INDIETRO

 

 

29 luglio 2020

 

Scienza della logica di G.W.F. Hegel

 

Ciascuno parlando costruisce continuamente sillogismi. Il sillogismo è un’argomentazione, non è altro che la relazione fra due elementi e un terzo che fa da medio, una relazione di elementi dove il primo è contenuto nel secondo e questo, il secondo, è contenuto nel terzo. Hegel propone una nozione di sillogismo differente. Ci sono due aspetti: da una parte, la critica di Hegel al sillogismo comunemente inteso, cioè, come forma argomentativa; dall’altra, invece, il modo in cui lui pone il sillogismo. Hegel dice che il sillogismo, così come è comunemente inteso, cioè come forma argomentativa che dovrebbe condurre alla verità, è una follia. In pratica, ogni sillogismo argomentativo ha questa forma, quella del sillogismo degli apostoli (Pietro e Paolo sono apostoli; gli apostoli sono dodici; Pietro e Paolo sono dodici). A pag. 762. Hegel dice che il termine medio, quello che lega i due estremi, è quello intercambiabile e che, a causa di questo, si può costruire qualunque sillogismo. In pari maniera dal termine medio della socialità può essere dedotta la comunanza dei bei dei cittadini; dal termine medio dell’individualità invece, seguito in maniera egualmente astratta, consegue lo scioglimento dello Stato, com’è p. es. successo nell’impero tedesco in quanto ci si attenne a quest’ultimo termine medio. Per dire come in effetti qualunque sillogismo può essere utilizzato in qualunque modo. Adesso, a pag. 777, parla del difetto del sillogismo formale. Il difetto del sillogismo formale non sta quindi nella forma di sillogismo, - anzi è questa la forma della razionalità, - ma sta in ciò che cotesta è solo come forma astratta ed è quindi priva di concetto. Venne mostrato che la determinazione astratta, a cagione della sua astratta relazione a sé, può esser considerata egualmente come contenuto. Perciò il sillogismo formale non porta altro che questo, che cioè una relazione di un soggetto a un predicato solo da questo termine medio segua o non segua. Non serve a nulla d’aver provato una proposizione con un sillogismo simile; a cagione della determinatezza astratta del termine medio, che è una qualità vuota di concetto, si possono dare egualmente altri termini medii dai quali consegua il contrario; anzi dal medesimo termine medio si possono anche derivare daccapo, per mezzo di altri sillogismi, dei predicati opposti. Oltre al non essere di gran risorsa, il sillogismo formale è anche un che di molto semplice. Le molte regole che vennero ritrovate son già fastidiose per ciò che contrastano tanto colla natura semplice della cosa, ma poi anche perché si riferiscono a quei casi dove il valore formale del sillogismo è per di più diminuito dalla determinazione formale esteriore, soprattutto della particolarità, … mentre anche quanto alla forma non si ottengono allora che i risultati di niun valore. Il lato più giusto e importate del disfavore in cui è caduta la sillogistica è però ch’essa si occupa così diffusamente in una maniera vuota di concetto di un oggetto, il cui unico contenuto è appunto il concetto. Le molte regole sillogistiche ricordano il odo di procedere dei maestri di aritmetica, che danno parimenti sulle operazioni di calcolo una quantità di regole, le quali tutte presuppongono che non si abbia il concetto dell’operazione. Ma i numeri sono una materia vuota di concetto, l’operazione di calcolo è un estrinseco raccogliere insieme o separare, un procedimento meccanico (come poi si trovarono appunto macchina da calcolare che compiono queste operazioni); il più duro e stridente è invece quando vengono trattate come materia di concetto le determinazioni formali del sillogismo, che son concetti. A pag. 779. Nella proposizione: La rosa è rossa, il predicato non dovrebbe significare il rosso universale, ma soltanto il determinato rosso della rosa. Nella proposizione: Tutti i cristiani sono uomini, il predicato dovrebbe significare soltanto quegli uomini che son cristiani. Da questa proposizione e dall’altra: Gli ebrei non son cristiani, segue allora quella conclusione che non servì di buona raccomandazione a questo calcolo sillogistico presso Mendelssohn: Dunque gli ebrei non sono uomini (non sono cioè quegli uomini che sono i cristiani). Ploucquet indica come conseguenza della sua scoperta “posse etiam rudes mechanice totam logicam doceri, etc. Lui voleva utilizzare una macchina per il calcolo dei sillogismi, per vedere quali sillogismi dessero la verità come risultato. Questa raccomandazione, che tutta la logica possa essere insegnata meccanicamente agli ignoranti per mezzo del calcolo, è per l’appunto il peggio che si possa dire di una scoperta circa la maniera di esporre la scienza logica. Questo sillogismo dei cristiani e degli ebrei – tutti i cristiani sono uomini; gli ebrei non sono cristiani; quindi, gli ebrei non sono uomini – è un sillogismo dove abbiamo una universale affermativa e due universali negative -; quindi, nella forma delle parole mnemoniche sarebbe quella che è chiamata Camestres, dove c’è una A seguita da due E, una universale affermativa e due universali negative. È quindi un sillogismo a tutti gli effetti.

