29 APRILE 1997
Argomenti: Attrazione, sessualità, ciò che è, la parola, l’oggetto
Termini: Estetica - Erotica - Calistica - Sublimazione
Sono a disposizione per
qualunque domanda mi si voglia porre, di qualunque tipo, per qualunque motivo,
di qualunque genere...
- Intervento: ciò che
diciamo bello è un’elezione fatta dal linguaggio dentro al linguaggio...
rapporto fra sesso e arte
Connessione intanto fra l’estetica e l’erotica. L’estetica di per
sé non ha ancora a che fare con il bello, Hegel distingueva l’estetica dalla calistica, dal greco kalós che è il bello. La
calistica sarebbe appunto il
godimento del bello mentre l’estetica non è altro che la teoria della
percezione, l’anestesia appunto toglie la percezione. Ora di che cosa sia il
bello si è molto discusso fino a tutt’oggi e ciascuno ha formulato la sua
proposta. Ora in questi casi laddove la domanda si è formulata in questi
termini, “quale connessione c’è tra l’estetica e l’erotica” occorrerebbe prima
precisare questi termini per sapere intanto se c’è una connessione e poi
eventualmente intendere quale. (...) Erotica e estetica come luoghi comuni
hanno un elemento in comune, Lei citava Freud, e Freud anche si è interrogato
su questo aspetto ponendo anche Lui una opinione intorno al bello, e ponendola
effettivamente in una stretta connessione con il sesso. La sua posizione è
questa: gli umani sono particolarmente attratti dal sesso e il bello non è
altro che un modo di porlo, giungendo a considerare un aspetto che gli è parso
abbastanza bizzarro e cioè che proprio l’organo sessuale che dovrebbe essere la
meta ultima e quindi il colmo del bello perlopiù non risulta tale, mentre
risultano belli gli occhi, i capelli, le varie cose di cui sono forniti, mentre
del genitale non si dice che è bello, e questo lo incuriosì e allora giunse a
immaginare che l’obiettivo dell’estetica (atteniamoci a Freud), il genitale
propriamente, avesse nel corso del tempo subito una qualche sorta di divieto,
per cui sarebbe stato necessario a questo punto spostare su qualche altro
oggetto. Ora che sia così oppure no è difficile stabilire, resta che la
posizione di Freud, che poi è stata seguita da alcuni, possiamo considerarla
una fra le infinite posizioni circa l’estetica, in questo caso non saprei dire
se propriamente esiste una relazione tra questi due aspetti. Possiamo crearla,
certo, però così come la creiamo possiamo anche distruggerla, certo e Lei
citava le posizioni che hanno fatto seguito a Freud, la sublimazione ecc... La
sublimazione è un aspetto che giunge ad essere abbastanza strutturale tutto
sommato, non è soltanto uno spostamento ma qualunque atto, qualunque attività
in qualche modo comporta una sublimazione, sublimazione in quanto l’oggetto,
come dice Freud, è strutturalmente mancato. Affronta questo problema in Lutto e malinconia, l’oggetto a cui
tende la ricerca risulta più che mancato mancante, sempre sottratto. La
questione dell’oggetto parziale che Lui mutua da Abram (e poi ripresa da Lacan
fra l’altro) indica che l’oggetto in quanto tale non è mai raggiungibile.
Verdiglione giunge a formularlo come sembiante, cioè un punto vuoto, che ne è
un aspetto. Che l’oggetto non sia raggiungibile è anche in questo caso una
formulazione che varrebbe precisare, perché dipende da cosa si intende come
oggetto ovviamente, dal momento che la nozione di oggetto non ha un referente
necessario tale per cui l’oggetto sia necessariamente una cera cosa. L’oggetto
è un significante, ciò che gli si attribuisce decide di cosa sarà, e questo è
un problema, questo della definizione dei termini in tutto il discorso
occidentale, laddove si interroga intorno al che cos’è una certa cosa. Certo si
può giungere a una definizione che si accoglie come regola del gioco, ma non è
propriamente il referente... non stabilisce un referente necessario per cui
l’oggetto è questo: è un punto vuoto o come dicono i retori, soprattutto i
francesi, l’intersezione di un fascio di significati, questo sarebbe l’oggetto,
ma nella migliore delle ipotesi sono appunto enunciazioni di regole per
proseguire il loro gioco, nulla ci costringe ad accogliere una definizione
qualunque essa sia...
