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28-9-2016

 

Supponiamo che le parole, anziché riferirsi, avere come referente degli oggetti metafisici, si riferiscano invece soltanto ad altre parole. Supponiamo ancora di volerci attenere a questo criterio. Queste sono le due premesse da cui muoviamo, la prima dice che le parole hanno come referente altre parole e non oggetti metafisici, la seconda è che ci atterremo a questo criterio. Con oggetto metafisico intendo una qualunque cosa che sia immaginata, può essere una matita, una parola, un concetto, un’esperienza, un’emozione qualunque cosa sia non è rilevante, che sia quello che è indipendentemente dal linguaggio, cioè qualche cosa che è fuori dal linguaggio, che quindi non dipende dal linguaggio, qualcosa che si pone come causa sui. Ora se dobbiamo attenerci a questo criterio appena indicato cioè che le parole hanno come referente altre parole questo ha delle implicazioni, quali? Riguarda il significato delle parole o delle proposizioni, o delle locuzioni perché se ciascuna parola ha come riferimento un’altra parola allora qual è il significato di quella parola? Ovviamente si pone un significato, ma questo significato, se ci atteniamo al nostro criterio, questo significato ci sposta immediatamente su altre parole perché per sapere cosa vuole dire quel significato che abbiamo trovato della prima parola dobbiamo spostarci su un’altra, e così via all’infinito, lungo quel processo che la semiotica chiama semiosi infinita. Se le cose stessero così, allora sarebbe impossibile affermare alcunché, perché qualunque cosa venga affermata, nell’affermare questa cosa mi troverei immediatamente spostato su un’altra parola, su un altro significato, su un’altra proposizione, un rinvio cioè inarrestabile, dunque non potrei affermare nulla. Tuttavia sappiamo che non è così che funziona parlando, perché è esattamente quello che sto facendo in questo istante, cioè continuo a fare affermazioni. E allora che ne è di ciò che dicevamo prima? Per potere fare affermazioni dunque ho dovuto non attenermi al secondo criterio che abbiamo stabilito, e cioè che ciascuna parola rinvia necessariamente a un’altra parola, e sottolineo “necessariamente”, quindi per potere affermare ciò che sto affermando io non devo attenermi a quel criterio, se lo facessi cesserei di potere affermare qualunque cosa. A questo punto ci si mostra una situazione singolare. Prendiamo due personaggi, perché è una questione antica non è di adesso: Parmenide e Gorgia. L’uno, Parmenide, dice che l’essere è e non può non essere, ciascuna cosa è quella che è e non può non essere quello che è, quindi fissata, bloccata, Gorgia dice il contrario “Nulla è”, potremmo dire nulla è dicibile, “non si può dire niente, se fosse dicibile non sarebbe comprensibile, se fosse comprensibile non sarebbe comunicabile”, quindi è esattamente il contrario, cioè le cose non solo non stanno come voleva Parmenide ma sono assolutamente impraticabili, ma se fosse effettivamente così come dice Gorgia, lui non avrebbe di fatto potuto dire niente, e invece ha detto tantissimo. Ma come è potuto accadere, e com’è che questa cosa continua ad accadere da quando gli umani esistono? Ecco la questione che adesso risolviamo. Come se le cose dunque per parlare fossero al tempo stesso sia come diceva Parmenide ma anche come diceva Gorgia, perché effettivamente una parola non è niente se non è inserita all’interno di una combinatoria, non c’è nemmeno, c’è in quanto presa, e questo lo diceva benissimo De Saussure e tutta la semiotica, in quanto presa all’interno di una rete di connessioni. Vi ricordate del nucleo semico? Esige i semi contestuali, solo a questa condizione c’è un semema se no non c’è niente, quindi quella parola è quella che è ma anche ciò che non è, che è esattamente ciò che dicevamo qualche volta fa: per dire che cosa è una certa cosa devo dire ciò che quella cosa non è. Eppure continuiamo a parlare, ad affermare continuamente cose, questo ci fa riflettere sul funzionamento del linguaggio e cioè per potere affermare qualche cosa io devo prendere un elemento, porlo come un oggetto metafisico. Solo a questo punto, solo a questa condizione posso utilizzarlo all’interno di una combinatoria, devo prenderlo come un