per descrivere ma posso descrivere perché esiste il gioco
della descrizione e che qualsiasi cosa è un gioco linguistico per cui io sono
linguaggio che sta funzionando e che solo a questo punto posso agire il
linguaggio, ché se no come posso di fronte ad una realtà?
Intervento: come una persona che non ha soldi che si trova di fronte a un momento
di difficoltà finanziaria… hai voglia di parlare di linguaggio, io sto facendo
il verso
Intervento: questa persona occorre che si ponga all’ascolto perché questo discorso
è un discorso che deve avvenire, deve esserci anche un’analisi perché di fronte
alla questione “non ho soldi” è chiaro che non troverà il soldi gioco linguistico,
valore circolante all’interno di una struttura per cui è valore) (la persona
che è lì in conferenza che ci ascolta magari non è in analisi
Intervento: occorre che ci vada… non è la bacchetta magica
Intervento: potrebbe anche ammettere che è un gioco linguistico…
Intervento: ma non solo questo, anche uno che ha paura della mosca bianca… dice tu
puoi dirmi che è un gioco linguistico, io so anche che la mosca bianca è una
mia costruzione ma come, come affrontare la questione? Su questo dobbiamo lavorare
perché la questione dei quattrini è una questione che è macroscopica è un
valore della vita e se non hai quattrini non mangi e quindi ed ha un valore
grandissimo ma anche di fronte a una semplice fobia, che la persona prende come
una fobia e sa che è una sua costruzione… è chiaro che quando interviene la
responsabilità quindi quando sa di essere un gioco linguistico può agire il
linguaggio se no non potrà se non credere…questo per quanto mi riguarda quanto
devo tener presente in ciascun momento perché anche per me la realtà può
funzionare…
Intervento: evidentemente era provocatorio come condurre una questione le persone
sono lì e hanno a che fare ciascuno con i suoi problemi che sono reali…la
realtà è quella…
Vi
ricordate di Austin? Diceva una cosa che, come alcuni tra voi sanno, è di
qualche interesse, adesso riassumo per coloro che non conoscono Austin, è una
buona lettura, dunque diceva che un enunciato è “felice” quando si realizzano
le condizioni per cui questo enunciato è vero e faceva il famoso esempio: “se
io in questo momento dicessi che sto varando una nave vi accorgereste che c’è
qualcosa che non funziona in questa affermazione, però se io fossi al porto di
Genova di fronte ad un bastimento e avessi una bottiglia di campagne in mano e
fossi sul punto di scagliarla contro la chiglia della suddetta nave, ecco che
questa affermazione in quel caso sarebbe vera, mentre se lo faccia adesso no.
Dunque lui chiamava questo enunciato “felice”, però questa felicità siccome
rappresenta la riuscita dell’affermazione in quanto date le condizioni risulta
essere vera e siccome gli umani non sono fatti di nient’altro che di
linguaggio, allora se è felice l’enunciato, è felice anche la persona. Allora
la felicità che gli umani vanno cercando, che la trovino oppure no questo è
irrilevante per il momento, appare essere fatta proprio di questo, la persona è
felice quando, adesso diciamola così provvisoriamente, quando è felice il suo
discorso, cioè gli enunciati, le proposizioni che si trova a dire. Questione
che già avevamo posta, ma in questi termini può apparire più semplice, tant’è
che anche una persona avvilita da catastrofi finanziarie, come diceva adesso
Sandro, se questa persona avesse l’occasione di parlare, di discutere e trovare
in ciò che va dicendo, riuscire a costruire una proposizione che risulti essere
vera e fornisca l’occasione di rilanciare il suo discorso, di costruire nuove
proposizioni, allora c’è l’eventualità che oltre a un tenue moto giubilatorio
trovi che questa catastrofe che ormai appariva ineluttabile si sposta, per lo
stesso motivo e per la stessa struttura per cui una persona che è
straordinariamente depressa, se viene a sapere che qualcuno gli ruba la
macchina la depressione scompare, come dire ciò che interessa in quel momento è
altro e tutta la tragedia che viveva poc’anzi scompare nel nulla. Ciò che fa
una psicanalisi è anche questo: porre le persone nelle condizioni di trovare la
felicità, nell’accezione austiniana del termine, la felicità in ciò che va
dicendo, nella costruzione di proposizioni che risultano all’interno del gioco
che sta facendo essere vere, solo a questa condizione sarà felice, c’è
l’eventualità che non ci siano altre condizioni…
Intervento: una persona vive una catastrofe finanziaria, una depressione non ci
troviamo di fronte a un enunciato felice perché il suo gioco è quello? Quindi
si costruiscono effettivamente delle proposizioni vere all’interno del gioco
della depressione o del gioco della catastrofe finanziaria… allora la questione
può essere che questo enunciato felice sia considerato necessario, necessario
alla felicità del gioco allora in quel caso lì subentra il discorso della
funzionalità
Sì,
questo è un discorso più specifico, io facevo un discorso più generale…
Intervento: ma io volevo dire quello che si scambia essere la realtà, la catastrofe
finanziaria oppure il mondo va a rotoli e io sono depresso per quel motivo,
corrisponde a un preciso gioco linguistico in questo caso e il constatare che
la catastrofe finanziaria o che il mondo va a rotoli non è altro che
l’enunciazione di una proposizione vera… e quindi è felice
Sì e
allora perché non funziona? Allora perché la persona non è felice?