Intervento: …

Ma se ci atteniamo alla forma “tutte le A sono B”, cioè tutti i cristiani sono uomini, anche il sillogismo di Pietro e Paolo ha la sua ragion d’essere, perché dice “tutte le A sono B; nessuna C è B; dunque, nessuna C è A”, nessun ebreo è uomo. Formalmente, non fa una grinza. Ciò che ci sta dicendo qui Hegel è che i sillogismi, in quanto argomentazioni che dovrebbero giungere alla verità, in realtà illudono di giungere alla verità, perché non giungono da nessuna parte. Questo è interessante se si tiene conto del fatto che gli umani pensano attraverso sillogismi, è il modo in cui si pensa, è il modo con cui si trae le proprie conclusioni riguardo a tutta la propria vita. Tutti i propri progetti, da quelli sentimentali a quelli politici, ecc., hanno tutti questa struttura, queste conclusioni: se Pietro e Paolo sono apostoli, e gli apostoli sono dodici, allora Pietro e Paolo sono dodici. In questo caso è evidente che non funziona il sillogismo, ma nel caso degli ebrei è già meno evidente. E questo ci dica una cosa interessante, vale a dire che ogni volta che si afferma qualche cosa, questo qualche cosa ha una ragione e questa ragione è il sillogismo che porta a quella conclusione. Ma quel sillogismo, in realtà, non dice assolutamente niente. Il sillogismo, posto in questi termini, non è niente altro che la forma della volontà di potenza. Illudendo che la conclusione abbia un supporto logico, fa credere che ciò che si sta affermando sia vero. Ma non ha nessun supporto logico, e Hegel ci mostrerà perché. Ho utilizzato la Enciclopedia delle scienze filosofiche, perché parla molto bene del sillogismo, ponendo proprio quelle questioni che a noi interessano. A pag. 174. Il sillogismo è l’unità del concetto e del giudizio: - è il concetto come la semplice identità, nella quale le distinzioni di forme del giudizio sono ritornate ed è giudizio in quanto, insieme, è posto in realtà, cioè ella differenza delle sue determinazioni. Il sillogismo è il razionale, e tutto ciò che è razionale. Il sillogismo si vuole ordinariamente esporre come la forma del razionale, ma come forma soggettiva, e senza che tra essa e un altro qualunque contenuto razionale – p. es. un principio razionale, un’azione razionale, un’idea, ecc. – si mostri una qualsiasi connessione. Si parla, in generale, molto e spesso della ragione; e si fa appello alla ragione, senza indicare quale è la sua determinazione, che cosa essa è, e men che mai si pensa di connetterla al sillogismo. E, in effetti, il sillogismo formale è il razionale in forma così priva di ragione che non ha niente a che vedere con un contenuto razionale. Il sillogismo formale, come abbiamo visto nel sillogismo di Pietro e Paolo, non ha nessun contenuto razionale. Ma poiché un tal contenuto può essere razionale soltanto per mezzo della determinazione per la quale il pensiero è ragione, esso può essere tale soltanto per mezzo di quella forma, che è il sillogismo. Questo non è altro che il porsi … del concetto reale, come in questo paragrafo si dice. Il sillogismo è perciò la ragion d’essere essenziale di ogni verità; e la definizione dell’assoluto è ora questa: che l’assoluto è il sillogismo, o, esprimendo tale determinazione in una proposizione: ogni cosa è un sillogismo. Dicevamo anche la volta scorsa: ogni cosa è un concetto. Ma il concetto si volge poi in sillogismo. Il concetto non è nient’altro che la relazione tra l’essere e l’essenza; questi due elementi sono posti in relazione fra loro e nel sillogismo sono tenuti insieme da un terzo elemento, che è il medio. Ogni cosa è concetto, e il suo essere determinato è la distinzione dei momenti di esso; cosicché la sua natura universale, per mezzo della particolarità, si dà realtà esterna, e così, e come riflessione negativa in sé, si fa individuale. Per mezzo della particolarità si dà realtà esterna, nel senso che il particolare, che sorge nel sillogismo, viene inteso come la realtà esterna. Adesso dirà che il sillogismo è composto da tre elementi: un individuale, un particolare e un universale. Per es. nella deduzione, il primo, l’individuo è contenuto nel secondo, il medio, e il secondo è contenuto nel terzo, che è l’universale. Il primo sillogismo è il sillogismo dell’essere determinato o il sillogismo qualitativo, come fu indicato nel paragrafo precedente. 