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30 agosto 2023

 

Aristotele Le Categorie

 

A pag. 59 Aristotele fa una distinzione. Tra ciò che si dice, c’è ciò che si dice con connessione, e ciò che si dice senza connessione; si dicono con connessione, ad esempio, “l’essere umano corre”, “l’essere umano vince”; si dicono, invece, senza connessione, ad esempio, “essere umano”, “bue”, “corre”, “vince”. Intende dire che sono senza connessione, dei nomi, dei termini, di cui non si predica nulla. E, infatti, questi nomi vengono usati sempre all’interno di una connessione, sennò non dicono niente; dice: “corre”, ma chi?, come?, ecc. C’è anche una distinzione nella linguistica tra elementi categorematici e sincategorematici. Il categorema è ciò che si predica, ciò che si dice; quindi, gli elementi categorematici sono appunto quelli senza connessione; quelli sincategorematici, per es. gli avverbi – “dopo” non può stare da solo – hanno necessità di essere con un verbo, mentre “bue” è un termine categorematico, un sostantivo, che non ha questa necessità. Alcuni enti si dicono di un soggetto, ma non sono in nessun soggetto: “essere umano”, ad esempio, si dice di un soggetto, cioè di un certo essere umano, ma non è in nessun soggetto. L’“essere umano” è ciò che si predica, non è dentro a un altro soggetto. Lui dice bene, non sono in nessun soggetto. Per esempio, l’umanità: tu fai parte dell’umanità, ma l’umanità non è in te, è fuori. Altri enti, poi, sono in un soggetto, ma non si dicono di nessun soggetto – dico “in un soggetto” ciò che, inerendo a qualcosa, non però come una sua parte, non può sussistere separatamente da ciò in cui è –: una certa grammatica, ad esempio, è in un soggetto, cioè nell’anima, ma non si dice di nessun soggetto; e un certo bianco è in un soggetto, cioè nel corpo – ogni colore, infatti, è in un corpo –, ma non si dice di nessun soggetto… Qui Aristotele sta cercando di determinare alcune cose per poterle utilizzare più avanti; però, intanto ci dice che queste determinazioni riguardano il ciò che si dice, non riguardano la cosa. Ma sarà ancora più preciso quando parlerà della sostanza. A pag. 61. La predicazione tra generi e specie. Quando qualcosa si predica di qualcos’altro come di un soggetto, tutto ciò che si dice del predicato si dirà anche del soggetto: “essere umano”, ad esempio, si predica di un certo essere umano, e “animale” dell’essere umano; dunque, “animale” si predicherà anche lui di un certo essere umano… È un po’ la differenza tra genere e specie: ciò che si dice del genere riguarda la specie, ma la specie comporterà anche ciò che si dice del genere. La specie umana e il genere animale: il genere animale è più comprensivo e comprende anche il genere umano. Dei generi diversi e non subordinati l’uno all’altro anche le differenze di “specie” sono diverse, come per le differenze di animale e di scienza: differenze di animale sono, infatti, terrestre, volatile, acquatico e bipede, e nessuna di queste è una differenza della scienza… È un’ovvietà, certo, però lui precisa tutto. …infatti una scienza non differisce da un’altra per il fatto di essere bipede. La questione interessante – magari la riprenderà poi negli Analitici – è perché non posso parlare di una scienza bipede. Possiamo senz’altro trovare delle giustificazioni, ma se proseguiamo l’analisi, a un certo punto, quando siamo costretti a dire che cos’è esattamente “bipede”, che cos’è esattamente “scienza”, ci troviamo di fronte a delle indeterminazioni, e allora questa differenza così precisa e netta mano a mano sfuma fino a dissolversi. Questo è ciò che accade parlando. Uno pensa a una distinzione, a una differenza: si immaginano sempre questi due elementi, che differiscono tra loro, come due elementi dati che sono quello che sono, perché se non sono quello che sono allora è più difficile stabilire una differenza. Quindi, per poterli distinguere, per poterli differire l’uno dall’altro