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30 aprile 1998

 

Stiamo parlando dell’etica e quindi del bene. Aristotele, come dicevamo la volta scorsa, sosteneva che gli umani tendono al bene. Naturalmente occorre riflettere su questa affermazione, potremmo porre una questione: gli umani tendono a qualche cosa generalmente? Oppure no? E se sì a che cosa? Gli umani e quindi il discorso, il discorso in cui ciascuno è preso, a che cosa tende se tende a qualcosa? La questione potrebbe essere difficile da svolgersi, si può provare, tanto tendere a qualcosa non è altro che il muoversi da una posizione verso un’altra e questo è ciò che fa il discorso di ciascuno, in quanto ha un andamento, una direzione. Dunque, il discorso va ciascuna volta verso una direzione, quale non ha nessuna importanza; andando in una direzione accade che ciascuno, qui torno a dire il discorso in cui si trova, quello che costruisce di fatto, potremmo dire che tende, tende verso questa cosa, verso la quale sta andando adesso. Stiamo parlando in termini più generali possibili, poi vedremo di precisare se è possibile perché non è neanche sicuro. Dunque, tende verso qualcosa, ma qui si impone un altro elemento e cioè verso che cosa tende il discorso o, più propriamente, cos’è questo tendere del discorso verso qualcosa? Sapete che il discorso si fa, si costruisce, è una catena, una sequenza di elementi, di atti, ma si tratta di vedere se il tendere di un qualunque discorso sia un tendere verso un qualcosa che possiamo chiamare bene o, più propriamente, un atto di autorità: “chiamiamo bene ciò a cui tende il discorso”. Vediamo se è possibile sostenere una cosa del genere. Proviamo a non chiamare bene ciò a cui tende il discorso, a questo punto il bene ha un’altra connotazione, è un’altra cosa; se non è ciò a cui tende il discorso è comunque qualcosa che il discorso costruisce e così come lo costruisce può smontarlo in ciascun momento. Ma adesso sempre stiamo cercando qualcosa di assoluto, seguendo la scia degli antichi, il motore immoto. Ora, potremmo dire che l’eventualità che si dia un qualche cosa cui il discorso tende e che il discorso non possa distruggere potrebbe configurarsi come il tendere del discorso verso qualcosa, questo il discorso non lo può fare perché per farlo deve comunque tendere verso qualcosa, e a questo punto avremmo già un elemento abbastanza solido, visto che stiamo proponendo il pensiero forte, anzi fortissimo, che più forte non si può. Dunque, necessariamente tende a qualcosa. Certo, nessuno ci obbliga a chiamare bene questo qualche cosa, ovviamente, però proviamo a considerare come generalmente viene utilizzato questo significante bene. Se poco poco ci riflettiamo ci accorgiamo immediatamente che è necessariamente inteso in questo modo e cioè come ciò a cui si tende. Il fatto che ciascuno cerchi di volta in volta configurarlo in modo diverso ma il bene è quasi un luogo comune, ciascuno si muove in questa direzione, ciò che ritiene, diciamola così, ciò che ritiene essere il bene, o per lui è il bene ovviamente, in altri termini, ciascuno e quindi ciascun discorso, tende naturalmente al bene e in questo già gli antichi avevano detta la questione e poi hanno aggiunto e lì si può porre qualche obiezione, definizione di bene molto discutibile, però che il bene sia preferibile al male è noto da sempre, anzi il bene è proprio ciò che è preferibile. Che cos’è il bene? Ciò che si preferisce. Se apparentemente preferisce qualcosa che appare non essere il bene è perché ha un altro bene come fine, che magari non è immediatamente evidente però, comunque ciò a cui tende è necessariamente il bene. Dunque, per tornare alla questione da cui siamo partiti, a questo punto possiamo affermare che bene è ciò a cui il discorso tende, necessariamente e non può essere altrimenti, con questo aggiungiamo un elemento alla discussione intorno all’etica. Ma vediamo così quasi per gioco, come scommessa, se è possibile individuare o dire qualcosa di più o in cosa consista questo bene del discorso, e cioè ciò a cui il discorso tende, cercando di evitare se e finche è possibile di aggrapparci ad argomentazioni molto discutibili, non è sicuro che ci riesca però, facciamo questa prova. Dunque, il discorso tende a qualche cosa, questo qualche cosa che cosa sia esattamente non lo sappiamo, sappiamo soltanto che tende in quanto facendosi il discorso va in una direzione. Ma provate a riflettere bene, intanto sappiamo che il discorso non potrebbe non tendere a qualche cosa, qualunque essa sia, cioè non potrebbe non trovarsi preso in un andare verso, in quanto la sua stessa struttura è tale per cui non può non fare una cosa del genere, se potesse farlo cesserebbe di essere il linguaggio in cui ci troviamo, cioè cesserebbe di esistere. Come abbiamo detto la volta scorsa, la sola cosa che non può non fare è di proseguire, adesso ci metterò dentro qualche artificio retorico. Allora, sappiamo che, torno a ripetere perché è importante che il discorso va verso qualche cosa, tende verso qualche cosa, e questo non può non farlo, dunque potremmo dire che tutto ciò che ferma o che cerca di fermare il discorso sia un impedimento al bene? Sic stantibus rebus potremmo anche affermarlo, visto che il bene lo abbiamo accostato a nient’altro che al tendere del discorso verso qualcosa e quindi al suo  proseguire. Ciò che lo arresta, ciò che cerca di arrestarlo dunque non è il bene, perché impedisce questo andare del discorso verso qualcosa. Nella mitologia più diffusa, compresa quella filosofica, si vede bene che il male è sempre accostato al non essere, soprattutto poi i padri della chiesa hanno dato un forte contributo, in questa direzione, “ciò che non è”, altri più recentemente come distanza, distanza