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31-1-2002

 

La grammatica della logica 1

 

La Grammatica della Logica riprende delle questioni poste dalla Seconda Sofistica ma in modo più semplice e senza tanti fronzoli ed è ovviamente più efficace. Ciò che ho cercato di fare, poi giovedì prossimo ne parliamo dopo che lo avrete letto, è qualche cosa che traesse unicamente da ciò che si sta dicendo le regole che definisce, mi spiego meglio: mano a mano che procedo io parlo di regole di un gioco, come funzionano queste regole e in ciò che vado scrivendo mostro come non soltanto queste regole stiano funzionando ma come di fatto non possano non esserci. Gli elementi a cui giungerò ancora non ho affrontato ma ovviamente è una questione importante e sarà quella della provabilità della definizione, e cioè la domanda è questa: se è necessario all’interno, non soltanto di una elaborazione teorica ma in qualunque discorso che ciò che si afferma sia provabile oppure no. Sapete benissimo che la più parte delle elaborazioni teoriche non si pongono affatto questo problema pur dandolo per implicito, per acquisito, tant’è che se di fronte a un’argomentazione di chiunque stia elaborando qualcosa e giunga a una conclusione voi affermate che tutto è esattamente il contrario non accoglierà immediatamente le cose che avete detto, ma vi domanderà perché e il perché in questo caso prevede che se avete delle obiezioni in ogni caso le dobbiate provare. Cosa vuol dire in questo caso provare una obiezione? Condurre un percorso, una sequenza di proposizioni che muovano da una che, per esempio, è l’assioma da cui è partito e attraverso un serie di proposizioni coerenti tra loro giunga a un’altra proposizione che è contraddittoria a quella che lui ha affermato o quanto meno contraddice, cioè è deducibile, è possibile dedurre dalla proposizione dalla quale è partito una proposizione che contraddice quella a cui lui è arrivato. Allora a questo punto che succede generalmente? Generalmente succede questo, che la persona che ha elaborato la sua teoria la rivede, come è sempre avvenuto, è difficile che continui a proseguire nonostante qualcuno abbia dimostrato che ciò che afferma è autocontraddittorio, Frege tanto per dirne uno ma non solo lui. Vi siete mai chiesti perché non prosegue per la stessa strada?

Intervento: Se qualcuno gli ha dimostrato che il suo sistema è autocontraddittorio…

Potrebbe essere una domanda interessante, perché non continua lo stesso?

Intervento: Perché non ha più la certezza che sia vera.

Sì, certo, e quindi? Solo per questo? Perché non continua lo stesso? Potrebbe farlo ma non lo fa…

Intervento: Sta facendo qualche cosa che non è fondabile.

O che sa essere falso e questo piccolo dettaglio è sufficiente perché lui interrompa quella direzione, cioè non la segue più. È curioso, pare assolutamente banale però se ci riflettete bene… Ora, come vi dicevo prima, in linea di massima non ci si cura affatto in ambito teorico che le proprie affermazioni siano provabili, è raro trovare qualcuno che abbia una minima cura di una cosa del genere, come se tutto questo non avesse nessuna importanza. Può anche darsi che non ne abbia, ciò non di meno di fronte per esempio a un discorso che confuta il suo, questo personaggio se ne avrebbe a male se comunque mostrasse l’infondatezza delle sue affermazioni. Ora, alcuni hanno avuto un colpo di genio, sì, c’è un modo per garantire l’assoluta garanzia da qualunque accusa di infondatezza, cosa molto antica. Prendete i padri della chiesa, bravi alcuni per molti versi, vedete basta porre a fondamento di tutto qualcosa che per definizione non è provabile e bell’e fatto, è deducibile da altre argomentazioni. Infatti, prima stavamo affrontando la questione del deducibile… è deducibile da altre argomentazioni, le quali argomentazioni sono costruite a partire da un elemento che non è deducibile, provabile, sostenibile, è una costruzione molto ben congeniata, come dire questo elemento che non è provabile non è che sorge dal nulla, è dedotto da tutta una serie di argomentazioni le quali però muovono da questo elemento che non è deducibile.