devo, sì, differirli, ma differirli in un’altra accezione, e cioè spostarli. È interessante perché ci dice, pensando anche al progetto che abbiamo in animo, come il platonismo sia stato da sempre dominante. Per fare una differenza tra una cosa e un’altra, per esempio tra A e B, devo pensare che A sia quella cosa lì, non solo, ma che perduri a essere quella cosa lì. Dicevamo del numero 5: non è che lo si tiene continuamente d’occhio perché non cambi, perché non faccia mattane, sarebbe un problema serissimo, crollerebbe tutta la matematica. In effetti, il 5 non è quello che è, ma si fa come se lo fosse. E, allora, per potere distinguere qualche cosa occorre pensare – usiamo questi termini – platonicamente e non è un caso che tra le varie sostanze, dopo l’ούσία, la prima sostanza che compare, la più importante per Aristotele sia la quantità, cioè, il misurabile. Non è casuale. Qui si pone una questione di grande interesse perché, in effetti, – adesso la dico grossa, ma la dico lo stesso – verrebbe quasi da pensare che l’aristotelismo e il platonismo in qualche modo siano una sorta di riproduzione del funzionamento del linguaggio. Per il platonismo una cosa è quella cosa lì, e per poter usare qualcosa devo pensare che sia quella cosa lì. Non importa che questo comporti un paradosso, non importa assolutamente niente a nessuno, salvo a Russell. Anche nel caso del movimento, se lo fermo non è più movimento, quindi, determino qualche cosa che non è il movimento. Ogni volta che per qualunque motivo penso il movimento lo penso platonicamente; per poterlo pensare devo pensarlo così, sennò non lo penso, cioè devo pensare una cosa in un modo tale che questa cosa sia quella che è e permanga quella che è. Il problema è che per potere fare questa cosa io devo spostarmi, per potere dire che rimane quella che è devo spostarmi. È questo il problema del linguaggio, problema nell’accezione heideggeriana come questione da pensare. Dopo averci rassicurato che la scienza non è bipede, a pag. 65 fa la Presentazione delle dieci categorie. Tutto ciò che si dice senza alcuna connessione indica o una sostanza o una certa quantità o un relativo o un dove o un quando o un giacere o un avere o un agire o un patire. Dice Tutto ciò che si dice senza alcuna connessione. Questa cosa merita una riflessione. Poniamo una domanda: può dirsi qualcosa senza connessione? Può esistere qualcosa senza connessione? Per Platone sì, naturalmente, l’idea esiste senza alcuna connessione, sta lì nell’Iperuranio. Ma lo stesso Platone si è trovato nella mala parata quando voleva, attraverso la dialettica, stabilire l’ente per quello che è, quindi, senza connessione. Ma senza connessione non c’è l’ente. Aristotele dice Tutto ciò che si dice senza alcuna connessione. Pensa che si dica senza alcuna connessione. Compie qui un’operazione bizzarra ma indicativa. Dice Tutto ciò che si dice senza alcuna connessione indica, ma allora è connessa, perché, se indica, è connessa con ciò che indica. Nel testo greco la parola “connessione” è συμπλοκή, che si traduce appunto generalmente con connessione, però bisognerebbe vedere come pensavano i greci la parola συμπλοκή. Bisognerebbe avere un dizionario etimologico del greco antico. Quindi, ecco la sostanza, l’ούσία. Ούσία δέ έστιν (è) ή κυριώτατά (maggiore, più importante) τε καί πρώτως (primo), quindi, la sostanza è la cosa prima e più importante. Difatti, dice: Sostanza è quella che si dice nel senso più proprio... Dice proprio così Aristotele? Non è “nel senso più proprio”, ma dice “il più importate e primo. Κυριώτατά è il più importante, il maggiore, ciò che ha più rilievo. …primo e principale, la quale né si dice di un soggetto né è in un soggetto, come, ad esempio, un certo essere umano o un certo cavallo. Che sono particolari. La sostanza, dunque, né si dice di un soggetto né è in un soggetto. E, allora, dove sta? Dov’è questa sostanza? Passa poi alle sostanze seconde. Ma sulle sostanze prime è tutto