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29-6-2016

 

A questo punto dovrà diventare chiaro che cosa intende Heidegger con “logica”. Dice a un certo punto a pag. 219, parla del verbo χωρζειν che ha a che fare con il κεχωρισμνον di cui parlava prima, che è il separarsi da qualcosa: Nel verbo χωρζειν si trova χώρα χρος, termini che noi traduciamo in questo modo: circondario, territorio circostante che apre lo spazio per una sosta e la consente. (la cora una volta per i greci antichi era la pubblica piazza) I termini χώρα e χρος rinviano a χάω da cui χάος, spalancarsi, squadernarsi, schiudersi, aprirsi e cora intesa come territorio circostante e quindi la regione, con questo termine (regione) noi intendiamo l’ambito aperto e la distesa aperta nella quale qualcosa prende dimora, dalla quale proviene, dalla quale si allontana e verso la quale si avvicina. La parola χώρα intesa come regione può essere anche il modo impreciso il luogo, ma regione e luogo non sono la stessa cosa, per indicare il luogo i greci hanno la parola τόπος che indica il posto in cui qualcosa si verifica, si trova e sussiste. Il luogo è sempre all’interno di una regione e ha intorno a sé un circondario delimitato dal territorio circostante /…/ Questa distesa aperta non è lo spazio vuoto di un contenitore essa è invece tutt’uno con l’aperto che vi è contenuto (è chiaro che sta parlando dell’essere) che conserva molte cose e che si delimita propriamente da sé, i suoi confini sono a loro volta essi stessi delle altre regioni in quanto si distendono e si indirizzano verso la vasta apertura /…/ Non è certamente un atto indebito e arbitrario comprendere il verbo χωρζειν a partire dal termine cora (ha a che fare con il κεχωρισμνον, dividersi, allontanarsi, separarsi eccetera) esso (χωρζειν) vuol dire dunque portare qualcosa in un territorio circostante, in una regione, lasciarlo venire alla presenza a partire da questa regione. Ciò che è portato nella distesa che ci circonda e là viene sistemato, può essere considerato separato in quanto può venire paragonato a qualcos’altro che compare in un’altra regione, per cui la sua diversità emerge unicamente da questo paragone (sta parlando qui del Λόγος rispetto all’essere, il Λόγος che raccoglie ciò che nella distesa appare il Λόγος lo raccoglie, lo fa diventare un qualcosa) È solo qui che diventa visibile quel che è diviso, separazione, distinzione, divisione sono le possibili conseguenze essenziali della regione e di quel che è circondato da una regione. Per una singolare abitudine presente ovunque e sempre e che avrebbe bisogno di essere discussa in modo particolare più approfondito, quando sistemiamo separatamente una cosa in una regione delimitata, quando la mettiamo via e la distinguiamo dimentichiamo che questa cosa viene di volta alla presenza a partire dalla sua regione e così si avvicina verso le altre cose e verso la loro regione. Noi però facciamo caso solo alle cose stesse, ma in che modo conforme alla sua essenza un κεχωρισμνον non è mai principalmente quel che è messo via, ma quel che si manifesta a partire da una regione, dalla sua propria regione, per avere un esatta visione delle connessioni essenziali menzionate non basta risalire con un procedimento argomentativo dal separare e dal distinguere i loro presupposti, se si pensasse così si potrebbe dire semplicemente che anche il separare una cosa dell’altra è ancora una forma di rapporto che le collega l’una all’altra (se separo una cosa dall’altra comunque è perché c’è una relazione) come potrebbero infatti essere separate l’una dall’altra cose che sono del tutto prive di relazione tra loro. (non potrebbero essere separate se prima non fossero unite) separare una cosa dall’altra implica necessariamente e sempre una relazione di questa cosa con un’altra, già i greci sapevano infatti che διαίρεσις è anche σνθεσις (cioè separazione è anche unione, διαίρεσις è separazione, σνθεσις unione) ma come abbiamo già detto per comprendere l’essenza greca del χωρζειν e del κεχωρισμνον non basta l’argomentazione formale e vuota secondo la quale possiamo dire che anche il distinguere è un collegare