INDIETRO

 

 

30-10-2013

 

Come avviene che da un sistema che ha una semantica referenziale si passi a un altro che ha una semantica inferenziale? Una macchina o un sistema formale hanno una semantica unicamente referenziale, in pratica ogni elemento interviene significa una cosa stabilita, ma gli umani non si muovono propriamente così, è un po’ più complicato, eppure anche gli umani quando iniziano a parlare si trovano nella condizione di ricevere una trasmissione di informazioni e istruzioni per utilizzarle proprio come una macchina, però subito dopo il discorso cambia. La questione è che una macchina, un sistema qualunque, un sistema formale, muove da assiomi che sono quelli, si stabiliscono le regole per costruire formule ben formate sempre più complesse, però sempre partendo dagli assiomi stabiliti. Negli umani, e forse anche nelle macchine più sofisticate non c’è soltanto un gruppo di assiomi di partenza, ma ci sono più sistemi di assiomi, questo comporta che si costruiscono dei giochi linguistici, delle sequenze che muovono da premesse differenti, e cioè si costruisce un gioco linguistico che ha certe premesse, per esempio “questo è un pacchetto di sigarette, quindi questo è un pacchetto di sigarette” però si possono aggiungere altri assiomi perché il “questo è questo” può essere inteso come un algoritmo che può applicarsi a qualunque cosa, come di fatto poi si applica a vari aggeggi, quindi all’interno del sistema possono intervenire, come intervengono, giochi linguistici costruiti su assiomi, su premesse differenti. Questo comporta che un certo gioco linguistico con delle premesse giunge a certe conclusioni che procedono da quelle premesse, se all’interno del sistema c’è un altro gioco linguistico con premesse differenti queste premesse, attraverso dei passaggi giungeranno, a conclusioni differenti dalla prima, possono entrare in conflitto? Tecnicamente no, però invece accade, accade quando dal giudizio di esistenza, che potremmo indicare semplicemente con “questo è questo” con tutte le sue varianti e aggiunte e implementazioni varie, si passa al giudizio di valore. Qui la questione si fa più complicata perché il giudizio di valore attribuisce un valore a affermazioni che non procedono, diciamola così, direttamente da un sistema formale, i giudizi di valore si rivolgono a questioni come buono/cattivo, giusto/sbagliato, probabile/improbabile, opportuno/sconveniente. I giudizi di valore hanno un'unica prerogativa importante, e cioè il fatto che ha valore ciò che consente di acquisire e mantenere il potere, cioè ha valore ciò che è creduto essere vero. Introdurre una cosa del genere è come scoperchiare il vaso di Pandora: supponiamo un sistema linguistico, poi all’interno del sistema giochi linguistici, premesse differenti con conclusioni differenti, non necessariamente in contraddizione tra loro, sono soltanto giochi diversi, poi, quali di questi giochi viene accolto dal sistema per proseguire? Quello vero certo però non basta che sia vero, è la condicio sine qua non, la condizione necessaria ma non sufficiente, perché ciò che si aggiunge per gli umani è che questa conclusione non solo sia vera ma sia possibile utilizzarla per esercitare del potere su altri discorsi, cioè su altre persone, quindi vanno seguite quelle direzioni che consentono di costruire delle verità che possano essere imposte su altri e quindi diano potere. Questo naturalmente ha un risvolto anche per quanto riguarda il discorso che facevamo rispetto alla semantica e alla questione del significato, perché tutto questo in buona parte deciderà del significato che io attribuirò a una certa sequenza oppure un’altra, attribuirò quel significato che è funzionale a questa operazione, e l’operazione è l’avere potere. Un discorso formalizzato ovviamente non ha queste velleità né queste ambizioni, nessuno gliele ha messe dentro, gli umani sì, chi gli ha messo dentro queste storie? Gli umani sono tali, cioè esistono in quanto umani, perché sono provvisti di fantasie di potere, levategli le fantasie di potere e si trasformano in macchine, come