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29-6-2011

 

Questa sera vi dirò come è possibile costruire il sillogismo perfetto. Il sillogismo perfetto è quello che già Aristotele aveva cercato senza trovarlo, e cioè quel sillogismo che ha nella premessa maggiore una affermazione necessaria, cosa che come dicevo non è mai stata trovata. Una affermazione dunque che risulti necessaria, che risulti impossibile negarla logicamente e che possa rispondere di sé a qualunque domanda. Dunque costruiamo questa premessa maggiore: i parlanti, in quanto parlanti, parlano. Tutto qui, questa formula utilizza il termine “parola” non utilizza il termine “linguaggio” perché abbiamo visto che il termine linguaggio non è comprensibile, nessuno sa di che cosa parliamo quando parliamo di linguaggio, ma le parole potrebbero essere più facilmente recepibili. Questa formulazione che vi ho fatta ha la forma di una tautologia, e come tutte le tautologie non ci dice molto più di quanto afferma, e che il fatto che sia una tautologia è un fatto puramente contingente, non è né voluto né cercato né ha qualche utilità, però in ogni caso è una tautologia speciale, unica, come nessun altra. Qualunque tautologia anche la più banale per esempio A è A o A = A è sempre soggetta a essere confutata, cioè è possibile costruire una proposizione che prova che questa uguaglianza è falsa, ora invece consideriamo questa proposizione, quella che vi ho proposta, questa premessa maggiore, questa proposizione nel momento stesso in cui cerco di negarla costruisco una affermazione che è autocontraddittoria, perché devo negare che in quanto parlante sto parlando, per negare questa affermazione devo parlare, che poi lo scriva o lo pensi questo è assolutamente indifferente, quindi è una proposizione che costringe qualunque proposizione che voglia negarla ad autocontraddirsi. Una domanda che può porsi rispetto a questa proposizione è: come so che sto parlando? E questa potrebbe essere una domanda impegnativa, come lo so che sto parlando? È una domanda che spesso noi rivolgiamo a varie affermazioni, come lo so? A questo punto occorrerebbe dire qualche cosa di più del sapere, la questione del sapere che appare molto complicata perché rischia di fare cadere in aporie, in una sorta di loop inarrestabile, qualche cosa che gira su se stessa e non può uscire in nessun modo. Dunque il sapere funziona così: nell’atto di parola c’è una struttura che è quella che consente la costruzione della parola, il suo funzionamento, cioè la possibilità di costruire proposizioni, ciascuna di queste proposizioni muove da una premessa e giunge a una conclusione, se questa conclusione non nega la premessa che l’ha costruita allora questa conclusione viene considerata vera, cioè viene accolta dal sistema se no, no, una volta che questa conclusione è accolta dal sistema questa conclusione insieme alle altre che sono state accolte dal sistema, tutto questo insieme di conclusioni è ciò che ho imparato e si chiama sapere, quindi il sapere non è altro che il potere dire che so una certa cosa e poterla utilizzare, cosa vuol dire che la so? Che posso utilizzarla, e cioè “sapere” in questo caso, che sto parlando, che procede dal fatto che parlando costruisco delle proposizioni, queste proposizioni vengono accolte dal sistema e tutto ciò che viene accolto dal sistema si chiama “sapere”. A questo punto possiamo rispondere alla domanda “come so che sto parlando?” perché tutte queste proposizioni che concludono in un certo modo, tutte queste conclusioni all’interno del sistema vengono chiamate “sapere” e vengono utilizzate in questo modo. Sapere qualcosa significa saperlo utilizzare, queste conclusioni possono essere utilizzate dal sistema e quindi costituiscono il sapere, a questo punto anche la nozione di sapere viene a essere sbarazzata di tutti gli orpelli metafisici e ontologici e rimane soltanto una procedura, un’istruzione al pari di qualunque altra cosa quindi a questo punto so come so che sto parlando.