e un mettere in relazione, si tratta piuttosto di cogliere il tratto essenziale della regione e di ciò che è caratterizzato come regione e di pensare a partire da questo tratto il χωρζειν e il κεχωρισμνον. (sta dicendo che occorre incominciare a pensare questa separazione e questa unione, questo separare, questo distinguere come ciò che accade nel Λόγος cioè nella logica. Ma vediamo un po’ più avanti pag. 223): Chi non comprende il termine “è” quando un uomo lo usa nel suo discorso? Noi comprendiamo il termine “essere” tuttavia non ci rivolgiamo più a quel che si intende con questo termine, ci rivolgiamo preferibilmente all’ente ovunque presente ma non all’essere, se prendiamo ad esempio questo monte che è o non è, vediamo subito che è il monte che interessa l’uomo non l’è, se prendiamo ad esempio questo fiume che è o non è, vediamo che è esso a travolgere l’uomo non l’è, allo stesso modo questo uomo che è o non è fa riferimento all’uomo non all’è. E di dio che è o non è, si deve dire che sovrasta l’uomo non l’è. Ma l’è se mai vi facciamo caso viene considerato come un’aggiunta indifferente eppure l’è nomina l’essere, se quindi l’uomo non fosse per lo più rivolto all’essere, se non fosse alla presenza dell’essere che cosa ne sarebbe e che cosa ne potrebbe essere del monte che è o non è, del fiume? eccetera, eccetera. Che cosa potrebbe essere il disordinato e pressante presentarsi dell’ente senza la presenza dell’essere? Eppure l’uomo si allontana per lo più dall’essere stesso senza che la presenza dell’essere venga messa da parte, ma qual è la conseguenza essenziale di questo allontanamento? Che cosa implica contemporaneamente e continuamente? (Non dovete mai dimenticare che per Heidegger l’essere è il progetto gettato, è l’Esserci, quindi dimenticare l’essere significa dimenticare che ciò con cui ha a che fare è quello che è per via del progetto che io ho in relazione a questa cosa, ed è il mio progetto a farla essere quella che è) Frammento 72 di Eraclito: E si allontanano anche da ciò, da molte cose che incontrano ogni giorno. (Dice Heidegger): Eraclito non si occupa del singolare che è l’essere ma del plurale che è l’ente, ogni giorno l’uomo si imbatte nella molteplicità dell’ente, si occupa di essa, è assorbito da essa e in essa si perde. Ma come può dire Eraclito che l’ente appare estraneo all’uomo? L’ente non è per l’uomo ciò che è comune, ciò che egli domina, in cui si orienta e verso cui si dirige? Certamente, ma è in relazione in quell’unica cosa che qui il pensatore ha sotto gli occhi, in relazione al Λόγος, all’essere, che l’ente risulta estraneo all’uomo nella sua presenza pressante, incalzante o normale in tutta la sua utilità e produttività ma anche in tutto il suo alone di meraviglia e di quiete, infatti l’ente sarebbe ed è affidabile solo per quello che è in quanto è ente, vale a dire solo se è presente nel suo essere e se la presenza è propriamente l’essere stesso. Quanto è affidabile oggi per l’uomo una macchina? Quanto è familiare per lui il servizio reso dall’apparecchio tecnico, tanto che egli spesso gli viene incontro come se fosse un essere vivente? Ma chi sa che cos’è la macchina? Sa che cos’è la tecnica? Chi dall’aspetto esteriore dal carattere imperturbabile della macchina potrebbe intuire qualcosa dell’essenza della macchina, vale a dire dell’essere di questo ente? anche si vi sono singoli uomini che avvertono da lontano qualcosa di questo essere e sono a conoscenza della sua storia e del suo destino, questo “sapere” e il suo contenuto restano una mera nullità di fronte all’invadenza e all’assolutezza dell’incessante tirare avanti quotidiano. L’uomo è sgomento di fronte all’essere che allontana via da sé l’essere e l’è, considerandoli semplici flatus vocis e prediligendo lo strapotere dell’ente. (qui Heidegger sta descrivendo in effetti la civiltà occidentale, ciascuno, secondo Heidegger, immagina l’ente come un qualche cosa che è di per sé, al di fuori del progetto in cui questo ente appare così come appare. La dimenticanza dell’essere è la dimenticanza che con qualunque cosa io abbia a che fare questo qualche cosa è quello che