29-11-2001
Da tempo abbiamo verificato la difficoltà di intendere il discorso che stiamo elaborando da parte di moltissime persone e anche come le obiezioni siano sempre le stesse, ora la questione che pongo e che discutiamo è se sia il caso di intervenire in modo molto più provocatorio. Cosa intendo con questo? Intendo non soltanto l’intervento che fa la persona, per esempio in una conferenza, ma anche lungo il dibattito, è ovvio che occorre una notevole preparazione per fare una cosa del genere, non è semplice, occorre avere pronte argomentazioni molto solide e anche inattaccabili. L’ostacolo maggiore che si riscontra nel parlare del discorso che stiamo facendo è l’utilizzo del criterio che noi utilizziamo, e cioè del fatto che l’unico criterio possibile per stabilire la verità o la falsità di una qualunque cosa non sia altro che la struttura stessa del linguaggio, questo è uno degli ostacoli maggiori, tutte le obiezioni che vengono mosse in effetti non tengono conto di questo: “tutto questo è la realtà e non ha nulla a che fare con il linguaggio” obiezione vecchia come il mondo di fronte alla quale però occorre avere immediatamente disponibili argomentazioni che siano molto semplici, molto forti e molto persuasivi, L’esercizio che ho sempre suggerito di fare e che è importantissimo è questo, provarsi a dimostrare in poche battute che la legge di gravità è falsa, in modo molto robusto e inattaccabile e insieme con questa infinite altre cose e poi costruire delle argomentazioni che rendano false le cose che credete vere, in modo altrettanto inattaccabile e persuasivo; è un esercizio estremamente interessante oltre che per voi stessi anche per coloro con i quali vi troverete a che fare, ecco la retorica o addirittura l’eristica perché no? La nobile arte dei sofisti, sapere provare vera e falsa qualunque cosa, indifferentemente, questo per quanto riguarda l’ambito pubblico per così dire, però allo stesso tempo anche costruire un approccio più facile, più immediato alla questione a cui accennavo prima e cioè il criterio di verità che noi utilizziamo: la struttura del linguaggio. Quando voi pensate per esempio al discorso scientifico, dall’ingegneria, alla fisica, alla medicina, all’agrimensura e infinite altre cose che riguardano il discorso scientifico, l’astronomia e tutto quello che volete, ecco, tutte queste discipline quando affermano qualcosa immaginano che le loro affermazioni siano vere, in caso contrario non le affermerebbero, qual è il criterio di verità che si utilizza in queste discipline? Generalmente sono due, l’esperimento oppure la deduzione, nel secondo caso sorretta da un’altra disciplina che è quella del calcolo numerico, soprattutto nella fisica viene utilizzato questo, e questi sono sistemi di verifica. Come sapete nella scienza perché un elemento possa essere provato occorre che sia sperimentabile da chiunque in qualunque circostanza, ora ciò che io vi sto dicendo è che voi dovete avere a disposizione un’argomentazione che dimostri false tutte queste prove, almeno questo, perché tutto ciò? Potrebbe apparire assolutamente inutile una cosa del genere ma non lo è se voi pensate a ciò che dicevo prima e cioè la necessità di insinuare che l’unica verifica possibile per stabilire se una certa proposizione è vera o falsa, o meglio ancora, l’unico criterio per potere stabilire che cosa siano “vero” e “falso” è la struttura del linguaggio, non ce ne sono altre. Voi sapete bene che una qualunque affermazione scientifica necessita di essere provata prima di essere affermata tale, quando una persona afferma una certa cosa in ambito scientifico gli viene chiesto di provare ciò che afferma, perché? Questa è una domanda che potrebbe apparire banale ma non lo è affatto, cosa gli si chiede con questo? Gli si chiede di esibire le prove, e delle prove sono fatte nel modo in cui indicavo prima: esperimento, deduzione e calcolo numerico. Considerate il calcolo numerico che è a fondamento per esempio di buona parte della fisica, il calcolo numerico che cos’è esattamente? È un insieme di regole, queste regole vengono applicate e conducono ad un certo risultato, se io mi attengo alle regole del calcolo numerico e compio questa semplice operazione di 2+2, attenendomi a queste regole il risultato mi darà 4 inesorabilmente, con questo che cosa ho fatto esattamente? Ho fatto qualche cosa in più