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30-4-2008

 

Oggi parleremo della dimostrazione, che è un concetto matematico, geometrico, logico, ma la dimostrazione è soprattutto quel procedimento che conduce da un’ipotesi a una certezza, e siccome sappiamo che gli umani in quanto fatti di linguaggio sono costretti dalla loro stessa struttura a compiere continuamente questa operazione allora merita di vedere come funziona e merita anche di vedere se possiamo trovare qualche altra cosa. Ci sono vari tipi di dimostrazione naturalmente oltre a quella logica, la dimostrazione geometrica, la dimostrazione fisica, la dimostrazione geometrica muove da assiomi come sapete, la geometria tradizionale muove, per esempio, da cinque principi, i postulati di Euclide, questi postulati sono asserzioni autoevidenti, per alcuni, per altri meno, un po’ come le idee primitive di cui parlava Peano. Peano quando scrisse i suoi cinque assiomi, ponendo che zero è un numero e che il successore di un numero è un numero l’ha posto come delle una delle idee primitive cioè non ulteriormente scomponibili, qualcosa che si approssima all’a priori kantiano, cioè qualche cosa che non si deduce da altro ma è immediatamente evidente. Il punto da cui si parte per una dimostrazione è sempre un’ipotesi, qualche cosa che si suppone essere fatta in un certo modo, dopo si tratta di verificare se è proprio così oppure no. Questa ipotesi può essere per esempio un assioma, come quelli che si utilizzano nella logica, in effetti è vero ma non ha una sua dimostrazione nel senso che, per esempio, una delle regole logiche, delle inferenze logiche più note e più praticate è quella del “modus ponens” che i medioevali chiamavano “modus ponendo ponens” che vuole dire che ponendo una cosa se ne pone anche un’altra e cioè se ho questa ipotesi “se A allora B” e un’altra ipotesi “A” allora posso concludere che “B”. Un’operazione logica che non è altro che il vecchio sillogismo anapodittico degli stoici: se piove prendo l’ombrello (se A allora b), ma piove (quindi A), quindi prendo l’ombrello (dunque B). Che cosa giustifica questa inferenza? Questo procedimento noto come “modus ponens” che, torno a dirvi, è quello che è ritenuto fondamentale in tutto il calcolo della logica, ce ne sono anche altri ma questo è prioritario, senza questo la logica non va da nessuna parte, cosa giustifica dunque questo passaggio? È provabile che sia vera questa inferenza? No. Anche questa potremmo, parafrasando Peano, potremmo dire che è un’idea primitiva, non c’è la possibilità di esibirne una dimostrazione, serve all’interno di dimostrazioni ma questo in quanto tale non è dimostrabile, allora cosa vuole dire dimostrabile? Vuole dire che dato un certo sistema di regole a un elemento ne segue un altro necessariamente quindi la dimostrazione non è altro che la conferma della derivabilità di un elemento da un altro. Però per il momento lasciamo in sospeso la questione, c’è un altro aspetto parallelo di cui voglio dirvi adesso che è interessante; la logica così come si offre a tutt’oggi muove da un certo numero di assiomi e si occupa di derivare tutto ciò che da questi assiomi è derivabile, tutto ciò che è derivabile da questi assiomi che quindi proprio in quanto gli assiomi sono veri, si costruirà un teorema, se l’assioma è vero, e posso derivare questa altra cosa dall’assioma, è vero l’assioma e quindi è vero anche ciò che è derivato, e in effetti si utilizza il teorema di completezza proprio per verificare questo e cioè che tutte le formule che sono derivabili dagli assiomi sono valide, cioè sono teoremi. La logica è quella strana cosa nella quale come già diceva tale Bertrand Russell non si parla di niente, tutti i simboli che sono utilizzati in realtà sono come delle scatole vuote proprio per la necessità di dare un termine la massima generalizzazione, non deve essere un individuo singolo ma deve appunto essere una variabile enunciativa come una p, o una variabile semantica, una A per esempio, che poi dentro ci si può mettere qualunque cosa e ha questa prerogativa: qualunque cosa ci si metta dentro comunque la procedura produrrà sempre lo stesso risultato. La logica è fatta da una sintassi ovviamente come tutti i linguaggi, una sintassi che è molto semplice, è composta dai cinque connettivi (se… allora/ oppure/ non/ e / se e soltanto se) e poi delle interpunzioni che sono i punti, le virgole, le parentesi e naturalmente delle variabili enunciative. Tutte le formule che in logica si chiamano ben formate sono composte da questi elementi e da nient’altro che questi elementi, quindi come vedete è una sintassi molto semplice. La grammatica invece dice soltanto quali saranno le formule ben formate utilizzabili, che sono semplicemente tre regolette, sono tre: 1) qualsiasi variabile proposizionale è una formula ben formata, 2) la sua negazione è una formula ben formata, 3) se A allora B è una formula ben formata – A oppure B è ben formata – A e B è ben formata –  A se e soltanto se B è ben formata. Solo queste tre regole e niente altro. Naturalmente poi interviene la semantica, si può parlare di semantica diretta o indiretta, quella indiretta è quella che si usa comunemente cioè si suppone che ad ogni parola corrisponda a un significato stabilito, ma la logica non si occupa di questo, non si occupa di individui singoli e specifici, la sua semantica è una semantica diretta cioè non è data dal valore dell’elemento che