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31-7-2013

 

La questione che pone Searle è che una macchina di fronte a dei grafi, che siano lettere o disegni, non è in condizioni di distinguere, o meglio non sa di questa distinzione, semplicemente, li processa in base ai programmi che sono stati messi dentro, ma non sa distinguere una cosa che “vede” realmente come si suole dire, da un grafo, da un segno, cioè da un carattere macchina. Tuttavia obietta Marconi che di fatto anche noi ci comportiamo in modo analogo, cioè non sappiamo qual è il significato propriamente di una certa cosa. La nozione di “visione”, dice, non è così automatica, ma noi diamo un certo concetto/significato a questa parola “visione” e non c’è nulla di naturale nella visione, noi diamo alla “visione” un significato particolare, per cui torniamo alla nozione di “significato”, ma siamo noi a farlo non c’è niente di naturale fuori da ciò che stiamo facendo, fuori dal linguaggio. Tutto questo è importante perché pone la questione di cui abbiamo incominciato a dire la volta scorsa, cioè quella dell’intenzionalità di cui qui si accenna senza dire nulla di che, e invece è fondamentale perché ciò che distingue la macchina dall’umano è l’intenzione; l’umano vuole fare qualche cosa, ottenere un certo obiettivo, raggiungere uno scopo, la macchina no, la macchina non ha queste velleità, per questo si dice comunemente che la macchina non sarà mai come l’umano, perché non ha l’intenzione di fare delle cose, non ha degli obiettivi, non ha degli scopi, non si prefigge uno scopo perché non si proietta un futuro, non progetta un futuro la macchina. Potrebbe anche farlo se gli si immette un programma che date certe premesse può trarre delle inferenze e queste inferenze le chiama “futuro”, allora si progetta il futuro, che è esattamente quello che fanno gli umani tra l’altro, però cos’è che dà agli umani l’intenzionalità nel loro agire, volere raggiungere uno scopo? Cos’è uno scopo e perché volerlo raggiungere? Potrebbe apparire una cosa così naturale, ovvia, scontata, ma non lo è se ci si riflette meglio, ed è una questione importante perché sembra che sia la cosa che definisce gli umani in quanto tali, non solo il fatto di essere dei parlanti, ma il fatto che essendo parlanti si trovano ad avere delle intenzioni, dei progetti, delle aspettative, dei desideri. Gli umani hanno l’intenzione, e cioè hanno un qualche cosa che li spinge verso il fare delle cose per ottenere certi obiettivi, certi risultati, che cos’è questa cosa? Ciò che sappiamo finora è che essendo parlanti sono strutturati da questa stessa cosa che li fa esistere, cioè dal linguaggio, e il linguaggio procede attraverso affermazioni, queste affermazioni per potere proseguire devono essere riconosciute vere all’interno del sistema in cui giocano. Tutto ciò non è altro che la struttura di base sulla quale si impianta la formulazione più, chiamiamola folcloristica, e cioè quella che si configura come fantasia di potere: una fantasia di potere non è altro che il tentativo di imporre una di queste conclusioni cui si giunge, queste affermazioni, come necessariamente vera, come naturale. Si tratta allora di intendere che la connessione tra il funzionamento del linguaggio e la fantasia di potere è qualcosa di più che molto stretta, è il linguaggio stesso che impone, e il linguaggio stesso, costruito in modo tale da dovere affermare delle cose; ogni volta che afferma qualcosa deve imporla, imporla in prima istanza sul discorso stesso, quando una persona immagina di avere trovato qualche cosa che “è così come stanno le cose” questa cosa si impone su tutto il suo discorso. Se Eleonora trovasse il suo fanciullo molto piacevolmente in compagnia di un’altra fanciulla cosa succede, a parte l’ira di dio? Succede che trae una conclusione e questa conclusione si impone su tutto il suo discorso, cioè va al di là dell’evento particolare, investe tutto il suo discorso fino a farla concludere per esempio che tutti gli uomini sono fedifraghi. È un esempio molto banale di come la conclusione cui giunge il proprio discorso si imponga su tutto il discorso e lo modifichi, perché questa conclusione in quel momento per Eleonora, per tornare all’esempio di prima, è assolutamente vera e non avrebbe questa funzione di modificare tutto il discorso se Eleonora la considerasse falsa ovviamente, però essendo stata addestrata alla metafisica, allora ciò che vede lo considera vero e non dubiterebbe di ciò che sta osservando neanche per un istante. A questo punto si pone la questione del potere, cioè il fatto di sapere “come stanno le cose” dà un potere sul così detto mondo circostante, e questo potere va esercitato, cioè va imposto sugli altri perché a questo punto Eleonora scatena sul fanciullo fedifrago la sua ira, perché lei sa come stanno le cose, ha visto come stanno le cose e quindi si muove di conseguenza. Ecco, l’intenzione nel linguaggio è di compiere affermazioni, se dovessimo parlare di un’intenzione nel linguaggio, è compiere delle affermazioni che siano riconosciute vere all’interno del gioco che sta facendo, che siano riconosciute come vere molto al di là del gioco che sta facendo, ma siano riconosciute vere universalmente, cioè sempre vere. Allora l’intenzione del parlante è quella di affermare, di compiere delle affermazioni che siano riconosciute come vere da chiunque, questa è l’intenzionalità nel linguaggio, e a questo punto possiamo dire che non potrebbe essere differentemente, visto il funzionamento del linguaggio. Quando il linguaggio afferma qualche cosa che riconosce come vero, questa verità che riconosce è una verità che va al di là del particolare, è una verità universale, cioè è così necessariamente perché rispecchia uno stato di fatto, è per questo che è universale, perché rispecchia le cose, la realtà. L’intenzionalità nel linguaggio non è altro che la necessità della sua struttura di compiere affermazioni, riconoscerle come vere per poterle utilizzare per proseguire, cioè per costruire altre affermazioni ed è questo che distingue gli umani dalle macchine. Dicevamo che le macchine non hanno l’intenzione perché non hanno nessun programma che fornisca loro un’intenzione, come si potrebbe Eleonora inserire un programma che metta in una macchina l’intenzionalità? Anche se non sei una programmatrice, stiamo dicendo in termini molto generali. Pensa a come si trasmette negli umani, quello che manca è una informazione che agli umani viene trasmessa e cioè che io ti dico quali sono le cose vere, e tu dovrai accogliere quelle cose che io ti dico come vere…

