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31-7-2003

 

L’esercizio del potere

 

Ci sono questioni intorno al potere? Pare effettivamente che gli umani vivano di questo, in quanto il loro discorso, il discorso di cui sono fatti, non fa nient’altro che stabilire la propria verità sul resto del mondo. La propria verità cioè quelle proposizioni che ha stabilito essere vere. Fanno qualche cos’altro gli umani, al di là di questo? Questo potrebbe anche essere un modo di argomentare, abbastanza immediato per ciascuno: accorgersi che le cose che fa non sono altro che stabilire in qualunque conversazione, in qualunque situazione, stabilire una certa verità sulle cose. Se riusciamo a fare passare questo poi tutto il resto è più semplice, magari ponendo tutto ciò come domanda retorica: “è possibile che gli uomini possano fare altro al di fuori di questo?” Certo è rischioso perché ci sono molte risposte che possono darsi e noi dovremmo ricondurle a ciò che a noi interessa. Ad esempio si potrebbe rispondere: “sì, occuparsi del bene del prossimo”. Trovare dunque dei modi fluidi e veloci per ricondurre alla questione del potere, perché nel luogo comune non c’è nessun potere nel fare una cosa del genere, è inteso come un potere nel senso di una possibilità, capacità di fare una certa cosa, non si intende generalmente come esercizio di potere sull’altro, come per esempio fare della beneficenza. E invece ciò che stiamo dicendo è che si tratta sempre e soltanto di un esercizio di potere sull’altro, cioè del discorso, su qualunque altra cosa. Come si potrebbe costruire una argomentazione del genere Cesare?

Intervento: con il suo potere far decidere gli altri

È un po’ forzata e non è di grande efficacia. Perché non è un esercizio del potere, potrebbe obiettare lui, ma è astensione dal potere della quale astensione mia altri potranno fare l’uso che ritengono più opportuno, ma in ogni caso è una astensione dal potere, non l’esercizio del potere…

Intervento:…

Sì è possibile ricondurlo, tecnicamente, al potere però è un po’ macchinoso e non è sicuramente così fluida, veloce e efficace, ma d’altra parte quando ciascuno parla il più delle volte che cosa fa? Afferma delle cose, sia che descriva sia che dia ordini, sia che dia consigli, sia che faccia altre cose ma anche quando è nel dubbio e nell’incertezza, in ogni caso sta lavorando per trovare una affermazione e cioè una direzione che può cogliere come vera, così come quando descrive un evento e lo descrive così come è avvenuto, la sua descrizione è vera, è reale, quando impartisce degli ordini per esempio, il capo officina all’operaio “vada a quel tornio”, da un ordine, come dire che questo ordine riflette una necessità è necessario che lui vada al tornio a fare non so che, e se una cosa è necessaria vuole dire che è vera, potrà essere funzionale e vera rispetto al gioco che sta facendo, al lavoro che sta facendo e cioè sono tutte affermazioni. Affermare qualcosa, come dice la parola stessa, è fermarla per qualcosa, e la si ferma in quanto è vera, in quanto si sa che è vera, non lo si farebbe se fosse falsa a meno di mentire ma anche nella menzogna sappiamo che per potere mentire occorre sapere qual è la verità, perché se non so qual è la verità non posso mentire e allora se una persona passa una buona parte della giornata a compiere affermazioni queste affermazioni che cosa sono? Se non un esercizio in cui mostra, dice, stabilisce, indica a seconda dei casi la verità, un qualcosa che è vero. E fin qui potremmo abbastanza facilmente essere seguiti da un pubblico, non diciamo niente di particolare, il passo successivo che dovremo fare compiere al nostro uditorio è considerare che non soltanto in queste occasioni particolari, ma in ciascuna occasione si compie esattamente la stessa cosa, e allora dobbiamo inventarci tutte le possibili obiezioni. Se io a questo punto affermassi: “qualunque cosa gli umani facciano o non facciamo è un esercizio di potere, cioè un esercizio di verità”, qual è la prima obiezione che vi verrebbe in mente, di fronte a un’affermazione del genere? Pensate alle obiezioni che possono venirvi rivolte…

Intervento: come posso volere la verità della sofferenza? Una cosa che invece io voglio negare…

Ecco, questa è una obiezione, e cosa risponderesti, se si facesse questa obiezione, cosa tutt’altro che inverosimile?