compare nella sequenza ma dalla sua posizione cioè dalla sintassi in cui è inserito. Per cui l’inferenza, l’implicazione se A allora B non è vera se la A significa qualcosa di vero cioè qualche cosa di concreto, ma semplicemente questa formula è valida se e soltanto se è valida tenendo conto dei vari valori di verità che possono assumere, come dire che è la sintassi che decide della semantica e questo è interessante. Le parole che usa o i simboli non significano niente, significano unicamente quando sono inseriti all’interno di una sintassi, le sintassi possono essere molte ma ciascuna volta che usa la sintassi si usa quella ovviamente, ora provate a immaginare il linguaggio, più propriamente il discorso di ciascuno e immaginate che tutte le parole che occorrono all’interno delle stringhe che costruisce non siano nient’altro che scatole vuote, cioè non significhino niente, il loro significato, e questo già Wittgenstein l’aveva intuito, è dato dal loro uso ma cosa significa che è dato dal loro uso? Che so come usarla, so come porla all’interno di una sintassi cioè so quale posizione può occupare e quale no. Prendete un dizionario qualunque e cercate una parola, naturalmente vi fornirà altre parole questo è ovvio, ma fornendovi queste altre parole che cosa dice? Non qual è il significato del singolo elemento, perché questo significato, proprio all’interno del dizionario è preso in un rinvio infinito che non concluderà mai da nessuna parte perché ciascuna parola rimanda a un’altra parola, un’altra parola rimanda a un’altra parola e così via all’infinito anche se un dizionario è un sistema chiuso. Un buon dizionario può contenere circa 200.000 parole, quindi in ogni caso è un sistema chiuso eppure il rinvio all’interno di questo è infinito perché una parola rinvia a un’altra e poi un’altra e poi ritorna intrecciandosi con altre, questione che sembra evocare per i più dotti la nozione di infinito attuale. L’infinito attuale si distingue da quello potenziale perché quello potenziale è, come dice la parola stessa, in potenza, la sequenza dei numeri naturali è un infinito potenziale, ma fra 1 e 2, fra questi due numeri quanti numeri posso metterci dentro? Infiniti, eppure sono all’interno di un sistema chiuso perché va da 1 a 2, è limitato da questi due e quindi è chiuso, cionondimeno la quantità di numeri che posso metterci all’interno è infinita, questo è l’infinito attuale. È infinito pur essendo finito. Dunque questo dizionario funziona in questa maniera per cui esclude la possibilità di attribuire a un elemento singolo un significato in modo finito, lo propone in un modo infinito e quindi di fatto non c’è nessun significato, perché se è un rinvio ininterrotto quando si arresta? Per trovare un significato deve arrestarsi a un certo punto ma non si arresta mai quindi saremmo indotti a concludere ragionevolmente che non c’è nessuna possibilità di stabilire un significato, ma allora a questo punto se non è il significato che occorre nel senso che non è il significato che interviene in quanto tale e, parafrasando Wittgenstein è il suo utilizzo, cioè il sapere come va utilizzato un elemento all’interno di una certa sintassi, ma se questo elemento non ha nessun significato proprio come i simboli nella formalizzazione logica non significano niente, allora dentro non c’è niente, dentro alla parola orologio per esempio non c’è niente, è vuota. Naturalmente la semantica così come avviene per la logica è data dalla sintassi; perché i logici hanno inventato questo sistema relativamente recente? È stato Hilbert a formalizzarlo così come è conosciuto oggi, un sistema assiomatico formalizzato, un sistema assiomatico perché muove da assiomi, formalizzato perché se ne considera solo la forma non il contenuto, perché i logici hanno inventato questo sistema, come è potuto venire in mente? Certo la necessità era quella di costruire un sistema che non fosse vincolato alla verità del singolo elemento ma si potesse muovere tenendo conto che un elemento è sostituibile da qualunque altro, è una necessità certo legata al tipo di calcolo logico. Questa invenzione è bizzarra per un verso perché rende conto che si ha a che fare continuamente con elementi vuoti, con scatole vuote, cionondimeno queste scatole vuote disposte in un certo modo producono una semantica cioè è possibile stabilire se quella sequenza, quindi quell’elemento all’interno di quella sequenza è vero o falso. Quando si costruisce un teorema si è sicuri che all’interno di quel teorema qualunque elemento sarà vero e il teorema non è altro che l’ultima formula di una sequenza che muove appunto da assiomi, se come sto andando considerando in questo istante il linguaggio fosse fatto proprio a questa maniera, tenendo conto che il significato di un singolo elemento non è reperibile di fatto perché è inserito all’interno di un infinito che è potenziale cioè può andare avanti all’infinito a cercare il significato, allora la semantica di un qualunque elemento deve arrivare da qualche cos’altro e cioè come ha intuito la logica formale dalla combinazione in cui è inserito, cioè dalla sua sintassi, dalla sua disposizione, che è un’ipotesi suggestiva anche se è carica di conseguenze. Non è una questione semplice né da approcciare né da svolgere, però se le cose stesero così come stiamo dicendo allora il linguaggio sarebbe fatto non di elementi provvisti di significato, la nozione stessa di significato andrebbe riconsiderata…