una macchina che sta ferma in attesa di input, però dicevamo che questi input la macchina più sofisticata che siamo noi è in grado di produrseli da sé, sono sempre sistemi di verifica, verifica delle proposizioni, verifica degli asserti, però per il momento lasciamo da parte questa questione per evitare di aggiungere complicazione alle complicazioni, ciò che ci interessa in questo momento è che gli umani compiono un’operazione in più rispetto alla semantica in un sistema formale o in una macchina, e cioè c’è l’intenzione di costruire delle sequenze che possano essere utilizzate per imporsi su altre sequenze, cosa che un sistema formale non ha. Tutto questo viene trasmesso nel momento in cui si trasmette il linguaggio, come diceva già Turing ai tempi suoi, anche la macchina si addestra utilizzando il sistema premio/punizione. Premio: ti riconosco. Punizione: non ti riconosco, sei brutto e cattivo, mentre se ti riconosco sei bravo, buono, bello eccetera e cioè in altri termini, riconosco che cosa? Te? No, riconosco quello che dici come vero e quindi se quello che dici è vero si accorda con ciò che altri, io in questo caso, dico, e accordandosi viene accolto, non viene rigettato dall’altro discorso. Quindi ciò che viene immesso, trasmesso negli umani è che delle sequenze devono accordarsi con altre sequenze quindi non più con il sistema vero funzionale interno al sistema, ma, ed è questo che si trasmette, è più importante la verifica attraverso l’altro discorso. Quale discorso? Quello che ha trasmesso il funzionamento del linguaggio, quello cioè che ha dato avvio alla possibilità stessa di parlare e quindi di pensare eccetera, in altri termini ancora ciò che viene trasmesso insieme alle informazioni e alle istruzioni per fare funzionare le informazioni, è che in queste istruzioni, cioè nel modo in cui io farò funzionare le informazioni, e una di questi è verificare se le informazioni sono corrette. La correttezza di queste informazioni sarà verificata dal discorso che mi ha trasmesso le informazioni e le istruzioni, cioè se per dirla in termini molto rozzi, come può dire una mamma ad un figlio: “quello che dici va bene finché quello che dici è quello che dico io”. Tecnicamente si potrebbe insegnare a una macchina a fare questo, ma non c’è nessuna necessità, perché, adesso parlo della “madre” che è una metafora, perché una madre insegna a fare questo al figlio, al di là del fatto che è stato insegnato anche a lei ovviamente, ma non è solo questo, è il fatto che in questo modo, in questo unico modo può avere e mantenere il controllo su questo altro nuovo discorso che si sta costruendo, che è quello del figlio, della figlia. Tale madre fa questo, sì certo, per avere potere su quell’altro discorso, ma non può non farlo, perché lei stessa è strutturata, programmata per fare questo, il suo discorso è fatto così e quindi riproduce nella trasmissione le stesse istruzioni eccetera. Ricordate il comandamento: “non avrai altro dio all’infuori di me” potremmo tradurla così “l’unico sistema di verifica che avrai sarà verificare se quello che dici è in accordo con ciò che dico io, se sì allora dici bene, se no anatema”. Tutto questo ha anche un risvolto semantico ben preciso, torniamo all’esempio della madre con il figlio che dice “quello che tu dici è giusto se è in accordo con ciò che dico io” allora anche il significato di ciò che dice il figlio deve essere in accordo, coerente con il significato imposto dal discorso della madre, o di chi per lei. Dire, come abbiamo appena detto, che la fantasia di potere è ciò che rende gli umani tali non è inappropriato, e tutto ciò che gli umani fanno, non fanno, tutto ciò che hanno costruito creato, inventato eccetera è debitore di questa necessità di costruire affermazioni vere e farle riconoscere, quindi farsi riconoscere attraverso queste affermazioni vere. Intervento: parlavamo prima di questa frase di Freud che non è padrone a casa sua, la questione della fantasia di padronanza come si connette questa idea di potere? Ha a che fare ciò che dicevamo con ciò che dice Freud?