dalle cose, tanto per citarne uno dei contemporanei Paul Ricoeur, ma in ogni caso si tratta di qualche cosa che si oppone a una presenza, ciò che non è o che è distante, distanza dall’essere poi in definitiva, e l’essere è ciò che consente, sempre luogo comune, è ciò che consente ciascuna operazione, è ciò che fa da sfondo a qualunque atto, a qualunque gesto, a qualunque pensiero, ciò che necessariamente è, e non come vorrebbe Marx una sovrastruttura. Bisogna che procediamo per passi molto piccoli ma in questo caso sono necessari, se facciamo lunghi passi poi ci perdiamo. Dunque il male, male come non essere, come distanza, come mancanza anche, tutto ciò che quindi non è o impedisce l’essere, che impedisce la sua realizzazione, nei vari modi in cui si voglia pensare. Questa realizzazione non è altro, l’essere in quanto tale non è altro che lo sfondo da cui si staglia qualunque cosa che si dia, ma abbiamo acquisito in questi anni che l’unica cosa che possiamo dire dell’essere che abbia qualche senso è questa: il fatto che qualcosa si dica. Dunque, l’essere come elemento, come atto linguistico, se tutto ciò che possiamo dire senza timore di essere rapidamente e facilmente confutati è questo rispetto all’essere, allora immediatamente tutto ciò che è non essere e quindi che è distanza dall’essere e quindi male, è ciò che impedisce, è ciò che impedisce l’atto linguistico. Ritorniamo alla questione centrale. Abbiamo detto che è bene il tendere della parola verso qualcosa, male ciò che glielo impedisce, in definitiva abbiamo detto questo, però non sto dicendo che è bene ciò che consente alla parola di proseguire e invece è male ciò che glielo impedisce. No, sta qui la differenza sostanziale, il proseguire della parola lo chiamo bene, cioè adesso io do un senso a questo significante “bene”, non prima, giusto perché voglio dargliene uno, come e allo stesso modo tutto ciò che impedisce al discorso di proseguire lo chiamo adesso male, anche perché abbiamo considerato poc’anzi che ci sono pochi altri modi per considerare questi significanti bene e male in modo tale che possano ancora essere utilizzati, cioè non procedano esclusivamente da un’asserzione totalmente arbitraria. Certo, posso anche dire che il bene è questo aggeggio qui, però non sono andato molto lontano. Con questo non intendo istituire una sorta di nuovo manicheismo, bene e male, semplicemente mi trovo a riflettere che queste due nozioni di fatto hanno un esistenza che è direttamente e inesorabilmente connessa con il linguaggio; anche nell’uso comune, nel luogo comune comunque evocano ciò di cui stiamo dicendo. Affermare che il proseguire del discorso e andare verso una direzione è il bene di per sé non ci serve assolutamente a niente; tutta questa operazione che vi ho fatta in questa occasione è soltanto per riflettere su questa nozione in modo da poter avere degli strumenti e accogliere questa nozione laddove intervenga nel discorso, in qualunque discorso. Io ho stabilito adesso una nozione di bene che è assolutamente inconfutabile e pertanto dovrebbe essere accolta assolutamente e necessariamente. Ebbene, vi sto dicendo con questo che non abbiamo fatto assolutamente nulla, nulla che abbia una qualche utilità. A questo punto si potrebbe riflettere tanto sull’uso che viene fatto di questo significante dal luogo comune quanto sulla non necessità di questo significante. Io so che il discorso non può arrestarsi, che chiami questo bene non mi aggiunge nulla, non significa niente, assolutamente niente. Quindi, questo mostra abbastanza chiaramente come l’unico utilizzo di questi significanti sia l’utilizzo, chiamiamolo così, terroristico, e cioè l’individuazione di un elemento che deve essere necessariamente accolto da tutti, a cui tutti devono confacersi. Ma, allora, quando uno qualunque si chiede “faccio bene o faccio male a fare così?”, cosa si sta chiedendo esattamente? Non sono in gioco le questioni che ho affrontate prima, ovviamente, sono in gioco figure retoriche, però, sta qui la sottigliezza, se non c’è una riflessione molto precisa intorno a questi significanti, riflessione che giunge a considerarne  l’assoluta inutilità, e quindi non utilizzabilità poi in definitiva, allora questa domanda “faccio bene o faccio male?” mantiene sempre sullo sfondo, come sfondo la possibilità che si dia un bene nell’accezione che indicavo prima, cioè un bene terroristico, un bene a cui si deve conformarsi. Anche una domanda come questa “faccio bene o faccio male?”, per quanto banale possa apparire, è marginale rispetto a infinite altre cose, può mostrare un modo di una struttura di pensiero, per il solo fatto che la questione si ponga, non che si dica, si può dirlo ovviamente non è che ci sono parole tabù, ma che si ponga non come questione retorica, quasi come interiezione, ma come una questione che attende o comunque ha la possibilità di essere risolta una volta per tutte, quindi nell’attesa che qualcosa decida del bene o del male. Questione questa fondamentale per quanto riguarda l’etica della psicanalisi se si tiene conto di come viene praticata e cioè secondo il luogo comune, ciascun bravo analista ha ben chiaro ciò che è bene e ciò che è male. È molto semplice, ciò che è bene è la sua teoria, ciò che è male tutto ciò che non rientra nella sua teoria, questo è il criterio fondamentale, è male in quanto si discosta dalla verità, in quanto chiaramente l’altra persona non ha capito e se non ha capito ha dei problemi. Generalmente gli psicanalisti ragionano così, ha dei problemi che deve risolvere quando li avrà risolti allora finalmente... È la stessa struttura della religione, non crede perché non sa, perché ancora non ha avuto l’illuminazione, ma appena saprà, conoscerà la verità crederà necessariamente.

