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31-8-2004

 

Qual è la questione che sta affrontando Beatrice?

Intervento: la questione è sempre la stessa e cioè di rendere semplice quello che andiamo dicendo, semplice utilizzando la questione della vita per questo la mia conferenza che si intitola “a chi interessa pensare?” dovrà essere provocatoria, è questo ciò su cui sto lavorando perché molti affermano di essere dei buoni pensatori, ci sono degli ottimi pensatori nel mondo ma se tutto ciò che significa pensare non tiene conto della questione fondamentale e cioè che qualsiasi cosa avvenga avviene perché una struttura linguistica lo permette allora tutto ciò che si trova a produrre è assolutamente arbitrario…

Intervento: Secondo me la questione di dire che tutto è condizionato da questa struttura non è difficilmente accoglibile in effetti… la questione è che ciò che non viene accolto sono le implicazioni di una cosa del genere come dire che tutto ciò che facciamo, che pensiamo, che consideriamo, tutto dipende da questa struttura può… secondo me occorre giocare retoricamente intorno a questa questione della realtà, del reale

In che modo?

Intervento: questo non mi è chiaro, però intendo dire, forse è questa la questione perché ciascuno di noi si trova ad avere a che fare con qualcosa che presume essere reale, in ogni frammento della vita quotidiana… in questo caso diventa molto più difficile introdurre la questione del linguaggio perché sono i dettagli della vita quotidiana che fanno immaginare in qualche modo di essere spettatori più che attori

Intervento: certo, però riprenderemo ancora una volta la questione del linguaggio che non è un mezzo per descrivere ma posso descrivere perché esiste il gioco della descrizione e che qualsiasi cosa è un gioco linguistico per cui io sono linguaggio che sta funzionando e che solo a questo punto posso agire il linguaggio, ché se no come posso di fronte ad una realtà?

Intervento: come una persona che non ha soldi che si trova di fronte a un momento di difficoltà finanziaria… hai voglia di parlare di linguaggio, io sto facendo il verso

Intervento: questa persona occorre che si ponga all’ascolto perché questo discorso è un discorso che deve avvenire, deve esserci anche un’analisi perché di fronte alla questione “non ho soldi” è chiaro che non troverà il soldi gioco linguistico, valore circolante all’interno di una struttura per cui è valore) (la persona che è lì in conferenza che ci ascolta magari non è in analisi

Intervento: occorre che ci vada… non è la bacchetta magica

Intervento: potrebbe anche ammettere che è un gioco linguistico…

Intervento: ma non solo questo, anche uno che ha paura della mosca bianca… dice tu puoi dirmi che è un gioco linguistico, io so anche che la mosca bianca è una mia costruzione ma come, come affrontare la questione? Su questo dobbiamo lavorare perché la questione dei quattrini è una questione che è macroscopica è un valore della vita e se non hai quattrini non mangi e quindi ed ha un valore grandissimo ma anche di fronte a una semplice fobia, che la persona prende come una fobia e sa che è una sua costruzione… è chiaro che quando interviene la responsabilità quindi quando sa di essere un gioco linguistico può agire il linguaggio se no non potrà se non credere…questo per quanto mi riguarda quanto devo tener presente in ciascun momento perché anche per me la realtà può funzionare…

Intervento: evidentemente era provocatorio come condurre una questione le persone sono lì e hanno a che fare ciascuno con i suoi problemi che sono reali…la realtà è quella…

