INDIETRO

 

 

29-5-2013

 

Parliamo di giochi linguistici partendo dalla considerazione che un gioco linguistico è fatto in modo tale da muovere da un’affermazione e giungere a un’altra affermazione. Se consideriamo come è fatto un gioco, intendo “gioco” nell’accezione più ampia, anche ludica del termine, un gioco muove da certe regole, premesse, e giunge alla sua conclusione che in molti giochi per esempio è la vittoria su qualcuno o su qualcosa. Anche il compimento di un certo obiettivo, come in un solitario per esempio, vincere sarebbe riuscire a ottenere una certa disposizione, mettere in sequenza le carte, c’è comunque una certa configurazione da raggiungere, e questa sarebbe la vittoria. Ciascun gioco ha un obiettivo, e questo è importante, non c’è un gioco che non abbia un obiettivo, direi che anzi non è che sia casuale che un gioco non abbia un obiettivo, è la funzione stessa del gioco avere un obiettivo da raggiungere e raggiungerlo. Ecco il gioco quindi, la sua struttura è questa: partire da un certo elemento, da certi elementi, e giungere a un compimento, qualunque esso sia, che è esattamente quello che fa il linguaggio, né più né meno, cosa che non è irrilevante perché a questo punto si tratta di intendere che muovere da un’affermazione e giungere a un’altra affermazione che non contraddice la precedente, quella da cui è partito, è esattamente il compito del gioco linguistico, è il suo obiettivo, cioè deve fare questo. Le istruzioni che si forniscono quando si trasmette il linguaggio comportano questo: trasmettere delle informazioni e delle istruzioni; facciamo un esempio semplice, le informazioni sono le carte, le istruzioni le regole del poker, se giochiamo il gioco del poker, quindi trasmettendo il linguaggio si trasmette il modo in cui si gioca questo gioco che chiamiamo “linguaggio”. Dicevo che ciò che si trasmette è il modo in cui si gioca questo gioco, di fatto non si trasmette nient’altro che questo, ed è effettivamente un gioco al pari di qualunque altro, fatto di informazioni e istruzioni, parrebbe molto semplice, e in effetti lo è, è straordinariamente semplice; di volta in volta l’affermazione che si raggiunge compie l’obiettivo dell’affermazione da cui è partito, cioè la sua premessa, questa affermazione che si raggiunge, che come sappiamo ha soltanto la necessità di non contraddire quella da cui è partita, ha anche lei una sua funzione, che è quella di costituire a sua volta un’altra premessa da cui muovere per costruire un’altra affermazione. Così si costruiscono le catene, le combinatorie, quindi come vedete è una struttura molto semplice, proprio come un gioco, né più né meno come un gioco di carte, e come qualunque gioco può anche essere complicatissimo. Il linguaggio, pur essendo semplicissimo nella sua struttura può giungere a delle notevoli complicazioni, “complicazioni” potete prenderlo proprio alla lettera, con molte pieghe, molti risvolti, molti agganci, molte connessioni. Pensate per esempio al discorso che abbiamo costruito in tutti questi anni, è molto complesso, pur avendo una struttura molto semplice è incredibilmente complesso. Qual è la sua struttura semplice Eleonora?

Intervento: premessa, svolgimento e conclusione.

