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30 ottobre 1997

 

“Corso di Linguistica Generale” di Ferdinand De Saussure.

 

 

Inincominciamo leggendo alcune cose di de Saussure, le definizioni che dà di linguaggio e di lingua. Vi leggo questo perché è importante sapere da dove ciascuno parte per teorizzare le cose che crede e cioè in altri termini quali sono le premesse, gli assiomi, i principi da cui muove, perché da questi poi si intende come giunga concludere le cose che conclude, che non sono altro che l’effetto di alcune premesse.

 

Qual è l’oggetto ad un tempo integrale e concreto della linguistica? La questione come vedremo più oltre, è particolarmente difficile; qui limitiamoci a far sperimentare tali difficoltà.

Altre scienze operano su oggetti dati in partenza, i quali possono poi venir considerati da diversi punti di vista; nel dominio che ci interessa non vi è nulla di simile. Si pronunci la parola nudo: un osservatore superficiale sarà tentato di vedervi un oggetto linguistico concreto; ma un esame più attento vi farà scorgere in seguito tre o quattro cose perfettamente diverse, a seconda di come la si considera: come suono, come espressione di un’idea, come corrispondente del latino nudum ecc.. L’oggetto stesso, lungi dal  precedere il punto di vista, si direbbe creato dal punto di vista, e d’altra parte niente ci dice a priori che uno dei modi di considerare i fatti in questione sia anteriore o superiore agli altri.

Inoltre, qualunque sia il punto di vista adottato, il fenomeno linguistico presenta eternamente due facce che si corrispondono e delle quali l’una non vale che in virtù dell’altra. Ecco qualche esempio:

I)  le sillabe che si articolano sono impressioni acustiche percepite dall’orecchio, ma i suoni non esisterebbero senza gli organi vocali: così una n esiste solo per la corrispondenza dei due aspetti. Non è dunque possibile ridurre la lingua al suono, né distaccare il suono dall’articolazione boccale; reciprocamente, i movimenti degli organi vocali non sono definibili se si fa astrazione  dall’impressione acustica.

II)  ma ammettiamo anche che il suono sia una cosa semplice: è forse il suono che fa il linguaggio? No, il suono è soltanto uno strumento del pensiero e non esiste per sé stesso. Sorge qui una nuova corrispondenza piena di pericoli: il suono unità complessa acustico-vocale, forma a sua volta con l’idea una unità complessa, fisiologica e mentale. E non è ancora tutto.

III)  il linguaggio ha un lato individuale e un lato sociale, e non si può concepire l’uno senza l’altro.

IV)  inoltre in ogni istante il linguaggio implica sia un sistema stabile sia una evoluzione; in ogni momento è una istituzione attuale ed un prodotto del passato. A prima vista sembra molto semplice distinguere tra il sistema e la sua storia, tra ciò che esso è e  ciò che è stato; in realtà il rapporto che unisce queste due cose è così stretto che è faticoso superarle. Il problema sarebbe forse più semplice se il fenomeno linguistico venisse considerato nelle sue origini, e cioè se, ad esempio, si cominciasse a studiare il linguaggio infantile. No, perché è un’idea completamente falsa credere che in materia di linguaggio il problema delle origini differisca da quello delle condizioni permanenti, non si esce dunque dal circolo. Così, da qualunque lato si affronti il problema, da nessuno ci si presenta l’oggetto integrale della linguistica; dovunque ci imbattiamo in questo dilemma: o noi ci dedichiamo a un solo aspetto d’ogni problema, rischiando di non  percepire la dualità segnalate più su; oppure, se studiamo il linguaggio sotto parecchi aspetti in uno stesso momento, l’oggetto della linguistica ci appare un ammasso confuso di cose eteroclite senza legame reciproco. Appunto procedendo in tal modo si apre la porta a parecchie altre scienze - alla psicologia, all’antropologia, alla grammatica normativa, alla filologia ecc..- che noi separiamo nettamente dalla linguistica, ma che, col favore d’un metodo poco corretto, potrebbero rivendicare il linguaggio come uno dei loro oggetti.

V)  A nostro avviso, non vi è che una soluzione a tutte queste difficoltà: occorre porsi immediatamente sul terreno della lingua e prenderla per norma di tutte le altre manifestazioni del linguaggio. In effetti, tra tante dualità, soltanto la lingua sembra suscettibile di una definizione autonoma e fornisce un punto d’appoggio soddisfacente per lo spirito.

Ma che cos’è la lingua? Per noi, essa non si confonde col linguaggio; essa non è che una determinata parte, quantunque è vero, essenziale. Essa è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà negli individui. Preso nella sua totalità il linguaggio  è multiforme ed eteroclito; a cavallo di parecchi campi, nello stesso tempo fisico, fisiologico, psichico, esso appartiene anche al dominio individuale e al dominio sociale; non si lascia classificare in alcuna categoria di fatti umani, poiché non si sa come enucleare la sua unità.

