29 maggio 2024
Plotino Enneadi
Che differenza c’è tra Platone e Plotino? Ce n’è una che forse potremmo considerare. A partire da che cosa Platone costruisce tutte le sue argomentazioni? Se si leggono i dialoghi si vede subito da dove parte: la sapienza degli antichi, i sapientissimi, i grandi scrittori, gli dèi, la tradizione, la nonna. Questi sono tutti i molti che costituiscono il suo universale; una volta stabilito un universale, allora parte con tutte le sue argomentazioni per dimostrare che l’altro non sa. Ma come lo dimostra? A partire dalla doxa. Quindi, anche le sue conclusioni non significano niente. Plotino, invece, non parte dalla costruzione dei molti, perché non potrebbe farlo con la sua idea dell’uno che non è determinabile, non è conoscibile, non è semovente; non potrebbe costruire un’argomentazione a partire dai molti per arrivare all’uno, è dall’uno che si arriva ai molti. Ma come so dell’uno? Per esperienza interiore. Infatti, non c’è in Plotino un’altra ragione per sostenere l’uno, perché lo sente, perché si mette a contemplare e a un certo punto si trova in presa diretta con Dio. Questa è la differenza fondamentale tra Platone e Plotino: Platone nelle sue argomentazioni costruisce l’universale a partire da tutto quello che trova; Plotino no, perché l’uno non può essere il prodotto di molti, per niente al mondo.
Intervento: Questa importanza del sentimento mi ha fatto pensare al fatto che potrebbe essere neoplatonico un enunciato che si sente spesso, e cioè quello che dice che qualcosa è vero perché lo sento.
Sì. Plotino dice esattamente la stessa cosa. Certo, ancora oggi è presente. Non so se vi ricordate quando eravate piccoli, il catechismo. Dicevano: perché Dio ci ha creati? Ci ha creati per servirlo, adorarlo, ecc. Sono vaghissimi ricordi di quando ero bambino. Ora, questa cosa non è propriamente neoplatonica ma è gnostica. Sono gli gnostici che affermavano una cosa del genere, e cioè: Dio ha creato gli umani per essere adorato da loro. Infatti, lo stesso Plotino ha qualche perplessità, perché verrebbe fuori un personaggio vanesio, un Dio che ha la necessità di creare qualcuno per essere adorato. E perché mai? Ma non doveva essere lui sufficiente di tutto, avere tutto, ecc.? Perché ha bisogno di qualcuno che lo preghi, che lo adori, ecc. Però, è vera questa cosa qui, che diceva Sandro, lo sento, me lo sento dentro: questa cosa è schiettamente neoplatonica. Siamo a pag. 269. Ma bisogna indagare che cosa sia in generale la qualità… Che per Aristotele nelle categorie. …forse la conoscenza della sua natura distruggerà maggiormente le difficoltà. Anzitutto bisogna ricercare se una stessa cosa possa essere considerata ora come semplice qualità ora come complemento di una sostanza, e allora non ci stupiremo se essa è il complemento di una sostanza, anzi di una sostanza qualificata. Ora in una sostanza qualificata la sostanza e cioè la sua quiddità deve essere prima della qualità. Non vi fa venire in mente immediatamente le categorie? E cioè, la quiddità, la sostanza deve essere prima della qualità. No, dice Aristotele, non è che sia prima, non è né prima né dopo, si coappartengono: se io non ho la qualità, non ho neanche la sostanza, ma senza la sostanza chiaramente non c’è la qualità. Lui vuole separare per bene le qualità dalla sostanza: è questo il suo obiettivo. …ed invece sia qualità un altro senso, quando sia pensato in un’altra cosa e isolato dal fuoco: esso allora non è più la forma di una sostanza, ma una traccia, un’ombra, un’immagine che ha abbandonato la sostanza propria di cui era l’atto: esso è allora qualità. Capite l’abisso che c’è tra quello che sta dicendo Plotino e Aristotele: parla di ombre, di cose strane. Niente di tutto ciò c’è in Aristotele. Ora andiamo alla Paideia Antignostica, al trattato numero 9 della seconda enneade, a pag. 287. La natura del Bene ci è dunque apparsa semplice e prima... Il Bene è semplice, non può essere composto di altre