1) I-P-U, vale a dire che un soggetto come individuale è, per mezzo di una qualità (di un particolare), congiunto con una determinazione universale. È la deduzione, cioè, traggo il particolare dall’universale. Questo sillogismo è α) del tutto accidentale per ciò che concerne le sue determinazioni, poiché il medio come particolarità astratta è solo una determinazione qualsiasi del soggetto, il quale, come un qualcosa di immediato e quindi d’empirico-concreto, ne ha parecchie altre; onde può essere congiunto con altrettante varie universalità. Così anche una singola particolarità può avere in sé diverse determinazioni; onde il soggetto, per mezzo dello stesso “medius terminus”, può essere riferito a differenti universali. Come diceva prima: basta cambiare il medio. Secondo ciò che si è indicato in questo paragrafo, per mezzo di siffatti sillogismi si può, come si dice, provare le cose più diverse. Occorre solo prendere il “medius terminus”, da cui può essere fatto il passaggio alla determinazione desiderata. Ma con un altro “medius terminus” si può provare qualcosa d’altro, e perfino il contrario. Quanto più un oggetto è concreto, tanto più lati esso ha, che gli appartengono e possono servire da “mediis terminis”. Quale di questi lati sia più essenziale degli altri, deve a sua volta fondarsi sopra un siffatto sillogizzare, che si attiene alla singola determinatezza e può facilmente trovare per questa un lato e un aspetto, secondo cui esso si può far valere come importante e necessaria. Questo sillogismo è altresì accidentale… Accidentale significa che è un sillogismo non necessario ma arbitrario. …per la forma della relazione, che si trova in esso. Secondo il concetto del sillogismo, il vero è la relazione degli elementi differenti per mezzo di un medio, che è la loro unità. Ma le relazioni degli estremi col medio (le cosiddette premesse, la maggiore e la minore) sono piuttosto relazioni immediate. Relazioni immediate vuol dire che sono relazioni non mediate da alcunché e, quindi, non hanno nessuna relazione tra loro. Da qui l’accidentalità. Questa contraddizione del sillogismo si esprime anch’essa per mezzo di un processo infinito, come esigenza che le premesse debbano ciascuna essere provata mediante un sillogismo. Ma poiché il sillogismo ha per l’appunto due premesse immediate, questa esigenza si ripete, e si ripete sempre duplicandosi, all’infinito. Per stabilire una relazione tra due elementi devo costruire un altro sillogismo, ma poi sono daccapo con questo nuovo sillogismo, e così via. Ciò che qui (e per la sua importanza empirica) è stato notato come difetto del sillogismo, al quale in questa forma viene attribuita assoluta esattezza, deve nella determinazione ulteriore del sillogismo correggersi da sé. Questo problema del sillogismo, comincia a dirci Hegel, è qualcosa che deve correggersi da solo. Non dobbiamo cercare all’esterno qualcosa che risolva il problema. Qui, dentro la sfera del concetto, come in quella del giudizio, la determinazione opposta non è soltanto meramente in sé, ma è posta; e così anche per l’ulteriore determinazione del sillogismo occorre soltanto accogliere ciò che è posto ogni volta per mezzo del sillogismo stesso. Cioè: trovare l’essenza del sillogismo nel sillogismo. Per mezzo del sillogismo immediato, I-P-U, l’individuale è mediato con l’universale, e posto in questa conclusione come