Indirettamente, Freud dice questo perché immagina di avere inventato o scoperto l’inconscio, quindi un qualche cosa che interviene nel parlante a muoverlo in direzioni che il parlante stesso ignora, potrebbe essere un aspetto ma sicuramente non la questione centrale. Nel caso di Freud la questione parte da tutt’altra via e muove comunque dal fatto che esiste l’inconscio, solo a questa condizione Freud ha potuto affermare che l’Io non è padrone in casa sua, perché è tirato da una parte dalle richieste dell’Es, dall’altra è tirato invece dalle imposizioni del Super Io e allora l’Io si trova in mezzo, è sbalestrato da una cosa e dall’altra, deve accontentare le richieste dell’Es e dall’altra parte però non può neanche sottrarsi alle imposizioni del Super Io e allora che fa? Trova dei compromessi. Ma che dire a questo punto della semantica? Ciò che dicevamo l’altra volta è importante: c’è un significato che consente l’utilizzo delle parole, cioè il dizionario, ma una volta che si sono acquisite alcune di queste parole, queste parole incominciano a girare, a essere usate, a essere inserite in giochi linguistici sempre più complessi, questi giochi linguistici vengono costruiti a che scopo? Che è un po’ come domandarsi perché gli umani parlano, nessuno li costringe, però certo il linguaggio non può arrestarsi, ma non può arrestarsi perché è la sua struttura? O non può arrestarsi perché comunque la costruzione di proposizioni vere è necessaria alla produzione di potere? È difficile qui valutare, le due cose sembrano strettamente connesse e intrecciate, diciamo che non può non costruire proposizioni vere e nella costruzione di proposizioni vere appare implicita la fantasia di potere, che viene da lì, dal fatto di costruire proposizioni vere, che date le prime istruzioni del linguaggio devono essere costruite in modo da venire accolte dal discorso che ha insegnato a parlare, adesso diciamola così in modo rozzo, che ha trasmesso il linguaggio. Come dicevo è una questione complicata perché man mano che si affronta è come se si aprissero una quantità enorme di questioni, e bisogna trovare il modo di ricondurre queste questioni a un criterio che ci consenta di intendere che cosa c’è di necessario in tutte queste operazioni, che cosa non può non esserci perché tutto il sistema funzioni. Dunque il significato, quello che serve per potere utilizzare dei termini, quindi per costruire proposizioni, e poi il significato inferenziale, che di volta in volta questi termini acquisiscono in relazione a quel gioco in cui sono inseriti, ma questi giochi quanto devono alla necessità di soddisfare una fantasia di potere? E cioè di essere coerenti con un altro discorso che si suppone, diciamola così, per parafrasare Freud, “essere padrone, invece, in casa sua” e quindi che sa quello che dice, che grosso modo quello che pensa un bimbetto di sua madre, di suo padre “se lo dice la mamma è così”. La cosa deve essere condotta a qualcosa di molto semplice, cosa che potrebbe apparire improbabile vista come è stata posta la questione, però occorre che questo avvenga, cioè condurre il funzionamento del discorso a se stesso in un certo senso, e cioè intendere che cosa è necessario al funzionamento del discorso e ricondurre la fantasia di potere, come in parte abbiamo già fatto, al funzionamento stesso del linguaggio, vale a dire alla necessità di costruire proposizioni vere, ma come fa il discorso a sapere che sono vere? Qual è il metodo di verifica della verità di queste affermazioni, lui deve costruirle vere ma come sa che lo sono? In base a un sistema referenziale, cioè in base unicamente alla semantica interna al sistema? No, e sta qui l’inghippo, perché deve rivolgersi a un altro discorso, perché nessuno gli ha detto che la verità delle sue proposizioni dipende unicamente dal sistema che le produce, affermazione anche questa che non è né vera né falsa, è un altro gioco linguistico, però la verifica di queste proposizioni, cioè la semantica, la trae dall’accordo con un altro discorso, dall’accordarsi con un altro discorso, cioè con un altro sistema. Intervento: e si accorda con un altro discorso i suo potere non è così dirompente?