Questa proposizione, questa premessa maggiore si impone come necessaria, in che senso? Non potendo essere negata in nessun modo perché negandosi crea soltanto proposizioni autocontraddittorie, appare necessaria e qui si fornisce la definizione di necessario: ciò che non può non essere perché se non fosse allora non sarebbe né quella cosa né nessun altra, e in effetti se non fosse che sto parlando non potrei avere data questa definizione di necessario, quindi non ci sarebbe questa definizione e insieme con questa nessun’altra cosa, e questo determina la necessità. Questa affermazione è l’unica che appare necessaria, avrei potuto anche ridurla all’affermazione pura e semplice “parlo”, però sarebbe stato meno comprensibile invece ponendola in modo più generale come questa e cioè che i parlanti in quanto parlanti parlano, potrebbe apparire più comprensibile. Questa premessa maggiore dunque non può essere negata né eliminata, qualunque cosa io voglia fare di questa proposizione comunque la confermerò perché facendo qualunque cosa parlerò, dirò delle cose, e sia che la utilizzi, sia che non la utilizzi comunque la confermo in ogni caso perché non posso non parlare per fare qualunque cosa. Il suo utilizzo non è altro che il trovarsi continuamente presi in questa necessità di dovere parlare per fare qualunque cosa o per non farla indifferentemente, quindi a questo punto parrebbe costruita una premessa maggiore necessaria che non può essere negata in nessun modo e che dice di sé in effetti esattamente ciò che non può non dire e cioè che sta parlando, per questo dicevo che è l’unica proposizione che risponde a questo requisito di necessario, l’unica proposizione che se non ci fosse in effetti comporterebbe l’assenza di qualunque altra cosa e senza la parola non c’è più niente, non c’è la possibilità di valutare, di decidere, di stabilire, nemmeno di avere esperienza, ché se ho esperienza di qualcosa è perché un qualche evento si inscrive all’interno di un sistema che può riconoscere quell’evento come un fatto esperienziale, e quindi da quel momento è qualche cosa, se non ci fosse questo qualunque evento o accadimento sarebbe assolutamente niente. Costruire una teoria a partire da una cosa del genere è quello che occorre fare ovviamente, una teoria fondata sull’unico elemento che in nessun modo può essere cancellato, l’unico elemento necessario, necessario perché ci sia qualunque altra cosa, e a questo punto abbiamo costruito il sillogismo perfetto.

La domanda “come lo so?”, o da che cosa traggo tanta sicurezza nell’affermare quello che affermo è una domanda interessante, alla quale potrebbe non essere facilissimo rispondere. Prendete l’affermazione che dice “non c’è padronanza sul linguaggio”, la domanda dunque è come lo sa che non c’è padronanza sul linguaggio, e a questo punto si costringe la persona a trovarsi di fronte a tre possibilità, o lo sa perché l’ha imparato a memoria e non credo che accetti una cosa del genere, oppure lo sa perché è la conseguenza di un ragionamento, cioè di una argomentazione, oppure lo sa per esperienza. Se lo sa perché è il prodotto di un ragionamento allora questa argomentazione è sempre riproducibile, cioè è riproducibile la premessa che ha consentita questa argomentazione che ha condotto a quella conclusione, a questo punto naturalmente la domanda è come sa di questa premessa? Come fa ad affermarla con tanta sicurezza, e a questo punto si costringe il discorso a entrare in quel loop di cui si diceva prima senza uscita, da questo loop emerge però una cosa, e cioè che qualunque affermazione io faccia trova il riferimento in altre proposizioni, queste proposizioni in altre proposizioni, queste altre in altre proposizioni ancora e così via all’infinito, il che significa che ciascuna di queste proposizioni non ha nessun referente al di fuori di altre proposizioni e allora che cosa vuole dire? Tecnicamente non lo potremmo sapere mai, l’unica cosa che potremmo dire con certezza è che ciascuna di queste proposizioni ha una sola funzione: costruire altre proposizioni, solo questo e nient’altro che questo, a meno che naturalmente si attesti questa argomentazione, andando a ritroso, su un qualche cosa che si decide che sia vero, e allora si ferma, perché altrimenti non trova nessun elemento che soddisfi il requisito perché il sistema si arresti e cioè che possa mostrare di sé di essere necessario, però può attestarsi su qualche cosa che crede essere vero. Da quel momento incominciano i problemi. Oppure vi dicevo che può affermare che lo sa per esperienza, ora o immagina che la propria esperienza costituisca un criterio di verità universale, cosa che non penso la persona sia disposta ad affermare, oppure questa esperienza è tale perché esiste un sistema teorico in cui questa esperienza, questo esperito è inserito. Un evento che è al di fuori di ogni possibile sistema teorico non è niente, incomincia a essere qualcosa quando è inserito all’interno di un sistema teorico, ora un sistema teorico tende a cercare conferme di sé per cui ciò che si esperirà non farà nient’altro che confermare ciò che già si sa, esattamente come fa un qualunque cristiano, che avrà sempre e comunque esperienza di dio, esperirà da per tutto la presenza di dio nel creato, però non mettiamo questa sua affermazione come base per una costruzione teorica, o almeno non si dovrebbe, che poi lo si faccia questo è un altro discorso. Dire che si sa qualcosa per esperienza è molto problematico, per esperienza si rileva soltanto ciò che già il proprio sistema teorico è in condizioni di reperire, se no non esperisce niente, a questo punto naturalmente diventa un problema proseguire, come sa che non c’è padronanza sul linguaggio? E comunque l’essere è parlante e quindi è tale perché è parola, e se è parola allora di chi è questa padronanza sul linguaggio? Della parola, come dire che è la parola che è padrona di sé, e non si capisce perché una parola dovrebbe avere la velleità di essere padrona di sé per esempio, e a che scopo? E cosa significa poi una cosa del genere?

