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29 marzo 2023

 

I concetti fondamentali della filosofia aristotelica di M. Heidegger

 

La volta scorsa ci siamo fermati a una delle tante suddivisioni che fa Aristotele. Siamo a pag. 176. Qui lui vuole distinguere tra δόξα e προαίρεσις. La δόξα è l’opinione, mentre la προαίρεσις è un volere, un’intenzione. Potremmo dirla così: la δόξα è l’avere un’opinione, la προαίρεσις è un cercare un’opinione. La δόξα è piuttosto un certo sì, essa è giunta a una fine e si è fermata. La δόξα è avere un’opinione, quindi, mi fermo. Le differenze tra προαίρεσις e δόξα addotte da Aristotele sono sette: 1. Προαίρεσις e δόξα vengono distinte in base a ciò a cui si rivolgono. La προαίρεσις, il “decidersi” per qualcosa, si rivolge solo all’ente in riferimento al quale posso ottenere qualcosa. Si rivolge all’ente come a un qualcosa che serve per ottenere qualche cos’altro. L’άρχή πράξεως dev’essere presso di me. Il motore dell’agire dev’essere presso di me, cioè, sono io che voglio agire, che voglio sapere, conoscere, che voglio ottenere un’opinione. Il tema della προαίρεσις è un ente fatto così: un συμφέρον (utilizzabile), ovvero un qualcosa che, per il prendersi cura, entra in gioco come ciò che ci siamo prefissati in quanto “utile”, in modo tale da potervi porre mano in prima persona. La δόξα riguarda l’essersi fermati – finalmente, ho un’opinione, cioè, so come stanno le cose. La προαίρεσις è quel movimento che va verso la δόξα, verso un punto di arresto e si arresta quando finalmente ho un’opinione, quando mi sono fatto un’opinione: le cose sono così come dico io. La δόξα invece non si rivolge solo ai συμφέροντα (utilizzabili) – quindi a ciò che può mutare – ma anche a ciò che è άεί (sempre): anche su ciò che è “sempre” posso avere un’opinione. Si tratta di una differenza importante. Resta da osservare che la δόξα si rivolge anche all’ente che è sempre così com’è. Anzi, direi che il più delle volte si rivolge all’ente così com’è, che pensa che sia così com’è. Tali δόξαι sono il terreno da cui nasce in genere la scienza. Pensare, avere opinione che le cose sono così, per es., che quella cosa è un atomo e non un rinoceronte. Ciò su cui ho un’opinione e ciò a cui mi sono deciso… Perché bisogna tenere presente che l’avere un’opinione è ciò a cui si decide. L’opinione non è qualcosa che cade dal cielo ma è qualcosa che io accolgo come mia opinione. …si distinguono in relazione all’entità degli ambiti ontologici a cui possono rivolgersi. 2. La δόξα tende all’ἀληθής (vero) e allo ψευδής (falso). La προαίρεσις invece non tende al vero o al falso, è un andare verso la δόξα, verso un’opinione, ancora non c’è vero o falso. È quando c’è un’opinione che questa può essere vera o falsa. Ciò di cui ne va nella δόξα è che ciò su cui sussiste un’opinione venga colto nel suo essere. L’essere dell’ente, il suo significato, cioè, sapere esattamente com’è. Invece ciò di cui ne va nella προαίρεσις è come esso debba essere realizzato,… La προαίρεσις è un movimento verso qualcosa di fermo. …che cosa se ne debba fare, su che cosa bisogna prendere una decisione. La προαίρεσις mira sempre a un πρακτόν άγαθόν (bene pratico). Ciò che rientra in una προαίρεσις è per sua essenza πρακτόν. Pratica, in quanto si tratta di decidersi su che cosa fare, ecc. 3. Chi ha un’opinione non è diversamente determinato nel suo ἦθος (comportamento)… Heidegger però lo traduce così: …“avere una determinata opinione”; l’“avere un’opinione” su una specifica faccenda non costituisce una determinazione etica, non riguarda cioè l’autentico comportamento ontologico dell’uomo nei confronti degli altri. L’avere un’opinione, dice, non riguarda l’autentico comportamento ontologico dell’uomo in quanto tale nei confronti degli altri. Il che è vero fino