è non per virtù propria, come avviene nel discorso occidentale, ma perché è inserito all’interno del mio progetto, quindi è quello che è per me in questo momento, da qui la storicizzazione: in questo momento qui e adesso, rispetto, per dirla in modo spiccio, a che cosa voglio fare dell’ente. Poco dopo la pagina successiva): Il rapporto dell’uomo con l’essere non può venire accostato al rapporto dell’uomo con l’ente, quello con l’ente e quello con l’essere non sono due rapporti separati ma un solo rapporto che però è caratterizzato da una duplicità unica nel suo genere, del fatto che l’uomo si rapporta all’ente stando alla presenza dell’essere e che incontra l’ente nella luce dell’essere. (l’uomo è l’unico ente che può interrogarsi su di sé, è l’unico che incontra l’ente nella luce dell’essere, nel senso che incontra l’ente all’interno di un progetto ed è per questo che lo interroga, ed è per questo che lo traduce in tecnica, per farci qualche cosa, cosa che per gli animali non esiste, non può esistere ovviamente. Ora però dobbiamo tenere sempre conto che ciò di cui sta parlando Heidegger riguarda la logica, infatti:) Non c’è altra via per mettere in luce la presenza del Λόγος per l’uomo, (l’essere lo mette in luce, cioè il progetto) ma se ogni “logica”(tra virgolette) deriva dal rapporto che l’uomo intrattiene con il Λόγος e se la logica domina il soggiornare dell’uomo moderno all’interno dell’ente allora un giorno o l’altro dovremmo riflettere sul Λόγος più originariamente, più originariamente di Eraclito, se vogliamo trovarci ancora a nostro agio nella logica (ogni idea di logica, anche quella contemporanea, viene dal fatto che per l’uomo qualunque cosa appare per quello che è perché esiste il Λόγος, esiste l’essere, esiste il progetto entro cui si manifesta. La logica domina il “soggiornare dell’uomo all’interno dell’ente” perché la logica contemporanea si occupa dell’ente; quando la logica descrive un rapporto tra variabili enunciative “se A allora B”, la “A” “allora” e la “B” sono enti, sono enti dei quali non c’è più, per Heidegger, il riferimento al Λόγος, sono presi come se fossero delle entità che non hanno più la necessità di rivolgersi al Λόγος, all’essere, perché sono presi all’interno della tecnica. La logica è una tecnica, è sempre in vista di qualche cos’altro, il fatto di pensare la logica in questo modo, cioè di un qualche cosa che è sempre “in vista di …” qualche cos’altro, pone la logica come tecnica ovviamente, ponendola come tecnica accade che si perde il riferimento di tutto ciò al Λόγος cioè a ciò che consente a tutte queste operazioni di essere quelle che sono, di essere quelle che sono mentre scrivo “se A allora B eccetera …”) In conseguenza di quanto siamo venuti dicendo circa il carattere di duplicità discordante tra l’essere e l’ente, la dimora dell’uomo nell’ente è quanto meno insolita per non dire inquietante (prima ha detto che l’uomo dimora nell’ente perché ha dimenticato l’essere, questa dimora presuppone un luogo la cui collocazione l’uomo non riesce a trovare, è per questo che l’uomo deve mettersi in cammino per andare in cerca di quel luogo in cui si radica il suo essere, ricercarlo interrogandolo, dice che l’uomo dimora nell’ente perché ha dimenticato l’essere però questo dimorare nell’ente è inquietante, dice Heidegger, e non dà quiete perché l’ente una volta che si è dimenticato dell’essere non ha più nessuna garanzia, non ha più nessun riferimento. Ci si immagina che l’ente sia quello che è per virtù propria, ma al momento in cui gli si chiede di sé non può dire nulla, è come se fosse sganciato da ogni cosa. È propriamente l’esempio che vi facevo l’altra volta, è un ente preso fuori dal progetto: questo posacenere se non ha un utilizzo, non lo penso all’interno di un utilizzo, questo posacenere nemmeno lo vedo, non esiste, ora gli utilizzi che posso farne sono sterminati: posso tirarlo in testa a qualcuno, posso spegnerci la sigaretta, posso usarlo come fermacarte, posso farne quello che mi pare, in questo caso specifico questo posacenere viene utilizzato come esempio. Anche in questo caso ha un suo utilizzo, e cioè come