Intervento: la questione è molto complessa c’è tutto l’aspetto di come la
sofferenza sia funzionale a un certo tipo di piacere
Lo
sarebbe, felice, se si accorgesse che tutto ciò che sta costruendo appartiene
al suo discorso, allora potrebbe considerare che questa proposizione è vera,
vera all’interno del suo discorso, perché questa persona facendo il suo
esempio, considera di subire tutto ciò che gli accade e finché considera di
subire e cioè che tutto ciò che accade non appartiene al suo discorso, quindi
alla sua costruzione, allora non potrà mai accorgersi che in effetti ciò che ha
ottenuto è esattamente ciò che voleva…
Intervento: diciamo che al momento in cui c’è la sofferenza questo mantiene in
qualche modo l’idea di felicità… d’altra parte se io non fossi depresso sarei
felice, avessi tanti soldi sarei felice… c’è comunque si mantiene questa idea
di felicità. Vale il discorso se non fosse in quel modo non avrebbe questa idea
di felicità che è esattamente quella che vuole mantenere ma che per mantenere
deve essere in un altro modo
Può
pensare questo perché pensa che il suo discorso non abbia alcuna
responsabilità, allora ecco che subisce tutto quanto e allora, come diceva
giustamente lei, si lamenta di questa condizione, e aggiunge anche che è
esattamente questo che vuole ottenere e lo ottiene, per esempio la catastrofe
finanziaria, ma finché non si assume la responsabilità del fatto che per tutta
la vita non ha fatto nient’altro che porre le condizioni perché si verificasse
tale catastrofe, allora, non appropriandosi di ciò che gli appartiene, non
troverà mai quella proposizione che gli consente di raggiungere l’obiettivo e
quindi di potere affermare che è vero ciò che sta facendo è esattamente ciò che
voleva ottenere, e quindi austinianamente il risultato è felice…
Intervento: ma lui non vuole fare quel gioco… fa due giochi diversi…
Il modo
per continuare a fare quel gioco è dire, convincersi, e convincere
eventualmente anche il prossimo, che non è questo che vuole, a questa
condizione può continuare a lamentarsene, se invece avesse l’opportunità di
potere considerare che è esattamente questo che vuole poiché lo ha messo in
piedi da sempre allora cesserebbe di farlo, perché tutta questa vicenda
cesserebbe di produrre tutte quelle emozioni…
Intervento: posso andare oltre con la domanda? Lei dice fa questo per potersene
lamentare, a che scopo se ne vuole lamentare?
Perché
se ne vuole lamentare?
Intervento: nel senso che se tutto ciò gli serve per poter lamentarsi e quindi
abdicare alla propria responsabilità… la questione che mi pongo a che pro?
La
risposta è la stessa di un’altra domanda, e cioè perché gli umani parlano?