Non è sempre facile accorgersene però è un sistema piuttosto “robusto” e come ciascuno di voi sa perfettamente funzionante, richiede scarsa manutenzione perché l’elemento da cui muove non ha bisogno di essere né riconsiderato né aggiornato né messo in discussione mai, perché tanto non si può provare… Come una machina che non richiede nessuna manutenzione mentre altre teorie richiedono molta manutenzione perché questo principio fondamentale è soggetto a essere ridiscusso e quindi richiede un dispendio, nell’altro caso no. (…) È dichiarato, è esplicito, non è provabile e quindi è inutile star lì a perdere tempo, anche la scienza fa lo stesso discorso perché ha la stessa struttura, però non dichiarerebbe mai una cosa del genere, anzi si dà un gran da fare per costruire un qualche cosa che fondi, che sia dimostrabile per cui calcoli numerici complicati talvolta, elucubrazioni ragguardevoli, però infondabili. Quand’è che una affermazione è provabile? A questo punto sorge immediatamente questa domanda, alla quale siamo chiamati a rispondere, occorrono una serie di requisiti perché chiunque è capace di costruire prove ad hoc, i logici sono maestri in questo, si costruisce una prova in modo tale per cui si dimostra ciò che si ha in animo di dimostrare. Il problema è che questa prova muove da un elemento il quale come talvolta accade non è affatto provabile ma assolutamente arbitrario, il logici lo sanno benissimo. Wittgenstein non a caso disse: sapete quando uno ha terminato tutta la sua bella dimostrazione, dopo che cosa ha fatto? Nient’altro che avere seguito con metodo e precisione tutte le informazioni che la procedura di dimostrazione gli ha fornito, nient’altro che questo, cioè ha eseguito bene il compito. Questo Wittgenstein lo sapeva perfettamente. Ora, è chiaro perché una proposizione sia effettivamente provabile, per cui né il metodo di prova né gli elementi da cui muove possano essere messi in discussione, occorre appunto che muova da qualcosa di molto solido, potrebbe essere, come incomincio ad accennare in queste prime pagine, qualche cosa che riguarda ciò stesso che gli consente di essere costruito, questa proposizione? Problema questo antichissimo, dove andare a trovare a tirare fuori qualche cosa che costituisca una prova, la quale prova deve poi trovare un altro elemento che garantisca la validità e poi via all’infinito, non ne viene più fuori, ma se noi riuscissimo a trovare, non soltanto come criterio di verità ma come parametro definitivo unicamente ciò che consente a una proposizione di essere tale… Lo so, tutto ciò vi apparirà piuttosto strambo però in una primissima approssimazione avremmo intanto un vantaggio e cioè che non dovremmo cercare altri criteri al di fuori di sè, cosa sempre in ambito logico pericolosissima perché c’è sempre qualcuno malefico che chiede conto di quest’altro criterio. E lì cosa gli diciamo? Che ci è piaciuto quello? C’è l’eventualità che non sia soddisfatto della nostra risposta, dunque è un criterio che è all’interno dello stesso meccanismo, come dicevo può essere un vantaggio. Ora, si tratta di verificare però se questo criterio è verificabile. Già, bella questione, e con che cosa lo verifichiamo? Altra antichissima questione. Pochi si sono posti domande del genere ma hanno fatto malissimo a non porsele perché ciò che ne è seguito è che tutto ciò che hanno costruito è assolutamente negabile, in alcuni casi anche molto facilmente. Però, dicevo, dunque cosa utilizzeremo per verificare una cosa del genere, cioè la verificabilità del criterio che utilizziamo? E se utilizzassimo ciò stesso che ci consente di costruire tutte le proposizioni che sto facendo in questo momento? Per esempio, provate a considerare questa eventualità, potrei utilizzarlo come criterio pubblicamente, è un criterio che vale come qualunque altro però offre un altro vantaggio, che è fatto di regole che io stesso non posso negare a meno che non cessi istantaneamente di compiere questa operazione. Per il momento consideratelo solo come un criterio, nel modo più astratto possibile, anche perché supponiamo che utilizzi un altro criterio, uno qualunque non ha grande importanza, di che cosa sarà fatto questo criterio? Di proposizioni o di che altro? Ci troveremmo ad avere una sorta di sovrastruttura, mentre possiamo semplicemente considerare quella più semplice e più banale e cioè quella che mi sta consentendo di fare il discorso che vi sto facendo. Ora, dunque provate a pensare di utilizzare soltanto come criterio per la costruzione di una teoria o di una prova unicamente quelle regole che state utilizzando per potere affermare che volete costruire un sistema di prova per una teoria, vi troverete nell’eventualità di avere in mano un altro vantaggio e cioè di accorgervi che state utilizzando unicamente un gioco con le sue regole, le quali regole sono esattamente quelle che vi stanno consentendo di pensare, di