qui quello che aveva da dire? Sì. Le sostanze seconde sono tutte le altre categorie. Dunque, c’è prima la sostanza e poi a seguire tutte le altre. Da lì Plotino ha poi preso la sua idea dell’Uno, da cui procedono tutte le cose. Per Plotino non erano ovviamente le categorie ma erano le ipostasi. Sostanze seconde, invece, si dicono le specie cui appartengono le sostanze dette prime e i generi di tali specie. Un certo essere umano, ad esempio, appartiene alla specie degli esseri umani, e il genere di questa specie è animale; queste sostanze, come essere umano e animale, dunque, vengono dette seconde. Secondo quanto esposto, risulta evidente che di ciò che si dice di un soggetto è necessario che sia il nome sia la definizione si predichino del soggetto: “essere umano”, ad esempio, si dice di un soggetto, cioè di un certo essere umano… A pag. 69. Delle realtà (questa è un’aggiunta del traduttore) che sono in un soggetto, invece, nella maggior parte dei casi né il nome né la definizione si predicano del soggetto. Per esempio, il bianco. Dico che una persona è bianca, ma non posso utilizzare la definizione di bianco per definire la persona a cui mi sto riferendo. Infatti, dice, Il bianco, ad esempio, pur essendo in un soggetto, cioè nel corpo, si predica del soggetto – un corpo, infatti, si dice bianco –, ma la definizione di bianco non si predicherà mai del corpo. Tutte le altre realtà o si dicono delle sostanze prime come di soggetti o sono in esse come in soggetti. Quindi, in definitiva, non è che dica granché della sostanza. Dice che non è in un soggetto né che si predica di un soggetto. E, allora, viene da domandarci che cos’è questa sostanza. E, in effetti, è nulla, presa a sé è assolutamente nulla, è come prendere il significante a sé stante senza il significato, che appunto è nulla. Tutte le altre sostanze non sono altro che il significato dell’ούσία; quindi, lui in un certo qual modo è abbastanza coerente, anche se lascia un po’ la bocca asciutta dicendo che dell’ούσία non si può dire, perché, di fatto, sono le altre categorie che dicono la sostanza, mentre questa non si può dire e non si dice. Diciamo, invece, le categorie, o meglio, dicendo le categorie diciamo la sostanza, cioè, diciamo ciò di cui stiamo parlando, se traduciamo ύποκείμενον, come ci suggeriva Heidegger, come il “ciò di cui si sta parlando”. A sua volta, il colore è nel corpo, quindi anche in un certo corpo: se, infatti, non fosse in nessun corpo individuale, non sarebbe neppure nel corpo in generale. Di conseguenza, tutte le realtà si dicono delle sostanze prime come di soggetti o sono in esse come in soggetti. Tutte le realtà si dicono delle sostanze prime come di soggetti. Bisognerebbe conoscere bene il greco per potere giocare con questi termini, sennò si rischia di doversi affidare a persone che sicuramente conoscono molto bene il greco ma… Possiamo negare che Diels conoscesse molto bene il greco? Certo che no. Eppure, ἒν πάντα εἰναι lui lo traduce come “l’uno è il tutto”; no, dice Heidegger, πάντα non è il tutto ma tutte le cose. Se, dunque, non ci fossero le sostanze prime, sarebbe impossibile che ci fossero le altre realtà. Tutte le altre realtà, infatti, o si dicono di queste come di soggetti o sono in esse come in soggetti; per cui, se non ci fossero le sostanze prime, sarebbe impossibile che ci fossero le altre realtà. Adesso fa un discorso che è anche di difficile traduzione, ma se voi pensate al significante e significato la cosa diventa molto più semplice. Se non ci fosse il significante non ci sarebbe nessun’altra realtà, cioè nessun significato di cui il significante è fatto. Quindi, sta dicendo che, se non ci fossero le sostanze prime, sarebbe impossibile che ci fossero anche le altre realtà. Se non ci fosse questa sostanza prima, di cui non si può dire niente se non attraverso i predicati, le categorie, le sue determinazioni, non ci sarebbe niente: tutte le altre realtà, cioè tutte le cose, non