La lingua al contrario, è in sé una totalità e un principio di classificazione. Dal momento in cui le assegnamo il primo posto tra i fatti di linguaggio, introduciamo un ordine naturale in un insieme che non si presta ad altra classificazione...

 

Vi ho letto questo perché è importante ciascuna volta intendere da che cosa muove il discorso, cioè quali sono i suoi principi, le sue premesse, e i suoi assiomi. Dunque, per de Saussure, come avete ascoltato, il linguaggio in quanto tale non è definibile, e non è definibile per la sua struttura in quanto è ciò che pervade qualunque elemento: qualunque definizione volesse darsi del linguaggio risulterebbe sempre parziale, non comprenderebbe mai tutti i suoi aspetti. Questo ha fatto sì che in effetti la linguistica, dopo de Saussure, si sia poco occupata del linguaggio in quanto tale, essendosi occupata piuttosto della lingua o di quella  che per de Saussure è la sua esecuzione, cioè la parola, la parole in francese. Dunque, secondo de Saussure, il linguaggio non è definibile; le motivazioni che lui porta tuttavia non sono poi così precise. Potremmo dire qualcosa in più della non definibilità del linguaggio, potremmo dire cioè che in qualunque modo io voglia definire il linguaggio utilizzerò comunque il linguaggio per compiere questa operazione. Mi troverei quindi di fronte a una situazione piuttosto bizzarra, utilizzerei cioè degli elementi linguistici che poi dovrei definire, ma sarei preso in una sorta di regressio ad infinitum se volessi definirli, fermandomi sulla considerazione che non posso uscire dal linguaggio per trovare un elemento fuori dal linguaggio che lo definisca. Ma lui muove da questa considerazione, che in ogni istante il linguaggio implica sia un sistema stabile sia una evoluzione: in ogni momento è un’istituzione attuale ed un prodotto del passato.