Intervento:…

Sì in parte certo l’uso che viene fatto, ma l’uso all’interno di una sintassi particolare non l’uso in generale, l’uso all’interno di una sintassi specifica, questo potrebbe facilmente rendere conto del perché in molti casi una persona costruisce un discorso utilizzando certi elementi linguistici e questa sequenza per lui produce un significato, la stessa sequenza per altre persone produce un significato diverso, potremmo dire perché sono inserite all’interno di giochi differenti, ogni gioco comporta una sintassi e ogni sintassi comporta una semantica quindi l’effetto di verità o una verità diversa semplicemente. Parole dunque come contenitori vuoti, ciò che sto dicendo che le parole di per sé non significano niente, assolutamente niente…

Intervento: nella divisione l’ordine è importante mentre nell’addizione l’ordine non è importante e neanche nelle altre operazioni, quindi sono regole stabilite anche queste…

È ovvio, sono giochi e il linguaggio è più complesso, il linguaggio è fatto in modo tale per cui, contrariamente alla logica formale, queste sintassi che intervengono continuamente vengono incessantemente implementate da altre sintassi, come dire che su un gioco linguistico si innestano altri giochi linguistici che ne modificano la struttura e quindi la sintassi, e questo può avvenire continuamente e anche molto rapidamente, e questo comporta cambiare le regole del gioco, comporta di conseguenza un’altra semantica inevitabilmente cioè i termini inseriti all’interno di questa struttura acquisiscono un valore diverso…

Intervento: c’è un abbinamento fra la sintassi del senso e la semantica del significato? La sintassi è più avvicinabile alla regola…