Vi ricordate di Austin? Diceva una cosa che, come alcuni tra voi sanno, è di qualche interesse, adesso riassumo per coloro che non conoscono Austin, è una buona lettura, dunque diceva che un enunciato è “felice” quando si realizzano le condizioni per cui questo enunciato è vero e faceva il famoso esempio: “se io in questo momento dicessi che sto varando una nave vi accorgereste che c’è qualcosa che non funziona in questa affermazione, però se io fossi al porto di Genova di fronte ad un bastimento e avessi una bottiglia di campagne in mano e fossi sul punto di scagliarla contro la chiglia della suddetta nave, ecco che questa affermazione in quel caso sarebbe vera, mentre se lo faccia adesso no. Dunque lui chiamava questo enunciato “felice”, però questa felicità siccome rappresenta la riuscita dell’affermazione in quanto date le condizioni risulta essere vera e siccome gli umani non sono fatti di nient’altro che di linguaggio, allora se è felice l’enunciato, è felice anche la persona. Allora la felicità che gli umani vanno cercando, che la trovino oppure no questo è irrilevante per il momento, appare essere fatta proprio di questo, la persona è felice quando, adesso diciamola così provvisoriamente, quando è felice il suo discorso, cioè gli enunciati, le proposizioni che si trova a dire. Questione che già avevamo posta, ma in questi termini può apparire più semplice, tant’è che anche una persona avvilita da catastrofi finanziarie, come diceva adesso Sandro, se questa persona avesse l’occasione di parlare, di discutere e trovare in ciò che va dicendo, riuscire a costruire una proposizione che risulti essere vera e fornisca l’occasione di rilanciare il suo discorso, di costruire nuove proposizioni, allora c’è l’eventualità che oltre a un tenue moto giubilatorio trovi che questa catastrofe che ormai appariva ineluttabile si sposta, per lo stesso motivo e per la stessa struttura per cui una persona che è straordinariamente depressa, se viene a sapere che qualcuno gli ruba la macchina la depressione scompare, come dire ciò che interessa in quel momento è altro e tutta la tragedia che viveva poc’anzi scompare nel nulla. Ciò che fa una psicanalisi è anche questo: porre le persone nelle condizioni di trovare la felicità, nell’accezione austiniana del termine, la felicità in ciò che va dicendo, nella costruzione di proposizioni che risultano all’interno del gioco che sta facendo essere vere, solo a questa condizione sarà felice, c’è l’eventualità che non ci siano altre condizioni…

Intervento: una persona vive una catastrofe finanziaria, una depressione non ci troviamo di fronte a un enunciato felice perché il suo gioco è quello? Quindi si costruiscono effettivamente delle proposizioni vere all’interno del gioco della depressione o del gioco della catastrofe finanziaria… allora la questione può essere che questo enunciato felice sia considerato necessario, necessario alla felicità del gioco allora in quel caso lì subentra il discorso della funzionalità

Sì, questo è un discorso più specifico, io facevo un discorso più generale…

Intervento: ma io volevo dire quello che si scambia essere la realtà, la catastrofe finanziaria oppure il mondo va a rotoli e io sono depresso per quel motivo, corrisponde a un preciso gioco linguistico in questo caso e il constatare che la catastrofe finanziaria o che il mondo va a rotoli non è altro che l’enunciazione di una proposizione vera… e quindi è felice

Sì e allora perché non funziona? Allora perché la persona non è felice?

Intervento: la questione è molto complessa c’è tutto l’aspetto di come la sofferenza sia funzionale a un certo tipo di piacere

Lo sarebbe, felice, se si accorgesse che tutto ciò che sta costruendo appartiene al suo discorso, allora potrebbe considerare che questa proposizione è vera, vera all’interno del suo discorso, perché questa persona facendo il suo esempio, considera di subire tutto ciò che gli accade e finché considera di subire e cioè che tutto ciò che accade non appartiene al suo discorso, quindi alla sua costruzione, allora non potrà mai accorgersi che in effetti ciò che ha ottenuto è esattamente ciò che voleva…

Intervento: diciamo che al momento in cui c’è la sofferenza questo mantiene in qualche modo l’idea di felicità… d’altra parte se io non fossi depresso sarei felice, avessi tanti soldi sarei felice… c’è comunque si mantiene questa idea di felicità. Vale il discorso se non fosse in quel modo non avrebbe questa idea di felicità che è esattamente quella che vuole mantenere ma che per mantenere deve essere in un altro modo

Può pensare questo perché pensa che il suo discorso non abbia alcuna responsabilità, allora ecco che subisce tutto quanto e allora, come diceva giustamente lei, si lamenta di questa condizione, e aggiunge anche che è esattamente questo che vuole ottenere e lo ottiene, per esempio la catastrofe finanziaria, ma finché non si assume la responsabilità del fatto che per tutta la vita non ha fatto nient’altro che porre le condizioni perché si verificasse tale catastrofe, allora, non appropriandosi di ciò che gli appartiene, non troverà mai quella proposizione che gli consente di raggiungere l’obiettivo e quindi di potere affermare che è vero ciò che sta facendo è esattamente ciò che voleva ottenere, e quindi austinianamente il risultato è felice…

Intervento: ma lui non vuole fare quel gioco… fa due giochi diversi…

Il modo per continuare a fare quel gioco è dire, convincersi, e convincere eventualmente anche il prossimo, che non è questo che vuole, a questa condizione può continuare a lamentarsene, se invece avesse l’opportunità di potere considerare che è esattamente questo che vuole poiché lo ha messo in piedi da sempre allora cesserebbe di farlo, perché tutta questa vicenda cesserebbe di produrre tutte quelle emozioni…

Intervento: posso andare oltre con la domanda? Lei dice fa questo per potersene lamentare, a che scopo se ne vuole lamentare?