Sì, la conclusione non deve contraddire la premessa, c’è anche questa regola, infatti abbiamo parlato di “regola di non contraddizione” dicevamo l’altra volta che “principio” sembra un po’ una cosa messa lì da qualche dio infingardo, mentre è una regola che serve soltanto a consentire alle sequenze di proseguire e possono proseguire se non negano se stesse. In effetti negandosi, come abbiamo detto altre volte, negano di sé di fare quello che stanno facendo, avevamo anche usato una formula latina “in actu signato negato” cioè negare di fare ciò che di fatto sto facendo. Di per sé questa negazione in quanto tale non significa assolutamente niente, è soltanto una regola che viene trasmessa insieme con le altre istruzioni che dice che se si verifica questo caso si blocca tutto. Nel gioco che facciamo tutto ciò è espresso e manifestato in modo più esplicito e rigoroso, ma anche in qualunque altro gioco se una persona si accorge che la premessa da cui è partito contraddice la sua conclusione si arresta. Per potere accorgersi di questo in molti casi occorre proseguire il discorso, portarlo alle estreme conseguenze, allora ci si accorge che c’è qualcosa che non funziona, se no non ci si accorge di niente, se no basta dire che ogni cosa è differente da sé, uno ci crede e chiuso il discorso. Ecco perché è importante potere interrogare, ma per potere interrogare ciò che si sa occorre non avere nessun rispetto per ciò che si sa. La questione importante riguarda i giochi, perché da tempo stiamo considerando la questione, ma anche la difficoltà di fare intendere come i giochi linguistici di fatto siano dei giochi al pari degli altri, ché un gioco è tale perché è configurato da ciò di cui è fatto, e vale a dire il linguaggio, è il linguaggio che è un gioco e cioè viene trasmesso come un gioco: ci sono delle informazioni e delle istruzioni per potere giocare queste informazioni, cioè delle regole per potere giocare. Non basta che io consegni a Eleonora un mazzo di carte, se non le insegno come si fa a giocare, occorre che le fornisca le istruzioni e cioè che le dica come si usano queste informazioni che ha ricevute, ed è esattamente quello che fa chiunque si trovi nella condizione di trasmettere il linguaggio. Le principali istruzioni che vengono fornite per insegnare a giocare, insieme con le informazioni, che sappiamo che se non avessero un uso non sarebbero niente appunto, dicevo che le istruzioni utilizzate in primo luogo sono il “sì” e il “no”. Sono le prime istruzioni, le più semplici, che dicono di qua si va e di là no, così puoi farlo e così no, così è bene e così è male. Queste prime istruzioni forniscono la base da cui muovere, non sono solo queste, ovvio, però sono sicuramente le prime e quelle che consentono la costruzione delle prime sequenze, esattamente come è avvenuto nella costruzione dei primi calcolatori, e cioè fornendo dei fili elettrici, e il “sì e il no” è trasformato in passaggio di corrente e arresto del passaggio di corrente. Il “sì” e il “no” costituiscono le prime informazioni che danno la possibilità di avviare le prime sequenze, e in effetti chiunque si trovi nella posizione di trasmettere il linguaggio utilizza questi due strumenti, connettivi propriamente, “sì” e “no”. Queste prime posizioni sono quelle che danno l’indicazione delle prime mosse del gioco, e cioè le mosse che possono essere fatte e quelle che non possono essere fatte. Quando si insegna un gioco a carte è chiaro che le informazioni che la persona possiede sono già tantissime, quindi non c’è bisogno di elencare tutte le mosse che non possono farsi, solo alcune le altre sono implicite, per esempio una mossa che non è consentita è infilare una carta nell’occhio dell’altro giocatore, però non viene elencata come una regola perché si dà per acquisito che uno abbia già imparato quanto basta per sapersi destreggiare. Il “sì” e il “no” sono la prima trasmissione di ciò che è possibile e di ciò che non è possibile, di ciò che si fa e di ciò che non si fa…

Intervento: ciò che è bene e ciò che è male…

Sì, anche se il ciò che è bene e ciò che è male viene dopo, perché comporta anche un giudizio morale, cioè una cosa è bene se fa piacere a qualcuno, è male se dispiace a qualcuno. Non c’è nulla che sia bene o male di per sé, non significherebbe niente se non fosse bene per qualcuno. Bene e male intervengono successivamente, quando il “sì” e il “no” si agganciano al bene di qualcuno o al male di qualcuno, in questo caso c’è un’informazione in più certo, si impara che è bene ciò che fa piacere a qualcuno, e il fatto che faccia piacere a qualcuno lo si acquisisce dalla reazione che ha questo qualcuno di fronte a ciò che io faccio: un bambino fa un qualche cosa, chi trasmette il linguaggio può sorridergli, fargli una carezza, dargli un cioccolatino eccetera, cioè fornisce delle cose che procurano piacere, in caso contrario sono botte. È il sistema premio/punizione, e curiosamente proprio di questo parlava anche Turing a proposito delle macchine. Ora, quando il computer si blocca non è che si dia uno schiaffo, un rimprovero per quello che ha fatto, però il sistema di premio e punizione di fatto, stando a quello che dice Turing, è attuabile anche con le macchine: una macchina esegue un suo compito in certe condizioni, cioè per esempio se passa corrente, e è possibile immettere nella macchina un’informazione che dice che se passa corrente esegue delle operazioni, e l’esecuzione di queste operazioni è qualche cosa che è importante per la macchina. Cioè gli si possono mettere informazioni e istruzioni tali per cui la macchina “non vuole”, tra virgolette, che gli si levi la corrente. Certi racconti di fantascienza ci hanno giocato parecchio su questo, e cioè che le macchine a un certo punto diventino talmente potenti ed intelligenti da impedire a chiunque di togliere la corrente, così come un essere umano cerca di impedire in tutti i modi a qualunque altro essere umano di togliergli la vita. Per una macchina la corrente è la vita, anche per un umano in un certo senso. Ma tutto questo, come dicevo all’inizio, non è nient’altro che l’esecuzione di un gioco, quel gioco che chiamiamo linguaggio, fatto di informazioni e di istruzioni, per potere giocare queste informazioni occorrono delle informazioni, cioè degli elementi con cui giocare e occorrono delle istruzioni perché questi elementi possano giocare. A questo punto parlare di gioco linguistico potrebbe forse diventare più semplice, dire che qualunque cosa è inserita in un qualche gioco linguistico potrebbe, dico potrebbe, apparire più semplice nel senso che una qualunque cosa deve potere essere inserita e giocare insieme con altri elementi per potere svolgere il suo compito: essere inserita in un sistema e giocare con altri elementi non è nient’altro che letteralmente un gioco, un gioco che si sta facendo, e cioè questo elemento per essere quello che è deve potere giocare, giocare significa combinarsi insieme con altri elementi a seconda delle istruzioni che ha ricevute, combinarsi con altri elementi e costruire, dopo questa combinazione con altri elementi, altri elementi ancora e così via all’infinito. Quindi parlare di gioco linguistico non è altro che dire che qualunque cosa perché sia qualche cosa deve giocare con altre cose, questa è per altro la nozione di struttura.