cose. Poiché ciò che non è primo non è mai semplice; nulla essa contiene in sé, ma è una realtà una e la natura del cosiddetto Uno è identica a se stessa. Esso non è prima un’altra cosa e poi uno; nemmeno è prima una cosa e Bene soltanto in seguito. Per Plotino l’Uno e il Bene sono la stessa cosa. …dire che essa è una, non è attribuirle un predicato ma un renderla chiara a noi stessi per quanto è possibile. Ora, c’è la preoccupazione di Plotino che questa cosa possa apparire un predicato, cioè una categoria perché, se appare come predicato, allora l’uno è quantomeno in relazione ai suoi predicati. E invece no, dice, non è un predicato ma è qualcosa che serve a renderla chiara a noi stessi, per quanto è possibile; non è un predicato ma qualcosa che serve a rendercela più chiara, come se il rendercela chiara non passasse attraverso predicati. Essa è perciò il Primo, perché è semplicissima. È ciò che basta a se stesso, poiché non consiste di diverse cose, perché allora dipenderebbe dagli elementi di cui è formata; è ciò che non è in altro, poiché ciò che è in altro deriva sempre da altro. Questa è la sua preoccupazione fondamentale: che l’uno sia irrelato. Se dunque il Bene non deriva da altro, né è in altro, né è combinazione, necessariamente non ci sarà nulla sopra di lui. Non bisogna dunque risalire ad altri principi, ma bisogna mettere anzitutto il Bene, in secondo luogo l’Intelligenza e l’Intelligente primitivo e, dopo l’Intelligenza, l’Anima. Sono le tre ipostasi. Questo è l’ordine conforme a natura,… Sarebbe da chiedere come lo sa. Perché è conforme alla natura? Eppure, su queste cose abbiamo costruito duemila anni di pensiero. Ma andiamo avanti. Questo è l’ordine conforme a natura; né c’è da porre null’altro, né di più né di meno, nella realtà intelligibile. Per tutta la filosofia intelligibile è tutto ciò che non è sensibile. L’idea di bene, per esempio, non è sensibile, non la vedo, non la tocco, quindi, è un intelligibile. Quali altre nature ci potrebbero essere oltre quelle? Se il Principio di tutte le cose è come l’abbiamo descritto, nessuno potrebbe affermare una natura più semplice e più elevata di esso. Non si parlerà qui di potenza e di atto perché sarebbe ridicolo introdurre in realtà attuali e senza materia questa distinzione di potenza e di atto e moltiplicare così le realtà. Qui atto è sempre ἐνέργεια. Ma questa distinzione non si può fare nemmeno nelle realtà che vengono dopo l’Uno, né si deve pensare che ci sia un’Intelligenza in riposo e una in movimento. Che cosa sarebbero per l’Intelligenza il riposo, il movimento e il processo? Plotino ama moltissimo farsi domande, domande retoriche, ma se ne fa tantissime. Che sarebbe l’inattività dell’una e l’attività dell’altra? L’Intelligenza è sempre come è ed è stabile e identica nel suo atto. È ufficio dell’anima muoversi verso di lei e intorno a lei; e la ragione che viene all’Anima, dall’Intelligenza, rende intelligente l’Anima, non un’altra natura intermedia tra l’Intelligenza e l’Anima. Non c’è nessun intermedio, c’è una processione, viene naturalmente. Nemmeno si ammettano più Intelligenze, di cui l’una pensi e l’altra pensi di pensare. Anche se pensare e pensare di pensare fossero nel mondo intelligibile due cose diverse, l’Intelligenza, nondimeno è un’intuizione unica che percepisce i suoi propri atti; ed è ridicolo ammettere tale differenza nell’intelligenza vera, quella che pensa di pensare è assolutamente quella che pensa; se no, esisterebbe un’Intelligenza che pensa e un’altra che pensa che la prima pensa, diversa da questa e non identica a quella pensata. Qui la posizione di Plotino è evitare assolutamente che ci siano i molti, e cioè che l’unità si frammenti nei molti. Pensare di pensare è una cosa normalissima, anche se non così comune. Aristotele l’attribuisce a Dio, è lui che pensa il suo stesso pensiero. Ma, pensando il pensiero, è come se questa intelligenza prendesse la distanza da sé e, prendendo la distanza