Sì, noi abbiamo sempre sostenuto che il senso è la direzione che il discorso prende ad un certo punto e il significato non è altro che la sua utilizzabilità, potremmo dire che il significato di un elemento linguistico è quello di essere un elemento linguistico, cioè di essere utilizzabile, anche facendo l’esempio del dizionario, qual è il significato di una parola? È il fatto di essere un elemento, perché altre nozioni di significato abbiamo visto che comportano una sorta di infinitizzazione dalla quale non si esce e quindi qualche cosa che sia altro da questo non può essere neanche considerato…

Intervento: però all’interno di un singolo gioco la cosa ha un significato… viene assunto come tale poi che in realtà non lo abbia è un altro discorso…

Intervento: è sempre una questione di utilizzo…

Intervento: come mai pensa una certa cosa? quindi da un significato…

Pensi alla formalizzazione della logica, un teorema è appunto questo elemento finale di cui lei diceva, una conclusione, questo è un teorema perché questa formula è valida ciononostante sia fatta di elementi che non significano niente, è una sequenza. Per farle un esempio potrei dirle il primo assioma, quello più semplice che viene utilizzato insieme con altri ma è il più banale e il più semplice: “se A; allora se B allora A” questo assioma è sempre vero naturalmente indipendentemente dal fatto che siano vere A e B, non importa, possono essere entrambe false, entrambe vere, una falsa e una vera, una vera e una falsa, questa formula: se A; allora se B allora A è sempre comunque vera eppure A e B non significano niente, sono solo posizioni…

Intervento: come: se “A allora B e se B allora C allora se A allora C” è sempre vero?

Formalmente sì, secondo invece la semantica indiretta no, non è sempre vero, perché si può sostituire a questi termini: Pietro e Paolo sono apostoli, gli apostoli sono dodici, allora Pietro e Paolo sono dodici: se A allora B e se B allora C, allora se A allora C. Questo è uno dei problemi che interviene quando si attribuiscono a delle variabili metalinguistiche dei significati specifici ma aldilà di questo la dimostrazione, dicevamo all’inizio, a questo punto non ha più nessun bisogno di provare una verità di qualche cosa all’infuori della sua sintassi cioè della disposizione, della posizione che occupano i singoli elementi, nessuna, anche quando una persona conclude un suo pensiero utilizza della parole certo ma cosa utilizza esattamente? Si accorge delle parole che utilizza? Come può continuare a parlare senza accorgersi delle parole che utilizza e molte volte senza sapere neanche qual è il significato, almeno quello del dizionario? Le parole che utilizza le sa usare, cioè ha imparato qual è la posizione in cui deve inserirle all’interno di una combinatoria per cui di fatto nessuno parlando pensa al significato, intendo quello del dizionario, delle parole che sta pronunciando, in una sorta di automatismo, certe volte la persona si accorge con sorpresa di qualche cosa che ha detto, perché di fatto non è, da come stiamo dicendo, non è affatto necessario conoscere in un certo senso il significato del dizionario, in un certo senso badate bene, voglio dire che questo significato del dizionario comporta un certo numero di rinvii, non importa quali, io so che una certa parola rinvia ad un’altra in un certo modo e questo è più che sufficiente per l’utilizzo del linguaggio…

Intervento: d’altra parte quando dico che “voglio le pere cotte” per i più diversi motivi, a questa proposizione si aggancia una stringa precisa di proposizioni… non è infinito l’aggancio dico “voglio le pere cotte non un transatlantico” e quindi è vero che il calcolo proposizionale gioca con scatole vuote e la verità o la falsità è data dalla posizione sintattica, però quando parliamo e quindi quando utilizziamo il linguaggio per cui se costruisco una certa sequenza a questa sequenza, che parli tra me e me o che mi risponda un’altra persona, ci deve essere un aggancio abbastanza preciso… perché se no non si produce quel senso di cui si parlava perché se io dico voglio le pere cotte e mi rispondo il transatlantico sta arrivando per il mio pensiero non c’è più un senso, una direzione a quel punto la direzione è un non senso cioè un’altra domanda che senso ha tutto ciò?