Perché non possono non farlo! Lamentarsi è una delle occasioni per potere
continuare a dire, a fare e soprattutto a pensare che se non fosse così allora
sarebbe felice…
Intervento: questo lamentarsi sì consente al linguaggio di proseguire perché
consente tutta una serie di immagini ma mantiene anche ferma quella che è la
premessa religiosa nel senso della felicità, di un bene assoluto…
Sì,
qualunque idea abbiano gli umani della felicità, in ogni caso questa idea gli
viene dalla struttura di cui sono fatti, né potrebbe venire da altrove, e la
felicità appare essere proprio questo: la conclusione vera di una sequenza di
proposizioni. Poi certo, ciascuno essendo totalmente ignaro del funzionamento
del linguaggio immagina che corrisponda a questa o a quella cosa che poi,
ciascuna volta in cui la raggiunge constata che non era esattamente quella,
però lo pensa e tutto il sistema occidentale e non soltanto funziona su questo,
sulla promessa, sul paradiso, che è chiaro che deve essere di là da venire,
però ciò che a noi interessa adesso è intendere bene questa questione di come
la felicità dell’enunciato corrisponda a nient’altro che alla felicità degli
umani, i quali sono felici a questa condizione e cioè che le loro proposizioni,
i loro discorsi, siano veri rispetto al gioco che stanno facendo, quando si
verifica questo sono felici, quando cioè si verifica ciò che attendono.
Supponiamo per esempio che io consideri che sarò felice se qui ci saranno cento
persone, e supponiamo che ad un certo punto qui ci siano cento persone, allora
io sono felice stando a quanto ho stabilito in precedenza, ma questa felicità
in cosa consiste esattamente? Che cosa si è verificato? Se ci pensate bene ciò
che si è verificato è che è stata soddisfatta una proposizione: io affermo che se
ci sono 100 persone sarò felice, questa proposizione è soddisfatta, quindi è
vera, a quali condizioni? Che ci siano cento persone. Allora se ci saranno
state cento persone allora questa proposizione che afferma che sono felice se
ci sono cento persone sarà stata verificata, ed è questo che rende felice, non
il fatto che ci siano cento persone in sé, quel sé non significa nulla, ma il
fatto che una proposizione che io ho posta è stata verificata. Magari delle
cento persone che sono qui non mi importa assolutamente niente, come poi spesso
accade, però è stata verificata una proposizione che fino a quel punto era
un’ipotesi e quindi non significava niente, ma al momento in cui viene
verificata cioè fatta vera letteralmente, allora si dà quel fenomeno che Austin
chiama felicità, allora sono felice, e così probabilmente per qualunque altra
situazione. Sto dicendo che l’evento in quanto tale è funzione della verifica
della proposizione anziché, come si è sempre pensato e ciascuno pensa in cuor
suo, il contrario, come dire: è questa cosa che mi rende felice, e invece no, è
la verifica di quella proposizione che affermava che quella corrispondeva alla
felicità, come dire che in quel momento ciò che io pensavo è diventato vero,
che è esattamente il contrario di ciò che si pensa generalmente. Ora ciò che
dobbiamo considerare è se questo si verifica sempre necessariamente oppure no.
Perché se fosse così necessariamente e cioè questa struttura appartenesse alla
struttura del linguaggio allora potremmo utilizzare tutto questo per procedere,
in caso contrario no, in caso contrario può essere utilizzato retoricamente,
come fantasia, ma non come una procedura, e allora vediamo se può darsi il caso
in cui questo non si verifichi, o meglio, che una proposizione venga verificata
e questo non produca nessuna felicità, di nessun tipo…
Intervento: quando si parla di eventi spiacevoli la verifica della proposizione
non corrisponde alla felicità…
Già,
però intanto per il momento distinguiamo tra felicità in accezione austiniana
del termine e la felicità così come è intesa dal luogo comune, perché
austinianamente anche in quel caso la proposizione sarebbe felice pur non
producendo quella sensazione di felicità, e allora occorre che consideriamo che
cosa intendiamo con felicità. Nel luogo comune la felicità non è altro che la
soddisfazione di qualcosa che è fortemente atteso, e ciò che si attende è ciò
che si desidera perché se non lo desidero non lo attendo, ma lo fuggo. Potrei
attendermi qualcosa che non desidero Daniela?