da sé, pone come due intelligenze. Il che non è vero, ma questa eventualità spaventa tantissimo Plotino: l’intelligenza è una, così come l’anima e così come l’uno. Ma se diranno che la distinzione è soltanto logica, essi abbandoneranno anzitutto la molteplicità delle ipostasi. E poi bisogna vedere se anche con una semplice distinzione logica si possa ammettere un’Intelligenza soltanto pensante e sprovvista della coscienza di pensare. Se in noi, che abbiamo sempre abbastanza saggezza per dirigere tendenze e riflessioni, una simile divisione fosse possibile, saremmo tacciati di pazzia. La divisione, la separazione: questa è una cosa che a Plotino faceva andare fuori di matto. Dunque, la vera Intelligenza che nei suoi pensieri pensa se stessa e non pensa un intelligibile esteriore ma è essa stessa il proprio oggetto di pensiero, necessariamente pensando si possiede e vede se stessa, e vedendo se stessa non si vede priva di pensiero, ma pensante. Cosicché, nell’atto primitivo di pensiero c’è il pensare di pensare, ed è un atto solo... È questo che importa a lui, e cioè che sia un atto solo e che non ci sia una divisione, una separazione. …perciò la duplicazione nel mondo intelligibile non è possibile nemmeno logicamente. Anzi, non deve essere possibile. Andiamo a pag. 291. Essi (gli gnostici) diranno che l’Anima ha creato perdendo le sue ali... Questo era il mito di Platone, del Fedro: nel racconto che fa Platone, ci sono le anime che vanno su in alto sul loro carro alato e poi, per fare a gara chi sale di più per vedere la luce, Dio, ecc., cozzano fra loro e accade che ogni tanto qualcuna perda le ali, cada giù e si trasformi in umano. …ma l’Anima dell’universo non prova questa iattura. E se diranno che essa crea dopo essere caduta, ci dicano essi la causa di questa caduta. Quando è caduta? Se è caduta ab æterno, essa rimane, per il loro stesso ragionamento, un’Anima caduta. E se la caduta ha avuto un inizio, perché non è caduta prima? Noi diciamo che la causa produttrice non è l’inclinazione dell’Anima, anzi proprio la non-inclinazione. Quello che lui chiama inclinazione, per Aristotele è il pathos, l’emozione. Essa infatti inclinerebbe, evidentemente per aver dimenticato gli intelligibili; ma se li avesse dimenticati, come formerebbe il mondo? Su quale base produce il mondo, se non su ciò che è contemplato lassù. Questa è la posizione vera e propria di Plotino: il mondo è stato creato perché queste anime hanno visto lassù tutto e quindi hanno la possibilità di produrlo, attraverso l’Intelligenza, che comunque procede sempre dall’Uno, e poi l’Anima, che produce le cose. Ma può produrre perché le ha viste lassù. Qui già qualcuno potrebbe chiedere: ma, allora, questa processione a che cosa serve? Se le ho già viste, non è che procede, le ho viste e le riproduco, ho visto come com’è e, quindi, lo rifaccio uguale. Non ci sarebbe, quindi, bisogno della processione. Se ricordandosene lo produce, essa non è inclinata del tutto; perché se ne ha soltanto un ricordo oscuro, a maggior ragione inclina verso il mondo intelligibile, per non vedere più oscuramente. E perché non avrebbe volontà di ritornare, se ne ha un ricordo? Tutti questi punti di domanda appesantiscono in modo incredibile la lettura del testo. Quali riflessioni farebbe sull’opera sua? È ridicolo che essa produca il mondo per essere onorata e che la si debba paragonare ai nostri fabbricatori di statue. Qui ce l’ha sempre con gli gnostici. Se essa lo producesse con un pensiero riflesso, se l’atto e il potere produttivo non appartenessero alla sua natura, come avrebbero avrebbe prodotto questo mondo? E quando lo distruggerà? E se si pente di averlo prodotto, che attende? Se finora non ha cambiato pensiero, certamente non lo cambierà più /…/ Nemmeno bisogna affermare che questo mondo sia un’opera cattiva… Questo è ciò che sostengono gli gnostici. …perché ci sono in esso molte cose spiacevoli: gli attribuirebbe un valore troppo grande chi