oltre ad essermi attenuto scrupolosamente alle regole del calcolo numerico? Se sì, che cosa? Se no, ho semplicemente messo in atto un insieme di regole, le ho fatte funzionare e ho ottenuto un risultato, e questo caso potrebbe non essere dissimile da ciò che io pongo in essere ogni volta che gioco a poker con gli amici, mi attengo a delle regole e ottengo un certo risultato. La questione che può apparire bizzarra è che quando mi attengo alle regole del calcolo numerico si suppone che io abbia fatto qualcosa in più, la questione che vi sottopongo è questa: che cosa ho fatto di più esattamente? Perché per rispondere a questa domanda o io immagino come il buon vecchio Kronecker che i numeri siano stati dati da dio, e quindi corrispondano a un ordine stabilito e universale, allora se credo questo mi attengo certo a una cosa del genere, ma supponiamo che io non creda questo, allora può diventare più difficile che io risponda a questa domanda e cioè che cosa ho fatto in più oltre essermi attenuto a delle regole; se queste regole non hanno nessun referente che sia al di fuori di sé, allora in questo caso c’è l’eventualità che io sia costretto a concludere che ciò che ho fatto sia l’essermi attenuto alle regole del calcolo numerico, nient’altro che questo, che è una cosa molto simile a quella che poneva circa cinquant’anni fa Wittgenstein parlando della dimostrazione “quando io ho compiuto una dimostrazione che cosa ho fatto esattamente” diceva “se non essermi attenuto a quelle regole che io ho stabilite per compiere la dimostrazione?” Mi sono dunque attenuto scrupolosamente a quelle regole e quindi ho ottenuto quei risultati, ma al di fuori di questo posso affermare di avere fatto qualche cosa? Torno a porre ancora la questione: se sì, cosa? Fuori ovviamente dal credere che, come diceva Kronecker, i numeri siano una produzione di dio e quindi siano l’espressione di una sua volontà, ma supponiamo, torno a dire, che non si creda una cosa del genere, ecco che la questione si pone ma per il momento lasciamola in sospeso, e veniamo alla deduzione altro criterio di prova, fondamentale. Sapete bene che per i greci era l’unico degno di tale nome. L’esperienza, l’empiria, era cosa da poco, solo la deduzione aveva dignità di ragionamento corretto. La deduzione dunque poniamola in questi termini: occorre che abbia un fondamento oppure no? Parrebbe di sì, se voglio costruire un’argomentazione che almeno sia degna di questo nome, ma se la deduzione deve avere un fondamento quale occorre che abbia? Qui c’è stato un problemino non da poco a cavallo fra gli ultimi due secoli, noto come la crisi dei fondamenti, dunque la deduzione per essere tale come sapete necessita di una premessa che abbia una validità universale, perché se così non è allora sì, certo, posso costruire tutti i discorsi che voglio però tutti questi discorsi hanno un piccolo difetto, e cioè non sono provabili, per esserlo, se io compio una serie di deduzioni muovo da un elemento il quale lui sì occorre che sia provabile poi scendo faccio tutte le seconde e terze e quarte e arrivo alla conclusione e va bene ma se ciò da cui muovo non ha nessun fondamento allora come già sapevano gli antichi tutto ciò che ne segue vale poco, cioè non è provabile. Come sapete è stato un problema colossale per il pensiero occidentale, perché nessuno è mai riuscito a porre al posto della premessa maggiore qualcosa che fosse assolutamente necessario, e questo lascia qualunque conclusione di nuovo in sospeso, può essere creduta certo però anche gli scienziati più attenti sanno che di fatto se uno va a scavare oltre un certo limite, oltre al consentito non trova assolutamente niente, lo stesso Einstein è stato costretto a immaginare che dio non stesse a giocare ai dadi e cioè ci fosse una realtà da qualche parte, solida e incrollabile e in attesa di scoprirla comunque la si suppone e da qui si costruisce tutto quanto, però come dicevo su niente; da ultima consideriamo l’esperienza, esperienza che ha fatto la sua comparsa come criterio di prova relativamente recentemente, chi era? Bacone ha introdotto l’esperienza come criterio di prova cioè ciò che io vedo, osservo, tocco, questo, che in effetti era ciò cui si appellavano le persone sabato durante l’intervento di Cesare, l’esperienza… (…) ora l’esperienza la si dà per acquisita, come se fosse lei stessa un fondamento