Intervento:…

Se tu ed io stessimo giocando a poker e io avessi due sette tu quattro assi allora faresti bene, se la posta è alta, a venire a vedere, allora sarebbe bene, perché vinceresti tutto. (Una regola per volta!!!) Certo, e così in qualunque altro gioco, se devo cambiare la ruota e metto quell’altra ho cura di avvitare bene i dadi che la tengono stretta, per evitare di perderla per la strada il che sarebbe alquanto seccante. In questo caso di nuovo il bene interviene, se stringo bene i dadi.... cioè faccio bene quella operazione...

Intervento: In questo caso è un bene assoluto...

In un certo senso sì e no. E’ un bene assoluto, non è una legge universale, un bene assoluto perché è tale per le regole del gioco, esattamente come le regole del poker, che quattro assi vincano due sette è un bene assoluto per così dire, cioè non può essere differentemente da così se no il gioco non può farsi, inesorabilmente, se voglio giocare quel gioco fare con quelle regole se no non gioco quel gioco, non c’è niente da fare...

Intervento:…

Sì, infatti sono queste considerazioni che mi hanno indotto a dire le cose che ho detto prima rispetto al bene e cioè se in qualche modo sia possibile fornire una definizione di bene che non sia negabile in nessun modo, pur essendo assolutamente inutile.