credesse che esso sia identico al mondo intelligibile, e non alla sua immagine. E quale altra immagine potrebbe essere più bella di quello? Quale altro fuoco più del nostro potrebbe essere migliore immagine del fuoco intelligibile? E c’è un’altra terra superiore alla nostra, dopo quella intelligibile? C’è una sfera più perfetta e di un movimento più regolare, dopo l’intima organicità del mondo intelligibile? C’è un altro sole superiore al sole visibile al di là del Sole intelligibile. Questa cosa è schiettamente platonica. L’idea di Platone qual è? Io vedo le cose belle, i sensibili, ma c’è qualcosa in sé, che è il più bello di tutti in assoluto? Se ciascuno vuole pensare al bello, chiaramente lo vede nei sensibili, però è indotto a pensare che ci sia un bello superiore che rende questa cosa bella. Questa è l’idea di Platone. Da qui l’idea che ci sia un bello trascendente, un bello ultrasensibile, al quale naturalmente si tende, perché tutti vogliono il bello, e se questo è il bello più bello di tutti, ecco che lo voglio. Ma costoro (gnostici), che pure hanno un corpo come quello degli altri uomini ed hanno desideri, dolori e collera, non disprezzano il loro potere e pretendono di arrivare al contatto dell’intelligibile… Lo vogliono avere questo intelligibile. …e negano che il sole abbia un potere più puro da passioni, più conforme all’ordine, meno soggetto all’alterazione del nostro; nemmeno l’intelligenza avrebbe questo astro, che è superiore, che siamo appena nati e siamo ostacolati da tante illusioni ad arrivare sino alla verità. Essi dicono che la loro anima e anche quella degli uomini più malvagi è immortale e divina, ma che il cielo e i suoi astri non hanno alcun rapporto con un’anima immortale; mentre constano invece di cose più belle e più pure dei nostri corpi; essi ne vedono l’ordine, la bella disposizione e la regolarità e accusano con insistenza il disordine delle cose terrestri; come se l’anima è immortale preferisse il luogo inferiore e volesse cedere il suo luogo superiore a un’anima mortale. Questa disposizione, questo ordine, che gli gnostici vedono, è esattamente quello che manca al mondo; quindi, il mondo non può essere una produzione degli dèi, semmai dei demoni. A pag. 295. Essi (gnostici) disprezzano il mondo creato e questa terra, dicono che c’è per loro una terra nuova… Avete presente la dottrina del New Age? Eccola: la terra nuova, la terra promessa. …nella quale essi se ne andranno di qui: e dicono che questa sia la ragione del mondo. Cioè, il mondo ci sarebbe solo perché loro possano a un certo punto andarsene e arrivare e andare verso la terra nuova, la terra promessa. Questa cosa è stata poi ripresa dal cristianesimo, pensate al paradiso terrestre. Ma che ci sarà per loro nel modello di un mondo, che essi odiano? Donde viene questo modello? Per essi il Creatore lo produce, dopo essersi piegato verso le cose inferiori. Se dunque il Creatore ha avuto tanta cura di produrre un altro mondo dopo quello intelligibile che egli possiede, perché ne aveva bisogno? E se ha creato il modello prima di questo mondo, a quale scopo? A mettere in guardia le anime? Ma esse non si sono messe al sicuro, sicché il modello è stato inutile. E se egli ha creato il modello dopo questo mondo, prendendo la forma dal mondo dopo averlo spogliato della materia, questa prova doveva bastare alle anime già provate per metterle al sicuro. E se essi pensano che le anime abbiano accolto in sé la forma del mondo, perché questa novità di linguaggio? Dunque, la questione qui, la domanda fondamentale, in fondo, è questa: perché questo Dio avrebbe creato il mondo? Che è il problema anche di Plotino: se ha creato il mondo evidentemente, come dice il catechismo, vuol dire che lui non era bastante a se stesso, aveva bisogno di altro. Cosa che Plotino nega assolutamente, perché l’Uno non ha bisogno di niente. Da qui si inventa la processione, non è un desiderio dell’Uno creare le cose, le cose