30 Settembre 1999
Allora, c’è qualcuno che sta leggendo qualcosa e ha
voglia di dare testimonianza della sua lettura? Delle questioni che ha
incontrato di qualunque genere, oppure nessuno non sta leggendo nulla?
Intervento: Io sto leggendo un saggio di Schopenhauer. È quello dei fondamenti della morale. Mi ha incuriosito un pensatore, un filosofo che si trova a parlare, a criticare Kant per l’imperativo categorico e si trova a fare delle affermazioni.
C’è una questione tratta da Schopenhauer, che può
essere di qualche interesse? Oppure nessuna?
Intervento: Poche questioni.
Poche quali?
Intervento: una questione di qualche interesse può
essere il modo in cui si siede. Ad un certo punto sembra trovare l’uovo di
colombo in tutta questa questione e si mette a parlare di quella che è la
questione dell’identificazione. Pone la questione parlando di questi grandi
affetti che sono la pietà, la compassione dandoli come, esattamente allo stesso
modo lui ha criticato in Kant, primordiali. Quello che m’interroga sempre in
queste questioni e, dal quale io non riesco ad uscire come diventasse un
circolo vizioso, la questione che si pone è questa: come è possibile che tu
addebiti, senza intendere quali sono altre questioni che sarebbero state più
importanti, cioè del modo in cui costruisce letteralmente quello che andava di
costruire cioè questo imperativo categorico, lascia perdere questa questione di
cui parla e non fa altro che, ed è qui che io cado nel circolo vizioso, laddove
lui parla della compassione, della pietà fino ad arrivare a delle cose
pazzesche accostandole all’animale o cose di questo genere, mettendole fuori
dalla parola tutto sommato, no?
Ora, la difficoltà a questo punto di portare avanti
la lettura di un saggio di questo genere per me diventa grandissima, e questo
uomo, immediatamente, non lo so ascoltare più. Schopenhauer, dove si pone nei
confronti di un Hegel parla, indica quali sono i modi di trarre delle
questioni, per esempio calca sillogisticamente delle affermazioni di Hegel e,
in qualche modo le mostra un po’ come dei sillogismi, dei parasillogismi come
quello di Pietro e Paolo e poi di fronte alla pietà ed alla compassione e
all’identificazione, per lui sono così, fuori dalla parola, eppure nel mondo si
vede periodicamente che ci sono i buoni e i cattivi, quelli che hanno pietà e
quelli che non ce l’hanno. Quello che m’interroga, forse questo fa parte del
mio discorso, io a quel punto mi chiudo e non ho più voglia di continuare.
Eppure negli ultimi capitoli dove lui continua a inventare, a sostenere queste
passioni, questi modi di dire tutto sommato, che non hanno un referente, lì la
sua perspicacia quasi si arrampica sui vetri pur di sostenere una cosa di
questo genere. È l’esatto opposto di quello che si trova quando parla
dell’egoismo.
Cesare sta leggendo qualcosa?
Intervento: Leggevo qua e là sulla seconda sofistica.
Elisabetta, sta leggendo qualcosa?
Intervento: Io ho letto Carotenuto.
Qualche considerazione?
Intervento: Mi è stato quasi impossibile leggerlo. È religiosissimo ed è anche scritto molto male.
Sandro, sta leggendo qualcosa?
Intervento: Sto facendo una ricerca sulla nevrosi ossessiva. Sto leggendo tutti i saggi di Freud, in modo specifico sulla memoria ossessiva. Mi sto dilettando con “La retorica delle puttane”. È uscita, tra le altre cose, una filosofia di Marconi.
Sì, Marconi cosa risponde, in questo caso?
Quello che pensano gli altri lo sappiamo.
Intervento: Ma, in effetti è una questione che rimane poi, come dire, una sorta di enigma. È un po’ come dire: qui ci si arresta, di fronte a questa sorta di mistero, è un po’ come dire che è una sorta di mistero religioso.