oggetto metafisico, cioè devo prenderlo come se fosse quello che è, solo a questo punto posso utilizzarlo in tutti i modi che mi pare. Vi faccio un esempio, prendete la nozione di “desiderio” così cara ai lacaniani, il desiderio per Lacan “è il desiderio dell’Altro”. Altro qui inteso come determinazione soggettiva cioè è l’Altro che desidera. A questo punto, se dovessimo attenerci al primo criterio che abbiamo stabilito all’inizio, ovviamente qui “desiderio” questo termine, questo significante, questo lessema, questo termine a seconda della teoria linguistica che lo approccia, avrebbe un significato di volta in volta sfuggente, non potrei sapere mai che cos’è il desiderio perché ogni volta mi trovo preso in un rinvio: per potere dire che cos’è devo dire ciò che non è. Naturalmente in questo rinvio può accadere di affermare, trovare un significato che dice il contrario, e cioè posso anche affermare la proposizione contraria e la proposizione contraria della proposizione: “il desiderio è il desiderio dell’Altro” è la seguente: “il desiderio non è il desiderio dell’Altro”. Quindi se mi attenessi al primo criterio dovrei simultaneamente tenere conto di entrambe le proposizioni, cioè che il desiderio è quella cosa ma anche non lo è, e quindi cosa accade? Che questo termine non è utilizzabile, è questo che succede, non è utilizzabile cioè non posso parlare, per poterne parlare devo stabilire che il desiderio è quella cosa lì e non altro e cioè devo porre questo termine come un oggetto metafisico, a questa condizione posso continuare a parlare, ma a questa condizione: io “decido” che questo termine “desiderio” significhi quella cosa lì, lo decido io, ma non solo, lo impongo. Per potere usare il termine “desiderio” devo imporgli di essere quello che io voglio che sia, che credo che sia, che mi han detto che sia, solo a questo punto posso inserire il termine “desiderio” all’interno per esempio di una teoria, di un discorso, di una sequenza, solo a questa condizione perché abbiamo visto che questo termine “desiderio” significa quello che significa ma anche il suo contrario, se ci atteniamo al primo criterio. Il secondo criterio ci diceva che dobbiamo attenerci al primo criterio ma abbiamo visto che se ci atteniamo davvero al primo criterio ci fermiamo subito, non andiamo da nessuna parte, cioè in quel senso avrebbe avuto ragione Gorgia, ma sarebbe stato impossibile affermare quello che ha affermato. A questo punto ecco che irrompe come una valanga la volontà di potenza, perché per potere usare, e con “usare” intendo inserire un elemento all’interno di una combinatoria nei modi e nei criteri stabiliti dal gioco linguistico che sto facendo, per potere dunque usare un termine io devo imporre a quel termine di essere quella certa cosa, questa imposizione che pongo in atto è esattamente la volontà di potenza, la volontà che quella cosa sia quella che io dico, che io voglio che sia. Capite che qui si tratta di una potenza enorme: stabilisco che le parole sono quelle che io dico che sono, io. Questa è la condizione per potere parlare, e cioè ciascun termine, per poter essere usato deve intervenire come un oggetto metafisico, poi che cosa accade dopo che io ho posto questo oggetto metafisico, quello che accade dopo sono altre questioni, fantasie, immagini, ricordi tutto quello che vi pare ma per potere utilizzare quel termine io lo devo porre così, non ho altra scelta. A questo punto decade il secondo criterio, non posso attenermi al primo che dice che ogni parola rinvia necessariamente a un’altra parola, che è vero, ma è condizionato dal fatto che per potere usarlo cioè per potere anche affermare questo, e cioè i due criteri che ho stabiliti, è necessario che ciascun elemento che è intervenuto nella formulazione di questi due criteri funzioni come un oggetto metafisico: perché io ho detto “ci atteniamo al secondo criterio” questa formulazione esclude la contraria e cioè “non ci atteniamo al primo criterio”. Quali sono le implicazioni di una cosa del genere? Adesso abbiamo considerato la struttura, il funzionamento, e cioè che la volontà di potenza interviene parlando necessariamente per potere usare dei termini. “Libro”, è un termine qualunque, questo termine deve essere posto come un oggetto metafisico