però, però anche qui le obiezioni potrebbero essere molte e già gli antichi che non disprezzavano l’esperienza avevano notevoli obiezioni, perché l’esperienza è fondata sui sensi, i quali sensi? I miei sensi non potrebbero essere esattamente quelli di Cesare e allora l’esperienza potrebbe essere differente ma sono argomentazioni ancora abbastanza deboli, quando si pensa in termini precisi, vedete, ci si pongono domande che generalmente non ci si pongono e allora anche l’esperienza chiede di essere fondata, perché in caso contrario io posso ascrivere all’esperienza qualunque cosa e il suo contrario, no? Mentre se si pensa in termini precisi si ha l’esigenza di qualcosa che escluda una cosa del genere, per in tal coso posso accogliere a quel punto come vero qualunque cosa e il suo contrario, indifferentemente, ora l’esperienza dunque dicevamo anche la volta scorsa, incominciamo anche a ripetere, a ripercorrere a ritroso tutti e tre gli elementi: se ho esperienza di qualche cosa ovviamente esiste un qualche cosa di cui ho esperienza ché se avessi esperienza di nulla non ci sarebbe esperienza, ora se io ho esperienza di qualche cosa questo qualche cosa segue ad un altro elemento, potremmo dire che è il conseguente di un antecedente, no? C’è un qualche cosa di cui ho esperienza, potrebbe non avvenire in questo modo? Cioè potrei avere esperienza di nulla? Che esperienza sarebbe? Non sarebbe data nessuna esperienza, occorre qualche cosa perché ci sia esperienza, come dire che per potere affermare di avere esperienza, per averla esperienza occorre che ci siano degli elementi cioè un antecedente e un conseguente perché se non si dessero tali due elementi, l’antecedente e un conseguente, non ci sarebbe esperienza di nulla, occorre che ci siano dunque due elementi, che si trovino in questa combinatoria, l’antecedente e un conseguente ora perché ci siano questi due elementi occorre che ci sia una struttura all’interno della quale questi due elementi siano inseriti, un antecedente e un conseguente, quale struttura risponde a questo requisito? Potremo dire che è ciò che è comunemente noto come linguaggio, il quali linguaggio comporta nella sua struttura questo, cioè un sistema inferenziale, ora Cesare ripercorriamo le obiezioni che le sono state rivolte sabato…
Intervento: se un tram sopraggiunge io istintivamente mi sposto e quindi non c’è linguaggio
Di fronte a una cosa del genere qual è la questione che occorre affrontare ché sono regole ciò che occorre porre, e ciò a cui queste persone si attengono sono regole, ora per fare una cosa del genere lei può operare in due modi, uno logico e uno retorico, usiamo il modo retorico una persona afferma quello che lei ha ricordato prima, va benissimo quando io gioco a poker e ho quattro assi e vedo che l’altro non ha niente in mano, sta bluffando allora io rilancio” ecco è la stessa cosa? Oppure no? anche in questo caso io istintivamente so che il gioco va dalla mia parte e rilancio, è la stessa cosa oppure no?
Intervento: ma il tram…
È la stessa struttura intendo, dire e cioè io mi muovo a seconda delle regole che ho appreso (…) allora in questo modo incomincia a porre una questione e cioè che la persona si è mossa in seguito a delle regole ora a questo punto lei ha un gioco più facile per far intendere come ciò che queste persone intendono con realtà di fatto non sono altro che regole di un gioco e in effetti l’equivoco in cui l’umanità generalmente è presa è scambiare le regole del gioco per qualche cosa che invece regola del gioco non è ma è considerata una realtà extralinguistica, poi può utilizzare anche una questione logica però è un po’ più complicato, si preferisce generalmente nell’ambito di botta e risposta, come accade in un dibattito, utilizzare argomentazioni retoriche che sono più efficaci, però torniamo alla questione dunque l’esperienza per potere darsi cioè per esistere necessita di queste regole fondamentali che sono un sistema inferenziale, cioè esiste una cosa e quindi esiste quell’altra senza questo non ho esperienza di nulla, quindi l’esperienza per potere esistere, la condizione perché esista è che ci sia un sistema che chiamiamo linguaggio, il quale è fatto anche di inferenze, allora consideriamo la deduzione, anche la deduzione, abbiamo visto prima…
Intervento: perché è fatto “anche “ di inferenze questa struttura che chiamiamo linguaggio?