L’altro discorso non è necessariamente il discorso che appartiene a qualcuno in particolare, può essere il discorso di dio, può essere una verità di natura, può essere la realtà delle cose, può essere qualunque cosa, infatti la realtà serve a questo; questo accordarsi del mio discorso con la realtà è la conferma che ciò che io dico è vero, cioè non posso trarre la verità delle mie proposizioni, dal sistema in cui sono inserite e basta, ma da un altro discorso, può essere quello della realtà, può essere quello della mamma, può essere quello della maggioranza, può essere quello delle persone che per qualche motivo mi attraggono…

Intervento: però nel nostro caso, abbiamo costruito questo discorso, abbiamo deciso quali sono le premesse del nostro discorso e quindi quali sono le proposizioni vere, tutto ciò che noi facciamo è quello di giocare questo gioco e di concludere a una proposizione vera ma vera in base alle premesse stabilite che sono che qualsiasi cosa appartiene al linguaggio, in questo caso ciascuno può giocare questo gioco senza la necessità di un accordo con un altro discorso, perché a quel punto abbiamo dovuto intendere come funziona il linguaggio…

Questo è importante perché l’accordo con l’altro discorso muove da un'altra istruzione, cioè dal fatto che io credo che l’altro discorso dica la verità, che sia la realtà, che sia la mamma, è quella istruzione di cui parlavo prima: quando la mamma dice “Pierino, tu dici bene perché quello che dici è in accordo con ciò che io dico”, se invece Pierino non è in accordo con ciò che la mamma dice allora Pierino dice male. Questa è un’istruzione, anche questo potrebbe essere ridotto a una sorta di algoritmo, tutto ciò che è coerente con questo discorso è vero, tutto ciò che non è coerente è falso…

Intervento: pare che in questo caso sia differente nel senso che riguarda le premesse che non sono negabili…

La differenza fondamentale è sapere oppure non sapere che il discorso che si sta facendo muove da istruzioni, regole, assiomi gratuiti, che di per sé non sono né veri né falsi, però si può saperlo, e sapendolo si può giocare con tutte queste cose, non sapendolo allora ovviamente è la verità, così come si pensa ovviamente della realtà e di qualunque altra cosa. Come dicevo prima per Pierino la mamma dice la verità, non può mentire, e quindi quello che dice è come stanno le cose…

Intervento: la massima apertura è se qualsiasi cosa appartiene al linguaggio e quindi ho deciso di giocare questo gioco, la massima apertura è che possiamo giocare tutto ciò che il linguaggio di volta in volta può costruire…

Tecnicamente anche questa affermazione è discutibile, cioè che è necessario che esista il linguaggio, è discutibile perché è necessario che esista il linguaggio per fare il gioco che stiamo facendo, ma non possiamo escludere, o non è impossibile, che possano darsi altre strutture, altri linguaggi che non sono il nostro, dove li troviamo? Non lo so, non possiamo neanche sapere che esistano naturalmente, però per essere assolutamente corretti occorre dire che è necessario che sia per fare il gioco che facciamo, cioè il gioco del linguaggio. Il valore di una proposizione non è tanto dato a questo punto dal suo valore di verità, ma dalla sua ricerca della verità, questa potrebbe essere una nuova direzione, potrebbe: la ricerca della verità è la ricerca di quel discorso, di quella cosa che possa garantire che ciò che dico è vero, perché se no non c’è nulla che possa garantire niente, assolutamente niente, un po’ come la filosofia analitica quando parla di trovare le sue condizioni di verità, ma chi le ha stabilite? È chiaro che non c’è nessuna risposta a questa domanda, il fatto che non ci sia nessuna risposta a questa domanda è una cosa che spesso viene ignorata, perché se non venisse ignorata la conseguenza inevitabile è che le regole stabilite sono assolutamente arbitrarie, sono state stabilite per fare quel gioco e basta. Non è così per la filosofia analitica, perché per buona parte se non per la quasi totalità, la condizione di verità è l’adæquatio rei et intellectus, cioè l’adeguamento della parola alla cosa, posizione che comporta altri problemi non minori.