a un certo punto, perché se la mia opinione è quella vera e la vostra è falsa, allora la mia condotta cambierà nei vostri confronti. Viceversa, la specifica modalità in cui mi decido, ciò a cui mi decido, ciò che rientra nella προαίρεσις – tutto questo è decisivo per il mio essere, per il modo peculiare in cui io sono per il mio ἦθος. La condotta cambia nel momento in cui io mi decido per qualche cosa. Finché io sono indeciso la mia condotta è differente. La δόξα ostenta insomma una certa indifferenza nei confronti dell’essere, ovvero: l’“avere un’opinione” presuppone una certa indifferenza riguardo all’oggetto dell’opinione stessa. Questa frase è messa lì come se fosse una cosa da niente, ma non lo è. Ciò che importa è avere un’opinione e non il “ciò” su cui ho un’opinione, questo è irrilevante. L’importante è che io mi sia fatta la mia opinione e soprattutto, se mi riesce, di imporla sugli altri. Questo è importante per il concetto di scienza dei greci. Purtroppo, non aggiunge nulla qui, mentre sarebbe stato interessante un commento più articolato. Se pensiamo alla scienza presso i greci, che cosa importava, in effetti? Non importava tanto la cosa in sé quanto il suo essere, le sue possibilità ontologiche. Prendete per es., la Fisica di Aristotele. Lui non si interessa tanto delle cose in quanto tali, per lui la fisica è lo studio del movimento delle cose, ma del movimento inteso ontologicamente, cioè si chiede che cos’è il movimento, a quali condizioni esiste qualcosa che chiamiamo movimento. Capite che qui è indifferente l’oggetto stesso. Lo stesso movimento non è che l’occasione per elaborare teoreticamente delle questioni ontologiche: che cos’è che chiamiamo movimento, perché esiste il movimento? 4. Conformemente al peculiare carattere ontologico di ciò a cui si rivolgono la δόξα e la προαίρεσις – da un lato l’ἀληθής, dall’altro il πρακτόν -, … La δόξα si rivolge al vero mentre la προαίρεσις si rivolge al pratico – cosa facciamo? Faccio questo o quest’altro? La δόξα ha già raggiunto questo punto: è così! Non si interroga più. …anche l’“avere opinioni”, in quanto comportamento,… È interessante il fatto che accosti l’avere opinioni con il comportamento. Una persona che ha certe opinioni si comporta in un certo modo, nel modo delle sue opinioni. …culmina di per sé in un determinato sguardo rivolto allo specifico modo in cui l’ente “ci” è e in cui lo si tratta in quanto ente. Si tratta l’ente, in quanto ente, nello specifico modo in cui la mia condotta è determinata dall’opinione. Come dicevamo tempo fa, per dirla tutta, io non vedo l’ente, vedo la mia opinione. È una questione che ha ripreso Gentile molto tempo dopo: quello che io penso di qualche cosa, in realtà, è un pensare il mio pensiero. Mentre la προαίρεσις si rivolge all’“intervenire” su una cosa o al “desistere” da essa, la δόξα si rivolge all’άληθεύειν (vero). 5. Le due (δόξα e προαίρεσις) si distinguono in ciò che ne costituisce l’autenticità. Nel caso della δόξα ne va della όρθότης, cioè dell’avvicinarsi all’ἀληθής, all’ente così come esso è. Lui intende l’όρθότης, generalmente tradotto con adeguamento, come l’avvicinarsi al vero. L’όρθότης è uno dei modi con cui i greci intendevano il vero. Per es., l’affermazione che dice che in questo momento Gabriele è qui vicino a me è vera perché in questo momento Gabriele è vicino a me: questo sarebbe l’adeguamento, cioè, la mia affermazione è adeguata alla realtà. Nel caso della προαίρεσις, invece, non si tratta di porre in luce un ente nel suo essere; decisivo è piuttosto il fatto che su di esso si sia riflettuto in modo adeguato. Cosa intenda qui con adeguato è difficile a dirsi, però possiamo ricondurlo all’adæquatio rei et intellectus, all’adeguamento della parola alla cosa, e cioè se dico una proposizione che corrisponde alla realtà allora è vera. Ciò che importa nella προαίρεσις non è porre in luce – e descrivere teoreticamente – tutti gli elementi ontologici di una situazione concreta, bensì riflettere nel modo corretto, considerando con la massima attenzione ciò che è in gioco in vista del πρακτόν. La προαίρεσις deve decidersi sul da farsi. In verità anche questo è un άληθεύειν (un cercare la verità), ma essenzialmente diverso da quello della δόξα. Mentre la correttezza della προαίρεσις si orienta sul πρακτόν, la correttezza della δόξα si orienta sull’ἀληθής. 