- Intervento: prima delle regole, anche nel linguaggio ci sono le
regole per le regole
Sì, come domandarsi cosa c’è
al di qua del linguaggio o da dove venga il linguaggio. Al di qua del
linguaggio c’è tutto quello che vuole, assolutamente tutto, così come fuori dal
linguaggio c’è tutto quello che vuole, il problema è che qualunque cosa dica
rispetto a questo non posso darne nessun motivo, nessuna ragione, allora in
effetti si può anche dire che prima del linguaggio c’è dio, questa affermazione
ha la stessa verità e la stessa legittimità di qualunque altra. Il problema che
abbiamo affrontato e che continuiamo a discutere è connesso con questo, con lo
stabilire un criterio che non sia arbitrario. Ché se io mi chiedo cosa c’è
fuori dal linguaggio e do una risposta, questa risposta è arbitraria, non posso
provarla in nessun modo, allora la questione della prova è molto importante
all’interno del linguaggio stesso, dal momento che se Lei pensa al discorso
occidentale, ma non soltanto, è fondato sulla possibilità di provare ciò che si
dice, la stessa retorica anche se apparentemente non se ne cura però di fatto
punta a questo, anche quando fa credere qualcosa lo fa credere vero e quindi in
qualche modo fornisce una prova, che poi questa prova sia fatta ad hoc questo
ha poca importanza, però induce a pensare che una certa cosa sia vera, e cioè
di questa cosa sia possibile dare una prova. Tutto ciò che sfugge a questo si
considera generalmente appannaggio delle religioni, in effetti rispetto al
gioco del discorso scientifico l’esistenza di dio non è dimostrabile. Però
anche qui non è che rimane senza dimostrazione, è che alcuni non accolgono
questa dimostrazione ma per chi ci crede la dimostrazione c’è, eccome, anzi
direbbe: si guardi intorno, tutto ciò che vede prova l’esistenza di dio.
Ciascuna di queste prove, quella religiosa e quella scientifica, hanno delle
differenze, tuttavia anche la prova scientifica ha la struttura della prova
religiosa, c’è un saggio di un qualche interesse di William James, si chiama La volontà di credere, che accenna a
queste questioni. La prova, cioè provare ciò che si dice, nel discorso
scientifico sembra essere determinante eppure anche nel discorso scientifico
questa prova può arrivare fino ad un certo punto, al di là di questo punto non
può più provare nulla, si arresta. Ed è una ben strana questione in effetti che
gli umani per potere affermare qualcosa debbano provarla ma nonostante questo
la nozione stessa di prova, non è provabile in nessun modo. Wittgenstein ha
sottolineato questo aspetto, che di fatto ciò che può farsi è affermare che si
tratta di regole per potere giocare un certo gioco, fatto in un certo gioco,
quello scientifico, quello religioso, quello sentimentale, sono regole
differenti evidentemente, però nessuna di queste regole è una prova
nell’accezione che il discorso scientifico vorrebbe, cioè determinante,
assoluta, per cui è così perché non potrebbe essere altrimenti. No, può essere
altrimenti in infiniti modi. Ciascuno quando parla è certo o di persuadere
l’altro oppure certo della veridicità delle sue affermazioni, continuamente.
Ora si può anche riflettere sul perché ciascuno faccia una cosa del genere...
- Intervento: La questione del senso...
Qual è la questione?
- Intervento: Non è bello perché ci sono dei canoni, ma è una scelta
del linguaggio...
- Intervento: Domanda sulla comunicazione...
Ci sono due aspetti, uno a
cui Lei si riferisce e cioè alle cose dette intorno alla comunicazione,
mostrando sia l’impossibilità della comunicazione sia la necessità della
comunicazione. E questo diciamo così è un aspetto logico ma anche qui in
effetti si gioca sull’ambiguità del significante, come sempre, se si intende la
comunicazione in una certa accezione allora è impossibile, se si intende la
comunicazione in un’altra accezione allora la comunicazione è impossibile che
non ci sia. Poi per quanto riguarda il trovarsi in sintonia con l’altro, sì
certo, avviene di pensare una cosa del genere e quindi avviene una cosa del
genere, la comunicazione con un altra persona, in genere dipende da quanto
interessa l’altra persona, più interessa e più c’è comunicazione, soprattutto
se l’interesse è reciproco, allora può accadere che tanto è il desiderio di
fronte all’altra persona che (in alcuni casi, non sempre) ci si immedesimi
cercando di immaginare tutto ciò che l’altra persona pensa, immagina, desidera
quasi volendolo fare proprio, allora sì in quel caso si avverte questa
sensazione di assoluta sintonia...