esisterebbero. Eppure, questa ούσία non c’è, non c’è perché è il dire, è il dire i significati di una certa cosa. Quando io dico qualche cosa la determino, parlando di qualcosa necessariamente la determino. Ricordate l’importanza che sottolineava Heidegger della parola όρισμός, definizione: noi parliamo per definizioni, definiamo tutto necessariamente. Cosa significa definire? Significa pensarla platonicamente, cioè, determinarla, tagliarla fuori dal mondo in cui è inserita. È come supporre di togliere questa lampada che è sul tavolo e che, una volta tolta, rimanga questa lampada che è sul tavolo: no, diventa un’altra cosa. Sarà probabilmente sempre una lampada, ma non questa lampada che è sul tavolo. Quindi, dice, tutte le altre realtà o si dicono di soggetti, tutte le realtà si dicono della sostanza o sono nella sostanza, ma sono nella sostanza in un certo qual modo, perché, di fatto, la sostanza non è un contenitore. Io posso dire, certo, tutto quello che voglio, ma tutto ciò che dico è ciò che fa esistere la sostanza. Qui c’è tutta la questione che aveva affrontata nella Fisica. Ricordate la δύναμις l’ἐνέργεια e l’έντελέχειᾳ. Qui sta in pratica ripetendo la stessa cosa, e cioè: il primo elemento, che è condizione del secondo, non esiste se non c’è il secondo. È il secondo che lo fa esistere, è il secondo che fa esistere il primo, che è la sua condizione. Sappiamo che l’integrazione, questo movimento, non è altro che l’έντελέχειᾳ o l’Aufhebung di Hegel. Se non ci fossero le sostanze prime, sarebbe impossibile che ci fossero le altre realtà, quindi, sarebbe impossibile che ci fosse la realtà, tout court. Delle sostanze seconde, la specie è più sostanza del genere perché è più vicina alla sostanza prima. Dice che la specie è più sostanza del genere. Con sostanza intende ciò che si avvicina a ciò che vogliamo dire. La specie, in effetti, è più specifica del genere; per esempio, “essere umano” è più specifico di “animale”. Dovendo, infatti, spiegare che cosa sia la sostanza prima, lo si spiegherebbe in maniera più chiara e più appropriata indicando la specie piuttosto che il genere. Dovendo spiegare che cosa sia la sostanza prima, si utilizza più propriamente la specie, cioè qualcosa che è più vicino. Ad esempio, si spiegherebbe in maniera più chiara un certo essere umano indicando che è un essere umano piuttosto che un animale – il primo termine, infatti, è più proprio di un certo essere umano, mentre il secondo è più comune – Si tratta sempre di determinazioni. Noi utilizziamo quelle determinazioni che, se prendiamo la parola determinazione alla lettera, tagliano via il maggior numero di cose. È questa l’illusione: che, tagliando via tutte le cose che non sono più appropriate, rimane la sostanza, rimane ciò che la cosa è propriamente. Ve lo ricordate, τό τί ᾖν εἶναι, il quod quid erat esse, ciò che l’essere era e che è ancora, perché perdura, perché è quello che è: è l’essere di Platone. Inoltre, le sostanze prime per questo sono dette sostanze in senso principale: perché fungono da soggetto di tutte le altre realtà e perché tutte le altre realtà si predicano di esse o sono in esse; ora, come le sostanze prime stanno a tutte le altre realtà, così anche la specie al genere. Quindi, le sostanze prime non sono altro che il soggetto. Qui verrebbe da pensarla in termini grammaticali e si può capire perché Trendelenburg abbia avuta questa idea, che non era assolutamente presente in Aristotele, e cioè che le categorie non siano altro che un derivato dalla grammatica. Delle specie che non costituiscono dei generi, invece, nessuna è più sostanza dell’altra. In effetti indicando, in riferimento ad un certo essere umano, che è un essere umano, non si darà affatto una spiegazione più appropriata di quella che si darà di un certo cavallo dicendo che è un cavallo. Allo stesso modo, anche tra le sostanze prime nessuna sarà più sostanza dell’altra… Cesare non è più sostanza di Gabriele, il 5 non