6. Le due si distinguono nel modo di riferirsi alla conoscenza. La δόξα si riferisce a qualcosa che ancora non si conosce con esattezza,… Non c’è ancora un’opinione, si sta andando verso l’opinione, ancora non la si è raggiunta. …cioè a un ente che è ancora nascosto. In estrema sintesi: mentre la δόξα si rivolge a ciò “che propriamente ancora non conosciamo”, la προαίρεσις si rivolge a ciò che, nel senso della conoscenza corrente, “conosciamo più di tutto”, ciò su cui abbiamo riflettuto con lucidità, ciò di cui ne va in conformità alle circostanze. Cosa vuole dire con questo? La δόξα, essendo un’opinione, può essere o vera o falsa e, infatti, uno ha un’opinione e un altro ne ha un’altra; quindi, si rivolge a ciò che propriamente non conosciamo, tant’è che si parla di δόξα e non di έπιστήμη, che è la conoscenza certa, certificata, verificata, ecc. La προαίρεσις, invece, si rivolge a ciò che conosciamo, dice lui, più di tutto. Cos’è che conosciamo più di tutto? Quello che vogliamo fare, la nostra intenzione. La προαίρεσις, cioè l’andare verso qualcosa di pratico, un decidersi: io so bene che devo decidermi su una certa cosa. È questo che so perfettamente, che devo prendere una decisione: sono in macchina e un autocarro mi taglia la strada, so che devo premere il pedale del freno anziché leggere una poesia, lo so con certezza. 7. Uno può avere le migliori opinioni eppure compiere un κακόν, decidersi per esso. Δόξα e προαίρεσις sono in sé differenti: il sapersi formare nel modo migliore opinioni su qualcosa e il sapersi decidere in modo corretto non coincidono. Ma nonostante tutte queste differenze δόξα e προαίρεσις risultano più che mai vicine proprio se si assume la δόξα nel suo significato più stretto, cioè nel suo essere rivolta “a ciò che può anche essere altrimenti”, l’ένδεχόμενον ἄλλως (opinione che può essere altra), nella misura in cui è un συμφέρον. Un’opinione che può essere altra, nella misura in cui è un utilizzabile, perché l’opinione è tale perché è utilizzabile, è per questo che si ferma. Ogni qual volta ci fermiamo su qualcosa rendiamo questo qualcosa utilizzabile per qualche cos’altro, per fare o per muoversi in un certo modo. Ricordate le pagine dedicate al τέλος e alla necessità che ci sia qualcosa di fermo, di fisso, di stabile. A pag. 179. La δόξα è l’autentico essere-scoperto dell’“essere l’uno con l’altro nel mondo”. Per noi, in quanto essenti l’uno con l’altro, il mondo “ci” è nell’essere-scoperto in quanto viviamo nella δόξα. Ci sta dicendo che noi scopriamo il mondo – scopriamo nel senso che incominciamo a parlarne – perché siamo in dialogo costante con qualcuno. Vivere in una δόξα significa: condividerla con altri. L’opinione implica che anche altri ce l’abbiano. Questo è importante, rende conto del fatto che, certo, si è l’uno con l’altro ma, più propriamente, si è l’uno contro l’altro. C’è da notare anzitutto che l’ambito della δόξα è πάντα. Cioè, la δόξα riveste tutte le cose. Non v’è dubbio infatti che anche nella quotidianità l’essere orientati nel mondo non è rivolto soltanto ai πρακτά, l’essere-scoperto non riguarda soltanto i πρακτά, io non sono informato soltanto sul mio compito concreto – su ciò che debbo fare nel mio ambiente più prossimo –, ma