Intervento: l’intenzionalità non è connessa con la possibilità di modificazione? Cosa che la macchina non può fare, non può modificare il suo stesso programma…

Sì, può farlo, può farlo entro certi limiti ovviamente, può auto correggersi, può modificare dei file di sistema quando si accorge che sono danneggiati per esempio…

Intervento: è capace di modificare quando il discorso accoglie nuove verità modifica il discorso stesso…

A questo punto dovrebbe modificare la precedente verità, e cioè considerare la precedente verità falsa allora sì, la modifica, se no, se c’è una verità che è data come naturale non ha bisogno di essere modificata, è quello che è. Si possono aggiungere a partire da questa verità naturale altre verità. È il lavoro che fa la scienza che stabilisce che certe cose sono assolutamente vere e poi in base a queste cose vere trova altre cose che sono altrettanto vere perché procedono dalle prime. Però l’intenzionalità è quella di affermare qualcosa di vero e di mantenerlo come tale, questo negli umani, mantenerlo contro tutto ciò che può minacciare questa verità. Dicevamo, come si trasmette agli umani una cosa del genere? Si trasmette dicendo loro che ci sono delle cose che non possono essere messe in questione, cioè le verità, quelle dei genitori per esempio non possono essere messe in discussione o, più propriamente ancora, che c’è comunque un qualche cosa che non deve essere messo in discussione, cioè la realtà in definitiva. Se non ci fosse questo concetto di “realtà” come garanzia delle affermazioni che vengono fatte, ciascuna affermazione sarebbe sempre passibile di essere riconsiderata, rivista, rielaborata, invece se questa affermazione collima con la realtà no, non può più essere messa in discussione perché definisce, indica, descrive uno stato di fatto, che per esempio questa matita è questa matita, può essere messo in discussione questo? Questa è la posizione più diffusa, quella che dice che una cosa deve essere quella che è naturalmente. In realtà anche questa affermazione che dice che questa matita è una matita può essere messa in discussione, però non lo faremo adesso. C’è la supposizione che esista un qualche cosa che non può essere messo in discussione perché se ogni cosa potesse essere messa in discussione allora non sarebbe più possibile costruire nulla, questo nel luogo comune. Quindi noi diciamo a una macchina che c’è qualche cosa che non può essere messo in discussione per nessun motivo, perché altrimenti le stesse cose che fa sarebbero contraddittorie. Ciò che occorre immettere nella macchina è l’idea che ci siano delle cose che non possono essere messe in discussione, cioè occorre immettere nella macchina il concetto di “realtà”, a questo punto ecco che ha la base per potere costruire un’intenzionalità, e cioè se gli si dice che esiste una realtà che non può essere messa in discussione e che tutte le affermazioni che vengono fatte, che vengono poste, devono essere adeguate alla realtà, e se no devono essere respinte, allora incomincia a fare quello che fa il piccolo umano, e cioè incomincia a dire delle cose ma guardando bene che queste cose che dice non vadano contro a quello che gli è stato insegnato, perché deve essere così, quindi se le affermazioni che fa devono essere confrontate con la realtà allora questo implica immediatamente un altro elemento: per continuare a parlare, quindi perché le mie affermazioni possano avere effetto sul mio discorso e su altri, perché è quello che impara da subito, queste cose devono essere vere rispetto alla realtà, perché se no, se non corrispondono alla realtà allora non vengono accolte e quindi io non posso più utilizzarle, non posso più utilizzarle per parlare con gli altri e per dire agli altri le mie verità. Il passo successivo è: ogni volta che trova un’affermazione che corrisponde alla realtà questa affermazione è universale, e cioè è riconosciuta da tutti perché è così, quindi la macchina cercherà quelle proposizioni, e solo quelle proposizioni, che essendo conformi alla realtà sono accettate da tutti, cioè sono condivise, ed è solo a questo punto che può incominciare a valutare le cose che dice, scartare quelle che non vanno bene perché non sono riconosciute dagli altri e costruire solo quelle che sono passibili di riconoscimento, perché? Perché quelle passibili di riconoscimento sono quelle vere e quelle vere sono quelle che gli consentono di andare avanti, di costruirne altre, cioè di proseguire, di continuare a “vivere”. Detta così può apparire molto semplice, però poi la cosa si complica perché la macchina che è stata programmata a questa maniera così bislacca tanto da renderla inutile, si trova a un certo punto a costruire le sue