INDIETRO

29 gennaio 1998

Iniziamo facendo un breve riassunto circa le questioni essenziali visto che abbiamo posto la logica in termini differenti da quelli che comunemente si incontrano nei manuali e testi di logica i quali, come abbiamo detto, muovono sempre da premesse, postulati arbitrari, arbitrari perché comunque negabili. Allora abbiamo ascritto tutto ciò che comunemente passa sotto il nome di logica come retorica e cioè come un racconto che non ha da essere stabilito essere  vero o falso. Si tratta a questo punto di acquisire che cosa unicamente può essere inteso con logica; che cosa necessariamente è logica - necessariamente qui intendiamo semplicemente ciò che non può non essere. Abbiamo visto in varie occasioni che ciò che non può non essere è che si dia una struttura tale per cui noi ci troviamo qui a fare queste considerazioni, se questa struttura non ci fosse non ci troveremmo qui a fare queste considerazioni. Intanto, poniamo dunque con logica questo ed è arbitrario ciò che pertiene unicamente alla struttura del linguaggio, quindi ciò di cui il linguaggio è fatto e di tutto ciò che  può trarsi necessariamente da ciò di cui il linguaggio è fatto. Con questo intendiamo logica e come ciascuna attribuzione è sempre gratuita ovviamente, però un termine occorre che lo utilizziamo, potrebbe essere uno qualunque, però visto che esiste questo, perché non avvalercene? Ora, ponendo la logica in questo modo e cioè come tutto ciò che attiene necessariamente al linguaggio per farlo esistere e a ciò che necessariamente può trarsene, è ovvio che ciò che ne risulta è una questione molto stringata e anche molto originale, perché comporta qualche cosa da cui non è possibile uscire. Se, come abbiamo visto, non è possibile uscire dal linguaggio, in questo senso e per lo stesso motivo non è possibile uscire da questa logica, che è l’unica cosa di cui possiamo dire che abbia qualche interesse di proseguire, in quanto, come abbiamo visto in varie occasioni, è l’unica che si fonda unicamente su ciò che necessariamente deve essere accolto, cioè il fatto che si sta parlando. Una logica dunque straordinariamente forte, straordinariamente potente, contrariamente a molte logiche più o meno deboli, più o meno paraconsistenti. Per esempio, possiamo considerare la questione della coerenza all’interno di questa logica che stiamo proponendo, tenendo conto della nozione di coerenza come generalmente viene intesa. Un sistema generalmente si intende coerente quando non è autocontraddittorio, cioè non è possibile derivare una formula, un teorema, una formula vera e simultaneamente un’altra falsa partendo dalle stesse premesse. Ma qui, se vogliamo utilizzare questa nozione di coerenza, possiamo dire che il sistema è straordinariamente coerente, perché l’unico elemento che lo renderebbe incoerente è la proposizione che afferma che è possibile uscire dal linguaggio, e questa proposizione non è possibile, quindi il sistema è non soltanto coerente, ma necessariamente e inesorabilmente coerente, ed è impossibile che sia autocontraddittorio perché, se lo fosse, allora sarebbe possibile uscire dal linguaggio e questo non avviene in nessun modo e per nessun motivo. Dunque, vi rendete conto che si tratta di una logica molto forte e questo consente di potere trarre una serie di conseguenze altrettanto forti, quindi altrettanto valide. Tutto ciò che è deducibile da queste premesse è altrettanto necessario quanto le premesse stesse, dal momento che l’unica proposizione che non può essere accolta è quella che afferma che  è possibile uscire dal linguaggio. Qualunque altra proposizione che non è deducibile da queste premesse, risulta ovviamente non necessaria. Tutto il sistema logico, da quello aristotelico, tranne alcuni aspetti, fino a quelli più recenti, quali i sistemi paraconsistenti formulati da S. Jaskowski, tutte le logiche di cui si tratta, dalle origini ai giorni nostri, non sono necessarie in questa accezione e pertanto sono arbitrarie e quindi gratuite, sono storie, racconti che possono essere più o meno interessanti, più o meno avvincenti, ma nessuno di