dire, di costruire un sistema di prova, nient’altro che questo. È possibile costruire altre regole? Sì, certamente, infinite altre, ma con che cosa? Con queste di cui vi sto dicendo o quali altre? Cioè quelle che mi consentono di costruire proposizioni, pensieri infiniti, se volete proposizioni, queste possono essere costruite unicamente con delle regole. Possiamo individuarne in una prima approssimazione tre, così giusto a scopo descrittivo, regole di esclusione, ciascun elemento che interviene occorre che escluda tutti gli altri. Perché questo? È una regola del gioco, come un qualunque gioco in effetti una regola è non soltanto un’istruzione ma è un’istruzione che vieta altre mosse; la regola funziona così per essere tale, deve necessariamente vietare altre mosse, dice solo questo: è consentita questa o quest’altra ma tutte le altre no. Una regola di formazione: quali proposizioni possono venire accolte all’interno di un discorso e quali no, perché non tutte possono venire accolte . Qui si potrebbe aprire una parentesi riguardo alla coerenza tra loro, la deducibilità però è un discorso che faremo più in là. E poi una banalissima regola di inferenza. Prendete questi tre mattoncini, potete considerarli come una serie di istruzioni, un programma perché in questo caso il linguaggio giri; togliete una di queste, nel primo caso avrete che non funzionano più regole di esclusione, per cui qualunque cosa è inclusa, qualunque cosa e il suo contrario, che potrebbe comportare qualche problema nella compilazione di proposizioni; poi togliete una regola di formazione che vi dice quali, a questo punto non sapete più, cioè questo sistema non sa più quale proposizione costruire fra tutte le infinite possibili, a quali condizioni ne accoglie una e l’altra no; e poi il sistema inferenziale, provate a toglierlo e qualunque conclusione vi sarà impedita, potete soltanto fare una serie di e, e, e, etc., ma senza potere giungere a nulla che sia una conclusione. Ora, una prima considerazione che riguarda le regole di formazione, questa può apparire molto astratta, è una definizione che si definisce attraverso se stessa ma quando una proposizione è accolta dal discorso come tale? Sembra strano ma quando il discorso la riconosce come tale, cioè quando è riconosciuta come tale dalla altre proposizioni, quando è riconosciuta come tale? Potremmo dire in primissima approssimazione che questa proposizione è riconosciuta dalle altre se segue alle altre, cioè in qualche modo è implicita nelle altre, in che modo sia implicita, in quale grado di implicazione questo per il momento non ci interessa. Vi rendete conto che stiamo soltanto considerando dei mattoncini che fanno funzionare il tutto. Allora, dunque, provate a pensare di avere individuato questi mattoncini, a questo punto torniamo alla questione da cui siamo partiti: come costruire una proposizione vera? A questo punto forse abbiamo anche degli elementi per stabilire quando il discorso riconosce come tale una proposizione, quando risponde ai requisiti delle regole del gioco ovviamente ma questi requisiti occorre che siano necessariamente quelli della non contraddizione, cioè che non si contraddicano; a questa condizione è considerata vera, poi che nel discorso comune questo non si verifichi mai questo è un altro discorso che faremo più in là, che non si verifica mai e pertanto produce affermazioni che di fatto non son vere, in questa accezione di necessità, che sono necessariamente arbitrarie, gratuite. Ma ora prendiamo ancora la questione: quando dunque è vera una proposizione? Che cosa rende un gioco tale? Delle regole abbiamo detto, un sacco di volte, ma che funzione ha il gioco all’interno di se stesso se non proseguire se stesso? Le regole non sono fatte per altro che per fare il gioco, cioè per farlo proseguire, tant’è che se togliete le regole non giocate più, e dunque una proposizione è vera quando consente al gioco di proseguire, può proseguire quando la proposizione che produce non è autocontraddittoria perché affermando se stessa e il suo contrario viola la regola che è fondamentale per questo gioco e cioè la regola di formazione che deve produrre unicamente proposizioni che consentano al gioco di proseguire. C’è l’eventualità che non potremo trovare un migliore criterio per stabilire la verità di una proposizione però lo valuteremo in seguito. Allora, a questo punto avete un criterio per costruire delle proposizioni ma anche un criterio di verifica di proposizioni, tenete conto che è ancora astratto e incompleto però mano a mano lo completeremo. Perché è un criterio di verità soddisfacente? Perché per prodursi utilizza semplicemente e soltanto quegli elementi che sono necessari a qualunque criterio di verità, come dire qualunque criterio di verità io voglia costruire necessariamente devo utilizzare questo, non posso non farlo e quindi qualunque criterio di verità sarà sempre