universale. L’individuale, come soggetto, e così anche come universale… Eh, sì, perché dice che questo è quell’altro, e quindi se l’altro è universale lo è anche il primo, l’individuale. …è ora per tal modo l’unità dei due estremi e il mediatore: il che dà la seconda figura del sillogismo, 2) U-I-P… Universale-Individuale-Particolare. È l’induzione. …Questa esprime la verità della prima: cioè che la mediazione è accaduta nell’individualità, e perciò è qualcosa di accidentale. Poi, parlerà dell’analogia, la terza figura, P-I-U, Particolare-Universale-Individuale. La cosa che ci interessa è il fatto che Hegel nota che, per potere costruire il sillogismo di base, la deduzione, ci si ritrova di fronte all’induzione, perché, per dirla in modo molto semplice, come stabilisco l’universale? Come diceva prima: con altri sillogismi, all’infinito, e quindi mi trovo nell’induzione, cioè nel volere stabilire un particolare come universale; ma in base a quale criterio? Il criterio, quello che dice lui, è quello dell’analogia, perché alla fine dice che la terza figura è l’analogia. L’analogia, per dirla semplicemente, è una somiglianza di relazioni tra due coppie: questa cosa somiglia a quest’altra. L’analogia è molto utilizzata in retorica, anche se propriamente non è una figura retorica, è una forma argomentativa, ma è molto utilizzata perché si presuppone una prima coppia di elementi di un giudizio che è accreditato, che è ritenuto essere vero per qualche motivo; poi, si accosta a questo un altro, che deve ancora essere creduto vero, facendo credere che, siccome ha una forma simile al primo, allora se è vero il primo è vero anche il secondo. Questa è l’analogia, che potrebbe riassumersi nella battuta: se tanto mi dà tanto… L’analogia non è altro che un parere, cioè, mi sembra che somigli. Quindi, prima Hegel ci parla della deduzione, che sembra la forma argomentativa più potente; molti la considerano una tautologia, perché l’elemento che si trae è già contenuto nella premessa maggiore, e quindi in teoria non dovrebbe dire nulla di più. Il problema è la premessa maggiore “Tutti gli uomini sono mortali”, come lo so? È così? Devo considerarli tutti, a uno a uno, presenti, passati e futuri. Ecco l’induzione. L’induzione non può garantire nulla. E, allora, dice L’universale è, per conseguenza mediante questa conclusione, posto come particolare, e, dunque, come mediatore degli estremi,… L’universale è posto come mediatore. Questa è l’analogia: si immagina che la prima relazione dell’analogia sia universale, ed è questa universalità che fa da medio tra la prima e la seconda. Se la prima è universale è necessariamente vera anche la seconda, cioè, si considera la prima come universale e questo universale viene riportato sulla seconda, appunto nella forma P-U-I (Particolare-Universale-Individuale). Vale a dire, il particolare è contenuto nell’universale, e il particolare nel caso dell’analogia sarebbe la seconda relazione; questa seconda relazione è contenuta nell’universale, il quale universale è contenuto nell’individuale, che sarebbe la prima relazione dell’analogia. È questo il passaggio che avviene, per l’analogia è così forte come tecnica argomentativa: se questa cosa è vera e quest’altra è simile, sarà vera anche quest’altra. Le cosiddette figure del sillogismo … nell’ordinaria trattazione che si fa di esse, vengono poste l’una accanto all’altra, senza che si pensi minimamente a mostrare la loro necessità e molto meno il loro significato e il loro valore. Non è dunque meraviglia che le figure siano state poi trattate come puro formalismo. Esse hanno, per altro, un significato molto sodo, che si fonda sulla necessità, che ogni momento, come determinazione del concetto, diventa esso stesso l’intero e la ragione mediatrice. È come se nel sillogismo ciascuno dei tre momenti diventasse il sillogismo intero, cioè, diventa