loro può vantare una necessità logica assoluta; questa che stiamo avanzando sì, contrariamente a tutte le altre, ed è un suo vantaggio. Che cosa consentono le logiche? Si considera che servano a costruire dei sistemi inferenziali abbastanza potenti e cioè che consentano di concludere con delle conclusioni vere e quindi, in definitiva, sapere, partendo da certe premesse e seguendo un certo criterio, che cosa deve accogliersi come vero. E quindi, in definitiva, la logica è uno strumento che è sempre servito per qualunque teoria; qualunque teoria scientifica si avvale della logica, ma anche qualunque conversazione si avvale della logica e cioè di un sistema inferenziale che segue più o meno correttamente certi andamenti. I rudimenti della logica sono noti a tutti, se non lo fossero nessuno saprebbe argomentare, ciascuno utilizza una logica. Ma che cosa hanno a che fare queste logiche con quella di cui stiamo parlando? Sembrano apparentemente molto distanti. Certo, una qualunque inferenza non attiene propriamente alla logica di cui parliamo, perché la logica di cui stiamo parlando è quella che afferma semplicemente che dato un antecedente c’è necessariamente un conseguente. Come lo so? Lo so necessariamente perché è una delle procedure del linguaggio senza le quali il linguaggio cessa di funzionare, di fatto è una procedura che utilizzo e cioè se c’è un elemento linguistico allora ce n’è un altro, oppure se dico allora dico necessariamente qualcosa. Ma la logica di cui stiamo dicendo, cioè queste procedure linguistiche si fermano qui, semplicemente affermano che se c’è un antecedente allora c’è un conseguente: è una regola del linguaggio. Ma quale sia l’antecedente, quale il conseguente, questo non lo dice affatto, dice semplicemente “se a allora b” e dice che questa è una procedura linguistica che serve al linguaggio per funzionare, senza questo non funziona. Dunque, se si utilizza il linguaggio, e difficilmente non lo si utilizza, allora questa procedura, questa logica sta funzionando, la quale logica ci dice che esistono degli strumenti di cui il linguaggio è fatto e con i quali funziona. Qual è l’interesse di una cosa del genere? Sapere  intanto che alcuni procedimenti sono essenzialmente, unicamente delle regole, in questo caso delle procedure del linguaggio, cosa che non è indifferente. Ogni volta che io compio un’inferenza per concludere qualche cosa qualunque cosa sia, o so perfettamente che sto compiendo un atto linguistico, con tutto ciò che questo comporta, oppure immagino che ciò che dico sia il corrispettivo di un’altra cosa che è fuori dal linguaggio e che quindi, come si diceva tempo fa: le mie parole non siano altro che una manifestazione di qualche cosa che ne è al di fuori, trascende il linguaggio. Ma dicevamo: con tutto ciò che questo comporta, sapere che è un atto linguistico, che cosa comporta esattamente? Innanzitutto il fatto che non posso uscire dal linguaggio e tutto ciò che avviene è necessariamente un atto linguistico e che pertanto risulta assolutamente vano, oltre che inutile, domandarsi se ciò che dico corrisponda a realtà oppure è una costruzione etc. Un’argomentazione che si adoperi in questo senso non va da nessuna parte, gira in tondo; che senso ha chiedersi se una cosa è reale oppure no se prima non ho definito con assoluta precisione che cosa debba intendersi con reale. Avvertite immediatamente che a questo punto il discorso si fa complesso perché qualunque cosa voi possiate affermare che è reale io potrò negarlo sempre e comunque la mia negazione non sarà meno legittima della vostra affermazione. Le procedure di cui stiamo parlando non sono altro che ciò che appartiene al linguaggio in modo tale per cui non potrebbero togliersi da esso salvo la dissoluzione del linguaggio. Queste procedure costituiscono ciò di cui occorre tenere conto non soltanto ovviamente in ciascuna elaborazione teorica che stiamo facendo, ma anche in una qualunque conversazione. Una persona parla e parlando non può non  utilizzare delle implicazioni, non può non farlo; di questo occorre tenere conto, ciò che è essenziale è che