Intervento: io direi che la sofferenza è la conseguenza del suo discorso

E già lì ti fermerebbe probabilmente poiché la sofferenza, la parola stessa lo dice, comporta il il subire, il patire le cose non l’agirle, la sofferenza non la si agisce, proprio etimologicamente la si patisce e quindi non è un esercizio di potere, ma è il subire e non potere non farlo, è il potere di qualcosa o di qualcuno su di me che mi infligge la sofferenza, così direbbe l’obiettore…

Intervento: la sofferenza ha il potere di far sì che io non possa pormi interrogazioni di altro conto

Questo è un effetto…

Intervento: il valore della sofferenza

Potrei dire che in questo caso non è né vero né falso, questa sofferenza in effetti io non la sottopongo a un criterio verofunzionale, quando mi pesto un dito con un martello non comincio a chiedermi se è vero o se è falso ma, come dicevamo la volta scorsa, lo sento, nessuno che si scotta un dito con la sigaretta, dopo essersi scottato si chiede: “ma è vero o è falso che mi sono scottato il dito?” Perché non se lo chiede? Perché lo sente istantaneamente, per questo non è sottoponibile a un criterio vero funzionale, pertanto lo subisco e non lo agisco e dunque non esercito nessun potere e allora c’è almeno una occasione in cui io non esercito il potere e voi avete torto, e allora come la mettiamo? Dobbiamo arguire che questo signore ha ragione e tornarcene a casa mogi, mogi?

Intervento: sono giochi linguistici diversi l’agire e il subire… l’agire posso dire che sono io che lo costruisco ma il subire diventa un sentire…

Non è proprio così, anche nell’agire c’è il sentire, se io per esempio scarto un cioccolatino e me lo mangio, io agisco e lo sento poiché mi si scioglie in bocca con gradevolissimo sapore, lo sento, alla stessa stregua in cui invece se sento che metto in bocca della benzina, la sputo immediatamente. Così come con piacere posso sentire una carezza, allo stesso modo sento con dispiacere una pedata

Intervento: mi sembrava che questa differenza fra l’agire e il subire…

Sì perché è più evidente, più macroscopico il fatto del dolore piuttosto che la cosa piacevole…

Intervento: a noi interessa portare il discorso ad intendere che laddove produco sofferenza sto facendo un gioco specifico

No, questa è una petizione di principio perché è questo che dobbiamo provare, che è un gioco linguistico, non possiamo partire dal gioco linguistico…

Intervento: io costruisco la sofferenza al pari…

E no, siamo ancora al di là, la costruzione della sofferenza è qualcosa che dobbiamo porre, quell’altro dice no, la sofferenza non si costruisce, si patisce. Siamo al sentire “io lo sento” siamo sempre alla solita questione, lo sento e quindi indipendentemente dal linguaggio…

Intervento: qui è il mondo esterno che infierisce su di me

Intervento: è paradossale è la sofferenza che ha il potere su di me

Sì, come dicevo prima sono queste le regole: qualche cosa o qualcuno che infligge la sofferenza…

Intervento: non sono io che la costruisco

Se Cesare mi desse una pedata in uno stinco ecco che io patirei un dolore, ora Beatrice vuole farci intendere che questo è un esercizio di un mio potere, sentire il dolore per la pedata allo stinco? È questo che vuole farci credere?

Intervento: partiamo sempre da che cosa fa il linguaggio cerca delle proposizioni vere e quindi…

In questo caso io avrei preferito che fosse falsa…

Intervento: una sensazione che proviene dall’esterno non è comunque provabile all’esterno del mio pensiero di conseguenza quando la voglio esternare ad un terzo devo fare un esercizio di potere perché devo fare in modo che l’altro creda che io stia soffrendo

È un caso particolare perché io potrei anche non volerlo comunicare a nessuno ma lo sento lo stesso: Cesare mi da una pedata e io non voglio fare vedere che mi ha dato una pedata e allora stringo i denti, taccio e non mostro nulla al pubblico, mentre soffro tremendamente, e allora, signore e signori? Nessuno ha qualche idea? Cesare nessuna idea al riguardo?