Perché se ne vuole lamentare?

Intervento: nel senso che se tutto ciò gli serve per poter lamentarsi e quindi abdicare alla propria responsabilità… la questione che mi pongo a che pro?

La risposta è la stessa di un’altra domanda, e cioè perché gli umani parlano? Perché non possono non farlo! Lamentarsi è una delle occasioni per potere continuare a dire, a fare e soprattutto a pensare che se non fosse così allora sarebbe felice…

Intervento: questo lamentarsi sì consente al linguaggio di proseguire perché consente tutta una serie di immagini ma mantiene anche ferma quella che è la premessa religiosa nel senso della felicità, di un bene assoluto…

Sì, qualunque idea abbiano gli umani della felicità, in ogni caso questa idea gli viene dalla struttura di cui sono fatti, né potrebbe venire da altrove, e la felicità appare essere proprio questo: la conclusione vera di una sequenza di proposizioni. Poi certo, ciascuno essendo totalmente ignaro del funzionamento del linguaggio immagina che corrisponda a questa o a quella cosa che poi, ciascuna volta in cui la raggiunge constata che non era esattamente quella, però lo pensa e tutto il sistema occidentale e non soltanto funziona su questo, sulla promessa, sul paradiso, che è chiaro che deve essere di là da venire, però ciò che a noi interessa adesso è intendere bene questa questione di come la felicità dell’enunciato corrisponda a nient’altro che alla felicità degli umani, i quali sono felici a questa condizione e cioè che le loro proposizioni, i loro discorsi, siano veri rispetto al gioco che stanno facendo, quando si verifica questo sono felici, quando cioè si verifica ciò che attendono. Supponiamo per esempio che io consideri che sarò felice se qui ci saranno cento persone, e supponiamo che ad un certo punto qui ci siano cento persone, allora io sono felice stando a quanto ho stabilito in precedenza, ma questa felicità in cosa consiste esattamente? Che cosa si è verificato? Se ci pensate bene ciò che si è verificato è che è stata soddisfatta una proposizione: io affermo che se ci sono 100 persone sarò felice, questa proposizione è soddisfatta, quindi è vera, a quali condizioni? Che ci siano cento persone. Allora se ci saranno state cento persone allora questa proposizione che afferma che sono felice se ci sono cento persone sarà stata verificata, ed è questo che rende felice, non il fatto che ci siano cento persone in sé, quel sé non significa nulla, ma il fatto che una proposizione che io ho posta è stata verificata. Magari delle cento persone che sono qui non mi importa assolutamente niente, come poi spesso accade, però è stata verificata una proposizione che fino a quel punto era un’ipotesi e quindi non significava niente, ma al momento in cui viene verificata cioè fatta vera letteralmente, allora si dà quel fenomeno che Austin chiama felicità, allora sono felice, e così probabilmente per qualunque altra situazione. Sto dicendo che l’evento in quanto tale è funzione della verifica della proposizione anziché, come si è sempre pensato e ciascuno pensa in cuor suo, il contrario, come dire: è questa cosa che mi rende felice, e invece no, è la verifica di quella proposizione che affermava che quella corrispondeva alla felicità, come dire che in quel momento ciò che io pensavo è diventato vero, che è esattamente il contrario di ciò che si pensa generalmente. Ora ciò che dobbiamo considerare è se questo si verifica sempre necessariamente oppure no. Perché se fosse così necessariamente e cioè questa struttura appartenesse alla struttura del linguaggio allora potremmo utilizzare tutto questo per procedere, in caso contrario no, in caso contrario può essere utilizzato retoricamente, come fantasia, ma non come una procedura, e allora vediamo se può darsi il caso in cui questo non si verifichi, o meglio, che una proposizione venga verificata e questo non produca nessuna felicità, di nessun tipo…