questa persona si trova presa in una struttura dove l’implicazione risulta necessaria, come dire che è necessario che nel suo discorso ci sia l’implicazione, non quale implicazione. Questo pilota ciascun discorso, o meglio, la struttura del linguaggio pilota  ciascun discorso. Può meritare ricordarlo dal momento che spesso c’è una sorta di confusione tra la logica e la retorica. Dunque, l’implicazione è necessaria, perché qualunque conclusione io tragga  di qualunque tipo, per qualunque motivo, in qualunque circostanza, segue ad un’implicazione: “se questo allora quest’altro”, con tutte le varianti che si possono mettere ovviamente. La questione è che questa implicazione è, possiamo ascriverla alle procedure linguistiche, non può togliersi. Allora, cosa comporta il fatto che una cosa del genere non  possa togliersi dal linguaggio, cioè che sia una struttura, rispetto al linguaggio? Tenere conto allora di procedure ineliminabili quali questa ad esempio dell’implicazione ma anche quella famosissima del principio di non contraddizione, per cui non si può affermare simultaneamente un elemento e negarlo perché il discorso si arresta, non c’è più una direzione; e questo il linguaggio stesso lo vieta, non posso farlo, me lo vieta e l’effetto è che non dico nulla, salvo, come abbiamo precisato in molte occasioni, porlo come figura retorica. Una figura retorica per essere tale necessita di un elemento che non vari e cioè necessita che un elemento sia identico a sé, e quindi possiamo considerare anche quell’altro principio di Aristotele (quello di identità) come una  procedura; occorre che un elemento sia se stesso per essere utilizzato dal linguaggio. Ma qui, dicendo che un elemento occorre che  sia se stesso, non affermiamo qualcosa di negabile, come generalmente avviene in tutta la filosofia  del linguaggio, o la filosofia, soprattutto l’ultima, francese. Allora non è negabile che un elemento sia necessariamente se stesso, anche se ci si potrebbe provare come hanno fatto in molti, chiedendo: come possiamo sapere se un elemento è esattamente se stesso oppure no? In base a quale criterio, in base a quale parametro di stessità potremmo commisurare questo elemento, perché per vedere se è lo stesso occorre un terzo elemento al quale compararlo e poi un quarto etc. Quindi non sapremo mai se è lo stesso oppure no, dunque una qualunque proposizione che affermi che un elemento è se stesso potrà sempre essere negata perché non può essere affermata in quanto non necessaria e invece noi stiamo dicendo che è necessaria. Come si può fare? Ma a un’obiezione del genere, noi possiamo controobiettare  molto facilmente almeno in due modi: primo, supponiamo che non sia così, cioè che un elemento non sia se stesso, se un elemento non è se stesso, allora è altro da sé. Se questo elemento è altro da sé, allora si pone un problema notevolissimo, perché dicendo che è altro da sé è altro da che cosa? Questo ci induce ad affermare che è identico a sé? Non ancora, noi ci avvaliamo di un’altra argomentazione molto più potente: se ciascun elemento fosse altro da sé, il linguaggio non esisterebbe e noi non potremmo fare queste affermazioni né le contrarie in nessun modo e per nessun motivo. Allora come avviene, non è una prova, non è la dimostrazione nell’accezione classica del termine, ma è una proposizione non negabile e sono esattamente queste di cui ci stiamo avvalendo in questa ricerca, ciò che non può essere negato e ciò che non può essere negato, in questa accezione, risulta necessario. E’ a questo punto una considerazione molto più potente del fatto che sia provabile, anche perché una prova poi occorre che sia provata e, come diceva  giustamente Wittgenstein, “chi proverà la prova, chi dimostrerà la dimostrazione?”