- Intervento:...
Quando è lo stesso? quando
sappiamo che è lo stesso? Qual è il criterio che adottiamo?
-Intervento:...
Questo discorso è facile a
farsi nella ricerca logica dove la premessa si stabilisce ed è quella,
nell’ambito invece dell’esperienza della persona l’assioma da cui muove può
anche non essere uno soltanto, possono essere molti e anche non facilissimi da
reperire e allora diventa arduo stabilire se si muove dalle stesse premesse,
poi anche in quel caso si tornerebbe al punto che riguardava la comunicazione,
Lei comunica la sua premessa per stabilire per esempio se è la stessa di
quell’altro, ma questa comunicazione è possibile? Che cosa comunica
esattamente? E l’altro che cosa riceve? Sono tutte questioni che i linguisti
hanno affrontate necessariamente trovandosi in un mare di guai, perché ciò che
sfugge continuamente è il criterio superiore per potere stabilire queste
questioni, un criterio superiore che non c’è, non c’è oppure rinvia sempre ad
un altro. Da qui la necessità, almeno da parte di molti linguisti e logici, di
scartare questo aspetto che però, come direbbe Freud, cacciato dalla porta
rientra dalla finestra perché a quel punto se il criterio non è reperibile
allora qualunque affermazione è inesorabilmente arbitraria, però questo non
possono accettarla, non possono perché significherebbe altrettanto
inesorabilmente potere sostenere che se loro affermano A, io posso affermare
non A con la stessa legittimità. Uno costruisce un discorso teorico molto
sofisticato e molto ben costruito, non può accogliere una cosa del genere, non
può cioè alla fine della sua elaborazione sostenere che le cose stanno così
oppure in qualunque altro modo, non lo fa, perché non lo faccia questa è un’altra
questione però non avviene e torniamo alla questione della verità tutto
sommato, dell’avere stabilito come stanno le cose. Che è un aspetto molto
difficile non solo da elaborare ma da praticare, trovarsi senza la necessità di
questo riferimento, riferimento allo stato delle cose, di verità tutto sommato,
anche se in termini che oggi poco viene usato però fa comunque da sfondo perché
se nessuno sarebbe disposto ad accogliere la proposizione che afferma che le
cose stanno come dice lui oppure in qualunque altro modo, allora immagina che
le cose che lui dice siano vere e le altre no.
- Intervento: senza la ricerca della verità pare difficile proseguire
la ricerca
Ho inteso quello che dice ed
è una delle difficoltà che si incontrano perché se non si fa questo (domandare)
allora non si comunica, per quanto legittimo possa apparire e per quanto
comune, però le cose forse non stanno soltanto così, anche se tolta la ricerca
della verità sembra non sia possibile fare null’altro, cioè non sia possibile
pensare di muoversi in una ricerca che non cerchi la verità ma costruisca altre
proposizioni utilizzando regole che ha stabilito. Dove la nozione di verità,
direbbe Jakobson, funziona da schifter cioè da indicatore, cioè affermo questa
cosa ma la affermo all’interno di questo gioco esattamente così come affermo
(se stiamo giocando a poker) che se ho quattro assi la vinco se Lei ha soltanto
due re. Ma la ricerca della verità qui ha cessato di essere anche solo
pensabile perché questo significante non ha più nessuna portata, nessun
significato, cioè ha il significato che gli attribuisco, ma siccome so che
glielo attribuisco io perde la sua prerogativa fondamentale, cioè di essere
assoluta. La verità relativa è una sorta di controsenso, è un’opinione...
- Intervento:...
Sì, potrebbe essere così, ma
possiamo escludere che potrebbe essere altrimenti? Certo in alcuni casi è così
in effetti. Questa disperazione di cui parlava Eleonora è stata cantata da
moltissimi, non è che esista in natura propriamente, è una produzione, una produzione
che ha un tornaconto e anche del piacere, del piacere molto sottile e molto
forte a cui molto difficilmente si rinuncia, d’altra parte perché rinunciarci?