ma non soltanto il libro in quanto tale, sulla cui esistenza si potrebbe discutere a lungo, ma il termine “libro” deve essere un oggetto metafisico cioè deve essere quello che è, non deve essere il posacenere, il fatto che sia un libro esclude che sia questo, quest’altro, quest’altro ancora eccetera ma inserisce il libro all’interno di un sistema relativamente chiuso che dice che il libro è soltanto quella cosa lì e nessun altra e allora posso utilizzare questa parola. Posso dire a qualcuno “prendimi quel libro” mettendo l’altro nella condizione di trovarsi nell’impossibilità di fare, dire alcunché da qui fino alla fine dei tempi, perché non potrà mai soddisfare la richiesta, perché “prendi il libro!” cioè che cosa? e qui si trova di fronte a una serie di significati che rinviano ad altri significati e non mi darà quel libro. A questo punto appare più chiara la connessione tra il funzionamento del linguaggio e la volontà di potenza, al punto che la volontà di potenza si manifesta all’interno del funzionamento del linguaggio e ne rappresenta addirittura la sua utilizzabilità, potremmo dire che senza la volontà di potenza il linguaggio non funziona, perché se tolgo la volontà di potenza e cioè tolgo la possibilità da parte mia di dire che questa cosa è questa, allora non c’è linguaggio, quindi togliete la volontà di potenza e togliete il linguaggio. Questa non è propriamente una intuizione di Nietzsche, Nietzsche ha spalancato la porta certo però non è arrivato a tanto anche perché non aveva gli strumenti per farlo né lui né altri. La volontà di potenza a questo punto è parte integrante del funzionamento del linguaggio, per questo vi anticipavo qualche tempo fa che la volontà di potenza è il linguaggio, è il modo in cui funziona, togliete la volontà di potenza e togliete il linguaggio per via del fatto che se voglio parlare, se voglio usare un termine, una proposizione, devo porlo come un oggetto metafisico cioè devo porlo come un qualche cosa che è quello che è, se voglio usarlo, se no non lo posso usare perché mi scivola fra le dita. Ci si troverebbe nel paradosso di Gorgia il quale semplicemente non ha tenuto conto del fatto che se le cose stessero così, esattamente come stava dicendo lui, lui non avrebbe potuto dire quello che stava dicendo, perché se “nulla è” allora neppure quello che stai dicendo, quindi non si pone neanche il problema se sia trasmissibile o non trasmissibile perché non c’è, quindi non stai dicendo niente. Non è così ovviamente perché al momento in cui ha affermato queste cose quelle cose quando lui scriveva “nulla è”, questo “nulla” e questo “è”, erano posti come oggetti metafisici. Dicendo “nulla” e non “qualche cosa”, ha detto “è” e non “non è”. Freud si è trovato di fronte a due questioni sulle quali ha sorvolato ma avrebbe forse fatto meglio a riflettere di più e facendolo probabilmente la psicanalisi avrebbe preso un’altra direzione. La prima, quella che ho già citato in varie occasioni che si trova in Aldilà del principio di piacere, la questione del controllo. Quando si chiede perché mai a uno a cui è scoppiata una granata a pochi metri, perché mai deve ricordare questa cosa sgradevolissima all’infinito? Mentre tutta la sua teoria precedente diceva che tutto ciò che fa piacere si mantiene, tutto ciò che fa dispiacere, cioè che interviene traumaticamente rispetto all’Io deve essere rimossa, perché invece questa cosa non viene rimossa? Aggiungiamo un altro esempio, perché nei bambini, piccoli ma non solo, si manifesta questo grandissimo piacere nell’ascoltare e riascoltare una storia, sempre la stessa, deve essere identica, chi gliela racconta deve essere preciso senza inserire varianti, se no viene subito ripreso. La sa a memoria, perché la fa raccontare? La questione è la stessa perché questa vicenda, della favola, del racconto quello che è, evidentemente comporta, ha comportato un elemento straniante, qualcosa di “Unheimliche” che nel primo racconto ha colto di sorpresa nel secondo meno, nel terzo ancora meno, nella quarta, quinta, sesta volta è totalmente gestita, un controllo totale su quel racconto che magari la prima volta ha un po’ inquietato, deve essere qualcosa che ha dato qualche emozione. Anche in questo caso la ripetizione serve al controllo, cosa