la sua essenza. Quali altre determinazioni debbano avere le proposizioni, se debbano essere universali, ecc., o negative, per produrre una conclusione esatta nelle varie figure, è questa una ricerca meccanica, che, a cagione del suo vuoto meccanismo e della sua mancanza di significato, giustamente, è caduta in dimenticanza. Qui incomincia a dirci che cosa veramente lui intende con sillogismo. Per intenderlo bene occorre pensare che il sillogismo… Lo diceva bene qui, rileggiamo: Il sillogismo è l’unità del concetto e del giudizio. Sappiamo che il concetto è essere ed essenza, e il giudizio è la relazione tra questi due; quindi, l’unità di tutto ciò non è nient’altro, di nuovo, un soggetto e un predicato, qualcosa per cui si dice che qualcosa è quest’altra cosa, e tutto ciò tratto naturalmente in una unità. Qui si incomincia a vedere ciò che Hegel intende con sillogismo: una unità. Non più tre figure; la deduzione, l’induzione e l’analogia non sono più figure ma momenti. Poiché ogni momento ha successivamente preso il posto del medio e degli estremi, la loro differenza determinata tra di loro si è soppressa; e il sillogismo ha dapprima come sua relazione, in questa forma dell’indifferenza dei suoi momenti, l’identità intellettuale estrinseca, l’eguaglianza: - che è il sillogismo quantitativo o matematico. Quando due cose sono eguali ad una terza, sono eguali tra loro. Qui ci sarebbe una cosa interessante da fare, perché Hegel, nel fare il suo lavoro sul sillogismo, continua a fare sillogismi necessariamente. Da qui risulta circa la forma: 1) che ogni momento ha avuto la determinazione e il posto del medio, cioè dell’intero in genere, ed ha così, in sé, perduto l’unilateralità della sua astrazione;… Ogni momento ha avuto la sua determinazione in quanto medio e ha perduto l’unilateralità, perché il medio è bilaterale, si affaccia sugli estremi, mentre un estremo è unilaterale, si affaccia soltanto sul medio. Non so se a Hegel piacerebbe questo modo di dire, però lo utilizzo per rendere la cosa più semplice. …2) che la mediazione è stata compiuta parimenti solo in sé, cioè solo come un circolo di mediazioni, che si presuppongono le une con le altre. Questo è il sillogismo per Hegel: ciascuna di queste tre forme presuppone necessariamente le altre due. nella prima figura I-P-U le due premesse I-P e P-U sono ancora immediate: quella viene mediata nella terza, questa nella seconda figura. Ma ciascuna di queste due figure presuppone, per la mediazione delle sue premesse, anche le altre due. in conseguenza di ciò, l’unità mediatrice del concetto è da porre non più solo come particolarità astratta, ma come unità sviluppata dell’individualità e dell’universalità, e cioè, in primo luogo, come unità riflessa di queste determinazioni: l’individualità, determinata insieme come universalità. Siffatto medio dà il sillogismo di riflessione. In questo sillogismo di riflessione non è nient’altro che il riflettersi di ciascuna di queste forme sull’altra, e questa sull’altra ancora, oltre che su se stessa, naturalmente. A pag. 181. Mediante il sillogismo della totalità vien corretto il difetto della forma fondamentale del sillogismo intellettuale, ma soltanto in modo che nasce il nuovo difetto, cioè la premessa maggiore presuppone ciò che dovrebbe essere conclusione, e la presuppone come una proposizione che, perciò, è immediata. – “Tutti gli uomini sono mortali, dunque Caio è mortale”, - “Tutti i conduttori elettrici, dunque anche, p. es. il rame”. Per potere enunciare quelle premesse maggiori, che esprimono gli individuali immediati come tutti, e debbono essere essenzialmente proposizioni empiriche, occorre che già anteriormente siano state constatate come esatte le proposizioni sul singolo Caio, sul singolo rame. Ecco, a fondamento di tutto l’analogia, la Lebenswelt, la chiacchiera: pare così, sembra così, si dice così. A ragione ognuno è colpito non solo dalla pedanteria, ma da vuoto formalismo di sillogismi come “Tutti gli uomini sono mortali, ma Caio è un uomo, ecc.”