comunque riconducibile a questo. E poi da ultimo e non ultimo questo parametro di utilizzo e cioè ciò da cui muove è necessariamente vero, altra questione fondamentale abbiamo visto, per costruire una proposizione vera è necessario muovere da un elemento necessario. Che cosa è necessario in tutto ciò? Che ci sia un giuoco che mi consenta di pormi questa domanda per esempio. Adesso non sto utilizzando il termine linguaggio per un motivo che preferisco, per il momento si tratta di considerare soltanto la questione in termini di regole di formazione di un sistema per la costruzione di proposizioni, di stringhe, soltanto questo che poi sia linguaggio o no adesso non ci interessa. È necessario che ci sia questo gioco dunque con queste regole, quelle che mi consentono di porre, di costruire proposizioni, cioè di fare questo gioco che sto facendo in questo momento? Possiamo porre la questione in questi termini: se questo gioco non si desse allora tutto ciò che sto dicendo, tutto ciò che chiunque sta dicendo o abbia mai detto non sarebbe mai esistito. Posso costruire un sistema con una struttura diversa, cioè con regole diverse da quelle che sto descrivendo? Certo che posso, ma di nuovo la domanda: con che cosa? Utilizzerò per costruire proposizioni che mi consentiranno di costruire delle nuove regole queste oppure che cosa se no? Ad un certo punto ho parlato di una sorta di metagioco, cioè quel gioco che continua a inserire tutte quelle regole, quelle istruzioni e quelle informazioni che consentono di costruire qualunque gioco. Parlando di grammatica della logica in effetti si parla di questo, di quali sono le regole che fanno funzionare il meccanismo, compreso quello della logica, la logica quella che trovate nei vari manuali, una serie di proposizioni, poi più o meno contabilizzate, più o meno formalizzate ma sempre proposizioni. E come si costruiscono queste proposizioni che mi consentono poi di costruire per esempio una infinitizzazione del discorso? Qual è la loro grammatica, cioè quali sono le regole che necessariamente devo seguire anche se io dico che non le voglio seguire? Perché dovrò dirmi per esempio “non le voglio seguire” utilizzando una struttura precisa e non una qualunque altra cosa, per esempio “non mi piacciono le pere cotte”. Un gioco dunque che ha una sua coerenza interna, rigida, di fronte alla quale non è possibile derogare perché in qualunque modo voglia derogare da questa struttura dovrò utilizzarla, una serie di regole di formazione, istruzione per l’uso, più propriamente le condizioni che fanno girare il sistema, che fanno funzionare questo gioco che come ciascuno di voi sa un gioco non è fatto altro che di regole che limitando alcune mosse ne consentono altre, nient’altro che questo. Ecco, quindi, perché grammatica della logica, è chiaro che la logica a questo punto è qualcosa di estremo, potremmo affermare che è il linguaggio? Forse. Non sono la stessa cosa ma potremo dire un sacco di cose, che il linguaggio per esempio non è altro che ciò che indichiamo quando questo gioco è attivato, il problema è che non può non essere attivato, allora non è più linguaggio è un gioco, una sequenza di informazioni, quando si articola ecco che lo chiamiamo linguaggio, va bene perché no? Si erano poste già da tempo intorno al linguaggio possano essere meglio articolate e meglio chiarite, perché come avete ascoltato io non vi ho parlato affatto di linguaggio ma di una sequenza di regole di formazione, questo solo. Certo, uno può domandare da dove vengono queste informazioni? Domanda legittima, il problema è che il gioco che stiamo facendo, le regole di cui è fatto, ci costringono a rimanere all’interno di questo gioco, non ci consentono di uscirne, in questo caso c’è l’eventualità che non ci consentano di rispondere a questa domanda, è possibilissimo, il che non significa affatto mettere un elemento indicibile e ineffabile a fondamento perché non lo stiamo ponendo affatto come fondamento, è come un opzione assolutamente marginale. L’unica cosa che abbiamo posta a fondamento non è altro che quella serie di regole che mi stanno consentendo di affermare questo, tutto qui. In queste prime paginette adesso ho esposto il tutto in modo un po’ rapido, scrivendole è chiaro che risultano sempre più precise vista la maggiore attenzione alla sequenza. Cesare cosa dice così di primo ascolto? (…) Sì, reperire nulla più di quanto è necessario che ci sia perché io possa continuare a dire le cose, molto semplicemente, poi logica certo è un gioco, un gioco al giocare tra loro di elementi, un giocare vincolato da regole ovviamente. Potrebbe essere di qualche vantaggio utilizzare il termine linguaggio, non utilizzarlo ma posto unicamente come un gioco può risultare più semplice, dimostrare che questo gioco di fatto è il gioco in cui ciascuno è necessariamente preso che lo voglia o no che lo sappia o no, preso se sta parlando.