ho anche una determinata opinione su com’è il mondo,… Anzi, direi che è proprio questa che mi orienta. …la natura, in cui si trovano i πρακτά: la luna, e stelle, l’άεί dei greci. La δόξα si estende al mondo intero. Tutto è δόξα. Infatti, il πρακτόν con cui ho a che fare non è un ambito determinato di enti, poiché gli enti con cui ho a che fare si trovano anch’essi nel mondo, nell’essere della natura. Vi sono quindi specifici rapporti ontologici tra il πρακτόν e la natura, l’άεί ὅν (l’ente che è sempre). Già qui ci fa intendere bene come la δόξα si estenda al mondo intero, ai πάντα, a tutte le cose. Tutte le cose sono δόξα, cioè, sono opinioni: è questo che sta dicendo. Non c’è qualcosa che sfugga all’essere opinione, una mia opinione. Il modo particolare in cui il mondo viene avuto in quanto (fino a un certo grado) scoperto è l’essere a favore del fatto che le cose stanno così. Come ciascuno ha il mondo, cioè, lo incontra, lo approccia? In questa maniera: pensando che le cose stanno così. Questo è il modo in cui si è nel mondo: opinando che le cose stanno così come penso io. Anche perché non ho altro con cui avere a che fare se non la mia opinione, la δόξα: questo ce lo aveva già insegnato la dea ‘Aλήθεια. Questo “essere a favore”, in quanto carattere della δόξα, implica la determinazione del sentirsi in sintonia con il modo in cui il mondo si mostra innanzitutto, l’elemento del confidare nell’aspetto più immediato. Anche qui dice in poche parole una questione che andrebbe molto più articolata, perché sta dicendo una cosa determinante. Dice che la δόξα implica la determinazione del sentirsi in sintonia con il modo in cui il mondo si mostra innanzitutto: io sono in sintonia con il mondo. Cosa vuol dire questo – che è ciò che lui chiama la situatività – e che apparentemente non significa niente? Che io conosco il mondo, che io so com’è il mondo; in altri termini ancora, conoscendolo lo domino, lo controllo, lo gestisco, mi sento a casa mia perché ho tutto sotto controllo. Questa è la situatività: sentirsi a proprio agio. Quando una persona si sente a suo agio? Quando sa o pensa di sapere di avere le cose sotto controllo, cioè, quando tutto procede nel modo in cui lui vuole che proceda, per cui, ecco, allora si sente a suo agio, si sente come a casa sua, è tutto familiare, non c’è nulla che stoni, si sente in armonia, non c’è nessuna stonatura. La stonatura interviene quando una cosa va per i fatti suoi e allora perdo questa sicurezza di essere a casa mia e incomincio ad agitarmi, per ricondurre quella cosa, che è diventata sconosciuta, ignota, al noto. Esattamente questa è l’opinione di Talete, secondo cui lo ὔδωρ, l’“acqua”, sarebbe il πρῶτον, l’autentica άρχή dell’essere. Una simile definizione risulta comprensibile presupponendo il predominio di una diffusa confidenza con ciò che si mostra innanzitutto. Sappiamo bene che per i greci l’essere è ciò che appare, ciò che vedo. Ciò che si mostra innanzitutto viene inteso come ciò che il mondo è innanzitutto nell’opinione che se ne ha. Io ho questa opinione perché le cose sono così, le vedo. Perché la retorica fa di tutto, nel persuadere altri, perché questi altri vedano quello che vedo io, più propriamente quello che io voglio che loro vedano? Perché nel momento in cui lo vedono ecco che diventa quasi automatico il credere in questa cosa e dicono sì immediatamente, perché lo vedono, perché è così. Naturalmente, sono io che la faccio vedere attraverso il mio discorso, attraverso quella figura nota come ipotiposi. La definizione di δόξα implica necessariamente colui che ha la δόξα. L’opinione è sempre opinione di qualcuno. Nel caso dell’έπιστήμη, invece, è indifferente chi ce l’ha… L’έπιστήμη è la conoscenza scientifica, la conoscenza della fisica, della matematica. Un teorema della