Intervento: di fronte alla questione che nessuno può provare le sensazioni all’altro

Sì questa è la questione di cui parlavamo la volta scorsa, che è una questione bizzarra, l’abbiamo liquidata così come una bizzarria ma a questo punto dobbiamo affrontarla in un modo un po’ più preciso, ché può essere fondamentale…

Intervento: anche quando parlo tra me e me e dico di aver mal di denti io sento il mal di denti e quindi io so comunque che il mal di denti da quando ho imparato a parlare, una serie di argomentazioni che utilizzo mi portano ad affermare che ho mal di denti, questa cosa sono abituata a chiamarla “mal di denti” e quindi necessariamente tutto il contesto del discorso lo pone…

Sì, sì lo possono chiamare anche pippo, fa male lo stesso…

Intervento: certamente però è difficile perché io di fronte al mio parlare chiami questa cosa pippo, certo potrebbe essere un codice ma questo è un altro discorso

Perché so che si chiama dente quella cosa lì, e questo mi consente soltanto di individuare, localizzare il dolore…

Intervento: potrebbe essere una forte eccitazione… una variazione di stato e per questa variazione di stato utilizzo il mal di denti

Per descriverla, certo…

Intervento: per descriverla parlando fra me e me questo è il mal di denti

E magari si sbaglia pure perché non è il dente ma un dolore da un’altra parte… e allora?

Intervento: al momento in cui il discorso utilizza il mal di denti, lo chiama in questo modo, necessariamente, a meno che non sia un masochista sperticato, necessariamente il suo discorso intraprende quelle che sono le vie del mal di denti, come descrizione e quindi va dal dentista

Ma tutto questo in che modo ci è utile in questo discorso?

Intervento: ci è utile per intendere come al momento in cui mi trovo a parlare sia assolutamente difficile per esempio pormi una domanda come questa

Sì, ma le argomentazioni che stiamo costruendo servono proprio ad aggirare una questione che, logicamente è inattaccabile, ma che è molto difficile fare intendere, e cioè che senza il linguaggio non c’è neanche il mal di denti, è vero sì, ma detta così non è che sortisca chissà quale effetto. Occorre che muoviamo da un altro punto, e cioè dal corpo, perché ciò che accade, qualunque variazione di stato il corpo fornisca al linguaggio, per i motivi di cui dicevamo la volta scorsa, lo stabilisce immediatamente come vero, esistente e quindi vero, se esiste allora è vero. Immaginate una macchina, la quale macchina è provvista di sensori e questi sensori rilevano una variazione termica, ora queste informazioni che vengono trasmesse dal rilevatore, dal termometro in questo caso, vengono inviate per esempio a un computer, allora questo computer cosa fa? Rileva quella variazione termica e per lui quella variazione esiste, esiste perché il programma operativo è fatto in modo tale che se avverte questa cosa allora rileva che esiste e l’esistenza di questa cosa la segnala per esempio con un led che lampeggia. Dunque da quel momento esiste, cioè una volta che arriva questo impulso non è sottoposto a un criterio verofunzionale, viene immediatamente tradotto con qualcosa che esiste, che c’è e viene segnalato come tale. Ora tutto questo discorso per dirvi che tutto ciò che il linguaggio può rilevare come appartenente a sé, qualunque cosa sia, per questo sistema operativo che è il linguaggio, viene stabilito essere vero, esistente e quindi vero, se qualcosa esiste allora è vero e allora una qualunque variazione di stato che il discorso, attraverso procedimenti di cui dicevamo la volta scorsa può attribuire a sé, dal momento, nell’istante in cui può fare questa operazione, allora esiste e allora è vero perché ciò che esiste è vero, è una questione grammaticale.

Intervento: un computer funziona così: zero, uno c’è o non c’è e questo è la norma. Mal di denti: c’è esiste, è vero. Questo per l’individuo normale, prendiamo il masochista…

È come il mentitore, il masochista è come…

Intervento:…

Si, come il computer lì rileva una variazione di stato; per esempio se tu inserisci un nuovo programma lui se ne accorge e lo accoglie benevolmente, se invece gli immetti un virus ecco che se ne ha a male…

Intervento:…

È vero automaticamente nell’istante in cui stabilisce che esiste, cioè viene rilevato, allora è vero: esiste = vero…

Intervento: il dolore è un passo successivo rispetto alla variazione di stato

La stessa cosa invece è l’enunciazione, la descrizione del dolore, che è un passo successivo, questo sì, ma il semplice rilevamento della variazione di stato…

Intervento: ma la variazione di stato deve essere un dolore necessariamente?