accadono, avvengono; e neanche in Plotino è molto chiaro come avvenga questa processione; d’altra parte, come potrebbe? Però, è quella tesi che ha avuto poi più successo, ripresa da Agostino e da tutta la teologia medievale: padre, figlio, spirito, uno, intelletto, anima. In generale costoro sempre il mio hanno tolto alcuni spunti da Platone, ma tutte le novità che essi aggiungono allo scopo di creare una filosofia originale sono un ritrovato fuori della verità. Da Platone, infatti, derivano i giudizi, i fiumi dell’Ade e le migrazioni di corpo in corpo. Quanto alla pluralità degli Intelligibili, all’Essere, all’Intelligenza e al Demiurgo diverso dall’anima, essi attingono a quel passo di Platone, nel Timeo, ove si dice: “Come l’Intelligenza vede le idee che sono nel vivente in sé, il Creatore ha riflettuto che altrettante ne dovrebbe contenere il mondo”. Ma essi non comprendono ciò, distinguono un’Intelligenza in riposo che ha in sé tutti gli esseri, un’altra che li contempla è un’altra ancora che riflette - spesso al posto dell’Intelligenza che riflette pongono un’anima creatrice -; essi credono che per Platone questa Intelligenza sia lo stesso Demiurgo, mostrando così di non sapere che cosa sia il Demiurgo. Il Demiurgo è quello che doveva fare da tramite tra gli dèi e gli umani. In generale, essi si ingannano nel concepire la creazione e in molte altre cose e prendono nel senso peggiore le dottrine di Platone, come se avessero essi investigato la natura intelligibile, e non Platone e gli altri uomini divini. Platone ha detto come stanno le cose. Enumerando, molti intelligibili, pensano di essere ritenuti scopritori dell’esatto ordine delle cose, mentre proprio per questa molteplicità essi rendono simile la natura intelligibile a quella sensibile. I sensibili sono tanti, gli intellegibili no, perché di tutti i sensibili faccio un intelligibile: l’idea del bello, del buono, ecc., è una. …nell’intelligibile bisogna ammettere il numero più piccolo possibile e, attribuendo tutti gli esseri all’intelligenza che viene dopo il primo, liberarsi così del numero. In fondo, anche arrivare all’Uno è liberarsi del numero, perché c’è solo più l’Uno. …questa Intelligenza è tutte le cose, la prima Intelligenza, l’essenza: tutto ciò che c’è di bello dopo la Prima natura. L’essenza come la prima Intelligenza. Sappiamo che per Aristotele l’essenza è fatta di ciò che se ne dice. Invece, qui assolutamente no, l’Intelligenza viene direttamente dall’Uno; passa poi il testimone all’Anima, la quale Anima con l’Intelligenza produrrà tutte le cose. Terza viene la forma dell’anima; le differenze tra le anime vanno ricercate nelle loro passioni e nella loro natura; e non offendiamo gli uomini divini (Platone), ma riceviamo benevolmente le loro idee, poiché essi sono più vecchi di noi… A pag. 299. Chiedere perché il mondo sia stato fatto lo stesso che domandare perché ci sia un’anima o perché il Demiurgo abbia creato; vuol dire anzitutto ammettere un inizio di ciò che è sempre stato… Io mi chiedo perché il mondo sia stato fatto, ammetto che c’è sempre un qualche cosa che lo ha prodotto, naturalmente, è che questo qualcosa sia eterno. …e poi essi credono che Egli (l’Uno) sia diventato la causa della sua opera, dopo aver subito cambiamenti e modificazioni. Bisogna dunque, se essi accetteranno con benevolenza le nostre parole, insegnar loro la natura delle cose, affinché cessino dall’offendere con tanta facilità cose degne di venerazione e ne parlino con dovuto rispetto. Intanto, alla domanda, che lui stesso si era posto, non ha fornito nessuna risposta. Perché il mondo è stato fatto? Lui, Plotino, non sa rispondere a questa domanda, se non attraverso la processione. Ma giustificare questa processione, non lo può fare, tranne che facendo ricorso a ciò che lui sente interiormente: io ho visto l’uno; tra l’altro non è neanche visibile, ma l’ho percepito, diciamola così, quindi ho avuto la verità, e quindi so come stanno le cose.