Quindi rimane un mistero e non si sa insomma.
Intervento:…
Devo prendere un libro di Heidegger e poi uno di
Marconi, ma non quello, “La competenza linguistica”.
Quali obiezioni potremmo fare a Marconi, così
d’acchito?
Sì, lui riprende questa antica questione per cui,
molto i francesi, soprattutto, dell’impossibilità della comunicazione. Dicono
che non c’è possibilità di comunicare, e adducono anche delle motivazioni. Però
lui dice, beh, allora se non è possibile comunicare come avviene che funzioni?
Intervento:…
Come avviene, Cesare? Si ricorda quando parlavamo
degli scettici, gli scettici confutavano le stesse cose. Li riprendemmo forse
proprio l’estate scorsa a proposito del dibattito intorno ad analisti e
continentali e a questo riguardo feci proprio un intervento. Una parte
affermava che non c’era comunicazione, per esempio uno scettico dice che è
impossibile comunicare, dal momento che qualunque cosa tu dica, dicono gli
scettici, non ha in alcun modo la possibilità di intendere ciò che l’altro ha
capito. Quindi non puoi mai avere la certezza che il discorso sia recepito
dall’altro allo stesso modo. Non è un gran che come argomentazione, tuttavia
se, ribattevano alcuni a questi scettici, non potete nemmeno opporvi all’argomentazione,
visto che non avete capito nulla di ciò che è stato detto. Se ponete
un’obiezione la ponete a che cosa? A qualche cosa che avete inteso, dunque la
comunicazione è possibile. Allora ecco che alcuni tra i quali Marconi che sono
da annoverare tra gli analitici di scuola sassone, devono a questo punto tenere
conto della possibilità della comunicazione, come è possibile la comunicazione?
Marconi si arresta sul mistero glorioso, nel senso che non sa dare nessuna
motivazione di come avvenga una cosa del genere. Lei, Cesare, saprebbe darne
una?
Intervento:…
Sì, c’è una questione che poneva Wittgenstein che
merita di essere presa in considerazione, quando uno si pone una domanda di
questo tipo sulla comunicazione, che cosa si sta chiedendo esattamente? È
possibile che cosa, esattamente? A questo punto, dipenderà da ciò che
intendiamo con comunicazione ciò che risponderemo. Ora, dal momento che questa
definizione di comunicazione non può essere stabilita in modo definitivo come
l’ultima parola, allora rimarrà comunque questa definizione che daremo di comunicazione,
arbitraria. Non soltanto arbitraria, ma funzionale all’uso che ne faremo.
Allora se io intendo comunicazione in un certo modo, la comunicazione allora
non è possibile. È sufficiente che io la intenda in un altro modo allora sarà
necessaria, cioè dipenderà dalle regole del gioco in cui è inserito questo
termine, non c’è nessun mistero né gaudioso né misterioso, ma semplicemente un
differente uso dello stesso termine. Questo uso è consentito, sono consentite
una serie di variazioni nell’ambito di un campo semantico.
Intervento:…
Potremmo definirla così: la trasmissione di
informazioni e di elementi consentita da un sistema operativo. Esattamente come
avviene nel computer. C’è un sistema operativo che consente la costruzione.
Intervento:…
Avviene in un modo che non è molto dissimile dal
modo in cui avviene che digitando un tasto sulla tastiera di un computer questo
scrive A anziché B o C. Il sistema è semplice, in un certo senso.
C’è un sistema che è noto come linguaggio, il quale
è tenuto insieme da delle regole. Queste regole, a seconda di giochi
differenti, impongono delle implicazioni. Ora, se io dico un certo
significante, questo significante, se l’ho detto all’interno di un certo gioco,
ha una certa applicazione; se detto all’interno di un altro gioco, ha
un’applicazione differente. Perché siano possibili questi giochi occorre che il
termine abbia significato, cioè che sia, come si diceva da qualche parte, un
elemento linguistico, occorre che ci sia questo. E un elemento linguistico è
tale in quanto ha un rinvio, necessariamente. Ora, fra i rinvii possibili,
ciascuna lingua si avvantaggia di alcuni.