fisica, della matematica, che lo esponga Gabriele o un altro, è quello è, non cambia – fino a un certo punto, però – ma apparentemente non cambia. …nel caso di una tesi valida è indifferente chi lo sia, ciò non contribuisce in nulla al chiarimento e alla verità del conosciuto. Invece, nel caso della δόξα, colui che ha l’opinione è, in quanto tale, implicitamente decisivo per la δόξα stessa. È importante chi ce l’ha. In se stessa, la cosa non può parlare puramente a favore di se stessa – essa è nascosta, ne ho un’opinione. Dice che la cosa, in se stessa, non può parlare puramente. Vi rendete conto di quello che sta dicendo? Essa è nascosta, ne ho un’opinione. Vi ricordate le parole di Eraclito? Φύσις κρύπτεσθαι φιλεῖ: la natura ama nascondersi. Noi abbiamo solo un’opinione, ciò che vediamo non è che una nostra opinione: è questo che vediamo, che ci fa parlare, la nostra conoscenza muove da lì. Nel caso della δόξα non è solo la cosa a parlare a favore di se stessa – nella misura in cui è non-nascosta –, ma a suo favore parla anche colui che ha l’opinione, parlano coloro presso i quali sta il sì, la φύσις della δόξα (il sorgere dell’opinione). L’opinione sorge attraverso ciò che altri hanno detto. Se poi questi altri sono persone affidabili, meglio. È quello che diceva Aristotele: prendiamo il vero dalle opinioni dei più, quelli che ci sembrano più affidabili diranno il vero. A pag. 180. La struttura della δόξα implica la possibilità che essa possa pervenire a una peculiare forma di dominio e di ostinatezza. Si ripete un’opinione agli altri. Nel ripetere, ciò che importa non è verificare che cosa dice la persona in questione: decisivo non è il detto, bensì il fatto che sia lui ad averlo detto. Il che ci riporta a ciò che diceva prima: nell’opinione non importa la cosa in quanto tale, ciò che importa è avere un’opinione, importa pensare che sia così, non importa cosa. Questo ci riporta ancora a ciò che dicevamo tempo fa rispetto al sillogismo. Non importa da dove muove il sillogismo, perché ciò da cui muove è qualcosa che tutti credono vero; importa, invece, ciò che se ne trae. Il ciò da cui si muove è qualcosa che è conosciuto da tutti e che, soprattutto, non deve più essere messo in discussione. Ciò che sta dietro il dominio della δόξα sono gli altri, i quali, in un senso peculiare, sono indeterminati, non si possono afferrare – si è dell’opinione: un dominio, un’ostinatezza caratteristici e una costrizione che sono impliciti nella δόξα stessa. Ma noi sappiamo che la δόξα è tutto ciò con cui abbiamo a che fare quando pensiamo. Dunque, la costrizione e il dominio sono impliciti nella δόξα, sono impliciti nel pensiero stesso, sono impliciti nel dire, sono linguaggio. La δόξα costituisce lo specifico essere orientato dell’“essere l’uno con l’altro nel mondo”, e precisamente del medio essere l’uno con l’altro. Medio: non ci si impegna nel compito di indagare il mondo, ma si vivacchia in esso giorno per giorno avendo a che fare con le cose – si ha a che fare con il mondo nella δόξα e in base alla δόξα. Non si ha alcun bisogno di indagare tutto alla ricerca del suo contenuto oggettivo, ci si attiene a ciò che dicono gli altri. Ci si attiene a chi si pensa abbia l’opinione vera. Ma non si ha alcun bisogno di indagare. Ci sta descrivendo il modo in cui funziona il linguaggio. In un certo qual modo Heidegger è come se stesse facendo violenza alla δόξα, all’opinione, cioè, la rivolta come un guanto e la obbliga a rispondere alla domanda: di cosa è fatta? In questo modo la δόξα emerge nel contempo sia come il terreno sia come lo stimolo per il discorrere – e il discutere – l’uno con l’altro. È il terreno ciò da cui si muove ed è anche lo stimolo per discorrere. Ma questo stimolo per discorrere da dove viene? Dal fatto di essere gli uni contro