Perché è fatta anche di procedure, altri sistemi che sono per esempio il principio di identità, un elemento occorre che sia se stesso…
Intervento: e questo non lo posso considerare un’inferenza allo steso modo?
Allora tutti questi elementi che sono strutturali al linguaggio, diciamo che sono strutturali proprio perché ciascun elemento è fondamentale per l’esistenza del linguaggio…
Intervento: però distinguiamo fra procedura e inferenza
Sì è una distinzione così a scopo didattico, di fatto se dico se A allora B ma se questo A non fosse identico a sé non ci sarebbe neanche allora B… ora consideriamo dunque la deduzione, abbiamo detto prima e l’abbiamo lasciata in sospeso perché non abbiamo trovato un elemento abbastanza solido da cui muovere ma è invece esattamente quello che abbiamo trovato contrariamente a ciò che ha fatto tutto il discorso occidentale negli ultimi tre mila anni e questo elemento che abbiamo trovato non è altro che la struttura stessa del linguaggio, che abbiamo poi espressa in questo modo e cioè che qualunque cosa questa è necessariamente un atto linguistico, l’avevamo solo illustrata in questo modo ma di fatto la premessa che poniamo come premessa maggiore di qualunque sillogismo all’interno di un discorso teorico, ovviamente, ché se andiamo al bar a bere non ci interessa, abbiamo posto la struttura del linguaggio, ponendo la struttura del linguaggio come premessa maggiore di qualunque sillogismo abbiamo anche stabilito il criterio verofunzionale e cioè possiamo affermare che il criterio che consente di costruire un discorso il quale consenta di stabilire se una certa cosa è vera o falsa non può essere altro che il linguaggio, potrei avere altri criteri per stabilirlo che non siano il linguaggio, che non siano la struttura stessa del linguaggio? Questa è una bella domanda perché se sì, quali? Abbiamo visto che l’esperienza senza linguaggio non c’è e abbiamo visto anche che il calcolo numerico non è altro che una regola, una regola di cosa? Per essere una regola deve essere un gioco, possiamo pensare un gioco che non sia un gioco linguistico? In questo caso sarebbe un gioco che è fuori dal linguaggio quindi utilizza altre regole e altre procedure, ora c’è un piccolo problema di fronte a una eventualità del genere che l’unico sistema per approcciare qualunque cosa è il linguaggio, per cui fuori dal linguaggio non potrei approcciare il calcolo numerico se non con un’altra struttura, posso anche ipotizzarla non la posso provare, è importante in ambito teorico potere provare ciò che si afferma non soltanto perché quando avanzerete questa questione sarà la prima cosa che vi si chiederà, non soltanto per questo ma anche perché è il linguaggio stesso come abbiamo visto poco fa a costringere a compiere questa operazione, la sua struttura che stiamo indagando mano a mano costringe a concludere ciascuna volta, dicevamo tempo fa che ciascun elemento se è un elemento linguistico e non può non esserlo ché se non lo fosse sarebbe fuori dal linguaggio e quindi non ci sarebbe e quindi se è un elemento linguistico allora è connesso con un altro elemento linguistico perché è all’interno del linguaggio e essendo all’interno del linguaggio è connesso con latri elementi linguistici. Cosa comporta questo? Che se c’è un elemento allora ce ne è un altro chiamiamo questo “allora ce ne è un altro” inferenza, generalmente si chiama così e visto che esiste già questo termine lo utilizziamo, potremmo chiamarlo anche Pippo però non trarremmo nessun vantaggio… possiamo formalizzare in questo modo se A allora B, e abbiamo detto che questo fa parte della struttura del linguaggio e intendiamo sempre con struttura del linguaggio quell’insieme di elementi in accezione proprio classi di Benveniste o in parte di De Saussure cioè un insieme di elementi tale per cui se modifico un elemento modifico tutti gli altri, una definizione di struttura più banale, sì dunque un elemento strutturale abbiamo detto che fa parte della struttura del linguaggio cioè non può non esserci, non è possibile dunque che il linguaggio e quindi parlando ovviamente questa struttura non funzioni, per cui se c’è un elemento allora ce ne è un altro, muovo da un elemento e arrivo ad un altro, cosa fa quest’altro elemento? Dicevamo tempo fa che conclude, quando ci domandavamo se il concludere qualcosa sia un elemento della struttura del linguaggio oppure no, ed eravamo giunti a considerare che è un elemento strutturale al linguaggio cioè