Intervento: quando si parla di eventi spiacevoli la verifica della proposizione non corrisponde alla felicità…

Già, però intanto per il momento distinguiamo tra felicità in accezione austiniana del termine e la felicità così come è intesa dal luogo comune, perché austinianamente anche in quel caso la proposizione sarebbe felice pur non producendo quella sensazione di felicità, e allora occorre che consideriamo che cosa intendiamo con felicità. Nel luogo comune la felicità non è altro che la soddisfazione di qualcosa che è fortemente atteso, e ciò che si attende è ciò che si desidera perché se non lo desidero non lo attendo, ma lo fuggo. Potrei attendermi qualcosa che non desidero Daniela?

Intervento: sì la morte

Lei dice che attende la morte?

Intervento: l’attendo non nel senso che la desidero ma la temo

Allora occorrerà precisare questo “attendersi qualcosa”, ché se no possono intervenire delle ambiguità, possiamo considerare l’attendere come il sapere che qualcosa si verificherà? È solo questo? Perché se fosse solo questo sarebbe un sapere che logicamente non ha un gran valore, lo sa per induzione, ma non ne ha la certezza logicamente, l’induzione non è logicamente un criterio di prova così potente…

Intervento:…

Quindi questo sapere in realtà è un’ipotesi, quindi non sappiamo, al pari del fatto che domani mattina sorgerà il sole, è chiaro che tutta la sua vita come quella di ciascuno è organizzata tendendo conto di questa eventualità, che domani mattina sorgerà il sole, il pianeta sarà al suo posto, girerà alla stessa velocità… insomma tutte queste cose le diamo per acquisite e ci organizziamo di conseguenza, ma non è una certezza logica affermare che domani ci sarà il sole, in ambito logico si preferisce muoversi per certezze, quindi se lei afferma qualcosa senza poterlo provare allora a questo punto possiamo considerare che ciò che lei afferma è un’ipotesi che le serve, così come a ciascuno di noi serve pensare che domani mattina sorgerà il sole per organizzare tutta una serie di cose, se non altro per prendere il caffè come tutte le mattine e infinte altre cose, quindi potremmo dire che le serve pensare così, potremmo porre la stessa validità logica al sapere sulla morte? Come dicevo pensare che domani mattina sorgerà il sole è un fatto che ciascuno di noi utilizza per costruire la giornata e per fare varie cose, per continuare a parlare tutto sommato, ma la morte in questo caso che utilizzo ha? E le dirò di più, il fatto di pensare che domani il sole sorgerà è qualcosa che ciascuno di noi utilizza per continuare a parlare e quindi per continuare a costruire cose, ora il desiderio di che cosa è fatto se non proprio di questo, e cioè dell’essere attratti da qualche cosa, ma questo qualche cosa è costruito mano a mano dal discorso, e quindi proseguire a parlare è anche la condizione perché ci sia il desiderio di proseguire tutto sommato, anche se può apparire paradossale, come dire che ciò che mi attendo lo attendo per qualche motivo, poi ciascuno può considerare per quanto lo riguarda qual è questo motivo, ma c’è l’eventualità che se mi attendo qualche cosa allora questo qualche cosa che mi attendo anche lo desidero, lo desidero in una certa accezione di desiderio, e cioè come l’essere mossi dal linguaggio stesso verso altre proposizioni, verso la verità poi in definitiva, cioè verso quell’ultima proposizione che chiude la sequenza e che mostra di sé di essere vera. Il desiderio potrebbe anche non essere nient’altro che questo. Supponiamo che desideri quella matita lì di Sandro, questo che cosa significa? Significa che immagino che il possesso di quella matita mi renderà felice, ma abbiamo visto che non è tanto il possesso di quella matita che ogni volta che ce l’ho poi magari non mi serve a niente, come i bambini insegnano si compra il giocattolo nuovo che vogliono a tutti i costi, ma quando ce l’hanno… ma anche moltissime persone si muovono in questo senso, vogliono fortissimamente certe cose ma quando ce l’hanno non interessano più. Stavamo dicendo che in realtà corrisponde al fatto che quella proposizione che avevo costruita “ho quella matita”, risulta verificata e quindi sono felice, ma quando si tratta poi di fare i conti con quella matita, di utilizzarla o di fare altro, mi accorgo che della matita non poteva importarmene di meno. Dunque la desidero, se non la desiderassi allora i miei pensieri non sarebbero mossi in quella direzione, andrebbero in un’altra direzione, non in quella, il fatto che siano mossi in quella direzione comporta già l’esistenza del desiderio e cioè il fatto che i miei pensieri si costruiscono e seguono una sequenza tale per cui se si attendono come conclusione quella proposizione, questo è il desiderio, e appare funzionare così quindi dire che ci si attende la morte è una affermazione impegnativa perché c’è l’eventualità che oltre attenderla la desideri pure, e allora se la desidera c’è qualche motivo, quale che sia adesso non ci interessa ma in ogni caso… vede il linguaggio funziona a questa maniera, costruisce sequenze di proposizioni che vanno in una certa direzione e la direzione in cui vanno, in cui va una proposizione che per esempio ha costruito, va nella direzione della sua verifica, non ce ne sono altre, non ha nessun altro interesse, qualunque cosa stia ponendo deve essere verificata, poi può essere più o meno importante per lei a seconda delle altre questioni che mette in gioco, cioè di altri giochi che devono essere verificati, ma questo è un altro discorso ancora, adesso prendiamo il modo più semplice e cioè…

