31-1-2007
Aggiungiamo
qualcosa alle cose dette mercoledì scorso commentando una paginetta dal libro: Consequentia Mirabilis: Una regola logica
tra matematica e filosofia, dove si espone una critica della
suddetta consequentia. Sapete di cosa si tratta, è una implicazione
dove dalla negazione di un elemento si trae l’affermazione di se stesso, per
esempio (se non B allora B) allora B; se
non c’è B allora c’è B e di conseguenza B esiste se non esiste B, dunque scrive
così:
Per esempio la fallacia di dedurre dall’innegabile esistenza del pensiero il sé che è il soggetto
del pensare, vizia l’uso che Cartesio
fa dell’«Io penso». Ma del tutto indipendentemente da questo,
l’uomo che asserisse «Io
non penso», lungi dal contraddirsi, darebbe la migliore prova possibile della
verità di questa affermazione. La proposizione «Io non
penso» non implica «Io penso». Può darsi che
l’attitudine volitiva che noi supponiamo soggiacente all’atto di una qualunque affermazione
sia tale da risultare incompatibile con l’ammissione
«Io non penso», di modo che possiamo essere sicuri che chiunque faccia un’affermazione di questo tipo si trova a una
contraddizione. Ma il motivo di questo non è né
contenuto nella proposizione né in una sua qualche implicazione. Non si ha in
questo caso alcuna contraddizione logica.
Ancora: si afferma che l’enunciato «Non esistono
proposizioni» è autocontraddittorio, perché è esso stesso una proposizione.
Lungi dall’essere autocontraddittorio, è
assolutamente plausibile. Ci sono significative
considerazioni che indurrebbero a concludere che il concetto di proposizione è
tale da non poter mai essere esemplificato nel linguaggio o nel pensiero umano,
che «proposizione» sia una sorta di concetto ideale come il bene assoluto.
Possiamo inoltre osservare di passaggio che
Russell, il quale ammette l’esistenza
di proposizioni, negherebbe che «Non
esistono proposizioni» sia essa stessa una
proposizione. Ma supponiamo
di dimenticare tutto questo e ammettiamo che lo sia. Nondimeno
essa non è autocontraddittoria. Essa è una proposizione — ammettiamolo —
ma non afferma né implica di
essere una proposizione. Una proposizione non afferma la sua esistenza
più di quanto lo faccia una barra di ghisa. Ciò che
una proposizione asserisce è il suo contenuto.
Inoltre anche se essa implicasse
la sua esistenza, non potrebbe essere usata come un
esempio di «riaffermazione per negazione» che dimostra una nuova verità. Perché chiunque assuma che «Non esistono
proposizioni» è essa stessa una
proposizione, ha già assunto che esistono
proposizioni e che questa è una
proposizione falsa. Ma se non si suppone che «Non esistono proposizioni» sia una
proposizione, allora la sua implicazione della sua propria
esistenza non sarebbe l’implicazione dell’esistenza di una proposizione, e non si svilupperebbe
alcuna contraddizione.
Questi due esempi sono tipici. Esistono proposizioni necessarie, e alcune di loro possono essere dimostrate
-assumendo altre proposizioni necessarie come premesse- ma esse non possono venire provate
dal fatto che sono implicate dalla loro stessa negazione. Senza
restrizioni non si può dimostrare che qualcosa viene implicato in questo modo a meno che non sia già assunto. L’uso della riaffermazione attraverso la negazione non è mai legittimo come dimostrazione di
nuove verità, sebbene sia legittimo,
e spesso prezioso, come strumento per rivelare la contraddittorietà di
un’assunzione. [...]
Bene.
Ora qui il problema è che, lui dice, questa sequenza, facciamo l’esempio che fa
lui “non esistono proposizioni” non è una proposizione e se anche lo fosse, dice,
questa non implicherebbe la sua esistenza, come dire
che si da la possibilità che una sequenza sia vuota, dice, questa frase non
afferma di sé di essere una proposizione più di quanto lo affermerebbe un pezzo
di ghisa, allora tutto il lavoro che ha fatto Gödel, per esempio, dove ha
inserito una proposizione che affermava una certa cosa e in base al contenuto
di quella affermazione ha costruito il teorema di completezza, tutto questo
lavoro insieme con quello di Russel, che lui pure cita, o di Tarski il quale
afferma che la proposizione che afferma “la neve bianca” è vera se e soltanto se
la neve è bianca e quindi si basa sul suo contenuto, tutto questo dunque non
significherebbe nulla. Russel per evitare i paradossi usa la teoria dei tipi,
che abbiamo modificata rendendola più interessante
intendendo i tipi come l’inserimento di due proposizioni che risultano
contraddittorie tra loro, come inserite in giochi differenti. Oltre a questo il
fatto che una proposizione che non abbia un significato non significa niente per cui non è una proposizione né una non proposizione, non
è niente. La sequenza “questa non è una proposizione” è necessariamente una
proposizione e non può non esserlo perché insieme al suo aspetto sintattico c’è
l’aspetto semantico senza il quale non è niente, oltre appunto che per essere
sottoposta a un criterio verofunzionale e cioè potere
stabilire se è contraddittoria oppure no, se è vera oppure no, occorre che sia
una proposizione perché solo una proposizione afferma qualcosa e affermando
qualcosa è sottoponibile a un criterio verofunzionale quindi è possibile
stabilire se è vera oppure no, un pezzo di ghisa no. La cosa che a noi
interessa qui è che di fatto ciò che dicono questi personaggi va considerato