. Seguendo invece quest’altra via di ciò che necessariamente è, nell’accezione che abbiamo fornito in varie occasioni, noi aggiriamo ogni problema circa la dimostrabilità, basandoci unicamente a ciò che non può essere negato in nessun modo, perché negandolo si negherebbe la possibilità stessa di negare alcunché. Ecco perché diciamo che ciascun elemento è identico a sé, per una necessità logica, perché non  può essere negato, qualunque affermazione che lo neghi si vota alla dissoluzione. Dunque, poniamo questa proposizione che afferma che ciascun elemento è identico a sé come una procedura linguistica, cioè uno di quegli elementi di cui è fatto il linguaggio, perché se ciascun elemento fosse simultaneamente ciascun altro, il linguaggio si dissolverebbe, non sarebbe possibile parlare e quindi non potremmo porci i problemi. Dunque, vi rendete conto facilmente che ci troviamo di fronte ad un sistema di logica, come ho detto all’inizio, straordinariamente potente, perché non richiede nessuna prova, nessuna dimostrazione, nessuna confutazione; semplicemente non  può essere negato. Ma l’utilizzo, per così dire di una cosa del genere, avviene di fatto lungo un’elaborazione, una ricerca che è molto prossima in effetti a quella che chiamiamo elaborazione analitica; certamente l’accezione è abbastanza lontana da quella psicologistica tradizionale e cioè, in altri termini, come la possibilità di consentire a ciascuno di non potere più non tenere conto di questi aspetti. Come abbiamo detto tempo fa rispetto all’analista, in quanto l’analista è chi non può non ascoltare, nel senso che si trova di fronte ad un qualunque discorso a coglierne aspetti vari, equivoci, ripetizioni, connessioni, pur non sapendo magari nulla della persona che sta parlando però non può non ascoltare, non può non avvertire delle interrogazioni, che il discorso pone, e cioè in altri termini, tutto ciò che viene affermato all’interno di un discorso con fiera baldanza e che invece risulti assolutamente arbitrario, gratuito, e come se lì il discorso incontrasse una sorta di intoppo. Ecco, non potere non ascoltare questo, non potere non accorgersi di tutto ciò che viene affermato, viene detto come necessario e necessario non è. Un esercizio in questo senso potete farlo leggendo i testi di filosofia, di logica, di filosofia del linguaggio o di scienza, filosofia della scienza, lì trovate più che altrove la pretesa di affermazioni necessarie mentre queste affermazioni non sono affatto necessarie, ma avete gli strumenti per avvertire come di fatto siano assolutamente arbitrarie; possono essere gradevoli, interessanti, piacevoli, possono essere mille cose, ma non necessarie; la nozione stessa di verità che viene imposta in molti testi risulta assolutamente arbitraria. Il fatto che sia un sistema così forte provoca un vantaggio ed uno svantaggio. Lo svantaggio è che  è ineliminabile; qualunque cosa si faccia, si dica, si pensi, non c’è via per eliminarlo, una volta che è istallato non si disinstalla più. E quindi, per così dire, è un elemento con cui non è più possibile non avere a che fare, anche se magari può creare dei problemi. Il vantaggio è quello notevole di offrire un sistema di pensiero che consente con assoluta rapidità di potere distinguere ciò che è necessario da ciò che non lo è e quindi di potere prendere le distanze con estrema facilità da tutto ciò che viene proposto come vero, come necessario; in più offre una libertà estrema, nel senso che toglie la costrizione di dovere credere che una certa cosa sia vera. C’è quindi una maggiore mobilità di discorso, di pensiero, di sapere per esempio in ciascuna occasione che tutto ciò che il mio discorso produce è una mia produzione e che quindi è con questo ho a che fare, non che con questo io possa decidere che cosa, non ho il controllo del linguaggio in quanto il linguaggio procede da sé, però tenendo conto che io sono il linguaggio, non è che mi trovo nel linguaggio, io sono quello che dico, né più né meno, e quindi mi trovo a produrre una quantità sterminata di proposizioni di ogni tipo e di ogni sorta, dalle più elaborate, sofisticate, seriose, alle più amene, più facete, le più bizzarre, le più sconsiderate. Ma come mi pongo di fronte a queste cose? Per esempio, parlo con una certa persona e mi trovo di fronte ad un certo discorso che ho fatto e che magari non volevo fare; è a questa direzione che il discorso ha preso ciò di cui occorre che tenga conto, non tanto per