Intervento: la verifica non è necessariamente l’accadimento reale del fatto in questione

Dipende dalle regole di quel gioco, per esempio nel gioco del poker è una verifica particolare che è diversa dalla verifica nella fisica meccanica…

Intervento: la verifica di questa frase non è che la morte si realizzi e quindi in qualche modo… la verifica è di un alto tipo

Il gioco è diverso, è legata alle regole di quel gioco, sono queste che impongono il tipo di verifica, se per esempio una fanciulla vuole sapere se il suo fanciullo è innamorato di lei non si metterà a costruire algoritmi perché le regole del gioco sono diverse e quindi sono altre le prove che chiederà, dipende dalle regole del gioco, per esempio l’attendersi la morte può avere delle verifiche, la verifica è il fatto del pensare che al momento in cui sarò morto allora, solo a questa condizione, accadrà questo e credere questo è già una verifica, è inevitabile che quando morirò succederà questo quindi sono sicuro che si verificherà questa proposizione, un qualunque credente è sicuro che se si sarà comportato bene e avrà rispettato, non mi ricordo più che cosa, andrà in paradiso, è sicuro, le regole del gioco in questo caso prevedono semplicemente questo, che se si comporta così allora necessariamente sarà cosà, è dato come implicito…

Intervento: per esempio: sono contento che non si è verificato ciò che temevo… io ero in attesa di questo evento poi questa conclusione non si è verificata… in questo caso la proposizione non è stata verificata…

Facciamo un esempio rispetto a ciò che diceva lei: io esco di qui e non vedo la mia macchina parcheggiata dove pensavo di averla parcheggiata e penso: ecco, mi hanno rubato la macchina, poi guardo meglio “no è là” dunque non si è verificato ciò che temevo. A questo punto sono più giochi che intervengono, ciascuno dei quali è reso felice: nel primo caso dal furto della macchina, nel secondo dal ritrovamento della macchina…

Intervento: sì ma nel primo caso non era felice…

Se me l’avessero rubata effettivamente? Certo, è andata delusa la prima parte, questa attesa è andata delusa, non è vera, non me l’hanno rubata, è falsa. Dall’altra parte, per un altro gioco, invece preferivo che non mi fosse stata rubata per evitarmi tutta una serie di inghippi, in questo caso la proposizione è vera. Facevo un esempio molto semplice, adesso è chiaro che possono intervenire anche molti giochi e quindi per questo la questione è complessa e non semplicissima da intendere, intanto quanti giochi sono in gioco? Ma per rendere la cosa più semplice ho fatto un unico gioco, un unico gioco dove la proposizione che conclude la sequenza risulta essere vera e allora è felice, perché ciò che è sfuggito a Austin è il fatto che sono regole particolari e sono queste regole che decidono se la proposizione è vera oppure no, cioè il fatto che io vari la nave, questo varare la nave ha delle regole ben precise, comporta tutti quegli elementi di cui dicevo prima, comporta che ci sia un mare intanto…

Intervento: quando viene detto: questa cosa la desidero o la voglio ma non posso?