Intervento: sì la morte
Lei
dice che attende la morte?
Intervento: l’attendo non nel senso che la desidero ma la temo
Allora
occorrerà precisare questo “attendersi qualcosa”, ché se no possono intervenire
delle ambiguità, possiamo considerare l’attendere come il sapere che qualcosa
si verificherà? È solo questo? Perché se fosse solo questo sarebbe un sapere
che logicamente non ha un gran valore, lo sa per induzione, ma non ne ha la
certezza logicamente, l’induzione non è logicamente un criterio di prova così
potente…
Intervento:…
Quindi
questo sapere in realtà è un’ipotesi, quindi non sappiamo, al pari del fatto
che domani mattina sorgerà il sole, è chiaro che tutta la sua vita come quella
di ciascuno è organizzata tendendo conto di questa eventualità, che domani
mattina sorgerà il sole, il pianeta sarà al suo posto, girerà alla stessa
velocità… insomma tutte queste cose le diamo per acquisite e ci organizziamo di
conseguenza, ma non è una certezza logica affermare che domani ci sarà il sole,
in ambito logico si preferisce muoversi per certezze, quindi se lei afferma
qualcosa senza poterlo provare allora a questo punto possiamo considerare che
ciò che lei afferma è un’ipotesi che le serve, così come a ciascuno di noi
serve pensare che domani mattina sorgerà il sole per organizzare tutta una
serie di cose, se non altro per prendere il caffè come tutte le mattine e
infinte altre cose, quindi potremmo dire che le serve pensare così, potremmo
porre la stessa validità logica al sapere sulla morte? Come dicevo pensare che
domani mattina sorgerà il sole è un fatto che ciascuno di noi utilizza per
costruire la giornata e per fare varie cose, per continuare a parlare tutto
sommato, ma la morte in questo caso che utilizzo ha? E le dirò di più, il fatto
di pensare che domani il sole sorgerà è qualcosa che ciascuno di noi utilizza
per continuare a parlare e quindi per continuare a costruire cose, ora il
desiderio di che cosa è fatto se non proprio di questo, e cioè dell’essere
attratti da qualche cosa, ma questo qualche cosa è costruito mano a mano dal
discorso, e quindi proseguire a parlare è anche la condizione perché ci sia il
desiderio di proseguire tutto sommato, anche se può apparire paradossale, come
dire che ciò che mi attendo lo attendo per qualche motivo, poi ciascuno può considerare
per quanto lo riguarda qual è questo motivo, ma c’è l’eventualità che se mi
attendo qualche cosa allora questo qualche cosa che mi attendo anche lo
desidero, lo desidero in una certa accezione di desiderio, e cioè come l’essere
mossi dal linguaggio stesso verso altre proposizioni, verso la verità poi in
definitiva, cioè verso quell’ultima proposizione che chiude la sequenza e che
mostra di sé di essere vera. Il desiderio potrebbe anche non essere nient’altro
che questo. Supponiamo che desideri quella matita lì di Sandro, questo che cosa
significa? Significa che immagino che il possesso di quella matita mi renderà
felice, ma abbiamo visto che non è tanto il possesso di quella matita che ogni
volta che ce l’ho poi magari non mi serve a niente, come i bambini insegnano si
compra il giocattolo nuovo che vogliono a tutti i costi, ma quando ce l’hanno…
ma anche moltissime persone si muovono in questo senso, vogliono
fortissimamente certe cose ma quando ce l’hanno non interessano più. Stavamo
dicendo che in realtà corrisponde al fatto che quella proposizione che avevo
costruita “ho quella matita”, risulta verificata e quindi sono felice, ma
quando si tratta poi di fare i conti con quella matita, di utilizzarla o di
fare altro, mi accorgo che della matita non poteva importarmene di meno. Dunque
la desidero, se non la desiderassi allora i miei pensieri non sarebbero mossi
in quella direzione, andrebbero in un’altra direzione, non in quella, il fatto
che siano mossi in quella direzione comporta già l’esistenza del desiderio e
cioè il fatto che i miei pensieri si costruiscono e seguono una sequenza tale
per cui se si attendono come conclusione quella proposizione, questo è il