è più sostanza del numero del 10. A pag. 73. Caratteristica comune a ogni sostanza è il non essere in un soggetto… Teniamo sempre presente la definizione di Heidegger: ciò che è comune a ciò di cui parliamo è il non essere in un soggetto, cioè, ciò che dico di Cesare non è Cesare, non è neanche in Cesare, ma è un’altra cosa: c’è uno spostamento. Il che è una cosa interessante e anche importante, perché ci sta dicendo, anticipando di un paio di millenni il pensiero, che ciò che dico di qualche cosa non è quella cosa. Sembra una banalità, ma non lo è. Basterebbe già pensare al termine “determinare”: tagliare fuori. Se taglio fuori non è più quella cosa lì. Determinando, il ciò che dovrebbe essere determinato dilegua, come abbiamo detto varie volte. “Essere umano” si dice di un soggetto, cioè di un certo essere umano, ma non è in un soggetto, perché l’essere umano non è in un certo essere umano. Qui è fine la cosa, bisognerebbe leggerla in greco, perché anche questa sembra una banalità, ma non lo è. D’altra parte, è difficile che Aristotele dica delle banalità. Caratteristica comune a ogni sostanza… perché la sostanza prima non si dice di un soggetto. Sta dicendo che la sostanza, se, come sta dicendo, non è altro che predicati, questi predicati non sono la cosa. Delle sostanze seconde, invece, sia la definizione sia il nome si predicano del soggetto – la definizione di essere umano, infatti, si predicherà di un certo essere umano, e anche quella di animale; sicché la sostanza non potrebbe fare parte delle realtà che sono in un soggetto. Tale caratteristica, tuttavia, non è peculiare della sostanza, ma anche la differenza fa parte delle realtà che non sono in un soggetto: “terrestre” e “bipede”, infatti, si dicono di un soggetto, cioè dell’essere umano, ma non sono in un soggetto, poiché bipede non è nell’essere umano, e neppure terrestre. “Bipede” è una categoria (la quantità), non è la cosa, è ciò che si predica della cosa, non è la cosa. Qui è sviante perché parla di realtà, cosa che Aristotele non fa, però… A pag. 75. D’altra parte, non ci turbi il fatto che le parti delle sostanze sono negli interi delle sostanze come in soggetti, affinché non siamo costretti a dire che, allora, esse non sono sostanze. Non si definiva, infatti, in questo odo ciò che è in un soggetto, cioè come ciò che è in qualcosa come sua parte. È ancora un altro modo per dire: badate bene che tutte queste categorie sembrano determinare qualcosa pezzo per pezzo (la qualità, il luogo, ecc.), ma non è in questo modo che si deve definire ciò che è in un soggetto – usa il termine ύποκείμενον. Sta dicendo che queste parti, di nuovo, non rendono la cosa, mentre la scienza ritiene ancora che questo sia possibile: lo faccio a pezzettini, analizzo tutti questi pezzettini e finalmente conosco la cosa; al di là del fatto che io possa ancora dividere questi pezzettini, e poi ancora, e poi ancora, ma queste parti non renderanno mai la cosa, perché ogni parte potremmo dire che è a sé stante. Lui dice “la parte”, ma in effetti è il predicato, è ciò che predico di qualche cosa, e pensa che sia una parte di quella cosa. Il problema in cui si è incappati è: quanti predicati devo aggiungere per definire, determinare la cosa? Ogni sostanza sembra significare “questa realtà qui”. E, infatti, è questa la parola che usa: τόδε τί. Τί è il qualcosa, τόδε è questo. Questo libro è un qualcosa, sì, certo, ma è questo qualcosa. Ora, ciò è incontestabilmente vero le sostanze prime, poiché ciò che vi viene indicato è qualcosa di individuale e uno di numero. Qui fa un altro accenno alla sostanza, che è questa realtà qui e una di numero. Usa la parola ἒν ma avrebbe potuto anche usare la parola εἶδος, che per i greci è la forma, quindi, un tutto compiuto, l’uno. Infatti, per i pitagorici l’uno è la forma finita, da cui poi discendono tutti gli altri numeri. Qui Aristotele riprende una questione che è più antica di lui, e cioè la questione dell’uno