. A pag. 181. Questo sillogismo, preso secondo le sue determinazioni meramente astratte, ha per medio l’universale, come il sillogismo di riflessione ha l’individualità… Sappiamo che la figura che ha come medio l’universale è appunto l’analogia. A pag. 182. Il sillogismo è stato preso secondo le differenze, che esso contiene; e il risultato generale del decorso di queste è, che in esse ha luogo il sopprimersi di queste differenze e dell’esteriorità del concetto a sé stesso. Anche in questo caso di sillogismo il concetto torna su se stesso. In fondo, torniamo sempre alla questione dell’essere, cioè del punto di partenza, del qualche cosa che si determina da sé, potremmo dire, dell’atto di parola, che si determina da sé facendo quel movimento di andata e ritorno che Hegel ci descrive già nella Fenomenologia. 1) ciascuno dei momenti stessi si è mostrato come la totalità dei momenti, epperò come sillogismo intero: essi sono per tal modo identici in sé;… Ciascuno dei momenti è anche ciascun altro, sono lo stesso. 2) la negazione delle loro distinzioni e della mediazione di esse costituisce l’esser per sé… Quindi, prima ciascuno dei momenti si è mostrato come la totalità dei momenti, si è mostrato come in sé, come l’individuo, come essere, ma aggiunge la negazione delle loro distinzioni e della mediazione di esse costituisce l’esser per sé: è semplicemente la negazione; l’essere in sé che mostra ancora delle differenze: questa differenza fra sé e l’altro viene negata. Negandosi, succede quello che diceva già nelle prime pagine della Fenomenologia, cioè che l’in sé diventa per sé, quando l’in sé nega se stesso in quanto altro da sé. …cosicché un solo e medesimo universale è quello che si trova in queste forme, ed è posto anche come loro identità. In questa idealità dei momenti, il sillogizzare raggiunge la determinazione, di contenere essenzialmente la negazione delle determinazioni, attraverso le quali si passa; con ciò, di essere una mediazione col negar la mediazione, e un connettere il soggetto non già con un altro, ma con l’altro negato, cioè con se stesso. È esattamente quello che descrive nelle prime pagine della Fenomenologia rispetto all’in sé e al per sé; solo che qui la questione si è fatta più complessa; però, il movimento è sempre lo stesso, è sempre un movimento dialettico. Abbiamo visto con Hegel che ciascuna di queste tre figure del sillogismo esige il movimento del medio, che può muoversi: se io metto come l’universale ho una figura, se metto il particolare ne ho un’altra, se metto l’individuo ne ho un’altra ancora. Ma, dice lui, queste differenze scompaiono nel momento in cui mi accorgo che ciascuna di queste figure presuppone l’altra. Non è che le posso isolare, perché se le isolo la deduzione non ha più ragione d’essere, in quanto sarebbe sostenuta da niente. Se prendo l’induzione, mi accorgo che l’induzione non è niente altro che un’ipotesi; se prendo l’analogia mi accorgo che l’analogia non è altro che ciò che a me sembra essere in un certo modo. Queste tre figure, queste tre forme, dice Hegel, sono lo stesso; preso in questo modo, cioè come lo stesso, non sono altro che figure che scompaiono; è come se scomparissero l’una nell’altra. Alla fine ciò che rimane non è altro che il soggetto, cioè l’in sé, attraverso il movimento dialettico, attraverso il per sé, torna indietro e l’in sé diventa il Sé, cioè diventa essere. Quindi, il sillogismo a questo punto che cos’è esattamente? Ecco che ce lo dice. Questa realizzazione del concetto, nella quale l’universale è questa unica totalità ritornata in sé, le cui differenze sono altresì questa totalità, e che col negar della mediazione,… Il processo è sempre lo