desiderio, e appare funzionare così quindi dire che ci si attende la morte è
una affermazione impegnativa perché c’è l’eventualità che oltre attenderla la
desideri pure, e allora se la desidera c’è qualche motivo, quale che sia adesso
non ci interessa ma in ogni caso… vede il linguaggio funziona a questa maniera,
costruisce sequenze di proposizioni che vanno in una certa direzione e la
direzione in cui vanno, in cui va una proposizione che per esempio ha
costruito, va nella direzione della sua verifica, non ce ne sono altre, non ha
nessun altro interesse, qualunque cosa stia ponendo deve essere verificata, poi
può essere più o meno importante per lei a seconda delle altre questioni che
mette in gioco, cioè di altri giochi che devono essere verificati, ma questo è
un altro discorso ancora, adesso prendiamo il modo più semplice e cioè…
Intervento: la verifica non è necessariamente l’accadimento reale del fatto in
questione
Dipende
dalle regole di quel gioco, per esempio nel gioco del poker è una verifica
particolare che è diversa dalla verifica nella fisica meccanica…
Intervento: la verifica di questa frase non è che la morte si realizzi e quindi in
qualche modo… la verifica è di un alto tipo
Il
gioco è diverso, è legata alle regole di quel gioco, sono queste che impongono
il tipo di verifica, se per esempio una fanciulla vuole sapere se il suo fanciullo
è innamorato di lei non si metterà a costruire algoritmi perché le regole del
gioco sono diverse e quindi sono altre le prove che chiederà, dipende dalle
regole del gioco, per esempio l’attendersi la morte può avere delle verifiche,
la verifica è il fatto del pensare che al momento in cui sarò morto allora,
solo a questa condizione, accadrà questo e credere questo è già una verifica, è
inevitabile che quando morirò succederà questo quindi sono sicuro che si
verificherà questa proposizione, un qualunque credente è sicuro che se si sarà
comportato bene e avrà rispettato, non mi ricordo più che cosa, andrà in
paradiso, è sicuro, le regole del gioco in questo caso prevedono semplicemente
questo, che se si comporta così allora necessariamente sarà cosà, è dato come
implicito…
Intervento: per esempio: sono contento che non si è verificato ciò che temevo… io
ero in attesa di questo evento poi questa conclusione non si è verificata… in
questo caso la proposizione non è stata verificata…
Facciamo
un esempio rispetto a ciò che diceva lei: io esco di qui e non vedo la mia
macchina parcheggiata dove pensavo di averla parcheggiata e penso: ecco, mi
hanno rubato la macchina, poi guardo meglio “no è là” dunque non si è
verificato ciò che temevo. A questo punto sono più giochi che intervengono,
ciascuno dei quali è reso felice: nel primo caso dal furto della macchina, nel
secondo dal ritrovamento della macchina…
Intervento: sì ma nel primo caso non era felice…
Se me
l’avessero rubata effettivamente? Certo, è andata delusa la prima parte, questa
attesa è andata delusa, non è vera, non me l’hanno rubata, è falsa. Dall’altra
parte, per un altro gioco, invece preferivo che non mi fosse stata rubata per
evitarmi tutta una serie di inghippi, in questo caso la proposizione è vera.
Facevo un esempio molto semplice, adesso è chiaro che possono intervenire anche
molti giochi e quindi per questo la questione è complessa e non semplicissima
da intendere, intanto quanti giochi sono in gioco? Ma per rendere la cosa più
semplice ho fatto un unico gioco, un unico gioco dove la proposizione che
conclude la sequenza risulta essere vera e allora è felice, perché ciò che è
sfuggito a Austin è il fatto che sono regole particolari e sono queste regole
che decidono se la proposizione è vera oppure no, cioè il fatto che io vari la
nave, questo varare la nave ha delle regole ben precise, comporta tutti quegli
elementi di cui dicevo prima, comporta che ci sia un mare intanto…
Intervento: quando viene detto: questa cosa la desidero o la voglio ma non posso?
Che
problema c’è?