e dei molti. E infatti dice Per quel che riguarda le sostanze seconde, invece, sembra, a causa della forma dell’espressione, che si indichi ugualmente “questa realtà qui” – come quando si dice “essere umano” e “animale” –; in realtà non è certamente vero, ma esse indicano, piuttosto, una certa qualità: in questo caso, infatti, il soggetto non è uno come la sostanza prima, ma essere umano e animale si dicono di molti soggetti. L’uno e i molti. Dunque, riabbiamo la sostanza, l’uno, l’ἒν, e le categorie, i molti. Appartiene alle sostanze anche il non avere dei contrari. Che cosa, infatti, potrebbe essere contrario alla sostanza prima? Ovviamente, solo un predicato, ma il predicato non è la sostanza prima e, quindi, la sostanza prima non può avere contrari. Se dico “bianco”, quello che ho detto è vero o falso? Che domanda è? Si costruisce un’affermazione che predichi del “bianco” e allora potrò dire che la camicia che indosso è bianca. Ma l’uno? È per questo che dicevo che non ci sono predicati che dicano dell’uno, ma è l’uno la sostanza, l’ούσία, la condizione di tutti i predicati? È come il significante: il significante è uno, perché è quello: se dico Cesare, Cesare è quello. Infatti, de Saussure lo indicava come immagine acustica, immagine proprio nell’accezione greca di εἶδος, come una forma che è quella. Quindi, questa sostanza, in effetti, è ciò da cui tutto parte, è ciò che consente di predicare delle cose, ma di cui non si può predicare nulla. Se si potesse predicare qualcosa della sostanza, allora la sostanza sarebbe fatta di molti, perché i predicati sono tanti, e invece rimane “uno”. È come se insistesse la questione del linguaggio, non nell’accezione intesa da Trendelenburg ma piuttosto quella di Parmenide dell’uno e dei molti. C’è l’uno, ma senza i molti non c’è nemmeno l’uno; c’è la sostanza, certo, e senza la sostanza non ci sono le categorie, perché le categorie predicano qualcosa della sostanza, della quale non predica niente, sono i predicati che dicono della sostanza e solo allora la sostanza esiste. Ecco, allora, la questione dell’έντελέχειᾳ, dell’Aufhebung, ecc. Sembra poi che la sostanza non ammetta il più e il meno. Il più e il meno sono categorie. Non dico che una sostanza non è più sostanza rispetto a un’altra – si è già detto, infatti, che questo si verifica -, ma che ogni sostanza non si dice ciò che è di più o di meno: se questa sostanza, ad esempio, è un essere umano, non sarà un essere umano di più o di meno rispetto a se stesso né rispetto a un altro; /…/ D’altra parte, una cosa si dice più o meno anche di se stessa: il corpo che è bianco, ad esempio, si dice adesso più bianco di prima, e quello che è caldo si dice più o meno caldo. La sostanza, invece, non lo si dice affatto: né un essere umano si dice, infatti ora più essere umano di prima, né nessun’altra realtà che sia sostanza. Di conseguenza, la sostanza non potrebbe ammettere il più e il meno. Cioè, non ammette la categoria della quantità. La caratteristica più peculiare della sostanza sembra essere la capacità di ricevere i contrari, pur restando identica e una di numero. Cosa vuol dire che riceve i contrari? Riceve i contrari nel senso che io posso predicare di “uomo” che è alto, basso, largo, stretto, ecc. Cosa che posso fare, ovviamente, ma facendo questo io aggiungo dei predicati. Questi predicati non raggiungono la cosa, non dicono la cosa. Qui ci sarebbe da fare un discorso, perché la sostanza, così come il significante rispetto al significato, rimane come quell’elemento che non si coglie mai. Ricordate Gentile: pensiero pensante e pensiero pensato. Come colgo il pensiero pensante? Pensate a Zenone: come colgo il movimento se non come qualcosa che non è movimento? È sempre ed esattamente la stessa cosa che insiste. La sostanza riceve i contrari ma non è mai il contrario, riceve il predicato ma non è mai ciò che io predico: posso dire di Cesare tutto quello che voglio, ma non sarà mai lui.