Ecco, noi invece saremmo più inclini a dire che il linguaggio non è tanto questo ma è quanto ciò che mi consente di fare questa considerazione, la quale considerazione ha un senso in quanto inserita all’interno di una struttura linguistica, e cioè il linguaggio. Il dire che il linguaggio ha un lato individuale e uno sociale è una costruzione così come affermare che è un sistema stabile e allo stesso tempo un sistema in evoluzione, il che di per sé non è che abbia molto senso, anche se può apparire sensata la cosa. Affermare che un sistema è in evoluzione comporta che ci sia un procedere e quindi un variare, ma perché qualcosa vari, perché si accorga che è un sistema in evoluzione, occorre che qualcosa non vari, che rimanga lo stesso. Potremmo dire, quindi, che è simultaneamente un sistema che varia e che non varia. Tuttavia, che noi diciamo queste cose è soltanto una deduzione logica che il linguaggio ci consente di fare, ma non è  il linguaggio, vale a dire, non è una definizione di linguaggio. Tutto questo ha portato poi de Saussure a delle considerazioni circa la lingua come sistema convenzionale; è una convenzione, dice Lui, che vengano usati certi segni al posto di altri. Questa convenzionalità è però da verificare, potrebbe non essere esattamente così dal momento che, se diciamo che è convenzionale, noi diciamo che un elemento potrebbe essere sostituito con qualunque altro all’interno di un gruppo, diciamo, ma per dirla più propriamente, potremmo anche dire che potremmo cambiare delle regole del gioco; tutto sommato, è sufficiente che gli elementi che cambiamo abbiano poi lo stesso significato di quelli che intendiamo. Vedete che a questo punto è come se io potessi sì variare, (seguendo de Saussure) degli elementi, ma posso variarli rispetto a qualche cosa che non varia, cioè posso variare il suono, ma ciò che indica “quella cosa” non la posso variare. Questione curiosa, perché c’è sempre una dualità, ma che va al di là di quello che pensa de Saussure perché è una dualità tra ciò che varia  e ciò che non varia nel linguaggio. Sapete che la dualità di cui parla de Saussure è la famosa divisione della parola tra significato e significante, è la dualità più celebre nella linguistica, dove  il significante non è altro che l’immagine acustica di una certa cosa, mentre il significato è la cosa che questa immagine acustica rappresenta, ciò  a cui si riferisce. Ora, l’interesse di tutto ciò, cioè dell’apporto di de Saussure, è certamente l’avere individuato questa continua corrispondenza di due elementi, come se il linguaggio avesse continuamente due facce, ma non è tanto questo quanto l’avere intravisto la questione dell’arbitrarietà, arbitrarietà che Lui pone  provvisoriamente così come convenzione: se una cosa è convenzionale, tutto sommato, è arbitraria. La questione è che per lui non è tanto il segno ad essere arbitrario, ma è arbitrario ciò che funziona come segno: che ci sia il segno non è affatto arbitrario. Questa dualità però è più radicalmente considerabile nei termini, come dicevo prima, di varianti e invarianti: qualcosa nel linguaggio varia continuamente, non per una convenzione ma perché ciò che il linguaggio produce è continuamente mutevole; in effetti, come dice Lui, c’è una continua evoluzione, un continuo cambiamento. Questa cosa però gli pone qualche problema perché da una parte dice che il linguaggio è una continua mutazione, dall’altra invece è agganciato storicamente. E’ un modo di porre la questione che soddisfa poco. E’ invece possibile porre la cosa in termini più precisi. E’ vero che il linguaggio producendo continue proposizioni varia continuamente ma questa variazione è possibile perché qualche cosa nel linguaggio non varia. A de Saussure è sfuggito che ciò che non varia nel linguaggio è ciò che rende tale il linguaggio, cioè la sua struttura, le sue procedure, le sue regole; tutto ciò non può variare. E’ una questione che intravede quando considera la non arbitrarietà del segno, nell’accezione che dicevo prima, cioè il segno è necessario che ci sia, non è arbitrario, come non è arbitrario ciò che indico con il segno, ma che ci sia il segno è arbitrario. Questo segno, cioè il fatto che un elemento rinvia necessariamente ad un altro, non è questione arbitraria né convenzionale: è la struttura stessa del linguaggio che non può variare, salvo dissolvere la struttura stessa del linguaggio. Che un elemento sia necessariamente connesso con altri - perché il segno è una connessione in prima istanza - non è una questione né arbitraria né convenzionale. Se un elemento non fosse connesso con altri sarebbe fuori dalla catena linguistica e se fosse fuori dalla catena linguistica non sarebbe un elemento linguistico e pertanto non apparterrebbe al linguaggio. Ecco, questo non è convenzionale, cioè non si può togliere in quanto è uno degli elementi su cui si regge e su cui si impianta tutto il linguaggio. Se noi potessimo paradossalmente togliere una cosa del genere a quel punto ci troveremmo fuori dal linguaggio, non avremmo più nulla con cui considerare. Ciò non è possibile in quanto un elemento è necessariamente un elemento linguistico che, per essere tale, è connesso con altri elementi linguistici e quindi questa connessione è il fondamento di un segno, un segno che non ha connessione non è niente. Dunque, dicevo, ciò che varia, ciò che varia è ciò che il linguaggio produce, quindi ciò che abbiamo indicato come aspetto retorico; tutto ciò che varia è l’aspetto retorico, cioè tutto ciò che il linguaggio, la logica, nell’accezione che indicavamo e che comunque riprenderemo, produce. Una procedura linguistica attiene alla logica e dire che un elemento linguistico è connesso con un altro elemento linguistico attiene alle procedure e quindi alla logica. Tuttavia, il fatto che un elemento linguistico sia necessariamente connesso con un altro elemento linguistico non ci dice nulla di quale sia quell’altro elemento linguistico, dice soltanto che necessariamente è connesso con  un altro, ma quale non lo dice affatto. Con quale altro elemento sarà connesso lo dirà la retorica, la logica fornisce soltanto lo strumento che gli consente, per così dire, di connettersi; senza questo non funzionerebbe. In effetti, tempo fa facevo l’esempio come se la logica fosse, rispetto alla terminologia del computer, l’hardware, mentre la retorica il software, cioè tutto ciò che può prodursi a partire da questa struttura che indicavamo come linguaggio. Ora, de Saussure distingue fra lingua e linguaggio ma può risultare ardua questa distinzione dal momento che qualunque distinzione io faccia all’interno del linguaggio, come qualunque altra cosa, risulta, questa sì, arbitraria. La distinzione che fa Lui tra linguaggio, tra langue e parole per esempio è arbitraria, non è affatto necessaria, mentre Lui la pone come necessaria, ci invita cioè a pensare che le cose siano così e cioè che esiste un linguaggio, che esiste questa entità nebulosa astratta e indefinibile, indecifrabile e che funziona poi da sfondo in ciascun atto linguistico. Su questo poi si impiantano la langue e la parole, cioè l’insieme di tutte le possibilità linguistiche e la loro esecuzione di volta in volta, la parole come esecuzione o la perfomance, come direbbero i linguisti. Dunque, queste affermazioni che Lui compie sono arbitrarie ed essendo arbitrarie ovviamente lasciano il tempo che trovano. Dico ovviamente perché non sono necessarie né comportano necessariamente il nostro assenso. Infatti, se noi non distinguessimo fra langue e parole, cosa muterebbe in ciò che andiamo considerando? Nulla, non muterebbe nulla. In effetti, anche la distinzione che abbiamo fatta tra logica e retorica è ovviamente arbitraria, ha una funzione descrittiva, esplicativa, ma il linguaggio non è così; l’unica cosa che possiamo dire è che esistono degli elementi, delle strutture che rendono tale il linguaggio e tali che, se non ci fossero, il linguaggio cesserebbe di esistere. Questo non è arbitrario ma qualunque altra affermazione rischia di esserlo, però, potremmo dirla così, che il linguaggio è formato da due aspetti, uno è la logica, di cui è fatto e riguarda gli strumenti che permettono al linguaggio di costruire le cose, di fatto sono il linguaggio, cioè la sua possibilità di costruire proposizioni; l’altro è la retorica, che sono le proposizioni che costruisce. Tutto sommato, è una distinzione abbastanza semplice, non richiede nessuna informazione fondamentale: qualche cosa può produrre delle proposizioni, le proposizioni che produce sono la retorica, cioè i modi in cui il linguaggio dice le cose che dice.