Intervento:…
Se io stabilisco una regola all’interno di un gioco
linguistico che fa un costruttore edile, la casa ha un certo significato. Per
la massaia è un altro. Poi il dizionario riporta un significato ancora differente,
è una costruzione fatta in un certo modo fatta per un determinato uso. Questo
potrebbe essere, come dire, un significato che consente tutte le variazioni,
però deve esserci un significato perché possano esserci delle variazioni.
Questo significato è dato forse da quello che loro stanno cercando, cioè il
significato dato dall’uso linguistico più generico. È chiaro che in una
comunicazione se io parlo di casa, nel senso che io voglio andare a casa,
l’altro intende che cosa sto dicendo, e lo intende perché sa quale è il
significato di casa e sa quale è il gioco in cui è inserito in questo momento,
per cui il fatto che io voglia andare a casa può significare che sono stanco o
che ho voglia di andarmene di lì o altre cose, le quali tuttavia sono possibili
perché questa persona che ho di fronte conosce il significato del termine casa,
e da lì può intendere tutte le possibili variazioni che intervengono in questo
caso.
Si tratta esattamente di stabilire cos’è questo
significato fornito dal dizionario cui ciascuno si attiene per potere poi
costruire infinite varianti. E questa è una questione, ovviamente.
L’affrontammo tempo fa quando affrontammo una questione adiacente a questa e
cioè se fosse possibile parlando, scambiare un qualunque termine con qualunque
altro. Ci rendemmo conto allora che questa operazione impedirebbe l’utilizzo
del linguaggio. Occorre che ciascun elemento linguistico abbia una specificità
semantica per potere essere usato; in caso contrario il discorso stesso non
potrebbe farsi. Pensi a una lingua in cui ciascun elemento che interviene
significa qualunque altro. Non è utilizzabile questo sistema. Occorre che
ciascun elemento escluda, lo dicevamo tempo fa riprendendo De Saussure, la
questione dell’inferenza. In effetti il linguaggio non è altro che un sistema
di procedure per la costruzione delle proposizioni e per l’esclusione di altre.
Il fatto che non sia possibile l’utilizzo di qualunque termine posto al posto
di qualunque, indica che questo ha, come dicevo delle esclusioni; cioè usando
casa io escludo una serie di altri elementi, la escludo dal suo significato.
Questi altri elementi possono intervenire laddove
utilizzo questo significante come figura retorica. Tuttavia, ciascuna figura
retorica che è una variante necessita di un elemento che non varia.
Questo elemento che non varia è il significato di
ciascun termine; il significato di ciascun termine è dato dall’esclusione di
altri. Tutto ciò che è escluso da questo termine è il significato, da che cosa
è fornito questo? Boh, dal suo uso, ovviamente, non c’è nessun Dio che abbia
stabilito che casa sia una costruzione adibita ad abitazione più o meno
permanente. Tuttavia, questo uso è fondamentale, la lingua è fatta di questo,
del suo uso.
Intervento:…
Questa è una ricerca che per Wittgenstein non
avrebbe nessun senso
Intervento:…
Sì, sì. Se la si cerca fuori dal suo uso, allora si
cerca il suo significato ultimo, definitivo, e questo, ovviamente, sfugge, non
è reperibile in nessun modo. Perché è soltanto l’uso che fornisce il senso. Da
qui, poi abbiamo ripreso e inventato la teoria dei giochi.
L’uso, cioè la regola linguistica nel quale è
inserita.
E, poi, ovviamente c’è una regola che consente l’uso
del linguaggio, ed è una regola che, potremmo dirla così provvisoriamente,
attraversa ogni altra regola, che è quella che dà a ciascun elemento che
interviene la prerogativa di essere un elemento linguistico. Per essere un
elemento linguistico occorre che sia connesso ad altri elementi ed avere una
sua specificità, deve escludere, cioè, necessariamente altri.