trovare le cause, i motivi, ecc., posso sì trovare molti agganci, molte connessioni, ma ciascuna volta in cui parlo è come se il discorso seguisse l’andamento di un caleidoscopio che, mano a mano che procede, cambia continuamente le immagini, le connessioni, e a fianco a questo cambiare di immagini, di connessioni tiene conto delle regole del gioco in cui queste immagini, queste connessioni avvengono. So che se mi trovo a parlare con una certa persona di una certa cosa sono all’interno di un gioco particolare e quindi mi attengo alle regole di quel gioco, so benissimo che sono le regole di quel gioco e che le mie affermazioni non significano assolutamente niente, hanno una funzione estetica. Facciamo a questo punto una rapidissima puntata all’estetica, anzi, sarebbe più preciso dire alla callistica che è l’aspetto dell’estetica che si occupa del bello. Estetica ha a che fare con l’estesìa, cioè con la percezione, con il percepire le cose. Molto spesso si utilizza il significante estetica per definire un insieme di sistemi, di procedure che hanno come fine il bello; per esempio un istituto di estetica non si attiene all’etimo della parola infatti si occupa di bellezza in generale e non di percezione. Dunque, l’estetica e cioè il piacere. Per il momento non definiamo questa nozione, lo faremo in seguito, il piacere di dire, di parlare, di produrre proposizioni. Qui ci affacciamo, e di questo ci occuperemo il mese prossimo, su un orizzonte sterminato. E’ vero che ciascuno parla perché non può non farlo, ma in questo non potere non farlo c’è un elemento in più e cioè il piacere nel e del farlo, di produrre proposizioni. Per il momento facciamo un accenno molto rapido sul fatto del trovarsi a parlare, del piacere di parlare, quindi trovarsi di fronte continuamente ad una produzione incessante di proposizioni come se questo fosse l’obiettivo, perché la trasmissione di informazioni generalmente è soltanto il pretesto per la produzione di proposizioni, perché la trasmissione di informazioni potrebbe risolversi nel giro di pochi secondi, invece si parla ininterrottamente, poi ciascuno parla tra sé e sé ininterrottamente e soltanto in brevi momenti parla con un’altra persona, mentre il dialogo tra sé e sé, detto anche monologo è ininterrotto, dura 24 ore su 24, anche la notte. Dunque, il piacere connesso con la produzione di proposizioni, ed è questione di dimensioni vastissime che apre a cose di cui ci occuperemo nei prossimi incontri e che indica di fatto anche il qualcosa di molto prossimo alla struttura del linguaggio, potrebbe anche essere una procedura linguistica visto la sua apparente imprescindibilità da ciascun atto di parola al punto che può quasi apparirne l’unico obiettivo, l’unico scopo. Quindi parlare per lo stesso motivo per cui guardo un quadro o ascolto un brano di musica qualsiasi; per il piacere di farlo, nessuno mi costringe a farlo, la ascolto per il piacere di farlo. Ora, la questione che pongo e che affronteremo nell’ambito retorico è se parlo esattamente per lo stesso motivo, questione tutt’altro che marginale e che può avere dimensioni bibliche. Cioè, se questo possiamo porlo come procedura linguistica e cioè come elemento necessario, sempre attendendoci al criterio che seguiamo, evidentemente avremo a quel punto gli strumenti per  fare delle cose notevoli, inventare un pensiero così potente e così imprescindibile che nessuno potrebbe farne a meno. Dunque, la logica ci fornisce unicamente il criterio che seguiamo per accogliere ciò che necessariamente dobbiamo accogliere in quanto non possiamo non farlo. Questa è la logica della quale ci occupiamo, non possiamo non farlo dal momento che parliamo e visto che parliamo non possiamo non fare questo e allora necessariamente dobbiamo accoglierla. Questo è tutto ciò che indichiamo con logica e da qui procediamo per deduzioni e quindi immettendo unicamente quegli elementi che risultano altrettanto e inesorabilmente necessari e quindi nulla di vago, nulla di incerto, nulla di fumoso, tutto assolutamente preciso, netto, determinato, incontrovertibile, innegabile, inesorabile.