Non è necessario. Ciò che viene enunciato rispetto al non volere di questa
disperazione è, come in molti casi accade, la via per aggirare un problema che
è prevalentemente logico e che se non si facesse così, cioè se non si dicesse
di volersene sbarazzare a tutti i costi ci si troverebbe di fronte alla
considerazione che è una mia produzione e che se l’ho prodotta ci sarà qualche
buon motivo. Ma perché questo non si vuole accogliere? Si potrebbe anche
accogliere, non c’è niente di male, ma c’è connesso qualche cosa che in nessun
modo si intende ammettere rispetto alla disperazione e cioè che ciò che accade
o che è accaduto e che è stato l’innesco della disperazione è esattamente ciò
che si è desiderato, da sempre. Anche nei casi più comuni (senza andare nelle
disperazione di Pavese o di infiniti altri) come la disperazione per un
abbandono per esempio, se si desse l’occasione di fermarsi e ascoltare questa
disperazione si avvertirebbe un piacere molto sottile nell’attesa che si
verifichi esattamente ciò che si teme che si verifichi e che in qualche modo ci
si adopera per fare verificare. Nulla contro la disperazione né nulla a favore,
è un sentimento che accade di provare. La necessità di manifestare questa
disperazione, o come arma di seduzione o come strumento per attirare
l’attenzione, può indurre anche a dei gesti notevoli, in qualunque accezione lo
si voglia intendere... è un’emozione fortissima, una delle più forti, una
fanciulla ha fatto di tutto per essere abbandonata, per provare questa
sensazione e quindi poi coinvolgere tutti quanti perché fossero partecipi e
soprattutto testimoni di questa eccitazione. In definitiva si manifesta come
una forte eccitazione alla quale segue poi la depressione, perché l’eccitazione
cessa e c’è un contraccolpo molto violento, contraccolpo che è fatto
prevalentemente del timore di incontrarsi esattamente con ciò che si cerca di
evitare. La depressione serve a togliere a questo elemento il senso, quindi
nulla ha più senso e quindi neanche questo e tutto sommato siamo a posto. È un
meccanismo che apparentemente con la logica poco ha a che fare e invece c’è una
logica ferrea. Dicevo martedì scorso: anche nell’innamoramento più folle c’è
una logica ferrea, logica da logico matematico, che più ferrea non si può, si
potrebbe addirittura formalizzare...
- Intervento: si cerca di capire cosa si vuol dire usando quei termini
Sì, si immagina molto spesso
che questo è questo, immaginando che le cose che dice abbiano un significato di
per sé, che sia così naturalmente. Il bello per esempio, il bello è questo
oppure il bello è quest’altro, difficile dire perché non ha un referente da
qualche parte con cui possiamo confrontarlo eventualmente, è ciò che le regole
del gioco che sto facendo stabiliscono che sia...
- Intervento: rispunta sempre che esista da qualche parte la verità...
Certamente, è l’aspetto più
difficile da affrontare
- Intervento: Anche in un percorso analitico... si incomincia un’analisi per cercare la causa del proprio disagio, del proprio stare male ed è difficile accogliere che si costruisce continuamente il proprio disagio per un tornaconto, è questo che in effetti è il caso di cominciare a costruire, proprio per togliere, per spostare questa questione della ricerca della causa, per pensare che non ci sia Se non ci si chiede il perché, cioè l’elemento extralinguistico, fuori da quello che io dico, non ci sia più ricerca, da quel momento, a quel punto incomincia la ricerca ascoltando quello che io continuamente dico e che continuamente si pone nel mio dire, che è la cosa più difficile
Sì sembra andare contro in
effetti a tutto ciò che è il discorso occidentale, una difficoltà non da poco.
Forse è proprio in questo termine costruzione. Quando uno parla di costruzione
pensa a dei mattoni, pensa a qualcosa, a qualcosa di figurato quindi sono cose
che esistono, che sono lì e che io prendo e sposto da un’altra parte, e quello
è quello che continuo a fare, continuo a dire, continuo a produrre, non
accorgendosi...
- Interventi vari sul bello e l’erotismo
È l’idea che sia una sorta
di armonia e di proporzioni, questo si ritrova grosso modo ovunque, oppure come
variante retorica, dalla rottura di questa armonia di proporzioni, come è stato
fatto nella scultura, nella pittura... lo stesso Picasso ha scomposto l’armonia
in varie parti, ma è una variante come una sorta di figura retorica, di fatto
si muove sempre in una medesima direzione...
- Intervento:...
Il linguaggio è ciò che le
consente di farsi questa domanda...
- Intervento:...
Ciò che le consente di farsi
questa domanda è una struttura, Lei può farsi questa domanda perché questa
struttura è organizzata in un certo modo, cioè può costruire una proposizione
fatta in un certo modo: soggetto, verbo ecc..