gli altri. Che cosa mi stimola? Mi stimola il fatto che l’altro non pensa come me o comunque il volere piegare ciò che pensa al mio volere. È questo che mi stimola: il volerlo dominare. Infatti, benché abbia una certa solidità, la δόξα implica che di ciò su cui si ha un’opinione si possa ancora comunque discutere. Potrebbe anche essere altrimenti. In teoria, sì, certo. Ma quanti sono disposti a mettere in discussione le proprie opinioni? Il suo senso è lasciare aperta la discussione. Sempre in teoria, sì. Il λόγος, il discutere su di esso, è sempre latente;… Come dire che il linguaggio è sempre lì, presente, però nel caso della δόξα si accantona, perché il λόγος costringe a dire ancora. È questo “dire ancora” che la δόξα vuole fermare, perché finché io posso dire ancora non ho mai un’opinione, non mi fermo e quindi non posso mai dire che le cose stanno così. …nella δόξα il “portare al linguaggio” è sempre in procinto di realizzarsi. È per l’appunto dalla δόξα che nasce e si sviluppa – ricevendone il suo stimolo – il parlare l’uno con l’altro, ed è sempre dalla δόξα che esso prende ciò di cui si discute. È quello che diceva prima: è il motivo per cui si parla, è il terreno da cui si parte. Insomma, la δόξα è il terreno, la sorgente e lo stimolo del discorrere l’un con l’altro, e lo è in modo tale che ciò che risulta dalla discussione abbia a sua volta il carattere di una δόξα, assumendone a medesima funzione. La δόξα detiene il dominio e il comando dell’essere l’uno con l’altro nel mondo. È la δόξα che comanda il mondo, sono le opinioni che si hanno. Solo che queste opinioni che si hanno prevedono l’essere l’uno contro l’altro, prevedono sempre un πόλεμος, la guerra, lo scontro. La δόξα detiene il dominio e il comando dell’essere l’uno con l’altro nel mondo. Quindi, l’essere costantemente l’uno contro l’altro è il mondo così come ci si mostra. Ho sottolineato il fatto che l’ambito ontologico della δόξα non si limita a ciò che può anche essere altrimenti, poiché essa è altresì il terreno per quel modo di cogliere l’ente che designiamo in quanto έπιστήμη, θεωρεῑν. Ci sta dicendo che la δόξα non si limita a ciò che può essere altrimenti, all’opinione, ecc., ma è altresì il terreno per l’έπιστήμη, per il θεωρεῑν. Έπιστήμη potete tradurla con “certezza scientifica”; il θεωρεῑν, ciò da cui muove la certezza scientifica è la δόξα. È qualcosa che abbiamo già visto tante altre volte. Lo stesso Mendelson, logico matematico, nel suo famoso trattato di logica matematica rileva che la certezza dovrebbe essere il risultato della deduzione, perché parte da un universale e trae dei particolari. Sì, va bene, ma questo universale da dove salta fuori? Non posso dedurlo da altri universali, perché mi ritroverei in quel pessimo infinito, quindi devo costruirlo. Come? Con l’induzione, cioè, con l’analogia, con la δόξα, con quello che pare, che mi sembra, che credo, ecc. Anche l’ente di cui non ci si occupa nel senso del prendersi cura, ma in quello del constatare dati di fatto, così come essi sono, “ci” è anzitutto in una δόξα. Questo “ci” rimanda sempre a me che penso, sono io quel “ci”, è il discorso. Quando io constato dei dati di fatto io sono nella δόξα, nell’opinione. I dati di fatto sono il prodotto, il risultato, di un’opinione. Anche qui naturalmente si potrebbe aprire una discussione, un fisico o un matematico potrebbe obiettare che una certa sequenza numerica è quella che è, che non è un’opinione; può darsi, ma da dove arriva, chi ne ha determinate le regole di costruzione, in base a che cosa? È appunto per questo che Aristotele ricorre del tutto consapevolmente alla storia della filosofia. Egli affronta ogni problema fondamentale anzitutto prendendo in considerazione come la si pensava in merito, e lo fa in base alla positiva convinzione