Intervento: quindi il gioco che facciamo noi, per esistere, al di là del fatto che esiste per noi perché giochiamo questo gioco, per poter giocare all’interno del sistema linguistico occidentale quali sono le informazioni che occorre dare, immettere nel sistema perché possa giocarsi questo gioco? dicevamo che ciascun discorso è un gioco linguistico e quindi gli elementi di quel discorso sono peculiari a quel discorso…

Perché è in connessione con altri elementi, e la connessione con altri elementi è vincolata a precise istruzioni. Un discorso, come ha detto bene, è un gioco linguistico, ma perché è un gioco linguistico? Perché ciascuno degli elementi di questo discorso, cioè di questo gioco sono in connessione con altri elementi, e queste connessioni sono vincolate a delle istruzioni precise che sono state fornite insieme con le informazioni a quel particolare discorso. Degli elementi si combinano tra loro e producono un altro elemento che non c’era prima, questa è un’invenzione, qualunque cosa è produzione linguistica ed è un’invenzione. Ciò che sto dicendo questa sera è forse in modo più semplice ciò che dicevo la volta scorsa, e cioè la proposizione che afferma che qualunque cosa per essere qualche cosa occorre che appartenga a un gioco linguistico. Cioè una qualunque cosa per essere quello che è deve potere giocare con altri elementi, e cioè che questo orologio, per essere un orologio, deve giocare con molti altri elementi che io conosco, dispongo di informazioni e istruzioni eccetera. Le istruzioni sono soltanto dei comandi che dicono che cosa fare di una certa cosa.

Intervento: la cosa che mi è difficile da intendere è come se ogni teoria appartiene a quel discorso che l’ha costruita come è possibile la comunicazione, diciamo così, all’interno di questa struttura perché ogni invenzione, torniamo alla questione dell’invenzione, essendo peculiare a un certa teoria è come se non ci fosse possibilità di comprensione da parte dell’altro…