La costruzione di un sillogismo perfetto consente la costruzione di una teoria perfetta, e che risponde anche a una domanda che è quella più ardua e cioè come so che parlo? Perché se non posso rispondere a questa domanda si blocca tutto, non si va più da nessuna parte e si ritorna a quella sorta di magia e cioè che la parola compare magicamente: “la parola è originaria” perché? Compare così, dal nulla, mentre non compare affatto dal nulla, c’è una struttura che consente la costruzione di quelle cose che chiamiamo parole e che consente anche di sapere perché costruisce una sequenza che indica che tutta quella serie di conclusioni di proposizioni accolte dal sistema e quindi vere costituiscono ciò che chiamo sapere, termine che a questo punto conosco e che utilizzo di conseguenza, in fondo un qualunque dizionario non è nient’altro che un libretto delle istruzioni, mostra come si usano le parole.

Quando mi occupavo della teoria di Verdiglione, dopo essermi accorto che questa teoria era logicamente inconsistente, mi sono dedicato al suo assetto retorico, e lì qualcosa di interessante si è trovato, e cioè il modo in cui viene esposta la teoria. È un modo che utilizza un particolare sistema e cioè muove da certe premesse che sono riconosciute grosso modo da tutto l’ambiente psicanalitico, cioè l’esistenza dell’inconscio, della rimozione, del transfert, la ripetizione, dopodiché costruisce su questi principi delle varianti di cui non dice mai che cosa intende esattamente, dice semplicemente che queste procedono da qualche cos’altro e producono degli effetti, ma che cosa intenda con quella cosa, questo non viene mai detto tranne in rarissimi casi, ma anche quando viene detto comunque questa affermazione comporta uno di questi elementi che non viene assolutamente descritto. Prendete la famosa formulazione che dice che l’inconscio è la logica particolare a ciascuno, ora “particolare a ciascuno” si può anche intendere che cosa si suppone voglia dire, ma “logica” come la intende? Non c’è da nessuna parte, in tutto il suo lavoro, anche il più recente, nessuna definizione di logica, cioè non dice mai che cosa intende con logica, per cui cosa avviene? Che non avendo mai definito un termine questa teoria non si espone mai a un’obiezione teorica perché se non dico che cosa intendo, cosa obiettate? Niente, però siccome muove da dei principi che sono stati riconosciuti ufficialmente come principi fondanti della psicanalisi allora si suppone che abbiano un fondamento, si suppone. Questo sistema si regge su una sorta di omertà, come dire che ciascun termine pratica una sorta di omertà su tutti gli altri, per esempio l’inconscio procede dalla parola originaria e produce certi effetti però perché proceda dalla parola originaria non è dato sapere, qualcuno potrebbe intuirlo, ma di fatto non lo dice per cui non c’è la possibilità di un contraddittorio logico per esempio, non è possibile, ed è uno dei motivi per cui risulta abbastanza incomprensibile la teoria di Verdiglione, perché non dice mai cosa intende con questi elementi, bisogna intuirli ma se gli si opponesse un’obiezione del genere lui direbbe che si tratta di un’argomentazione poetica e la poetica non ha la necessità di dovere definire i termini che utilizza, è vero che non ha questa necessità, ma può farlo se glielo si chiede, per esempio “il naufragar mi è dolce in questo mare” può dire che cosa intende con “mare” può dire, per esempio, che non intende né una macchina da scrivere né una caffettiera ma intenderà presumibilmente una distesa di acqua salata che circonda tutte le terre emerse del pianeta, è una definizione di mare abbastanza corretta, comunque. La poesia pur non avendo questa necessità, perché nessuno glielo chiede, tuttavia può farlo. Si tratta di quella onestà intellettuale che invece hanno i logici, che quando introducono un termine la prima cosa che fanno è dire come lo intendono, dire come lo intendono significa dire come va utilizzato all’interno di quel sistema, ogni volta che incontrate un “tilde” vuol dire “non” e tutte le volte, non una volta sì e qualche volta no, tutte le volte, se no non si capisce più niente, non è più possibile costruire niente…