Su questa esclusione è costruita tutta la lingua.
Così come avviene anche nel gioco numerico, ciascun numero esclude
necessariamente gli altri, non sarebbe possibile fare nessun conteggio se ciascun
numero significasse qualunque altro. E così ciascuna lettera. Se la A può voler
dire anche B, E, D, non è possibile costruire nulla.
E, quindi, sono regole di esclusione.
Intervento:…
Supponiamo, per esempio, che io definisca
comunicazione in questo modo: come il reagire da parte dell’interlocutore a ciò
che io affermo, in modo coerente a ciò che io affermo. Dove con coerente
s’intende questo: l’utilizzo dei significanti in risposta ai miei, che si
avvale delle stesse regole. Per cui con casa intende come me in un certo senso,
con cane un animale fatto in un certo modo ecc. A questo punto sarebbe
difficile argomentare l’impossibilità della comunicazione. Dal momento che la
persona risponde a qualcosa che io affermo in modo coerente nel modo che vi ho
detto perché utilizza la stessa regola del gioco. Come avviene che sia
possibile giocare a poker? Perché si applicano delle regole. Sì, applicare le regole
non è altro che seguire una serie di procedure. Qualcuno potrebbe obiettare,
come fanno taluni, ma come è possibile imparare queste regole? Sarebbe impossibile
imparare queste regole del gioco, la stessa domanda che si fa Wittgenstein,
come imparo a parlare? Però questa domanda prevede un momento in cui non ci sia
la parola, diciamo che non ci sia il linguaggio. Allora si tratta di una
trasformazione dal punto in cui non c’è il linguaggio al punto in cui c’è il
linguaggio.
Prendiamo la fase in cui non c’è il linguaggio. Con
che cosa so di questa fase in cui non c’è il linguaggio? Già, è la stessa
questione che si pone taluno chiedendosi come potrebbe essere senza il
linguaggio. Come può farsi questa domanda? Non potendo uscire dal linguaggio
porsi la domanda “Come apprendo il linguaggio?” non è di nessun interesse. Non
può farsi, è una contraddizione in termini. Può farsi, ma non può portare da
nessuna parte, così come la domanda “Come Š nato il linguaggio?” o “Come
penserei se non avessi il linguaggio?”
Intervento: Quel tizio che ha detto Sandro, è in contraddizione perché comunque come funziona la comunicazione, lui ha già un input comunicativo con le persone.
Sì, ma lui sostiene che ci sia la comunicazione. Non
sa come né perché però rileva che c’è contrariamente a taluni continentali che
invece affermano il contrario, che la comunicazione non è possibile.
Intervento: La dà come implicita questa definizione, tutto sommato.
È semplicemente così, un dato empirico. Stiamo
comunicando, quindi, c’è comunicazione. È sempre molto pericoloso. Esistiamo
quindi, qualcuno ci ha creati. Si vede immediatamente il risvolto che la cosa
può portare.
Quale giustificazione adducono? Sì. Ma, chiaramente
anche loro utilizzano la definizione di comunicazione come la precedente, cioè
come una trasmissione di dati , d’informazione, comunque di elementi da una
persona all’altra. Ora, questa trasmissione dovrebbe avvenire. Pertanto,
secondo loro, comporta una variazione nel testo, una sorta di traduzione. Ciò
che io dico, anche in questo momento, tutto ciò che io affermo è inserito
all’interno di una combinazione, il significante, che appartiene al mio
discorso e non al vostro e, pertanto, ciò che io sto dicendo ha un senso
particolare nel mio discorso, che non è riproducibile nel vostro. Qualunque
cosa io dica è inserita in una combinazione significante il mio discorso e come
tale assolutamente particolare. Non è traducibile perché una traduzione,
qualunque traduzione voi facciate, comporterà un inserimento di questi elementi
all’interno di un’altra stringa di significati che è vostra e non mia.
