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29-10-2014

 

La metafisica stabilisce l’esistenza di una certa cosa, per esempio “l’inconscio”: esiste un ente e questo ente è l’inconscio. La cosa interessante è che lo stabilisce ma poi non si rende conto di averlo stabilito ma immagina che una volta che sia stabilito esista da sé, cioè acquisisca una sorta di vita propria per così dire, mentre è stato stabilito, è stato posto, “io pongo questo come esistente” bene, ciascuno lo fa ininterrottamente, il problema è che per il modo in cui ciascuno è stato addestrato a parlare, questa cosa acquista un’esistenza propria, cioè diventa fuori dal linguaggio, non sono più io che l’ho stabilita ma esiste di per sé, ché la metafisica fa questo semplicemente, pone degli esistenti “io esisto”, “Cesare esiste”, dopo di che abbiamo detto niente, abbiamo soltanto posto delle condizioni per incominciare a dire qualche cosa. Il problema sorge e questo problema, torno a dirvi, sorge per via del modo in cui si trasmette il linguaggio, e cioè quando si immagina che dire “Cesare esiste” comporti che qualche cosa esiste al di fuori di ciò che io ne sto dicendo, cioè fuori dal linguaggio, e cioè sia la così detta realtà, della quale realtà nessuno sa assolutamente nulla. Tuttavia potremmo anche dire che forse è impossibile uscire dalla metafisica, neanche Heidegger, nonostante tutto ciò che dice, è riuscito a farlo, perché nel momento in cui io pongo qualche cosa, cioè affermo qualche cosa e lo pongo, sto compiendo un atto metafisico, cioè do esistenza a qualche cosa. A questo punto però la questione si biforca perché o so esattamente quello che ho fatto, cioè ho stabilito che “Simona esiste” nell’accezione di “esistenza” che io ho deciso di accogliere, oppure non so che cosa sto facendo e allora una volta che ho detto che quella cosa esiste quella cosa esiste indipendentemente da me. Questo procede, torno a dirvi per la terza volta, dal modo in cui si trasmette il linguaggio…