Tuttavia, l’apporto di de Saussure è stato fondamentale e lo è a tutt’oggi, rimane sicuramente il pilastro della linguistica, proprio per questa dicotomia che lui ha incominciato a porre, questo porre la questione come se avesse due facce, due facce della questione, che è stata poi mantenuta da tutti i linguisti, anche quelli che l’hanno suddivisa ulteriormente. Ma questa divisione rimane sempre: un elemento, quindi, la barra che separa e indica che non c’è passaggio dall’uno all’altro, poi quell’altro elemento, uno generalmente si intende con significante e l’altro come significato. Già qui allude in qualche modo al suono come immagine sonora e poi l’idea, il concetto. Coglie questo aspetto che è fondamentale e cioè che sono due elementi inscindibili. E’ una questione che oggi può sembrare banale però ai suoi tempi non lo era affatto dal momento che tutta la linguistica invece considerava soltanto le mutazioni di ciascun elemento, inseguendone la storia, vedere come e perché un elemento è variato, senza tenere conto che non è possibile considerare un elemento, e questo è un altro aspetto  importante che de Saussure sottolinea, non è possibile considerare un elemento linguistico senza valutarne la portata che ha in quel momento e soprattutto per chi lo dice. Questione questa fondamentale, che Saussure ha appena accennato, ma che può portarsi alle estreme conseguenze, come dire che ciascun elemento può intendersi soltanto se io conosco qual è il gioco in cui è inserito, il gioco linguistico in cui è inserito, vale a dire quali sono le regole del gioco linguistico in cui è inserito. In caso contrario teoricamente non dovrei capire nulla, cioè uno dice una certa cosa e allora io chiedo quali sono le regole del gioco che sta giocando per poter inserire questo elemento all’interno di quel gioco e quindi reperire un senso di quel elemento. In caso contrario, come dicevo, potrebbe non significare nulla, sarebbe semplicemente un suono perché sconnesso e quindi non connotabile  in nessun modo. Ora, certamente questo non avviene nelle conversazioni, cioè non si domanda a ciascuna persona ciascuna volta di ciascun elemento, anche perché c’è una sorta, qui sì, di convenzione rispetto ad alcuni giochi; alcuni giochi sono convenzionali per cui non si domanda più qual è il senso o quali sono le regole del gioco esattamente come uno che sa giocare a briscola non chiede ogni volta quali siano le regole del gioco, le conosce e ciascuno che sta giocando quel gioco dà per acquisito che chi sta giocando conosca quel gioco. Tuttavia, qual è il problema che può sorgere e di cui per esempio una psicanalisi si occupa? L’immaginare di fare un certo gioco ma, o giocare un certo gioco, ma attenendosi a regole differenti che non appartengono a quel gioco. Vi faccio un esempio. Se io affermassi che sotto questo tavolo c’è una pantera nera affermerei qualche cosa che non è condivisibile generalmente dai presenti perché, guardando sotto il tavolo, verificherebbero che non c’è la pantera nera e mi chiederebbero quindi di rendere conto di questa affermazione; come dire: immaginano che io faccia un certo gioco, il quale prevede una verifica, questa verifica non c’è e allora pensano io stia facendo un altro gioco; poi, se si accorgono che invece faccio quello, allora mi mandano in manicomio. Ma cosa è avvenuto esattamente? E’ avvenuto questo, che io ho sostenuto un gioco che pretendo condivisibile, condiviso da altri, cioè che se affermo che qui sopra c’è un libro, ciascuno può considerare questo fatto, perché il gioco che stiamo giocando prevede, come si diceva, una verifica, così come fa il discorso occidentale - il discorso occidentale è un gioco particolare che prevede questa verifica. Ora, questo è il gioco che per lo più si fa e allora se io affermo che qui sopra c’è  il Corso di linguistica generale questo è facilmente verificabile, e se uno non lo vede suppone che comunque ci sia, se io affermassi invece senza che ci sia questo libro sul tavolo, allora mi troverei in una posizione, dicevo, curiosa perché è come se facessi il gioco del discorso occidentale, ma non tenendo conto delle sue regole, una delle quali, come si diceva, è che una affermazione sia verificabile. Ora, tutto ciò che Freud considera come nevrosi e come psicosi, può intendersi in modo più preciso in questo modo, come una sovrapposizione fra giochi che hanno regole differenti e di cui non ci si accorge. Faccio un esempio un po’ più raffinato. Una persona immagina di essere sempre considerata da tutti come un genio strepitoso, una persona interessantissima, però è assolutamente sicura questa persona, è ovvio che non sottopone mai questa sua idea a una prova di verità, una prova di realtà, come direbbe Freud, non chiede mai, proprio per evitare eventuali sorprese...ecco allora in questo caso si trova preso, questa persona, in questa sorta di equivoco, cioè fa un gioco, cioè crede una certa cosa, ma utilizza regole differenti, perché sono differenti, sono diverse da  quelle che Lei vorrebbe che fossero praticate, nel senso che ci crede come se fosse una cosa...