stesso: negando la mediazione, negando il medio, negando un altro elemento, si determina il primo. …si è determinata come unità immediata, - è l’oggetto. Il sillogismo, posto in questi termini, è l’oggetto. Per quanto strano possa apparire a primo sguardo questo passaggio all’oggetto dal soggetto, dal concetto in generale e più precisamente dal sillogismo, - specie quando si abbia innanzi solo il sillogismo intellettuale e si pensi al sillogizzare solo come un atto della coscienza, - non si può assumere il compito di render questo passaggio plausibile alla coscienza rappresentativa. Se uno vuole rappresentarsi questa cosa, ha dei problemi perché non è rappresentabile. Come faccio a rappresentare una cosa che è se stessa ma anche altra da sé? Con cosa la rappresento? Da qui la difficoltà del testo di Hegel, perché non si riesce a rappresentare, a farsi un’idea di come stiano le cose. E, in effetti, stanno e non stanno. Solo è il caso di considerare se la nostra ordinaria rappresentazione di ciò che è chiamato oggetto corrisponda all’incirca a ciò che costituisce qui la determinazione dell’oggetto. Ma per oggetto non si usa intendere soltanto un essere astratto, o una cosa esistente, o in genere alcunché di reale; ma alcunché di indipendente, concreto e compiuto in sé: questa compiutezza è la totalità del concetto. Che l’oggetto sia anche un oggetto postoci di fronte… Qui c’è una nota del traduttore: “Lo Hegel usa “Object” e “Gegenstand”, distinguendoli tra loro: pel secondo termine abbiamo tradotto “oggetto postoci di fronte””.  Che l’oggetto sia anche un oggetto postoci di fronte ed esterno ad un altro, ciò si determinerà poi, in quanto si pone in antitesi al soggetto; ma qui, dove lo si considera come ciò in cui il concetto è passato dalla sua mediazione, è solo oggetto immediato e ingenuo: come anche il concetto solo nel contrasto posteriore viene determinato come il soggettivo. Inoltre, l’oggetto è, in generale, il tutto uno, ancora ulteriormente indeterminato in sé, il mondo oggettivo in genere, Dio, l’oggetto assoluto. Ma l‘oggetto ha anche la differenza, si fraziona nella molteplicità indeterminata (come mondo oggettivo); e ciascuno di questi esseri individualizzati è anche un oggetto, un’esistenza in sé concreta, compiuta e indipendente. Come l’oggettività è stata comparata all’essere, l’esistenza e la realtà, così anche il passaggio all’esistenza e realtà … è da comparare con il passaggio all’oggettività. La ragione dalla quale l’esistenza procede, la relazione riflessiva che si sopprime nella realtà, non sono altro che il concetto posto ancora incompiutamente, o sono lati soltanto astratti di esso: - la ragione è la sua unità solo essenziale, la relazione è solo la connessione dei lati reali, che debbono essere solo in sé riflessi; - il concetto è l’unità di entrambi, e l’oggetto, unità non solo essenziale ma universale in sé, non contenente soltanto differenze reali, ma contenente queste in sé come totalità. L’oggetto non è altro che la totalità del concetto, che si raggiunge nel momento che appare, nel momento in cui il sillogismo si pone in essere, ma il sillogismo compiuto, nell’accezione di Hegel, dove scompaiono queste differenze fra le tre figure e rimane il soggetto che alla fine ritorna in sé. È chiaro, del resto, che in tutti codesti passaggi si tratta di qualcosa di più che di mostrare semplicemente l’inseparabilità del concetto o del pensiero dall’essere. È stato spesso notato che l’essere è nient’altro che la semplice relazione a se stesso,… È l’atto di parola. L’atto di parola è in relazione a se stesso, è da questa relazione a sé che si avvia qualunque relazione con qualunque altra cosa; ma questo perché c’è una relazione a sé, cioè, c’è una distanza tra sé e sé. …e che questa povera determinazione è senz’altro contenuta nel concetto o anche nel pensiero. Il significato