Che problema c’è?

Intervento: me lo dica lei

Il non potere mantiene questa cosa in potenza, come dire: quando l’avrò raggiunta allora sarà la proposizione vera ultima, l’interpretante logico finale di Peirce. Un po’ come per il credente, mantiene questa possibilità, quando sarò morto se mi sarò comportato per bene allora andrò in paradiso e sarò felice e quindi rinuncio, rinuncio a mangiare cioccolato di venerdì…

Intervento:…

Se ci pensa bene la struttura è la stessa, io rinuncio per mantenere l’idea di una possibilità assoluta, è come se il linguaggio in realtà sapesse che cosa accade al momento in cui si è verificata quella proposizione, sì è felice, però poi deve passare altrove perché quella cosa cessa di essere interessante e quindi “vorrei questo ma non posso” è un modo per mantenere intatta la possibilità della felicità assoluta…

Intervento: è tutta la retorica dell’attesa

Come crearsi un desiderio impossibile: sarei felice solo se potessi bermi un martini con ghiaccio su Plutone, comporta qualche problema, allora uno si domanda perché uno deve porsi un obiettivo di questa fatta, per mantenerlo assolutamente impossibile…

Intervento: uno ci lavora sempre

Si, e ha sempre di che lamentarsi ricordava prima Sandro. Il desiderio muove verso la felicità, va verso l’ultima proposizione, quella che conclude, e la conclusione della proposizione, se si verifica essere vera, se viene raggiunta, allora comporta la felicità, in caso contrario no…

Intervento: …l’altra volta parlavamo della psicanalisi e c’è modo di riformulare in questi termini la questione… adesso abbiamo parlato di aspetti che riguardano il discorso ossessivo…

Sì, è chiaro che dobbiamo trovare tutto ciò che è implicito nella premessa generale da cui partiamo ciascuna volta, quella non negabile, e costruire tutte le implicazioni che riguardano il lavoro analitico e anche il modo di intervenire, che ha come primo passo sempre la sottolineatura della responsabilità, se non c’è questa è difficile andare da qualche parte: il fatto che ciò che sto costruendo lo sto costruendo da me per qualche buon motivo, e il motivo è qualcosa che mi muove verso una certa direzione cioè già indica il desiderio che è lì, andare verso quell’ultima proposizione che deve mostrarsi vera…

Intervento: rispetto alla mia conferenza “il bisogno d’amore e l’educazione all’odio” attraverso quel ragionamento del dilazionare attraverso il raggiungimento dell’obiettivo, del porsi un obiettivo posso dimostrare che amore e odio sono manifestazioni di questo desiderio che in realtà quando si vuole amare si vuole ridurre a sé qualcuno, nel caso dell’odio si vuole distruggere e basta… in realtà sono due modi per raggiungere la felicità in cui c’è bisogno di un altro solo che questo altro viene ridotto a sé in modi diversi quindi tutta questa differenza di fondo non c’è quindi… io pensavo quando ho dato quel titolo pensavo che l’amore rimane una sorta di ideale utopistico, l’educazione all’odio è l’educazione al mantenere questo ideale… tutto ciò che va contro l’ideale educa all’odio… in qualunque modo lo si voglia vedere questo amore universale, siamo tutti fratelli… accorgersi che amore e odio funzionano come dicotomie, è una dicotomia

Intervento: mi interessava la questione dell’intervento cui accennava in apertura laddove diceva di come è possibile sospendere un certo giudizio perché non posso credere vero ciò che so essere falso, che comporta al momento in cui so cos’è la verità comporta un estendere questa verità a tutta la catena significante cioè a tutto il modo di pensare, mi pare che abbia ripreso in altro modo questa questione grammaticale, ad esempio in analisi intervenire nonostante la catastrofe economica… al momento in cui comincia a parlare e racconta le sue storie, mostra la sua struttura e come intervenga l’analista cioè intervenga il linguaggio nel linguaggio… lo spostamento delle questione e l’abbandono di una questione per il prosieguo in un’altra questione…

E allora?

Intervento: mi sembra importante svolgere questa questione anche per…

La posizione dell’analista è quella del linguaggio che pensa se stesso…

Intervento: …si interrompono le questioni aggiungendo altri elementi…

Si accorge che la questione è più complicata di come la immaginava…