CAMBIO CASSETTA.

Gioca un gioco attenendosi alle regole di un altro, come se giocasse a briscola attenendosi alle regole del poker, si creerebbe qualche problema. E così si crea qualche problema nelle persone perché credono ad un certo punto una certa cosa contro ogni evidenza, perché è come se sbagliassero ad applicare delle regole. Ad esempio, il gioco poetico ha regole differenti dove la verifica, di cui dicevo, gioca un vero diverso, ha regole diverse; un poeta può utilizzare delle metafore ma inserendole in un gioco differente da come potrebbe utilizzare una metafora il discorso scientifico, sono giochi diversi con regole diverse. All’interno di un gioco poetico affermare che c’è una pantera sotto il tavolo ha un senso, dipende da quello che si intende dire, certo, ma ha un senso. Se uno legge una poesia non pensa che il poeta abbia dato fuori di testa ma immagina che sia una metafora che lui ha inventato per dire qualche cosa, mentre se io lo affermassi qui come una solenne certezza mi creerebbe qualche problema, perché il gioco che sto facendo in questo momento non ha questa fra le sue regole. Al contrario, se scrivessi una poesia, in cui dico che una pantera sotto il tavolo ecc., tutto quanto rientrerebbe in una accettabilità in quanto si considera esattamente come le mosse di un gioco, sono accettate all’interno di quel gioco; se io a poker muovessi le carte come se fossero le pedine della dama non funzionerebbero. Ecco, spesso avviene così con gli elementi linguistici: si muovono in questo modo come se muovessi le carte da gioco, come fossero pedine, cioè utilizzando gli strumenti di un gioco attraverso le regole di un altro.

La volta scorsa dicevo che occorre che l’analisi giunga a una elaborazione del linguaggio. Se voi leggete La Seconda Sofistica vi rendete conto che, una volta arrivati al termine, difficilmente riuscirete a pensare esattamente come pensavate prima, perché qualcosa si è inserito in ciò che sapete in modo tale che rende non possibile il pensare le cose esattamente come prima. Non soltanto, c’è anche questo altro aspetto che può creare qualche intoppo  laddove non si considera che questo percorso ha come sbocco, direi inevitabile, una analisi del linguaggio. Intendo qui con analisi del linguaggio in prima istanza una analisi del proprio linguaggio, cioè una considerazione degli elementi che intervengono nel proprio linguaggio, quindi in definitiva nel proprio discorso, una considerazione molto attenta, come se tutto ruotasse intorno a questo, che è un altro modo per dire che non c’è nulla fuori dal linguaggio. Considerazione molto banale ma che è difficile da praticare, difficile perché, se presa alla lettera e portata alle estreme conseguenze, ve la ritrovate ovunque in qualunque affermazione, in qualunque cosa incontrate, in qualunque circostanza, dalla più gioiosa alla più catastrofica, comunque non è fuori dal linguaggio, con tutto ciò che questo comporta, e cioè in prima istanza l’essere una produzione del mio discorso, che tiene conto certamente di altri elementi ma rimane una produzione e cioè una figura retorica che è stata prodotta grazie alle strutture, le procedure linguistiche che consentono di compiere questa operazione. Senza tutto questo non esisterebbe né cosa gioiosa né cosa drammatica, nulla di tutto ciò, non esisterebbe nulla, appunto diciamo che nulla è fuori dalla parola. Giungere all’analisi del linguaggio è giungere a tenere conto di questo ma tutto ciò non comporta affatto di trovarsi a cancellare ogni cosa per cui se tutto è linguaggio allora nulla ha più valore, non ci sono più le cose reali ecc. No, non è proprio esattamente così, è soltanto la possibilità di considerare ciascun evento come un aspetto, un elemento di un gioco linguistico, e constatare altresì che da questo non c’è uscita. D’altra parte non potrebbe non esserlo, se lo fosse sarebbe un elemento fuori dal linguaggio, se fosse fuori dal linguaggio semplicemente non esisterebbe e quindi deve la sua esistenza al fatto di essere un elemento del linguaggio, cioè di essere all’interno di un gioco linguistico, ed è per questo che esiste. Dico questo per via di alcune obiezioni che mi furono fatte: se tutto è un gioco linguistico allora le cose non hanno senso o perdono il valore che hanno. No, è che esistono in quanto sono all’interno di un gioco linguistico, altrimenti non esisterebbero in nessun modo. Non è che c’è alternativa, fuori o dentro il gioco linguistico; se esistono è perché sono in un gioco linguistico, sennò non avrebbero nessuna possibilità di esistenza. Provate a leggere per esempio qualunque testo, per esempio di filosofia o di scienza. Si muove lungo affermazioni immaginando che queste affermazioni non siano giochi linguistici ma corrispondano o debbano corrispondere a elementi fuori dal linguaggio, come se dovessero descrivere una sorta di realtà. Tutto sommato, anche de Saussure in parte cade in questo equivoco definendo la langue, la parole ecc.,  ma sono affermazioni assolutamente arbitrarie che non possono descrivere nient’altro che strutture linguistiche. Quando Parmenide diceva che “l’essere non può non essere” non è che descriva uno stato di fatto, una cosa per cui l’essere è un qualche cosa che sta da una parte e ha queste prerogative, ma semplicemente definisce, all’interno di un gioco linguistico, attraverso le regole che ha stabilito consapevolmente oppure no, di accettare un elemento, procedendo inferenzialmente. Come dire se io penso che l’essere sia questo allora è necessariamente questo. Un po’ come fa de Saussure: se io penso che il linguaggio sia questa cosa, allora esiste una lingua e una parola. Ma perché dovrebbe essere così e, poi soprattutto, che cosa vuol dire affermare che è così? Potrebbe essere un non senso se preso  letteralmente. Per questo dicevo è importante leggere un testo, un saggio teorico, quali sono le premesse da cui muove, perché ciò che seguirà sarà necessariamente dipendente dalle premesse che ha accolte, se ne avesse accolte altre le sue conclusioni sarebbero state differenti ma non meno valide, differenti, avrebbe semplicemente fatto un gioco diverso. In effetti, se voi pendete qualunque testo teorico, nelle prime pagine generalmente trovate gli assiomi da cui muove, come se dicesse “io credo questo”. Non lo dice esplicitamente perché immagina di affermare uno stato di cose, una realtà di fatto, per cui se le cose stanno così allora necessariamente quest’altro... Ma le cose non stanno né così né in altro modo. E’ importante ed è interessante cogliere gli assiomi, i principi, i postulati in un testo e verificare poi che le conclusioni a cui giunge erano già implicite nelle premesse. Infatti, ciò che lui ha stabilito come premessa già comporta in sé la conclusione.