proposizioni, le sue affermazioni, però si accorge che un’altra macchina ha tratto conclusioni diverse perché quest’altra macchina, che è programmata come lei, cioè deve fare esattamente le stesse cose, ma è stata programmata da un’altra persona e per quest’altra persona la realtà era un po’ differente, e allora le proposizioni che quest’altra macchina, la macchina B costruisce collimano sempre con la realtà, ma è una realtà che è modellata su premesse che non sono esattamente le stesse della macchina A, e allora la macchina A dice “come? se questo che io affermo è la realtà allora tu che sei la macchina B che affermi un’altra cosa o non hai capito niente oppure sei in mala fede e allora se non hai capito niente ti devo educare per benino, se invece sei in mala fede ti devo abbattere”, e le macchine incominciano a farsi la guerra perché la verità che stanno affermando, essendo programmate in questo modo, non può essere messa in discussione perché è la realtà, e la realtà è quello che è, “è stato detto che è quella che è” non può essere un’altra, e se la mia proposizione, quello che io affermo collima con la realtà che io so che è, non è neanche pensabile che un’altra macchina pensi in un altro modo, cioè faccia delle affermazioni differenti dalle mie e ritenga che queste affermazioni differenti dalle mie corrispondano alla realtà, la realtà è una e indivisibile. E allora le macchine si organizzano, quelle che pensano in un certo modo si mettono assieme e si confortano a vicenda “ma anche tu pensi come penso io?” “ sì certo è proprio così come stiamo pensando noi, la realtà è questa, le cose stanno così, ma allora perché questi altri pensano quelle cose?”, non c’è modo di capire perché la macchina B pensa in un altro modo, non può farlo, non può capirlo in nessun modo perché è stata programmata per vedere la realtà in un certo modo non in un altro, e quindi continuerà a vederla sempre esattamente allo stesso modo. La stessa cosa fanno tutte le macchine che pensano come la macchina B. Allora bisogna trovare il modo di risolvere il problema eliminando tutte le macchine B e allora si torna a questa armonia, al paradiso perduto in cui tutti sapevano la verità e sapevano esattamente come stanno le cose, una volta che abbiamo eliminato tutti i mal pensanti. Torniamo all’intenzionalità, che è quella di produrre un’armonia, l’armonia non è nient’altro che l’universalizzazione di un unico modo di pensare, quello che la macchina ha se tutti pensano così, allora finalmente c’è l’armonia, finalmente tutti sanno come stanno le cose, tutti sanno che devono adeguarsi alla realtà perché la realtà è quella e quindi non ci sono più conflitti, perché non ci siano più conflitti di nessun tipo è sufficiente che tutti quanti facciano esattamente quello che dico io. L’intenzionalità punta all’armonia, ma l’armonia intesa in questo modo cioè come una verità che diventa universale. Searle continua a dire che le macchine non possono essere come gli umani perché non hanno nessuna intenzione, è un’idiozia, così come gli umani hanno delle intenzioni allo stesso modo possono avercele le macchine. Poi, che ci voglia del tempo per costruire programmi e hardware perché avvenga una cosa del genere questo è un altro discorso, però con la rapidità con cui sta procedendo la tecnologia soprattutto in campo informatico, robotico e cibernetico possiamo pensare che forse ci vuole meno tempo di quanto si possa immaginare. Ora qual è la connessione tra il significato di un termine e l’intenzionalità? Alcuni parlano di intensionalità e estensionalità, la questione è che un elemento deve essere individuato, cioè deve avere intensionalmente un significato per potere essere utilizzato, ma il fatto che venga utilizzato in un modo qualunque, per il momento non ci interessa, il fatto che sia utilizzato questo ha a che fare con l’intenzione cioè con la necessità di usare quell’elemento per costruire una sequenza che risulti vera, se no non avrebbe nessun interesse, non ci sarebbe neanche nessun significato perché non ci sarebbe l’intenzione di usare questa cosa. È per essere utilizzabile che qualcosa, intensionalmente, deve avere un significato. Il fatto che qualcosa sia un significato è perché c’è un’intenzione di usarlo in qualche modo, cioè di potere costruire delle sequenze, cioè di potere affermare che quello che io dico è vero. Anche per potere affermare che ciò che dico è vero ho bisogno di significati ovviamente, ma i significati sono già forniti, sono lì, sono nel dizionario, il dizionario, lo ho detto tante volte, non è altro che un libretto delle istruzioni per eseguire il linguaggio, uno sa come utilizzare una certa parola cioè come inserirla, come combinarla.