Intervento: me lo dica lei
Il non
potere mantiene questa cosa in potenza, come dire: quando l’avrò raggiunta
allora sarà la proposizione vera ultima, l’interpretante logico finale di
Peirce. Un po’ come per il credente, mantiene questa possibilità, quando sarò
morto se mi sarò comportato per bene allora andrò in paradiso e sarò felice e
quindi rinuncio, rinuncio a mangiare cioccolato di venerdì…
Intervento:…
Se ci
pensa bene la struttura è la stessa, io rinuncio per mantenere l’idea di una
possibilità assoluta, è come se il linguaggio in realtà sapesse che cosa accade
al momento in cui si è verificata quella proposizione, sì è felice, però poi
deve passare altrove perché quella cosa cessa di essere interessante e quindi
“vorrei questo ma non posso” è un modo per mantenere intatta la possibilità
della felicità assoluta…
Intervento: è tutta la retorica dell’attesa
Come
crearsi un desiderio impossibile: sarei felice solo se potessi bermi un martini
con ghiaccio su Plutone, comporta qualche problema, allora uno si domanda
perché uno deve porsi un obiettivo di questa fatta, per mantenerlo
assolutamente impossibile…
Intervento: uno ci lavora sempre
Si, e
ha sempre di che lamentarsi ricordava prima Sandro. Il desiderio muove verso la
felicità, va verso l’ultima proposizione, quella che conclude, e la conclusione
della proposizione, se si verifica essere vera, se viene raggiunta, allora
comporta la felicità, in caso contrario no…
Intervento: …l’altra volta parlavamo della psicanalisi e c’è modo di riformulare in
questi termini la questione… adesso abbiamo parlato di aspetti che riguardano
il discorso ossessivo…
Sì, è
chiaro che dobbiamo trovare tutto ciò che è implicito nella premessa generale
da cui partiamo ciascuna volta, quella non negabile, e costruire tutte le
implicazioni che riguardano il lavoro analitico e anche il modo di intervenire,
che ha come primo passo sempre la sottolineatura della responsabilità, se non
c’è questa è difficile andare da qualche parte: il fatto che ciò che sto
costruendo lo sto costruendo da me per qualche buon motivo, e il motivo è
qualcosa che mi muove verso una certa direzione cioè già indica il desiderio
che è lì, andare verso quell’ultima proposizione che deve mostrarsi vera…
Intervento: rispetto alla mia conferenza “il bisogno d’amore e l’educazione
all’odio” attraverso quel ragionamento del dilazionare attraverso il
raggiungimento dell’obiettivo, del porsi un obiettivo posso dimostrare che
amore e odio sono manifestazioni di questo desiderio che in realtà quando si
vuole amare si vuole ridurre a sé qualcuno, nel caso dell’odio si vuole
distruggere e basta… in realtà sono due modi per raggiungere la felicità in cui
c’è bisogno di un altro solo che questo altro viene ridotto a sé in modi
diversi quindi tutta questa differenza di fondo non c’è quindi… io pensavo quando ho dato quel titolo pensavo che
l’amore rimane una sorta di ideale utopistico, l’educazione all’odio è
l’educazione al mantenere questo ideale… tutto ciò che va contro l’ideale educa
all’odio… in qualunque modo lo si voglia vedere questo amore universale, siamo
tutti fratelli… accorgersi che amore e odio funzionano come dicotomie, è una
dicotomia
Intervento: mi interessava la questione dell’intervento cui accennava in apertura
laddove diceva di come è possibile sospendere un certo giudizio perché non
posso credere vero ciò che so essere falso, che comporta al momento in cui so
cos’è la verità comporta un estendere questa verità a tutta la catena
significante cioè a tutto il modo di pensare, mi pare che abbia ripreso in
altro modo questa questione grammaticale, ad esempio in analisi intervenire
nonostante la catastrofe economica… al momento in cui comincia a parlare e
racconta le sue storie, mostra la sua struttura e come intervenga l’analista cioè
intervenga il linguaggio nel linguaggio… lo spostamento delle questione e
l’abbandono di una questione per il prosieguo in un’altra questione…
E
allora?
Intervento: mi sembra importante svolgere questa questione anche per…
La
posizione dell’analista è quella del linguaggio che pensa se stesso…
Intervento: …si interrompono le questioni aggiungendo altri elementi…
Si
accorge che la questione è più complicata di come la immaginava…