 

Intervento: Freud parlando del delirio schizofrenico dice che questa produzione è un tentativo di guarigione, cioè queste figure retoriche “fuori contesto” del delirio schizofrenico sono una produzione tesa a riportare queste figure nel contesto, quindi di azzeramento, un riporto alla normalità di un discorso che è quello occidentale. Ma come possiamo stabilire la realtà? E rispetto a cosa?

 

La normalità … non sono altro che le regole del gioco del discorso occidentale. Potremmo dire che una nevrosi si accorge di non riuscire ad attenersi a queste regole e da qui il tentativo di guarigione, di riportarsi a queste regole, mentre il discorso psicotico non se ne accorge. In effetti, possono esserci casi di psicotizzazione in una persona cosiddetta normale, episodi in cui non si accorge di quello che sta facendo. Tuttavia, non è che occorre riportare una persona a fare un certo gioco ma porlo nelle condizioni di poter considerare che non può non fare un gioco linguistico. A questo punto può, non essendo più vincolato a un gioco in particolare, può accogliere anche quell’altro. Da qui l’effetto cosiddetto terapeutico della psicanalisi, in quanto può giocare anche il gioco del discorso occidentale, cioè giocare il ruolo della persona normale, in un certo senso, può fare anche questo, mentre in alcuni casi non riesce a farlo perché immagina che il gioco che sta facendo lui sia il solo e unico gioco possibile. Questo nelle psicosi, nelle nevrosi non è così perché si accorge che non è il solo gioco possibile ma non riesce a fare altrimenti, perché in qualche modo queste regole per lui sono vincolanti in quanto non conosciute ma immaginate essere la realtà. Quindi, non riesce a far collimare le cose e dice: come? la realtà è questa e mi trovo spaesato. Invece, può considerare che la realtà non è esattamente quella, neanche un’altra, ma può essere anche quella, a seconda del gioco che sta facendo. Facevo l’esempio molto banale: se io mi trovo all’ambasciata, posso avere una condotta differente da quella che terrei in una bettolaccia in cui magari mi trovo. Ecco, questo per dire che uno può muoversi facilmente in tutte le situazioni, ed è questo che occorre che faccia una psicanalisi: creare le condizioni per potere muoversi in tutte le situazioni che il suo discorso produce e quindi non essere spaventato o a disagio, nei suoi stessi pensieri. Può, invece, accoglierli come elementi di giochi linguistici differenti di cui può reperire le regole e quindi, in definitiva, non avere più paura.

 

Intervento: Il continuo mutamento del linguaggio, mi richiama all’eterno ritorno di Nietzsche.