No, adesso sto parlando del dolore perché tu hai posta la questione della sofferenza, assolutamente no, certo io facevo l’esempio del cioccolatino, se metto in bocca un cioccolatino ecco che avverto una variazione di stato ma piacevole…

Intervento: la variazione di stato può portare a un piacere o a un dolore, e quindi se è un dolore… è come dovessi convincermi del fatto che sia un dolore

Una qualunque variazione di stato se supera una certa soglia allora produce quella cosa fastidiosa per cui il corpo reagisce cercando di allontanarla, una pressione leggera può essere una carezza, se invece è un maglio ecco che cambia il discorso, è sempre una pressione sulla mano, la prima di pochi grammi, la seconda di duemila tonnellate…

Intervento: non è che non sa parlare quando parla di sofferenza non è che parla di giocherellare

Intervento: ma non la percepisce come una sofferenza?

Intervento: la percepisce come sofferenza

Ma la cerca, la cerca per motivi suoi…

Intervento: la considera come un piacere

In un certo senso sì, avverte una sofferenza, qualcosa gli fa male, però questo male è inserito all’interno di un altro gioco e allora in base a regole differenti reagisce dicendo che gli fa piacere, entro certi limiti, poi il masochista anche lui si ferma, se qualcuno gli strappa le unghie… anche se è un masochista dubito che apprezzi l’operazione, c’è un masochista presente in sala?

Intervento: il potere è cercare proposizioni vere

Più che cercarle è imporle, l’imposizione del discorso, delle proposizioni che ha reperito essere vere sul resto del mondo…

Intervento:…

Sì, è una proposizione assolutamente vera, il sistema operativo la riconosce come esistente e quindi vera, negli altri casi non la riconosce come immediatamente esistente e quindi deve basarsi su altri elementi…

Intervento: come può la sofferenza essere un esercizio di potere?

Sì, questa è l’obiezione che il pubblico avrebbe fatto…

Intervento: e quindi su se stessa… ma se come ha detto lei il potere è l’esigenza di dover imporre il proprio discorso sull’esterno come può interessarmi il problema del potere una cosa che riguarda me?

Hai dimenticato il punto da cui siamo partiti, e cioè dopo avere detto che il tizio che impone all’operaio dopo avere detto che… tutte queste operazioni non sono altro che esercizi di potere in quanto io espleto il mio potere sulle cose e fin qui avevamo detto che buona parte del pubblico avrebbe acconsentito, il passo successivo era indurre tale pubblico a considerare che qualunque operazione io faccia o non faccia, comunque è un esercizio di potere, ecco che allora è sorta la tua obiezione “ma con la sofferenza come si fa?” e allora io ho posto questa ulteriore obiezione: “se Cesare mi da un calcio nello stinco quale razza di potere sto esercitando?” e allora forse è da chiarire come anche la sofferenza o il piacere siano esercizi di potere, cioè esercizi di verità, ché è questa la tesi che dobbiamo sostenere. Dicevamo prima del corpo, il quale corpo viene costruito dal linguaggio attraverso questa particella che si chiama “io”, può attribuire a questo io e quindi al corpo tutto ciò che rileva, tutto ciò che quindi appartiene direttamente a questo discorso, ora da qui dobbiamo passare all’esercizio di verità, sempre tenendo conto intanto che è il discorso che sta funzionando prima ancora della persona. Che cos’è un esercizio di verità? Stabilire che una proposizione è vera ovviamente, ma se il sistema operativo mi consente di tagliare tutta una serie di passaggi di verifica di una certa proposizione, consentendo a se stesso di affermare l’immediata esistenza di qualcosa e quindi di conseguenza la sua immediata verità, ecco che allora tutto ciò che rileva come esistente è immediatamente e automaticamente vero, allora tutto ciò che il corpo avverte, qualunque cosa bella, brutta, piacevole o spiacevole è immediatamente vera, perché? Perché il discorso sta attribuendo questo a se stesso e questa operazione ha bisogno di verifiche? Qui si apre una bella questione, come dire che c’è l’eventualità che tutto ciò che il discorso può attribuire a se stesso, essendo automaticamente vero, costituisca, anche, il criterio di verità di tutto ciò che lo circonda e che quindi non gli appartiene direttamente. È una bella questione, che apre di nuovo infinite vie intorno al il discorso come autoreferente, adesso non stiamo parlando di linguaggio ma di discorso, cioè della messa in atto del linguaggio, che costruisce un discorso, con tutti gli annessi e connessi e sto dicendo che tutto ciò che questo discorso può attribuire a sé e al suo funzionamento appare essere automaticamente e immediatamente vero. Quale criterio sta utilizzando per fare una cosa del genere, perché appare che la faccia questa operazione? Un pensiero riguarda sempre altre cose, che non sono il discorso, e quindi ha bisogno di tutta una serie di operazioni di verifica ma invece ciò che lo riguarda direttamente, come per esempio il corpo, non ha bisogno di nessuna verifica, è automaticamente vero. Noi ci chiedevamo perché una cosa non può essere dimostrata ma creduta con assoluta certezza, come il mal di denti per esempio, e in effetti non può essere dimostrata, appare che ciò che richiede dimostrazione per potere essere vero siano soltanto cose che non appartengono al discorso, non direttamente, ma ciò che gli appartiene direttamente no, il discorso lo stabilisce come immediatamente vero perché esiste. Questa è una bella questione da considerare: l’autoreferenzialità del discorso, è su questo che dobbiamo riflettere, sull’autoreferenzialità del discorso e quindi dell’io. Stando a ciò che stiamo dicendo parrebbe così: il corpo che subisce questo bizzarro andamento, e cioè apparentemente è come se il corpo fornisse delle sensazioni, il linguaggio le elabora e quindi le restituisce, la questione è che lo stesso corpo non viene prima del linguaggio, perché è dal momento in cui c’è il linguaggio che io so di avere un corpo…