esempio per illustrare delle cose, quindi sempre all’interno del progetto. L’inquietudine di cui parla Heidegger è un’ inquietudine che segue al fatto che ogni volta questo ente con cui mi rapporto non è mai in condizioni di dire di sé alcunché, sì la tecnica lo utilizza ma non sa che cos’è, come tutta la scienza, la scienza si adopera per fare cose, delle quali cose non sa assolutamente niente, è per questo che “l’uomo deve mettersi in cammino, andare alla ricerca di questo luogo in cui si radica il suo essere, ricercarlo interrogando”, questa è la via regia, secondo Heidegger, per uscire dalla metafisica. Poi lui stesso dirà che comunque il modo in cui interrogo, le parole che uso per interrogarla sono parole della metafisica e allora incomincia a barrare l’essere ma non va lontano comunque, però la via che propone Heidegger per uscire dalla metafisica è questa e cioè la domanda, l’interrogazione. È vero che noi interroghiamo comunque attraverso la metafisica, è la metafisica che ci permette di interrogare, però sappiamo anche qualcosa di più e cioè sappiamo che la struttura del linguaggio è una struttura metafisica, quindi sappiamo che qualunque conclusione noi traiamo, questa conclusione non sarà mai una descrizione di uno stato di fatto, una descrizione della realtà delle cose, sarà sempre e soltanto una conclusione all’interno di un gioco linguistico che noi abbiamo costruito e che abbiamo fatto, che abbiamo svolto, un gioco linguistico quindi all’interno del quale si sono stabilite delle regole che sono quelle che ci consentono di volta in volta di giungere a delle conclusioni, quali cose ci consentono a giungere a delle conclusioni? Ovviamente uno strumento, come fosse un algoritmo, la logica contemporanea è questo algoritmo, è uno strumento, è un Gestell che serve a costruire dei giochi e fornire a questi giochi delle regole per potere articolarsi)

Intervento: tutta la questione del desiderio è molto vicina all’idea dell’esserci …

Per Heidegger, e molto più per Nietzsche, non è desiderio in quanto tale ma è volontà di potenza. L’ultima cosa e poi possiamo chiudere. Pag. 230: Precedentemente ci siamo chiesti in che modo possiamo preparare il rapporto originario del λόγος umano con il Λόγος, in che modo possiamo preparare l’μολογεν, (che sarebbe ciò che lega insieme lo stesso) la risposta, che provvisoriamente avevamo dato, affermava che per prima cosa è necessario conoscere di che tipo è il rapporto del λόγος umano con il Λόγος, questo significa sapere che il Λόγος è la presenza e la regione verso il quale il λόγος umano è sommamente e ininterrottamente rivolto, pertanto come suggerisce il termine stesso, il λόγος umano non può mai essere pensato come se fosse un rapporto riunificante proprio dell’uomo e che tuttavia procederebbe lungo una via definita e circoscritta da un limite che confinerebbe con un rapporto ulteriore, quel rapporto che arriva ad abbracciare il Λόγος (il λόγος umano non può darsi senza il Λόγος, è questo che sta dicendo) Il λόγος proprio della psiché, in quanto λόγος umano, è invece il rivolgersi sommamente e ininterrottamente verso la riunificazione originaria (cioè il λόγος umano cerca di riunirsi sempre con il Λόγος. Il significante cerca sempre il significato, certo è un po’ antropomorfizzato ma diciamo che il significante non c’è senza il significato) Nello stesso tempo è chiaro che anche il λόγος umano deve sempre essere pensato come la riunione nella riunificazione originaria. (sta dicendo che non è possibile in nessun modo che il significante esista senza il significato, cioè che il λόγος umano possa darsi senza un suo riferimento al Λόγος cioè a ciò che lo riunifica, l’μολογεν è ciò che riunifica il λόγος umano, il significante con il significato. Sarebbe la barra, ciò che unifica, ciò che rende uno il rapporto tra il significante e significato, lo rende indissolubile ma al tempo stesso lo divide inesorabilmente, lo rende “uno” in quanto segno ma rendendolo uno, separa i due inesorabilmente. Quindi riunifica e separa …

Intervento: è possibile parlare del Λόγος come la Langue e il λόγος umano come la Parole di De Saussure?