 

Sì, si può pensare, certo. Occorrerebbe riflettere in questo caso su che cosa sia esattamente questa modifica che è avvenuta. Intanto, come lo sa di essere cambiato? Perché sono presenti in questo momento degli elementi che erano presenti anche allora, però se volesse affermarlo con assoluta certezza non potrebbe, non potrebbe perché gli elementi di cui dispone adesso cambiano, mutano i suoi pensieri circa quello che era allora, cioè lui si pensa come era allora ma come lo pensa adesso. E’ lo stesso motivo, ad esempio, per cui Heidegger diceva che non è possibile tradurre i Greci, non è possibile perché noi facciamo sì una corrispondenza tra una parola greca e una italiana ma pensiamo in un modo diverso e quindi le cose che loro dicevano non sono più pensate come le pensavano allora. Sono io sicuro di pensare esattamente come pensavano allora? Di ricordarmi di sapere come pensavano allora? Oppure no? Oppure sto pensando adesso una cosa che sto costruendo adesso, così come un ricordo? Certe volte uno stesso evento viene ricordato da persone diverse che hanno assistito allo stesso evento in modo differente per ciascuno. Potremmo dirla così: questo stesso evento si è scritto in modo differente, anche per la stessa persona: se cambiano le condizioni questo stesso ricordo può modificarsi, può diventare un’altra cosa...

 

Intervento: Resta il fatto che io parlo di ricordo. Avviene che ad un certo momento  che io dica: io ricordo. Non dico, io mangio pane e salame, dico anche questo, certo...E’ ben diversa l’affermazione che faccio, sto parlando di qualcosa che mi dà la sensazione di ricordo, questa è la questione, che legata alla parola ricordo è come se ci fosse legata una sensazione per cui, io mi trovo a parlare di ricordo (escludendo così di parlare di pane e salame che non chiamo ricordo), non ho altro modo per dire questa sensazione in questo momento. Oppure parlare di un sogno, è come descrivere qualcosa che io riconosco essere il sogno che è avvenuto questa notte, ma adesso non ho possibilità di verifica dell’aver sognato questa notte, sto dicendo adesso che ho sognato questa notte e interviene questo termine, per cui anche questa è la qualificazione intanto di una sensazione che si chiama sogno, perché è questo che io sto facendo, dicendo, sto costruendo il sogno adesso, posso raccontarlo ora, e posso anche affermare che attiene al desiderio, ed è il sogno di questa notte, questo mi permette di fare e di dire e di credere quello che vado costruendo continuamente...questa è una cosa sensazionale come il linguaggio permette di costruire  continuamente sensazioni diverse...

 

Intervento: Il giudizio su di un’altra persona che non è mai quella di prima

 

Intervento: Anche noi stessi cambiamo, ci sembra almeno...a me sembra che l’eterno ritorno di Nietzsche sia l’eternità, le cose si ripetono ma si ricomincia sempre da capo.

 

Questa mutabilità, questa variabilità delle cose, abbiamo detto che è un gioco linguistico, non è una procedura del linguaggio, non è necessario, non lo è affatto. Basta considerare questo: per stabilire che qualcosa cambia occorre che io abbia una nozione di identità, oppure no? Devo sapere quando due elementi sono identici, o anche lo stesso elemento è identico a sé, oppure no? Evidentemente sì, sennò non posso sapere  che è variato. Come si diceva all’inizio, questo è un aspetto fondamentale del linguaggio: sarebbe modificato, variato, alterato, rispetto a che cosa? Una cosa che muta ininterrottamente, paradossalmente non può neanche mutare, perché non ha nessun riferimento, se tutto mutasse non ci sarebbe riferimento e quindi non si potrebbe neanche parlare di mutazione, di cambiamento. Questo dà immediatamente la misura di come una questione del genere non sia una procedura linguistica ma una figura retorica. Noi possiamo accogliere questo elemento dell’identità come procedura e non come figura retorica, o meglio, anche come una figura retorica ma soprattutto come procedura. Perché? Per una considerazione molto semplice, perché il principio di identità dice soltanto, già Aristotele lo diceva, che un elemento è sé stesso e non può essere un altro. Perché indichiamo questo come procedura? Perché un elemento linguistico, per poter essere tale, occorre che sia quello che è; se fosse qualunque altro, il linguaggio cesserebbe di esistere perché ciascun elemento significherebbe simultaneamente qualunque altro e quindi il linguaggio non potrebbe funzionare così come funziona. Quindi, occorre  che un elemento sia quello che è ma, badate bene, non una parola o un qualche cosa, ma un elemento linguistico, cioè occorre che un elemento linguistico, qualunque esso sia, sia quello che è. Questo è necessario, cioè è necessario tutto ciò che non può non essere e non può non esserlo perché, se non lo fosse, la struttura stessa del linguaggio ne verrebbe alterata e il linguaggio cambierebbe. Provate a pensare ad un linguaggio dove ciascun elemento di cui è fatto significa ciascun altro, come farebbe a parlare? Ecco perché, come già Aristotele  2500 anni fa aveva intravisto, la nozione di identità è importante, perché se la si esclude ci si trova dopo in problemi che non sono più risolvibili. Aristotele poneva la questione in termini ontologici, filosofici, per noi invece  non è un aspetto ontologico, è soltanto una procedura linguistica, è uno degli aspetti di cui è fatto il linguaggio e per cui funziona. Senza questi aspetti, che indico come procedure, il linguaggio cessa di funzionare, cioè cessa di essere tale. Come sappiamo, se il linguaggio cessasse di esistere insieme con lui, cesserebbe di esistere qualunque altra cosa perché non avremmo un significante esistenza che ci consentirebbe di affermare che esiste, né di fare qualunque altra considerazione di questo tipo...