Intervento: è come se si fossero disfatti della logica come se la retorica … nel senso che sono due aspetti della stessa questione …

Per costruire una variante occorre un elemento che non varia …

Intervento: mi veniva in mente la domanda intorno al “che cos’è?” di cui dicevano …

È una domanda che domanda l’essere delle cose, che cos’è realmente, che cosa non può non essere. Intervento: che poi “che cos’è?” non è altro da “che cosa ne pensi?” quando uno risponde, risponde non l’essere ma quello che intende …

Esattamente, nessuno gli chiede di dire l’essere delle cose …

Intervento: che cos’è la psicanalisi? che cos’è per te la psicanalisi …

Questo è il motivo per cui la teoria di Verdiglione regge, regge finché non la si interroga …

Intervento: la si ascolta come una poesia …

Finché non si ha la malaugurata idea di incominciare a interrogarla, e cioè di domandare perché afferma una certa cosa, qual è il motivo per cui affermo questo anziché il contrario? Se affermo una certa cosa anziché il contrario ci sarà un motivo, e a me interessava sapere quale. Di fronte a delle obiezioni teoriche precise la risposta non è mai un’argomentazione logica precisa ma è un’invocazione al fatto che esiste l’inconscio, al fatto che la parola è differente da sé, ma se si dovesse chiedere “come lo sa che è differente da sé?” l’unica risposta è che l’ha imparato, o un rimando a un’altra cosa, con la giustificazione che il linguaggio funziona così e in parte è vero che funziona così, in parte, ma funziona così perché c’è una struttura che glielo consente. Voglio dire che è vero che il linguaggio non si ferma e comunque continua a procedere, a proseguire quello che deve fare, per cui è vero che ciascuna cosa rinvia a un’altra, ma la possibilità che possa rinviare a un’altra è data da una struttura che glielo consente. Il motivo che si è trovato per rispondere alla domanda sul perché il linguaggio continua, è che c’è il desiderio, un desiderio che rilancia sempre, che rinvia ma non è mai reperibile, che tende sempre a qualcosa senza raggiungerlo mai, ma anche qui, come lo so che funziona così? Ciò che abbiamo reperito è una cosa straordinariamente più semplice: delle istruzioni che continuano a produrre quello che sono fatte per produrre, cioè proposizioni …

Intervento: nessuna cosa esterna che fa andare il linguaggio …

Beh, non è che mettano il desiderio fuori dalla parola, per esempio per Verdiglione nulla è fuori dalla parola …

Intervento: però è curioso, “nulla è fuori dalla parola” cosa vuol dire, posta in quei termini, il nulla fuori dalla parola?

È un dogma, non è casuale che Verdiglione abbia ripreso la questione del dogma, perché gli serviva qualche cosa che non potesse essere interrogato, che non dovesse essere interrogato. Affermare che nulla è fuori dalla parola può anche avere qualche utilità a condizione che si applichi la stessa cosa a questa affermazione, perché anche questa affermazione è all’interno della parola e quindi subisce gli stessi effetti della parola e quindi cessa di essere un dogma, cessa di essere un affermazione lapidaria e universale. Come dicevamo tempo fa queste teorie sono infarcite di universali, quando Verdiglione dice che un significante rimosso funziona come nome, sta costruendo una formulazione universale, che non ammetterebbe mai neanche sotto tortura, però dire che per tutte le x se la x è un significante rimosso allora x è un nome, è un universale, non lo sarebbe se ci fosse almeno una x tale che questa x fosse un significante rimosso e non funzionasse come nome, allora non sarebbe un universale, ma questo non lo può ammettere, quindi non può ammettere che sia un universale e non può neanche ammettere che non lo sia, perché? Perché la parola è altra, perché c’è l’Altro, c’è l’Altro che non è né il significante né il nome, che è altro dal significante e dal nome e che impedisce la sovrapposizione, risponderebbe così molto probabilmente, e cioè producendo altri atti di fede che in nessun modo possono essere sostenuti e si andrebbe avanti così all’infinito, solo che dopo un po’ ci si stufa. È come parlare con un fondamentalista, non c’è possibilità di persuaderlo, lui continuerà a ripetere all’infinito che tutte le cose accadono perché dio lo vuole “deus vult” e se gli si chiede come lo sa è perché c’è la fede, e voi non lo sapete perché dio non vi ha ancora parlato, ma dal momento in cui dio vi avrà parlato allora anche voi avrete la fede. È questo ciò che rispondono, e questo rende conto di qualche difficoltà.