Per De Saussure la Langue è la possibilità di esecuzione di tutti i significanti, non è propriamente il luogo del significato, mentre per Heidegger l’essere cioè il Λόγος è effettivamente il significato) Frammento 115 di Eraclito: Del distendersi, che al tempo stesso è un accogliere, è proprio un riunire che si arricchisce a partire da se stesso. (Poco dopo dice Heidegger): questo detto di Eraclito non ha di mira l’auto sviluppo dialettico della ragione assoluta  ma dice semplicemente che l’essenza dell’uomo scaturisce dal rapporto con l’essere, che questa origine è tale in quanto diventa sempre più originaria e duratura arricchendosi nel suo proprio essere, nel suo proprio progetto (bisogna sempre pensare all’essere come progetto, e allora a questo punto dice Eraclito non ha di mira l’auto sviluppo dialettico, che uno articola delle cose in modo tale da giungere a una certa conclusione, ma dice “l’essenza dell’uomo scaturisce dal rapporto con l’essere” senza questo rapporto continuo con il suo progetto c’è la chiacchiera dice Heidegger) Ma che cos’è lo stesso λόγος umano in quanto Λόγος? Esso è già del tutto riunito nella riunificazione originaria (cioè il Λόγος non si dà da sé, si dà sempre riunito attraverso l’μολογεν che unisce il λόγος umano con il Λόγος) L’essere se stesso proprio del λόγος umano non consiste nel fatto che esso riunendosi si separa e si svincola e cercando unicamente se stesso trattiene tutto in se stesso, (sta dicendo che l’ente, il significante, non ha una sua ragione d’essere in se stesso, non è causa sui) esso stesso è il λόγος umano e proprio come λόγος si distende riunendosi nella riunificazione originaria ed è orientato verso quest’ultima, in quanto orientato ampiamente verso questa riunificazione esso è rinviato alla fonte originaria da cui scaturisce ogni arricchimento (il λόγος si dà sempre in quanto rivolto alla sua riunificazione originaria, riunificazione che costituisce per De Saussure il segno, e senza questa riunificazione è nulla. “…e da qui scaturisce ogni possibile arricchimento” dice, potremmo dire l’implementazione del discorso, perché se io considero questo aggeggio qui unicamente per sé, cioè fuori dal progetto in cui lo sto vedendo, che in questo momento è di farvi un esempio. Parafrasando un po’quel dice Heidegger, è la povertà totale e assoluta, perché questa cosa è niente, io la arricchisco nel momento in cui mi ci rivolgo e rivolgendomi a questo aggeggio lo inserisco all’interno del progetto e dal quel momento è quello che è, e quindi può diventare tante altre cose, ma solo a questa condizione può diventare tante altre cose, perché inserito nel mio progetto, all’interno di un significato preciso che può rimandare ad altre cose per esempio, il fatto di considerarlo in questo momento come un esempio, mi consente di illustrarvi una certa cosa, in questo senso “arricchisce”, può arricchire, poi non è così automatico) Correttamente intesa la profondità essenziale propria del λόγος nasconde la possibilità che esso si arricchisca a partire da se stesso. Ma quando e in che modo il λόγος umano è e diventa più ricco? Quando è maggiormente riunito nella riunificazione originaria, il farsi più ricco del λόγος umano non avviene seguendo lo sviluppo crescente dell’ente (cioè nella tecnica) ma accade quando la presenza solitamente assente del Λόγος ossia dell’essere stesso diventa una presenza che