 

Intervento.

 

La lingua per de Saussure è un modo per potere riuscire a bloccare il linguaggio, cioè ad individuarne degli aspetti, il linguaggio è una nebulosa assolutamente inaccessibile, la lingua ci consente di fermare qualche cosa e per esempio, dice lui, tutte le possibili combinazioni linguistiche, è quindi un sistema aperto ma in qualche modo stabilito. La parole è invece l’esecuzione in atto della langue, la parole è l’esecuzione in atto di questa infinita possibilità, cioè io all’interno della lingua posso dire tutte le espressioni che la lingua può costruire - ora di fatto ne dico una - la lingua è un aspetto del linguaggio, l’aspetto prioritario. In effetti, come giustamente ha rilevato, lui parla di classificazioni, ciò che consente di classificare, cioè di suddividere in classi un qualche cosa che sfugge da tutte le parti. Tentare di definire il linguaggio è impossibile, giustamente come dice Lui, a meno che non diciamo, come stiamo dicendo da qualche tempo, che è semplicemente quella struttura che ci consente di fare queste considerazioni, queste come qualunque altre. Questo è il modo più generale, più generico di definire il linguaggio, però se lo definiamo in qualunque altro modo ci si trova immediatamente in affermazioni arbitrarie. Dire che il linguaggio è questa o quest’altra cosa si può ma rimane non sostenibile, o quanto meno opinabile. Il principio di identità....ciò che non possiamo non dire del linguaggio è qualche cosa che rileva gli elementi di cui è fatto, e in questo abbiamo seguito Aristotele, Lui aveva colto molto bene...

CAMBIO CASSETTA

...io affermo una cosa e nego il contrario, non posso affermare e negare la stessa cosa se non attraverso una figura retorica. Ma perché la figura retorica può farlo? Come procedura non lo può fare perché rispetto alla procedura non varia, è un’invariante,  o l’uno o l’altro, non posso per esempio affermare simultaneamente due cose, e se io dico che una cosa è simultaneamente vera e falsa, mi trovo bloccato.

 

Intervento: La parola può essere ambigua...

 

Se io faccio una figura retorica, per esempio un ossimoro, “un freddo bruciante”, accosto due termini che, come dicono i linguisti, sono antonimi, cioè si oppongono fra di loro. Retoricamente però ha un senso in quanto evoca che questo freddo ha una tal intensità da evocare una cosa diametralmente opposta. Allo stesso modo in moltissimi altri casi io posso fare questa figura retorica, perché per esempio il significante freddo è quello e non è un altro. Se però il significante freddo volesse dire anche caldo, non potrei più fare questa figura retorica, non potrei più fare un ossimoro, e se il significante freddo significasse anche infinite altre cose non potrei più fare niente, sarei fermo perché si violerebbe il principio del terzo escluso e quindi ciascun elemento sarebbe il suo contrario. A quel punto il senso si bloccherebbe, non avrei più nessuna direzione. Possono però costruirsi delle figure retoriche ma queste figure possono farsi proprio perché un elemento non varia e allora su questa non variante si installa una variante: la retorica vive di questo, è fatta di questo. Quindi, c’è sempre questo doppio aspetto, che già de Saussure rilevava in modo preciso e che abbiamo indicato come logica e retorica, le procedure del linguaggio e le regole del linguaggio. Per dirla proprio in termini più espliciti, il linguaggio è fatto di procedure, cioè di strumenti che lo fanno esistere, e di regole, che sono quelle che consentono di costruire delle cose, qualunque cosa sia.

Vi rendete conto come la psicanalisi sia sempre di più un itinerario intellettuale, cioè un percorso che attraversa in effetti il linguaggio. Gli effetti di terapia, così come si diceva, sorgono dal considerare e dal potere muoversi fra un gioco e l’altro cogliendone le regole senza rimanerne respinti, non è altro che questo. Poi, chiaramente, può essere complesso mettere in atto tutto ciò, cioè la possibilità di accogliere regole differenti. Il cosiddetto nevrotico è una persona che non ha questa possibilità e quindi di fronte a un gioco diverso non può accogliere le regole e rimane paralizzato, con tutto ciò che questo poi comporta, con tutto ciò che questo mette in moto, fantasie di ogni sorta, però la struttura è questa.