Intervento: Tutto ciò mi fa pensare al pathos di Aristotele.
Sì, certo. Aristotele diceva che è da lì che si incomincia a parlare.
Intervento: È da lì che si comincia a parlare, ma è da lì che si crea anche l’universale.
Esattamente. Sì, certo, perché il pathos viene dai sensibili, questo lo dice Aristotele nel De anima. Ma il sensibile da dove viene? Come so che qualcosa è qualcosa? È da lì che si parte perché, se non c’è il qualcosa… Per un animale non c’è il qualcosa da cui si distingue; questo perché non c’è la parola, è la parola che avvia questa separazione, questa co-appartenenza del dire con il detto. Ecco la terra tutta coi suoi viventi diversi e immortali, ecco l’universo pieno di viventi sino al cielo: e perché gli astri, siano essi nelle sfere inferiori o nelle più eccelse, non sarebbero dei, essi che si muovono con tale ordine e girano così armoniosamente? Perché essi non possederebbero la virtù? Che cosa impedirebbe loro tale possesso? Lassù, infatti, non ci sono quelle cose che rendono cattivi gli esseri di quaggiù, non c’è la difettosa corporeità che turba ed è turbata. Sulla questione della corporeità si è impiantato buona parte del proto-cristianesimo, il primo cristianesimo, Origene, Tertulliano, ecc.: l’idea che il corpo sia la sede del male, e quindi è da mortificare, purificare, ecc. Poi, facevano di tutto, ma l’idea era quella. E perché nella loro calma non comprenderebbero sempre e non accoglierebbero nel loro spirito il Dio supremo e gli altri dèi intelligibili? Perché noi avremmo una saggezza migliore della loro? Chi direbbe cose simili se non fosse mentecatto? Se le anime sono state costrette dall’Anima dell’universo a discendere, come potrebbero essere superiori, se sono state costrette? Nelle anime, quella che comanda è l’Anima superiore. Quella direttamente in contatto con l’intelletto, che è direttamente in contatto con loro: questa è la gerarchia. Se esse sono discese volontariamente, perché biasimate un mondo nel quale siete venuti per vostra volontà e che vi permette anche di abbandonarlo se non vi piaccia? Ma se questo universo è tale da permettere a chi sia in esso di possedere la saggezza e di vivere quaggiù conforme agli Intelligibili, ciò non prova che esso dipende dagli intelligibili? Per rispondere alla sua domanda, no. Che, se questo universo è tale da permettere a chi è in esso di possedere la saggezza e di vivere quaggiù conforme agli intelligibili, questo lo dice lui. Per lui è una prova del fatto che noi dipendiamo dagli Intelligibili: dipendiamo dagli intelligibili perché siamo provvisti di intelligenza e questa intelligenza platonicamente deve essere debitrice di una intelligenza straordinaria, oltre che metafisica, un’intelligenza che trascende l’intelligenza che hanno gli umani. Se tutti gli umani hanno un’intelligenza, allora tutte queste intelligenze sono tali perché c’è una intelligenza superiore che la garantisce. Questa è l’idea di Platone, solo che in Platone questa intelligenza è prodotta da argomentazioni che, appunto, vengono dai sapientissimi, vengono dagli dèi, vengono dai grandi scrittori antichi, Omero, Esiodo, ecc. A pag. 303. Non ridurre il Divino a un solo essere, ma mostrarlo moltiplicato così come Esso si è manifestato significa conoscere la potenza di Dio, che, pur rimanendo ciò che è, produce i molteplici dei che a Lui si riferiscono e sono per Lui e da Lui. Anche qui non