- Intervento: Il legame tra l’inconscio e il linguaggio
Già Lacan poneva la
questione in questi termini: l’inconscio è strutturato come un linguaggio, nel
senso che ha questa struttura sintattica, frastica... ora qualunque cosa Lei
pensi dell’inconscio lo fa attraverso il linguaggio in cui si trova nel senso
che l’inconscio è, per esempio, ciò che è stato rimosso (non è così), ma
dicendo questo Lei costruisce una frase, se Lei non avesse questa opportunità
l’inconscio non sarebbe mai esistito, e neanche Lei non sarebbe mai esistita...
- Intervento:...
Il linguaggio Lei può
chiamarlo della coscienza o di qualunque altra cosa ma funziona allo stesso
modo, funziona così un po’ come lo descrive la retorica che tutto sommato fa un
listaggio di tutti i vari modi in cui le cose possono dirsi, cioè le varie
modalità, che son poi le figure retoriche, le paronomasie, le allitterazioni,
l’ellissi, gli accostamenti, le metafore, le metonimie... sono infinite, sono i
modi di dire, i modi di cui di fatto. Le cose si dicono e la questione è che
non c’è modo di uscire dalla struttura perché non c’è un’altra struttura
organizzata in questo modo che ci possa consentire di fare una cosa del genere,
e quindi l’unica definizione che può darsi in effetti è questa: è la struttura
che consente di chiederci che cos’è il linguaggio e qualunque altra cosa
ovviamente, però si può anche dire di più. Rispetto a come è organizzata questa
struttura la linguistica si è sbizzarrita, però la Linguistica, anche quella
più raffinata, la più sofisticata incontra delle empasse dove cerca di trovare
una sorta di meta linguaggio, il linguaggio del linguaggio o grado zero come
voleva Barthes, trova delle empasse perché a quel punto sfuggono i criteri per
potere stabilire una cosa del genere, diventa o un elemento assolutamente
arbitrario all’interno del linguaggio o una petizione di principio che rimane
lì sospesa nel nulla. Abbiamo rilevato questo aspetto che ci è parso fondamentale,
cioè che non soltanto non c’è uscita dal linguaggio ma non potrebbe in nessun
modo esistere alcunché fuori dal linguaggio perché non potremmo in alcun modo
porci la questione se esista oppure no. Ho già raccontato di Sini, un amico che
insegna a Milano, fece una battuta un giorno prendendo spunto dalle ricerche
dei fisici che si occupano di astronomia, i quali dicono che ad un certo punto
tutto il sistema solare che, continuano a dire, sta viaggiando ad una velocità
fortissima verso una stella che si chiama Vega, ed è in rotta di collisione, ad
un certo punto ci sarà la collisione e tutto scomparirà. Bene lui dice che dal
quel momento non è che la terra con tutti i suoi abitanti, le loro vicende
ecc., non esista più, no da quel momento non sarà mai esistita, il che è
diverso. Perché qualcosa è tale se c’è qualcuno per cui lo sia, se no non è
neanche formulabile, quindi con che cosa dico che esiste? La stessa esistenza
dicevamo è un significante, non è un’istanza...
- Intervento:...
Lo stesso Freud ha posto la
cosa in termini linguistici, sono proposizioni che intervengono, anche se uno
sbadatamente butta giù una cosa e la rompe, questo gesto Freud ha individuato
essere la conclusione di un ragionamento molto preciso. Fa l’esempio del tizio
che butta giù la statuetta che gli ha regalato la sua fanciulla e allora ecco
che Freud trova, ascoltando quella persona, che quel gesto aveva una funzione
nella storia di quella persona, cioè buttare giù la statuetta diceva di un
problema con la fanciulla in questione... questo gesto ha una ragione, fra le
molte, in seguito a una serie di considerazioni, se no buttare giù la statuetta
sarebbe nulla. Questo ha indotto poi Lacan rileggendo Freud a formulare questa
proposizione che dicevo prima e cioè che l’inconscio è strutturato come un
linguaggio, si muove con le stesse caratteristiche, è fatto della stessa
struttura, infatti parlava di retorica dell’inconscio a proposito della
rimozione e della resistenza di cui parla Freud accostandole alle figure
retoriche che sono la metafora e la metonimia, la condensazione e lo
spostamento. Nella metafora qualcosa cade ed è assente, ma proprio perché
assente funziona, una metafora funziona perché l’elemento che è assente è
presente, se non fosse presente la metafora non funzionerebbe. Lei ha letto
Lacan? Può leggere qualcosa di Lacan... finita cassetta