sempre molto attentamente perché non sempre dicono cose interessanti, non
sempre dicono cose vere, non sempre dicono cose dimostrabili, Wittgenstein
compreso. Ciò che costoro non hanno inteso e non intenderanno è il fatto che io stabilisca che una certa sequenza sia una
proposizione oppure no dipende dal gioco che intendo fare, sono le regole del
gioco che stabilisco di fare che dicono se una certa sequenza è una
proposizione oppure no, se io stabilisco che una sequenza è una proposizione se
afferma qualcosa che può essere inserito all’interno di un criterio
verofunzionale allora dirò che è una proposizione, se invece voglio chiamare
proposizione questo orologio, ecco che allora il gioco sarà diverso. Ma la
questione che ci interessa è che nessuno ha inteso che
non si da nessuna possibilità di stabilire una definizione in modo assoluto e
irreversibile, qualunque definizione è tale in base alle regole del gioco che
la definisce, e così tutto questo discorso che mira a dire che quella certa sequenza
è una proposizione oppure no è totalmente risibile, lo è se è inserita
all’interno di un gioco che dice che è una proposizione, se è all’interno di un
gioco che non dice che è una proposizione allora non lo è, tutto qui, e non c’è
nulla al mondo che possa dimostrare che la definizione di proposizione sia
necessaria rispetto a un’altra, può essere più utile all’interno di un gioco,
ma di nuovo siamo all’interno di un gioco, sono sempre le regole del gioco che
si stanno facendo a decidere il significato e quindi la definizione di un certo
termine...
Intervento: come può essere un gioco che
non abbia al suo interno una proposizione? Lei ha posto l’esempio, per esempio
l’orologio però perché io possa intendere questo gioco… l’orologio è ciò che
pone l’accento in prima istanza ed è una proposizione…
No,
perché se lei costruisce un sistema dove la parola “proposizione” indica
l’orologio allora ogni volta che compare il termine “proposizione” lei intenderà
questo orologio e la sequenza di elementi linguistici
provvisti di senso che affermano qualche cosa sottoponibile a un criterio
verofunzionale non sarà una proposizione. Sì, potrebbe dire lei, ma deve sempre
usare la proposizione cioè questo l’orologio? Perché
abbiamo stabilito che questo orologio è una
proposizione…
Intervento:…
No,
non è inserito da nessuna parte, la proposizione è questo, il resto sono sequenze di elementi che non sono proposizioni perché
io ho stabilito che questo orologio è una proposizione, e se questo orologio è
una proposizione allora quell’altra non lo è. È così che si costruiscono i
sistemi logici, in base a definizioni stabilisco che
Cesare non è qui questa sera e quindi tutto ciò che costruisco sarà costruito
partendo da questo, che Cesare non c’è.
Intervento: ma io ci sono!
No,
ho stabilito che non c’è il sistema è mio. Come dicevo
tutta l’elaborazione compiuta da Gödel non avrebbe avuto nessun senso se si
fosse attenuto a una cosa del genere e cioè se avesse stabilito che una
proposizione che dice “io non sono dimostrabile”, non fosse potuta essere
inserita all’interno del sistema poiché appartenente a un gioco diverso, tutto
il suo teorema di incompletezza si sarebbe dissolto come una nuvoletta di fumo,
non avrebbe significato niente. E invece ha
significato parecchio…
Intervento: si può dire contravviene
alle regole di un gioco per le quali la proposizione è
una certa cosa…
La
questione è ancora più complessa perché possiamo stabilire un gioco ulteriore che ci fornisce le regole per stabilire quali
regole saranno inserite in questi giochi, a questo punto io stabilisco che in
un certo gioco una certa affermazione non fa parte di quel gioco, va bene, l’ho
stabilito ma è una mia decisione totalmente arbitraria, che non ha nulla di
necessario non più di quando ce l’abbia una regola del tre sette, naturalmente
procedendo a ritroso lungo questi giochi si arriva all’unico gioco che non può
essere messo in discussione perché mettendolo in discussione allora non c’è più
nessuna possibilità di costruire qualunque gioco, vale a dire le regole del
linguaggio, quelle che danno la possibilità di costruire il concetto stesso di
proposizione, l’idea stessa di gioco, la possibilità di stabilire delle regole,
e cioè un sistema inferenziale…
Intervento: la regola che stabilisce che
cos’è una proposizione ché è il linguaggio che la
stabilisce…
Esatto,
se è stabilito dal linguaggio, cioè dalla condizione
per potere stabilire qualunque condizione allora questa non può modificarsi: la
struttura del linguaggio non è modificabile neppure da se stessa. La
consequentia mirabilis afferma che dalla negazione di qualche cosa è possibile
affermare la sua esistenza, ma è una prova? Sì e no, in
effetti non è che l’abbiamo posta come la prova fondamentale perché
anche questa è all’interno di un gioco, non fa parte della struttura del linguaggio,
mentre la prova che forniamo non è una prova ma una costrizione logica, e cioè
che qualunque criterio verrà utilizzato per potere stabilire una prova o una
dimostrazione, o il concetto stesso di verità, tutto questo è consentito dalla
struttura del linguaggio e quindi sarà vincolato alla sua struttura e al di
fuori di questa struttura non c’è nessuna possibilità né di costruire alcuna
prova né di stabilire una definizione di verità.