Intervento: Lei ha parlato di metagioco.

La madre di tutti i giochi. Non le piace il termine?

Intervento: Mi piace intendere la funzione di questo termine all’interno di questo gioco.

È il gioco che è condizione di qualunque altro gioco.

Intervento: La verità in qualche modo.

No, è il gioco che consente di poter affermare la verità, di poterci pensare, di poterne dire, di poter sapere qualunque cosa della verità e del suo contrario. Se vogliamo possiamo anche chiamarlo verità, non è un problema, vede è l’insieme di quelle regole che consentono di parlare di verità e se si vuole di trovarne una se non si vuole no, ma per poterlo fare occorrono una serie di informazioni. Qualunque cosa io intenda con verità comunque quello che avrò inteso l’avrò costruito attraverso un sistema, quello che io sto illustrando. Infatti, io non parlo mai di verità ma di vero sì, certo, nell’economia della costruzione di proposizioni occorre che ci sia, appunto come le proposizioni che consentono di proseguire, far funzionare il linguaggio… Se una persona mi espone la sua teoria e io gliela confuto io impedisco a questa persona di proseguire, di proseguire in quella direzione ovviamente, non può più farlo, così come ciascuno di noi quando riflette si trova di fronte a una contraddizione va per un’altra strada, di lì non può passare, non sa cosa farsene, non può fare niente Perché? Perché il gioco è fatto così e lo possiamo riscontrare in atto. Perché il computer funziona in un certo modo? Perché è programmato per funzionare in quel modo, non c’è un motivo trascendentale. Perché il gioco del poker è fatto così? Perché le sue regole sono state inventate così.

Intervento: Lei ha affermato che se il linguaggio fosse strutturato in un altro modo la “realtà” delle cose sarebbe in un altro modo.

Sì, ma rimane un’ipotesi, non sappiamo neppure se esisterebbe la questione, non possiamo saperlo.

Intervento: Una relazione fra struttura e produzione.