è chiarito il meccanismo, propriamente il meccanismo fisico di elaborazione. Anche questo mondo è per Lui ed a Lui guarda, e così è di tutti gli dèi, ciascuno dei quali è nunzio dell’Uno agli uomini e con oracoli dice quello che a Lui è caro. È secondo l’ordine del mondo che essi non siano ciò che Esso è. Ma se tu vuoi disprezzarli ed esalti te stesso come se tu non fossi inferiore, sappi anzitutto che più si è buoni, più si è benevoli verso tutti gli esseri e verso gli uomini; e poi bisogna essere equilibrati nello stimare se stessi ed elevarsi senza sfrontatezza solo quanto ci consente la nostra natura, e pensare che c’è posto anche per altri presso Dio... Questo è proprio contro gli gnostici, i quali pensavano di essere gli unici, gli eletti da Dio, un po’ come gli ebrei pensano di sé, di essere gli unici eletti da dio … né bisogna mettere solo noi nel suo seguito e, volando a Lui come in sogno, privarsi di diventare, per quanto è possibile a un’anima umana, simile a Dio. L’anima lo può fino a quando l’Intelligenza la conduce: sorpassare l’intelligenza significa cadere fuori di essa. L’anima è sempre sotto il controllo del dominio assoluto dell’Intelligenza, la quale è sotto l’uno. Gli uomini insensati si lasciano persuadere quando odono ad un tratto simili parole: “Tu sarai superiore a tutti, non solo agli uomini, ma anche agli dèi”. Grande è la presunzione degli uomini, fossero anche dapprima umili, modesti e semplici, quando odono: “Tu sei figlio di Dio; gli altri, che tu ammiravi non lo sono, nemmeno gli astri che i padri hanno onorato; tu, senza fare alcuna fatica, sei superiore allo stesso cielo”. Gli altri intanto applaudono. Avviene come se un uomo che non sa contare in mezzo a gente che ne sa quanto lui, sentisse dire che è alto mille cubiti; non crederebbe allora davvero di essere mille cubiti? Sentendo che gli altri sono cinque cubiti immaginerebbe il numero mille solo come un numero molto grande. E se Dio provvede a voi, perché trascurerebbe la totalità del mondo nel quale voi siete? Se questo avviene, perché Egli non ha tempo di guardare ad esso, nemmeno dovrebbe guardare in basso, fuori di sé. Qui è sempre la polemica antignostica. A pag. 307. Essi (gnostici) dicono che l’anima e una certa Sofia (sapienza) hanno piegato verso il basso, sia che l’anima abbia piegato per prima, sia che la Sofia sia stata la causa di tale inclinazione, sia che l’una sia identica all’altra; dicono poi che le altre anime siano discese insieme e che, membri di Sofia, abbiano assunto un corpo, ad esempio quello umano, mentre quella che è la ragione dell’inclinazione delle altre non sia discesa e cioè non inclini, ma illumini soltanto le tenebre: da questa illuminazione sarebbe nata un’immagine della materia. Alcune di queste anime si sono trasformate in uomini, altre invece illuminano la materia, le cose che si vedono, ecc. Immaginano, inoltre, un’immagine dell’immagine che attraversi ciò che chiamano materia o materialità o altra cosa; essi, infatti, adoperano ora l’uno ora l’altro termine e di molti altri nomi si servono per rendere oscuro il loro pensiero; fanno sorgere così l’essere da loro chiamato Demiurgo e narrano che Egli si allontani dalla madre e che da Lui proceda il mondo sino all’ultimo riflesso del riflesso: e così chi scrisse queste cose ha modo di biasimare aspramente. In effetti, molte cose dello gnosticismo le sappiamo da Plotino.