che parlando non è possibile non concludere intendendo con conclusione semplicemente l’elemento al quale l’antecedente rinvia “ se A allora B” questo B l’avevamo inteso come conclusione e in effetti funziona così anche nel discorso corrente, quando si dice allora questo cioè concludo e c’è una battuta di arresto, provvisoria, momentanea tutto quello che volete ma è una battuta di arresto dove il pensiero è concluso, se c’è un elemento linguistico allora ce ne è un altro. Tutto questo per dire che ci sono degli elementi che fanno parte della struttura del linguaggio e la deduzione di cui stavamo parlando, in effetti se vi ricordate stavamo cercando l’elemento su cui fondare la deduzione e l’unico elemento o criterio che consenta di fondare delle proposizioni necessarie è la struttura stessa del linguaggio, come ho detto tante volte è l’uovo di colombo, perché fuori da questa struttura non è pensabile alcunché non è pensabile neanche qualunque obiezione intorno a questa affermazione, tant’è che dicevamo che la prova più forte, quella che abbiamo utilizzato e cioè quella che costringe qualunque negazione di ciò che andiamo affermando ad autocontraddirsi e cioè che per negare il fatto che, potremmo dirla così, per negare la priorità del linguaggio sono costretto ad utilizzare il linguaggio e questo non lo posso fare, non lo posso fare anche nel discorso più banale anche se talvolta accade che uno lo faccia però …e tutto ciò lo abbiamo chiamato una costrizione logica, quindi non è né una prova né una dimostrazione, è una costrizione logica cioè non è possibile pensare altrimenti, tutto ciò che riguarda la dimostrazione, la prova è qualcosa che è al di là di ciò che stiamo facendo, noi ci stiamo interrogando sulle condizioni per potere provare o confutare qualunque cosa, delle quali prove o confutazioni propriamente si occupa la retorica che fa questo gioco, per quanto riguarda la logica propriamente qualunque proposizione che non muova dalla premessa che ho posta prima e cioè la struttura del linguaggio, di fatto non è né vera né falsa, perché non c’è una struttura tale per poterlo stabilire è la retorica che le inventa, è la retorica che inventa per esempio le regole del calcolo numerico, del discorso scientifico, inventa che se prendo questo e lo lascio cadere allora questa è una prova perché chiunque in qualunque parte del mondo se gli cade allora ecco, questa è una prova, ma invece è una regola, esattamente così come le regole del poker, ne è possibile provare altrimenti…
Intervento: nel caso del poker io posso fare infiniti giochi mente nell’altro caso appare come un evento naturale
Sì, così accade in effetti per la gravità e anche per altre cose molto più sottili, più evanescenti, così come l’idea che ci sia un bene per esempio, o ci sia un giusto o ci sia un bello, sono criteri diffusi da sempre che hanno altrettanta potenza della legge di gravità ma appunto molto più evanescenti, la questione non tanto che sia osservabile oppure no, perché se io pongo questo l’osservabilità come criterio, se io fossi un teorico corretto dovrei stabilire la fondabilità oltre che la fondatezza di tale criterio e questo non lo posso teorico no in ambito pratico sì ovviamente, in ambito retorico sì, la retorica si occupa di questo soltanto di questo di costruire giochi, regole, se le inventa continuamente, inventa il calcolo numerico “2+2= 4” certo in qualunque parte del mondo anche se vado a Hong Kong 2+2 fa sempre 4 , è una regola, allo stesso modo se io gioco a poker, se vado a Manila giocherò allo stesso modo, sono regole! Questa è la questione più difficile da intendere e soprattutto da esporre in modo semplice e immediatamente evidente, di tutto ciò che appare reale di fatto sono regole per giocare, nient’altro che questo, tutto il lavoro che dovremo fare e incominciare anche a fare in occasione delle conferenze che faremo all’Avogadro potrebbero tenere conto di questo, in effetti in qualunque ambito la cosa fondamentale è intendere questo che ciò che si sta facendo, qualunque cosa sia è un gioco, è un gioco del quale è possibile reperire delle regole e sapere che sono regole, perché sono regole? Perché abbiamo visto prima, perché non posso dire altrimenti, non lo posso fare cioè intendiamoci lo posso fare ovviamente così come posso dire che sono la madonna, posso fare qualunque cosa, qualunque cosa e il suo contrario ma nulla che sia sostenibile, nulla che sia provabile. Come dicevo prima gli