Intervento:…

In un certo senso sì, però la cosa su cui dobbiamo lavorare è rendere molto chiaro questo aspetto, cioè il fatto che il corpo è costruito dal linguaggio, e che senza linguaggio non ho nessun corpo né nessun’altra cosa, dopodiché intendere quest’altra questione, cosa tutt’altro che semplice…

Intervento: dal momento in cui l’io ha un corpo…

Allora tutto ciò che questo corpo dice è automaticamente vero perché esiste…

Intervento: e quindi anche la questione della potenza

Dopo, certo, però prima dobbiamo risolvere questi due problemini e allora tutta la questione della potenza diverrà semplice…

Intervento: sembrerebbe una regola del gioco

Sì, potrebbe anche essere…

Intervento: retoricamente

No, io invece pensavo logicamente, tutto ciò che il linguaggio può attribuire a se stesso dicevo prima esiste, afferma che esiste e quindi può anche essere una regola del gioco, in questo caso riguarda il criterio di verità, ma quale criterio? Nessuno, semplicemente stabilisce così. Complessa la questione, perché cosa vuole dire che esiste? Che lo rileva semplicemente, il linguaggio lo rileva, quindi esiste dopodiché può costruire intorno a questo un criterio di verità, può essere addirittura successivo il fatto che il linguaggio possa rilevare qualcosa e cioè che abbia questa possibilità. A questo punto però con la definizione siamo in un altro ambito…

Intervento:…

Dicevamo qualche cosa del genere tempo fa, quando parlavamo del discorso e di come si avvia, il discorso ha bisogno dell’esistenza del linguaggio…

Intervento: quindi si avvia da solo

E il corpo quindi segue un andamento simile. Bisogna pensarci molto bene…

Intervento: se uno pensa a dio può rilevare qualcosa

Molti mistici lo hanno fatto…

Intervento: non può essere autoreferenziale

Al pari di una sensazione di calore, di benessere per esempio… ci dobbiamo pensare bene è una questione fondamentale questa, e in effetti la logica porta ad affermare che il discorso è autoreferenziale, trova soltanto nei suoi elementi le condizioni di verità. Dobbiamo stabilire come il corpo sia prodotto dal linguaggio, in modo preciso ma semplice, poi passeremo a quest’altra questione, perché la prima ci risolverà la seconda. Bene, sono belle le questioni e impegnative. Avete da fare questa settimana, perché giovedì prossimo deve essere risolta questa questione, senz’altro indugio, perché abbiamo mille altre cose da fare.