Intervento: Sarebbe comunque un gioco come quello della metafisica…

Sì, qui tu poni l’accento su una questione fondamentale e cioè che questo gioco in effetti si avvale unicamente delle regole del linguaggio che sono quelle che consentono di giocare, cioè non aggiunge nessun gioco, per questo è differente da qualunque altro gioco, che utilizza unicamente regole del linguaggio che sono quelle che ti consentono di fare questo e qualunque altro gioco, e questa è l’unica differenza in effetti, però resta comunque un gioco ovviamente, chiaro.

Intervento:…

Il bene e il male soggettivo, sicuro? (...) È un discorso questo che abbiamo affrontato in termini molto simili quando abbiamo posta la questione della verità, ci si chiedeva se si dà una verità assoluta oppure se la verità è soggettiva, la mia verità, la sua verità... Per dipanare questo imbroglio abbiamo dovuto riflettere sulla nozione di verità e indicare in quali termini sia possibile parlarne, giungendo alla considerazione che se poniamo questo significante verità in termini soggettivi allora cessa di avere la sua denotazione, non sarebbe più la verità è ciò che a me piace che sia, che è differente. Si tratta ciascuna volta di precisare il più possibile, per quanto sia possibile ovviamente i termini che si utilizzano e soprattutto lungo un’elaborazione laddove di fatto si sta facendo questo, cioè interrogando dei termini, delle proposizioni, delle questioni. Certo, nella conversazione corrente può intervenire che io dica “sì, questo è il mio bene”, ovvio però un conto, come si diceva prima, come figura retorica, altro se è creduto veramente tale perché, così come per la verità, per definizione, cioè per essere utilizzato questo significante bene, così come la verità occorre che sia assoluto se no non è niente. Ritenere la verità soggettiva conduce a delle contraddizioni in termini, a delle aporie assurde. Come definirebbe lei il bene?

Intervento:…

Dunque il suo bene è ciò che lei cerca di raggiungere in un modo o nell’altro secondo le sue possibilità o cerca di evitarlo?  (...) Cerchiamo intanto di capire orientativamente qual è la direzione in cui muoverci: questo che chiamiamo bene, cerca di raggiungerlo o di evitarlo? (Raggiungerlo) E sappiamo che è soggettivo perché è così che ha detto. Un’altra persona, per esempio Vera, anche lei  cercherà di raggiungere ciò che per lei è soggettivamente bene.... sarà la stessa cosa oppure è una cosa diversa? (...) Però per entrambi c’è questo bene, entrambi tendete a qualche cosa. Ma se uno chiama bene una cosa e bene anche un’altra, allora o ciascuna volta occorre chiamarlo in un modo diverso oppure esiste un idea che ciascuno ha e questa idea non è dissimile perché ciascuno sa di tendere al bene. E non è forse questa idea che è al di sopra di tutti i particolari, ciò a cui ciascuno naturalmente tende? C’è un’idea che è al di là, ciascuno dei due tende al bene, e quindi ha una sua idea di bene, ovviamente, però essendo che ciascuno tende a questo bene, deve esserci necessariamente un qualche cosa che non è particolare, che non è soggetto ai ghiribizzi del singolo, ma qualcosa che trascenda il bene particolare, qualcosa di universale, di assoluto...

Intervento:…

Ma ciascun elemento linguistico è, come si diceva tempo fa, necessariamente un significato per poter essere utilizzato dal linguaggio e se non è utilizzato dal linguaggio non è un elemento linguistico. Ora, certo che il significante “casa” abbia una certa denotazione di per sé potrebbe anche non essere terroristico a meno che con operazione terroristica si intendano anche le regole del gioco del poker. Quando diventa terroristica in accezione che stiamo utilizzando? Quando si impone non come regola di un gioco particolare, e che quindi serve per giocare quel gioco, ma come regola universale, necessaria e quindi extralinguistica, allora potremmo dire che è terroristico e cioè chi non segue questa regola va contro natura per esempio, va contro gli dei, va contro la ratio, il raziocinio, va contro tutto...

Intervento: Wittgenstein diceva che io posso dire questo è un albero e non io so che questo è un albero.

Certo, questo è un albero è l’assunzione di una regola di un gioco, affermare che io so che questo è un albero comporta problemi notevolissimi.