Intervento: comunque il nostro discorso non è metafisico…

Dipende che cosa intendiamo con “metafisica”, se io pongo la metafisica come quel modo di pensare tale per cui ogni volta che pongo qualche cosa, affermo qualche cosa, lo faccio esistere, dove adesso non ci interessa, ma lo faccio esistere e se intendo con questo “metafisica” allora qualunque discorso non può che essere metafisico. Infatti ciò che sto dicendo è che ciascuno affermando qualcosa, nel momento in cui la afferma, la pone, la fa esistere nella parola. Ma qui sta la biforcazione: o so quello che sto facendo, e cioè che faccio esistere qualcosa in ciò che dico, oppure immagino che ciò che faccio esistere da quel momento, indipendentemente da me inizi una sua vita propria, per conto suo, indipendentemente da me. E questo è il problema, il problema di tutto il discorso occidentale, a questo punto possiamo dire planetario, e cioè l’idea che qualche cosa esiste indipendentemente da quella struttura che è l’unica che può farla esistere. Il linguaggio è una struttura bellissima, straordinaria, è un sistema, sistema nell’accezione desoussuriana del termine e cioè come una rete di elementi connessi tra loro, dunque un sistema chiuso e auto referente, sta qui la bellezza straordinaria, un sistema “chiuso” perché non c’è uscita dal linguaggio, in qualunque modo cerchi di venirne fuori lo utilizzerò sempre e comunque, basta che pensi soltanto l’idea di uscirne e già lo sto utilizzando; un sistema “auto referente”, ogni parola che interviene ha un unico e solo riferimento, “referente” se vi piace di più, e cioè un’altra parola. In questo senso è auto referente, non esce al di fuori della sua struttura, tutto ciò di cui necessita lo trova all’interno della struttura, fuori dal linguaggio in effetti è nulla, ma è quel “nulla” di cui parlava Severino rispetto nel principio di non contraddizione, ciò che è auto contraddittorio è nulla, ciò che è immaginato essere fuori dal linguaggio potete pensarlo come ciò che è auto contraddittorio, afferma di sé di essere fuori dal linguaggio utilizzando il linguaggio, è auto contraddittorio, quindi fuori dal linguaggio nulla. Questo seguendo Severino più o meno. Come funziona questa cosa che chiamiamo linguaggio? Una parola, ciascuna parola ha un significato, questo De Saussure: “significante barra significato”, poi l’alberello ma l’alberello lasciamolo perdere perché anche lui è un’altra parola, ma “significante/significato” cioè ogni parola ha una forma, è significante, la forma sonora, la quale forma è un guscio vuoto se non ha un significato, infatti per De Saussure il significante non può darsi senza significato perché sarebbe niente, ha un significato ma questo significato che ha è un’altra parola, cioè un altro involucro vuoto, questo involucro vuoto anche lui ha un significato, questo significato a sua volta sarà un altro involucro vuoto e così via all’infinito, è questo il concetto ridotto, ai minimi termini, di “semiosi” infinita di cui parla Hjelmslev. Tutto questo comporta che la parola debba avere un significato ovviamente e cioè una determinazione, deve essere determinata, il problema è che questa determinazione non può essere provata, non può essere dimostrata, adesso diciamola così molto semplicemente, cioè non rientra all’interno dell’episteme, della verità come certezza, la verità certa, assoluta, garantita, dimostrata, ecco l’episteme, la scienza epistemica, ecco quello che si intende generalmente con scienza. Occorre che un elemento sia determinato per poterlo usare, però questa sua determinazione non è garantita da alcunché, è garantita soltanto, come diceva già Wittgenstein ai tempi suoi, è garantita soltanto dall’uso che viene fatto in quel momento in quella situazione particolare, però in quella situazione particolare è determinato. Il problema è che non si è mai saputo dire perché c’è questa determinazione, cosa la garantisce, poiché non la garantisce nulla, è soltanto una decisione, esattamente come avviene nelle macchine e cioè un elemento si stabilisce che è quello e basta, e in quel modo lo si userà sempre fino a ordine contrario, cioè gli si fornisce quello che comunemente si chiama un input e da quel momento quella cosa ha quel significato: cosa vuole dire che ha quel significato? Che viene usata in quel modo, quindi avrà delle connessioni, un ventaglio di connessioni che sono più o meno stabilite; nella logica formale questo avviene più semplicemente, nel linguaggio naturale la cosa è molto più complicata, però rimane il fatto che una determinazione che è necessaria per potere parlare non ha nessuna garanzia, è soltanto una decisione, è soltanto il modo in cui si dice che da adesso in poi verrà usata questa parola in questo modo, questo simbolo in questo modo a seconda dei casi, perché? Perché sì, perché mi serve così, ma dietro questo non c’è assolutamente niente. La necessità di determinazione di un elemento procede dalla necessità di potere utilizzare quel termine all’interno di una combinatoria, ma questa decisione non ha nessuna garanzia, semplicemente serve utilizzare questo termine in quel modo e così lo uso, che è esattamente il modo in cui funzionano le macchine. Da quando Boole ha stabilito che tutte le affermazioni vere le indichiamo con “1”, ecco questo dà l’idea, usa “1” perché è più semplice, ma è una decisione: tutte le proposizioni vere le chiamo “1”, quelle false le chiamo “0”. Non c’è un motivo al di fuori di sé. Questo poi ha consentito la costruzione delle macchine ma in effetti “vero” “falso” sono quelle stesse cose di cui parla Severino, cioè se è vero posso continuare, se è falso mi fermo e cerco un’altra direzione, “falso” cioè “nullo”. Se c’è “1”, posso proseguire a fare le cose che devo fare, se trovo invece uno sbarramento, una porta chiusa mi fermo. Il funzionamento è straordinariamente semplice, per questo vi dicevo che il linguaggio è una struttura straordinaria, quasi perfetta. Quasi perfetta perché all’interno della sua struttura consente di costruire proposizioni che affermano l’esistenza di cose vere al di fuori della sua struttura. Il linguaggio è una struttura che permette la costruzione di proposizioni che affermano di sé di essere fuori dal linguaggio, è consentito, è consentita cioè la costruzione di contraddizioni. Tecnicamente potrebbe anche essere possibile evitarlo, in effetti una macchina se è progettata come “dio comanda”, potrebbe funzionare senza la contraddizione, quand’è che si contraddice la macchina? Quando le pare di avere ricevuto comandi opposti, “fai una cosa e non farla” e si blocca tutto il sistema. Ma ipoteticamente, potrebbe non avere bisogno della contraddizione, qui il discorso è molto ampio ovviamente, però potrebbe avere all’interno un sistema che impedisce formulazioni auto contraddittorie. La formulazione auto contraddittoria per eccellenza, e sulla quale si costruiscono tutte, è che esista qualcosa che non è linguaggio, è lì che il sistema linguaggio si blocca, cioè si blocca se qualcuno se ne accorge, se no non si blocca niente, perché si immagina che esistano davvero le cose e quindi non ci sia contraddizione…

Intervento: la non conoscenza porta alla contraddizione?

Porta a non accorgersi della contraddizione, se ci si accorge che si sta dicendo qualche cosa che è auto contraddittorio generalmente non si procede in quella direzione, per tutti i motivi che Severino ha illustrato, perché non è possibile affermare la stessa cosa e il suo contrario “sub eodem” cioè nello stesso rispetto, nello stesso riguardo…

Intervento: da ex programmatrice “una cosa al tempo stesso, non può essere se stessa e il suo contrario” diceva, ma c’è un sistema in programmazione laddove si pone questo problema e cioè “se questo qualche cosa è vero e falso, fai questo, se invece questo qualcosa è vero oppure falso fai altro”

I linguaggi informatici utilizzano un tipo di logica particolare che affonda le sue radici nelle logiche paraconsistenti, le logiche a più valori. L’obiezione che farebbe Severino è che questo comando che viene fornito non può essere auto contraddittorio, posso dire alla macchina “se è vero o falso, tu fai questo” ma questo comando non può essere auto contraddittorio, il comando che io do alla macchina, il comando che do alla macchina non può essere simultaneamente vero e falso, perché a questo punto la macchina non sa giustamente e legittimante che cosa fare perché non ha nessuna direzione.