No, certo che non c’è, non c’è perché è strutturato esattamente come un discorso religioso che è chiuso in se stesso: ha raggiunto una certa affermazione, una certa conclusione, questa conclusione dà un senso a tutta la catena, è come se avesse raggiunto il famoso “interpretante logico finale” di Peirce, e trovato quell’elemento che dà un senso a tutta la catena a questo punto significa, ha una sua consistenza. Si tratta quindi di immettere altre informazioni o addirittura altre istruzioni che consentano di giocare altrimenti lo stesso gioco, allora quell’interpretante logico finale non è affatto l’interpretante logico finale, e se non lo è, tutta la teoria rischia di crollare. Per questo parlavo di struttura religiosa, chiusa in se stessa, che rifugge da qualunque elemento, da qualunque informazione che possa metterla in pericolo, in discussione, per questo è straordinariamente difficile inserire nuovi elementi che possano minacciare quella costruzione, perché quella costruzione è costruita in modo tale da impedire che altri elementi entrino a minacciarne la sua esistenza. Perché discutere questo metterebbe in discussione tutto quanto, e quindi essendo un sistema religioso, chiuso in se stesso, sbarra il passo a qualunque cosa lo minacci. Come qualunque discorso per altro, in fondo è ciò che rilevava Freud già ai tempi suoi, rispetto alla difficoltà di proseguire un’analisi con una persona che pure aveva fatto domanda e si era dimostrata disponibile a compiere questo percorso. È un altro modo per dire qualcosa di molto simile, anche lì la persona ha un suo discorso, cioè un suo sistema chiuso che deve difendere e deve difenderlo perché questo sistema chiuso ha prodotto un certo numero di proposizioni che il discorso ritiene vere ovviamente, che sono quelle che gli servono per interpretare, cioè dare un senso a qualunque cosa. In fondo anche una religione ha questa funzione in buona parte, cioè di dare un senso alle cose, dando un senso alle cose le verifica, verificandole le reimmette all’interno del sistema e in quanto affermazioni vere diventano controllabili, ed essendo controllabili praticamente si configurano come delle verità e quindi possono essere utilizzate per costruire altre cose…

Intervento: Lacan diceva che la religione è un sistema di significazione…

È una delle sue principali funzioni, dare significato alle cose, producendo significato dà la possibilità a chi lo produce di avere il controllo su queste cose che sa che cosa sono, sa di che cosa sono fatte eccetera, sempre all’interno di quel sistema da cui non esce ovviamente. Ciò che abbiamo compiuto già molti anni fa, è l’uscita da questo sistema, e cosa ha comportato l’uscita dal sistema? Non un’alterazione, una modificazione del sistema precedente, ma l’invenzione, cioè la costruzione di un altro sistema, perché se si continua a fare lo stesso gioco, utilizzando le stesse regole e le stesse informazioni, sempre quello si fa, si possono aggiungere delle cose certo, così come ha fatto la psicoanalisi da Freud in poi, ha continuato a modificare delle cose, connetterle in vario modo, ma l’impianto è rimasto lo stesso, e cioè le informazioni e le istruzioni di base sono le stesse. Utilizzando le regole del poker posso fare infinite combinazioni, ma continuo a giocare a poker, non gioco a tre sette. Ciò che abbiamo detto questa sera è soltanto questo: perché un elemento possa essere quello che è, e quindi utilizzabile, occorre che giochi con altri elementi cioè sia, perché se non giocasse con altri elementi, per esempio con il suo significato, questa cosa non sarebbe niente perché non avrebbe un significato, non rinviando neanche al suo significato. Deve giocare necessariamente con altri elementi e quindi deve partecipare, prendere letteralmente parte del gioco, e quindi essere un gioco linguistico…

Intervento: lei ha detto giocare con il suo significato? ma se gioca sempre con il suo significato non si modifica niente…

Sto soltanto mostrando un modo per esporre la cosa in modo tale perché possa essere più semplice comprendere che ciascun elemento è quello che è perché è in un gioco, e questo gioco è un gioco linguistico perché è fatto di rinvii, è fatto di connessioni, è fatto di relazioni, di una rete di relazioni, è ovvio che finché il significato permane sempre allo stesso modo si va poco lontani, però incominciando a considerare che un elemento è quello che è perché è connesso con tutti gli altri, una quantità sterminata di altri elementi, c’è la possibilità a questo punto di incominciare a porsi nei confronti di questo elemento in un altro modo, è un modo per inserire un’altra informazione. Certo, se uno continua a giocare sempre lo stesso gioco con le stesse regole non può uscirne, come dicevo prima, se continuo a usare le regole del poker continuerò a giocare a poker, ma se qualcuno mi mostra che è possibile fare altri giochi e, nel caso degli umani, incominciare a mostrarmi che ciò che faccio è un gioco e non la natura delle cose, ecco che un piccolo passo in avanti forse è stato fatto. Poiché è di questo che si tratta, mostrare che non è la realtà, vedo un elemento, lo percepisco, perché sta giocando con altri elementi, se non giocasse con altri elementi non esisterebbe, non sarebbe mai esistito, è questa è la questione. Quando parliamo di giochi linguistici c’è sempre una grossa difficoltà a intendere di che cosa stiamo parlando, però avvertire che una qualunque cosa è quella che è perché è connessa con tante altre cose questo potrebbe costituire una via di intendimento, e cioè che non è un elemento a sé stante, ché se fosse isolato, a se stante, non potrebbe in nessun modo essere quello che è.