Sono due aspetti diversi, uno è l’apprendimento dell’utilizzo di certi elementi altro è la possibilità di stabilire un significato di un elemento e in effetti ciò che lei sta dicendo è corretto, ciascuno sa utilizzare delle stringhe pur non sapendo affatto quale sia il significato, però sa come usarle…

Intervento:  nella Grammatica della Logica ad un certo momento dice se io chiedo cos’è la logica? la risposta non è a me piacciono le pere cotte o le mele… per cui parlava di regole ben precise che il linguaggio stabilisce di volta in volta in cui si trova a utilizzarsi e quindi a utilizzare delle proposizioni, certo parlava di giochi…

Queste regole sono quelle determinate dalla sintassi e del gioco che sta facendo, è ovvio che ciascuno conosce la sintassi della lingua con cui è nato e conoscendo questa sintassi sa che ponendo certi elementi in una certa disposizione si produrrà un certo effetto, cionondimeno rimangono elementi vuoti che di per sé non significano niente e questo potrebbe avere delle implicazioni per quanto riguarda la teoria del linguaggio che dovranno essere considerate. Il linguaggio si muove soltanto così come fa la logica formale, come la logica formale può avere intuito, unicamente con simboli vuoti attraverso una sintassi, che costruisce quella cosa che si chiama semantica oppure no? Questa è la questione centrale…

Intervento: se “questo è questo” fosse vuoto…

Perché? Affermare che A è A è corretto, eppure A è vuoto, non significa niente, dice soltanto di una identità e ponendo l’identità pone quella bizzarra nozione che è così cara agli umani nota come esistenza, in realtà non c’è nessuna necessità di avere un significato, che poi di fatto non c’è, come abbiamo visto, in ultima analisi non c’è, il dizionario paradossalmente non fornisce nessun significato è perché preso in una corsa folle e infinita di rinvii senza potere arrestarsi mai, qual è il significato di un termine? È l’utilizzo che ne viene fatto. In molti casi si suppone che ce l’abbia ma è una supposizione o più propriamente una superstizione con tutti gli effetti che questo produce. Mi rendo conto non è una questione semplice e questa sera l’abbiamo soltanto posta, si tratterà di considerarla e svolgerla in modo preciso, abbiamo soltanto posta la questione e la questione torno a dirvi è questa: se il funzionamento del linguaggio è al pari della logica formale, come se in qualche modo la logica formale avesse, cercando di raggiungere il massimo della generalizzazione, avesse effettivamente posto in termini precisi il funzionamento del linguaggio e cioè elementi vuoti che traggono la loro semantica, cioè la loro validità unicamente dalla posizione che occupano all’interno di una certa sintassi, ma questi elementi sono vuoti non significano niente, nulla. In fondo le regole di composizione di cui abbiamo parlato non sono altro che la grammatica di cui dicevo prima, e allora dovremmo intanto verificare se le cose stanno in questo modo e possiamo verificarlo solo dal funzionamento del linguaggio ovviamente, non abbiamo altri strumenti, la logica anche quella formale parte dall’idea che comunque le cose funzionino in un certo modo ma non sa perché funzionano in quel modo, così come dicevo prima rispetto al modus ponens Se A allora B 1) ipotesi/ A 2) ipotesi- conclusione B – perché? Perché è così. Come per esempio trovare una ragione se non una prova di una cosa del genere? Questo potrebbe già essere una bella domanda…

Intervento: bisognerebbe capire se il linguaggio può funzionare diversamente…

Questo è un altro modo, certo…

Intervento: se non fosse così sembra difficile costruire qualcosa…

Sì, tenendo conto di ciò che scrivemmo nella Grammatica della Logica potremmo dire che se un elemento linguistico è tale allora necessariamente ne implica un altro, quindi abbiamo un elemento linguistico, e abbiamo che un elemento linguistico ne implica un altro, è inevitabile che ci sia quell’altro, per esempio questa potrebbe essere una prova di struttura linguistica: abbiamo un elemento linguistico, un elemento è un elemento linguistico perché se non lo fosse non sarebbe niente, se è un elemento linguistico naturalmente ne implica un altro perché se non lo implicasse sarebbe isolato, se fosse isolato non sarebbe un elemento linguistico.