che nella δόξα così intesa la cosa dovesse essere stata pur sempre in qualche modo intravista. È un’altra opinione, naturalmente. È un altro modo per dire ciò che diceva nella Fisica: partiamo da ciò che i più pensano che sia vero e andiamo avanti. Sta dicendo la stessa cosa: se tutti pensano così vuol dire che anche l’opinione qualcosa ha intravisto. Come diceva mia nonna: se dicono male di qualcuno, qualcosa di vero c’è di sicuro. È lo stesso criterio, ha la stessa fondatezza. Non è forse vero che la δόξα consiste nella peculiare fiducia che si nutre nei confronti di ciò che si mostra innanzitutto? La δόξα richiede la fiducia, sempre. Io devo fidarmi di quello che penso, di quello che credo, allora ho l’opinione. E ciò che si mostra innanzitutto è il terreno per l’indagine sulla cosa stessa. È questo che si mostra: la mia indagine. Se fosse un teorico direbbe: la mia indagine, il mio lavoro è questo, quindi, questo è il terreno. Sì, ma questo terreno, ci sta dicendo Heidegger, è fatto di δόξα, è fatto di opinioni. Quelli che tu credi essere dati di fatto sono opinioni, tutti, nessuno escluso. Ora pone una questione interessante. A pag. 182. Pre-messa (πρότασις) e pro-blema (πρόβημα) in quanto “ciò da cui” e “ciò su cui” dell’approccio teoretico. Πρότασις, ciò da cui si parte, nell’inferenza è l’antecedente, il “se” del “se…allora”. La δόξα domina completamente anche il λέγειν teoretico… Non sono sicurissimo che qui Heidegger fosse completamente consapevole di quello che stava dicendo. …vale a dire il λόγος nel senso della “trattazione” di qualcosa, cioè dell’esplicare e considerare in ogni dettaglio qualcosa in termini teoretici, non quindi nei termini della discussione pratica, per esempio della discussione giudiziaria – trattare nel senso del διαλέγεσθαιΔιαλέγεσθαι: oggi potremmo dire il dialogare costruttivo, il dialogare per trovare qualcosa di importante. …del come si parla di una cosa: lo scopo di conseguire in tal modo un risultato concreto va lasciato cadere… In ambito teoretico non si cerca nulla di concreto; in ambito giudiziario sì, si vuole sapere se tizio ha effettivamente ucciso quell’altro oppure no. …poiché, adesso, ciò di cui ci si prende cura è il λέγειν stesso. Sta dicendo che anche nel λέγειν teoretico, nel pensiero teoretico, ciò di cui ci si prende cura non è il fare qualche cosa per ottenere qualche cos’altro, ma è il λέγειν stesso, è il dire stesso, è lo stesso discorso. Ma come approccerò questo λέγειν teoretico? Grazie a un’ispirazione divina, grazie alla cosa in sé che si mostra così com’è senza che nulla si frapponga, o l’approccerò sempre con la δόξα? Vale a dire, noi, parlando della δόξα, stiamo mettendo in atto la δόξα, perché non possiamo uscirne. Questo la dea ‘Aλήθεια lo aveva capito benissimo. Ora, per cogliere questo significato fondamentale della δόξα farò sinteticamente riferimento all’argomento discusso nel libro I dei Topici(che tratta del διαλέγεσθαι), dove Aristotele mostra con assoluta chiarezza quali specie di λόγοι scaturiscono dalla δόξα, come ciò a cui ci si richiama quando si parla – quando si parla l’uno con l’altro – sia sempre qualcosa che ha il carattere della δόξα. È un fatto importante, poiché è partendo da qui che si può pervenire alla comprensione non solo del συλλογισςμός (sillogismo)… Sapete bene che il sillogismo è quella figura logica che consente di inferire certe conclusioni da una certa premessa. …ma anche della logica. Cioè, dobbiamo capire bene la δόξα per capire la logica. E, in effetti, Bertrand Russell diceva che la logica è quella cosa di cui si parla senza sapere assolutamente di che cosa si stia parlando. Certo, perché non aveva inteso che la logica non è altro che un caso particolare della δόξα, della retorica. Il fatto che vi sia una logica non è