si rende presente, è nel λόγος umano stesso, nel λόγος riunificato, nel λόγος, che scaturisce il dispiegamento e il compimento della storia dell’uomo (qui sta lanciando il suo messaggio, la sua proposizione) È perché è riferito all’essere e non si occupa dell’ente che il dispiegarsi diventa ancor più dispiegante e l’accogliente ancor più accogliente, il detto di Eraclito dice che l’uomo nella sua essenza appartiene all’essere ed è destinato a riunirsi nell’essere, dice che dall’essere riceve le sue possibilità più proprie. (lui lo fa dire a Eraclito ma in realtà c’è Heidegger in queste parole) L’essenza dell’uomo riposa in se stessa solo se riposa nella presenza del Λόγος, distendendosi e accogliendosi l’ente si impone come l’essere, in modo che l’uomo sembra esclusivamente sottomesso all’ente sembra fare a meno della prossimità dell’essere (questa è la tecnica, perché dice, la frase prima, “l’ente, anzi secondo il comune modo di vedere è evidentemente l’essere” ciò che mi appare per il senso comune è l’essere) Ma in tutto ciò il Λόγος è già presente e tuttavia assente (c’è perché senza il λόγος non potrei dire che quella cosa, è quella cosa, ma è assente perché non ne tengo minimamente conto, il fatto di non tenerne conto mi situa nella metafisica e mi situa nella tecnica) L’uomo infatti non si mantiene espressamente all’interno del sapere del Λόγος, del τ σοφόν (cioè il sapere) il sapere di ciò che veramente si deve sapere gli è estraneo (ovviamente il sapere dell’essere, cioè il mio progetto) esso consiste nel prestare attento ascolto al Λόγος ed è l’μολογεν (l’μολογεν è ciò che consente di connettere) L’autentico sapere del Λόγος, la preparazione di quel λόγος umano che perviene alla sua essenza come μολογεν, questo sapere preparatorio del Λόγος originario è la logica originaria, qui “logica” significa mantenersi all’interno del Λόγος in quanto esso è la presenza della riunificazione originaria. (In questa frase ci ha detto che cos’è per lui la logica. Cosa vuole dire questo? Qual è lo spostamento che ha compiuto qui Heidegger, dalla logica contemporanea alla logica come la intende lui? Ci ha mostrato che la logica contemporanea non è nient’altro che un Gestell, un dispositivo, uno strumento per fare cose in vista di …, questo significa che ciascun elemento di questa logica viene preso come un ente, viene preso cioè come se fosse quello che è per virtù propria, senza tenere conto che ciascun elemento è quello che è, in quanto rivolto verso il Λόγος cioè verso l’essere, verso il suo significato, e il suo significato risiede in ciò che voglio farne di quella cosa. La logica per Heidegger è il mantenersi sempre rivolti verso il Λόγος, il che significa mantenere sempre, come oramai appare inevitabile nella lettura di Heidegger, aperta la domanda, la logica la chiude “se A allora B” e se A è vero e B è falso allora l’implicazione è falsa. Ha chiuso, perché ciascuno di questi elementi è quello che è. Heidegger non sta dicendo che questo non va bene, sta dicendo che è possibile fare di più, è possibile mantenere aperta la domanda su ciò che si sta facendo, su ciò che io voglio fare facendo quel calcolo proposizionale, il calcolo proposizionale di per sé è poca cosa se non tengo conto dell’essere, cioè del motivo per cui lo sto facendo, questo dice Heidegger, e su questo insiste come avrete notato in tutti gli scritti che abbiamo letti.