Cambiando la stringa significante, la combinatoria in cui sono inseriti questi
elementi cambia il senso. Pertanto ciò che io dico non può essere capito da voi
in nessun modo.
Intervento:…
Questa formulazione così continentale è piuttosto
ingenua, ripresa in parte dagli scettici e, ovviamente, non tiene conto delle
obiezioni più semplici che possono farsi. La prima è quella che ho fatto
all’inizio, e, cioè, l’affermare ciò che affermano i continentali
dell’impossibilità della comunicazione è possibile perché hanno saputo che
altri invece sostengono la possibilità della comunicazione. E come l’hanno
saputo se la comunicazione non è possibile? Obiezione legittima. Qualcosa hanno
saputo; se sì, come? Visto che rispondono l’hanno saputo, come? Questa è la
domanda che si faceva Marconi, e qui entriamo nel mistero gaudioso.
Però è una questione sicuramente importante che
forse dovremmo renderla molto chiara, molto semplice.
Un filosofo del linguaggio.
Un’altra questione è questa del dizionario. Ciascun
elemento linguistico esclude necessariamente degli altri. Però quali altri deve
escludere? Qui sarebbe anche possibile discuterne. Un elemento linguistico è
tale in quanto esclude altri elementi. Però quali deve escludere? Questa è una
questione.
Intervento:…
E, ma è proprio quello che stiamo cercando, ma prima
di perderlo bisogna trovarlo.
Intervento: Io dico acqua, così facendo escludo tutto quello che può non rendere chiara questa mia affermazione.
Sì, tuttavia potrebbero esserci dei termini
discutibili, no?
Intervento:…
Beh, si potrebbe anche dire il contrario. Diminuendo
le regole di esclusione si aumenta l’utilizzo di ciascun elemento, invece di
essere utilizzato solo in due casi, può essere utilizzato in cinque.
Intervento:…
Le regole di esclusione sono dettate dall’uso del
termine, e l’uso è una cosa molto soggettiva, molto varia, piuttosto
impalpabile.
Intervento:…
Bisogna che ci sia il significato del cane, certo.
Si tratta di formalizzare questo uso.
Intervento:…
È una questione da risolvere. Giovedì prossimo vi
darò la risposta precisa e dettagliata. Abbiamo detto che il linguaggio è fatto
di regole di esclusione, cioè il significato di un termine è tale perché ne
esclude altri. Si tratta d’intendere, cosa che è molto vaga e, appunto, bisogna
vedere quanto. Si tratta di trovare un’argomentazione che renda questa
affermazione che il linguaggio non è nulla se non differenze molto più precisa.
Se no di per sé può anche non significare nulla. Si può obiettare quanto,
quali? Se non sai precisare non significa niente.
Uno può tirare la lingua sino a far significare che
acqua vuol dire fuoco, volendo.
Intervento:
Se uno dice: ho tirato il cane della pistola e ho tirato il cane che porto a
passeggio.
Nel primo caso è una metafora. Cioè nel primo caso
utilizza un termine per estensione, per condensazione. Il cane della pistola si
chiama così perché anticamente i primi cani, i primi aggeggi avevano quella
forma, come la testa di un cane. Però, come abbiamo detto mille volte, è
possibile una figura retorica perché c’è un elemento che non varia.
Il cane è fatto in un certo modo, per cui si è
pensato di chiamare cane il martelletto che picchia sul percussore, il quale picchia
sulla cartuccia, esplode la prima carica esplode la seconda ecc.
Intervento: Conferma la prima frase del libro: Se tutto cambia non c’è traduzione e nemmeno se nulla cambia.
Sì, perché, lo stiamo dicendo, se una parola cambia
in qualunque altra non c’è possibilità di parola. Però, quando si entra nel
dettaglio la questione diventa molto più complicata. È questo problema che va
risolto.