casuale, anzi va compreso in base a fenomeni fondamentali del tutto determinati dell’esserci stesso. Questa è un’affermazione interessante, cioè che il fatto che vi sia una logica non è casuale. Aggiunge che va compreso in base a fenomeni fondamentali dell’esserci stesso: fenomeni dell’uomo, cioè del parlante. Nel libro I, capitolo 4, dei Topici Aristotele illustra “tutto ciò su cui e da cui, secondo la sua misura e natura”, nasce e si sviluppa il discorrere e parlare l’uno con l’altro nel διαλέγεσθαι. “Ciò da cui e in base a cui nasce il discorso, e ciò su cui e di cui si discorre, è uguale per numero ed è la stessa cosa. Di qualunque cosa si parli è sempre la stessa cosa, è la δόξα, è l’opinione, si sta parlando dell’opinione, in quanto ogni cosa che approccio è un’opinione. Di nuovo torniamo a Gentile: quando io penso un qualche cosa, in realtà sto pensando il mio pensiero, non la cosa. La cosa è un prodotto del mio pensiero, anzi, un’invenzione del mio pensiero. Ciò di cui si parla sono i πρόβηματα (problemi), ciò da cui nasce il discorso è la πρότασις (premessa, l’antecedente di un sillogismo)”. In base a quanto abbiamo detto in precedenza dobbiamo mostrare che questi due fenomeni traggono origine anch’essi dalla δόξα e a essa si rapportano. Il fondamento della logica, l’inferenza, è fatta di δόξα. Entrambi si distinguono in base al τρὅπος (figura), cioè alla loro specifica “modalità”. Sappiamo quali sono le modalità per Aristotele: necessario, contingente, impossibile. Vedremo mediante qualche esempio che cosa si intende con questa espressione. Πρότασις: “pre-mettere”, “pre-messa”. Πρόβημα, da πρόβάλλω, “gettare innanzi”: il “pro-blema, pro-getto”, nella misura in cui si tratta di avanzare un’opinione, di gettarla nella discussione in contrasto con l’opinione dominante, in modo tale che ne emerga l’implicita insicurezza, il carattere “problematico”, ovvero il fatto che in merito non si è ancora pervenuti a un risultato definitivo. Si fa questa operazione quando si vuole sollevare una discussione: si mostra che ciò che si opina, ciò che si crede, non è corretto, non è vero o inadeguato, insufficiente. La πρότασις implica il carattere del διαλέγεσθαι, la premessa nel senso che il διαλέγεσθαι si richiama a un’opinione consolidata, pretendendo per sé un solido terreno, premessa di qualcosa che non dev’essere ulteriormente discusso e che dagli altri viene richiesto come terreno comune. Questa è la πρότασις, cioè la premessa del sillogismo, che è qualcosa che non deve essere messo in discussione. Che cosa non deve essere ulteriormente discusso? Quello che i più pensano essere vero, l’opinione comune. Prendete l’anima bella. Che cosa non deve essere mai discusso da parte dell’anima bella? Il suo credere di essere dalla parte del bene: questo non deve mai essere messo in discussione. Questo costituisce poi la premessa maggiore per tutti i suoi sillogismi, che appunto non deve mai essere discussa, e questa è quella figura nota nella logica tradizionale come entimema. L’entimema è quel sillogismo in cui la premessa maggiore o è incerta, vaga, oppure addirittura assente, si dà per acquisita: tutti sanno che è così per cui non c’è bisogno di aggiungere altro. Πρόβημα il πρό, πρότασις l’έξ. Πρόβημα viene tradotto con “pro-blema, pro-getto”. Fa poi una serie di esempi. 1. Per la πρότασις la questione è: “Non è forse l’asserzione “l’uomo è un essere vivente bipede” la definizione dell’uomo? Questa è una figura retorica: chiede il consenso su qualche cosa, sulla quale si ritiene che tutti siano d’accordo. La premessa maggiore è qualcosa sulla quale si è convinti che ci sia il consenso universale e, quindi, non deve essere messa in discussione, perché, se mettiamo in discussione questo, allora crolla tutto. È quello che fecero i presocratici.