di questi passaggi è di non accogliere determinazioni come soltanto contenute; …  ma di prendere il concetto, come deve esser prima determinato per sé quale concetto, - con cui questa lontana astrazione dell’essere o anche dell’oggettività non ha ancora nulla da fare, - e nella determinazione di esso come determinazione del concetto veder soltanto se essa passi, e che essa passi, in una forma, la quale è diversa dalla determinazione quale appartiene al concetto e appare in lui. È soltanto questo processo dialettico che fa apparire l’oggetto. Se il prodotto di questo passaggio, l’oggetto, è messo in relazione col concetto, - che è sparito colà dentro per ciò che concerne la sua forma peculiare, - il risultato può essere esattamente espresso così: che, in sé, il concetto, o, se si vuole, la soggettività, e l’oggetto, sono lo stesso. L’oggetto è scomparso nel soggetto, il quale lo contiene, tuttavia; non è che è scomparso e non c’è più; è scomparso nel senso che viene integrato dal soggetto. Da quell’in sé che attende il per sé, in questo caso l’oggetto, per acquisirlo e diventare soggetto. Se io sono soggetto è soltanto perché posso pensare che qualcosa non lo sia, e ciò che non è soggetto lo chiamo oggetto. È necessario che ci sia l’oggetto perché ci sia soggetto, e viceversa. Ma non solo, l’oggetto è ciò che si produce in questo movimento dialettico continuo tra l’in sé e il per sé, si produce nell’apertura di quella che ha definito prima, rispetto all’essere, la semplice relazione a se stesso. C’è una relazione a se stesso, sarà anche semplice, ma c’è una relazione a se stesso, non è che non c’è. È questa relazione che pone l’essere come differente, perché nella relazione a se stesso è in relazione a che cosa? A ciò che l’essere propriamente è, e che cosa è? È a negazione di ciò che non è, la negazione del non essere. Ma la cosa importante è dal fatto di porre l’essere come relazione a sé che tutto può cominciare. È come se avesse indicato in questo la “nascita” del linguaggio, la relazione a sé dell’essere, cioè di qualcosa che appare, cioè il mio dire. La prima cosa che appare è proprio perché c’è il mio dire che può apparire qualcosa, cioè il mio dire, ma appare già preso in una relazione a sé, quindi, in una relazione. Così anche quell’in sé è un astratto, e ancor più unilaterale del concetto stesso: la cui unilateralità in genere si sopprime col sopprimere che il concetto fa sé medesimo, ponendosi come oggetto, cioè come l’unilateralità opposta all’altra. E, in ogni caso, l’identità speculativa non è quella triviale, che concetto ed oggetto siano in sé identici. La quale osservazione è stata ripetuta abbastanza spesso; ma non potrebbe essere ripetuta abbastanza quando l’intenzione dovesse essere di porre un termine agli equivoci, scipiti ed affatto di malafede, intorno a questa identità; cosa, per altro, che non è da sperare ragionevolmente. Far compiere questa identità è cancellarli entrambi. Non c‘è identità nel senso dello sparire. Sì, sono lo stesso, ma rimangono distinti i due momenti; i momenti restano, e restano perché c’è la relazione, è la relazione che li fa restare. Poi, uno dei due viene negato e torna nell’in sé, ma in questo modo riavvia il processo. Del resto, quella unità presa del tutto generalmente, senza riguardo alla forma unilaterale del suo essere-in-sé, è, come è noto, l’unità che vien presupposta nella prova ontologica dell’esistenza di Dio, e cioè come il più perfetto. Il prossimo mercoledì affronteremo la prova ontologica dell’esistenza di Dio di Anselmo, che è molto interessante, non a caso Hegel lo cita qua. Il capitolo successivo è L’oggetto. A questo punto ci troviamo di fronte l’oggetto, oggetto che si è come materializzato dal sillogismo. Il sillogismo a questo punto pone l’oggetto come qualche cosa che appartiene necessariamente al linguaggio.