Allora produco una proposizione che chiamo realtà, che dice di altre proposizioni ovviamente, tant’è che la realtà posso definirla, chiunque sa definire la realtà, il gioco fa solo questo, costruisce una proposizione che consente di chiamare in un certo modo e attribuisce a questa altre proposizioni, quello che generalmente Greimas chiamava campo semantico, la connotazione… Ora, anche qui chiaramente sono tutte questioni che dovremo affrontare, quali sono le condizioni di derivabilità e cioè perché in un ambito di un certo discorso alcune proposizioni vengono accolte e altre no, si può fare e lo faremo sicuramente, anzi può essere importante, parlare di coerenza e deducibilità, di induzione, non so se ha un grande interesse, né di abduzione, sono entrambi comunque riconducibili alla deduzione, solo che ci mettono un elemento che non è deducibile, tutto il resto… Perché se così fosse, dicevo prima, e cioè che rispetto alla grammatica della logica ci occupiamo di come funziona il gioco, cosa lo fa girare, allora proponendo una teoria del linguaggio dovremmo occuparci di ciò che accade quando tutto ciò è in funzione effettivamente sta funzionando, non lo so se è una distinzione che ha qualche interesse, una qualche utilità, forse no, però si può quanto meno considerare. Lodari ha qualche considerazione così a caldo?

Intervento: Si tratta per un attimo di tralasciare l’oggetto “automobile” (linguaggio) per vedere… si tratta di interrogarsi su qual è l’oggetto su cui si opera, quindi sulla proposizione stessa…

Interrogarsi sull’oggetto su cui si opera? Propriamente a quali condizioni posso operare su qualunque oggetto, cosa mi consente di farlo? In questo caso però concilio le due cose…

Intervento: Difficile devo valutare almeno tre criteri, mi risulta complicato perché ogni criterio esige questa procedura… e così non si finisce più…

No, la risposta è immediata e anche semplice: quel criterio è necessario perché io possa affermare quel criterio; togliamo il criterio di esclusione adesso, allora non posso più affermare un criterio di esclusione, non lo posso neanche più dire perché a questo punto, portando la cosa alle estreme conseguenze, posso sostituire alla parola criterio una qualunque altra, sigaretta per esempio, e qualunque altra parola con qualunque altra e quindi io non posso più affermare quello che sto affermando, non posso più affermare che è necessario un criterio di esclusione. Ecco perché questo criterio e non un altro, perché sono quei criteri senza i quali io non posso più andare avanti, che mi impediscono di compiere qualunque affermazione, di domandarmi, di fare qualunque cosa. Infatti, li ho posti come necessari, tre il minimo che mi è sembrato necessario, preferisco sempre usare il rasoio di Occam, in questi casi, evitare tutto ciò che non è necessario per proseguire. Poi, ho formulato per esempio questa proposizione, per esempio “che esiste un criterio di esclusione”? Sì, l’ho costruito e quindi anche una teoria che mi consente di costruirla. Per il momento non mi sembra che ci siano altri criteri necessari per la costruzione di proposizioni, probabilmente è possibile che tutti e tre siano riconducibili a uno solo, è possibile anche questo, non lo posso escludere, per il momento ne considero tre. (…) Dove ci condurrà, è ovvio che ciascuno di questi tre in qualche modo è riconducibile agli altri due perché li implica in qualche modo. (…)

Intervento: Ovviamente sono tutti e tre in atto mentre si parla.

Certo, sì, è un fondamento un po’ più robusto a tutto ciò che andiamo facendo, più solido, tutto ciò che ho detto intorno al linguaggio nella Seconda Sofistica in buona parte funziona, molte cose sono inutili e altre discutibili, in alcuni momenti mi sono lasciato prendere la mano. Certo, sono passati dieci anni, da allora e molte cose sono state dette, considerate, molte cose scritte lì sono inutili, per questo è così lunga, ci sono un sacco di cose ridondanti, che in quel caso potevano apparire opportune, perché non era sufficientemente chiaro. Tornate a pensare a quel sistema di cui dicevo prima, quello che ho definito una genialata, porre un assioma generale da cui tutto “move”, una specie di buco vuoto, dove ciascuno ci mette quello che gli pare o il suo contrario… Bene, questo buco vuoto noi l’abbiamo riempito unicamente di ciò che ci consente di parlare, cioè una serie di istruzioni, un gioco, un gioco che sta funzionando, a questo punto l’assioma, possiamo chiamarlo così se no lo chiamiamo come ci pare, risulta necessario, perché? Perché me lo sto domandando per esempio, semplice.