umani da sempre hanno questa esigenza cioè chiedono perché, prima domandavo come mai una cosa del genere e in parte si è intravisto è la struttura del linguaggio che lo impone, se io dico allora questo, c’è “un se A” che lo precede, che cosa mi si chiede? Mi si chiede questo “se A” da cui sono giunto ad “allora B” se è vero oppure no, perché se è falso allora è falso anche B, continuamente si è richiesti di provare ciò che si afferma, ma questa è una cosa che andiamo dicendo da molto tempo, il discorso occidentale costringe a fare questo, senza accorgersi che è il linguaggio che lo costringe ma il linguaggio propriamente non costringe a nessuna conclusione né morale, né etica di nessun tipo, costringe solo a questo se A allora B, se c’è un elemento allora ce ne è un altro. Tutto qui nient’altro che questo e in effetti le regole non sono nient’altro che questo e le regole di qualunque gioco sono regole di esclusione cioè vietano delle mosse e costringono a farne solo alcune e qualunque gioco è tale perché ci sono delle regole, senza le regole non c’è gioco, per questo dicevamo che le regole fanno parte integrante della struttura del linguaggio, perché se non ci sono regole non si può giocare niente, e il linguaggio pare che non possa non giocare cioè costruire continuamente proposizioni giochi linguistici, ininterrottamente e dicevamo la volta scorsa a che scopo? per proseguire se stesso questo è l’unico obiettivo, come dire che possiamo affermare con qualche criterio, certo, potremmo anche dire di farlo per la maggior gloria di dio, o per un’altra cosa ma non siamo interessati a queste argomentazioni. Ora dunque tutto questo per dirvi quanto sia fondamentale riuscire a porre questa questione del criterio che stiamo utilizzando come fondamento proprio del discorso che andiamo promuovendo anche e l’unico criterio possibile per potere costruire un discorso il quale affermi che una certa cosa vera o falsa non è altro che la struttura del linguaggio, non è possibile costruirne altri, è ovvio che questo ha delle implicazioni che per molte persone potrebbe essere devastanti (è la speranza per arrivare a trovare una verità) sì è la posizione di Popper, l’abbiamo detto tante volte, il quale affermava che la verità non ce l’abbiamo però stiamo viaggiando verso la verità, però se non sappiamo che cos’è la verità come possiamo sapere che andiamo nella direzione giusta, a questo punto, potremmo andare in qualunque altra direzione…
Intervento: per esclusione
Sì esclusione però se non so che cosa sia, cosa escludo? Ora però la questione della speranza, la ricerca della verità ecco noi in effetti compiamo una operazione che dovrebbe soddisfare totalmente una cosa del genere, la persona ci chiede qual è la verità e noi gliela diciamo, non soltanto gliela offriamo sul piatto d’argento ma gliela offriamo tale che non può essere negata in nessun modo, quindi la verità più potente che sia mai stata pensata, a questo punto in effetti se le cose stessero effettivamente così cioè la ricerca della verità il problema sarebbe immediatamente risolto, c’è l’eventualità che la ricerca non sia, anche se è stata per tremila anni condotta in questa direzione la ricerca della verità…diciamo che in effetti la questione è un po’ più complicata, dice “voglio la verità. Bene è questa” e gli spieghiamo anche perché “perché non può essere altrimenti che così” a questo punto come minimo dovrei essere eletto dio a furor di popolo ma non si è ancora verificato questo fenomeno (…) sì tutto il lavoro che occorre fare dicevamo prima che è enorme, per esempio ripensare tutte le discipline, perché moltissimo vantaggio potrebbero trarre da una cosa del genere in quanto potrebbero sbarazzarsi di una quantità enorme di vincoli, di superstizioni, di cose strane a cui si tengono aggrappate in modo piuttosto bizzarro, in qualunque ambito e cosa ancora più importante perché precede il predente costruire un discorso che sia sempre più semplice, sempre più accessibile, sempre più come dicevo prima immediatamente evidente, ci stiamo avvicinando certo però per fare questo occorre anche e soprattutto l’esercizio di cui dicevo prima, l’esercizio retorico, anche eristico se volete provare a dimostrare che quello che pensate vero è falso ma in modo piuttosto solido, esercizio che rende anche meno ingenui anche e soprattutto nel proprio discorso, per cui allena, allena in ambito conferenziere occorre essere molto pronti, avere molte argomentazioni…