che a Freud è sfuggita e gli è sfuggita anche un’altra cosa a questa connessa, e cioè lui ci dice che la rimozione è un processo psichico che ha una sua utilità, quella di cancellare eventi traumatici. Lui ha costruita la sua teoria sessuale alla quale ha voluto attenersi fino alla fine nonostante ogni tanto ci sia stato qualche problema, ma attenendosi alla teoria sessuale si è trovato di fronte a una domanda alla quale ha risposto molto rapidamente, troppo rapidamente: “perché un trauma sessuale deve essere rimosso?” Perché è spiacevole? Posso pensare mille cose spiacevoli eppure sono presentissime, perché deve essere rimosso? Lui dà la sua risposta ovviamente “perché è incompatibile con la morale sessuale civile” la quale impone che certe cose non debbano assolutamente neanche essere pensate, figuriamoci desiderate. Supponiamo che sia così, ma perché tanta paura della riprovazione, tanta paura di andare contro alla morale sessuale civile? Quando poi sappiamo che ciascuno durante la sua vita fa cose che per la morale sessuale civile sarebbero inopportune. Perché è spaventato dalla morale sessuale civile, cioè dalla riprovazione? La riprovazione cosa comporta? Comporta l’abbandono, la paura di essere abbandonato, “se faccio così la mamma mi abbandona”, perché dovrebbe temere l’abbandono? Altra domanda e Freud non se l’è mai fatta, perché? Forse perché senza la mamma muoio? Che ne sa il bambino? Lui non ha la più pallida idea che se non c’è la mamma muore, non è che controlla il suo conto corrente, i prezzi ai supermercati né l’andamento di flussi monetari però è spaventato, da che cosa? Lo spaventa la perdita della considerazione. La cosa più importante per gli umani non sono né i soldi, né il sesso ma è la considerazione, il rispetto, il rispetto è la cosa che tengono al massimo grado, il rispetto degli altri che non è altro che la considerazione da parte degli altri nei loro confronti e cos’è questa considerazione? Perché è così importante? E qui ci riagganciamo alla questione di prima della volontà di potenza e anche della ripetizione di eventi traumatici cioè il controllo, il controlla sull’altro, il controllo che può avvenire in qualunque modo. Il controllo sull’altro significa esattamente la stessa cosa di ciò che dicevo prima rispetto alla parola e al porla come un oggetto metafisico, quella cosa è esattamente così come è, come io voglio che sia, può essere la parola, può essere ciò che qualcuno pensa di me, io ho il controllo su quella parola, ho il controllo su di te, su quello che pensi, io ho il controllo su tutto. Perché una cosa del genere? Non avrebbe nessun senso una cosa del genere, cosa te ne fai della considerazione di Pinco Pallino? Niente, e invece non è soltanto importante è la più importante, e su questo anche La Boétie che lei citava ieri sera ha colto bene senza andare troppo nel dettaglio, ma perché uno deve fare una cosa del genere? È la considerazione, sì certo ma cosa se ne fa? Perché è costretto a volere la considerazione e il rispetto dell’altro? È costretto, non è che è una cosa opzionale che può esserci o non esserci. Ciascuno deve, per potere andare avanti, potere contare che qualcosa sia esattamente così come lui pensa che sia, come vuole che sia, esattamente così, come per andare avanti a parlare io devo considerare che le cose che sto dicendo siano quelle che siano e non altro. La fantasia di abbandono è un modo per configurare la perdita della presa di potere su qualcosa e allora interviene quella cosa che si chiama “fantasia di abbandono”, ma in seconda battuta, dell’abbandono in quanto tale a chiunque potrebbe non importargliene assolutamente niente. E invece succedono le peggiori catastrofi. Occorre che una parola sia quello che è, perché solo a questa condizione posso fare qualcosa, solo se la parola è presa come un oggetto metafisico. Presa, adesso diciamola così in modo molto rozzo, per finta. Io so che non è un oggetto metafisico, io, forse anche voi ma, ma il sapere questo mi consente di potere usare questa parola, un concetto senza essere travolto e questa è la condizione per potere giocare con le parole, con i concetti, con le proposizioni con la vita, per dirla in breve.

Intervento: anche il concetto di trauma a questo punto va messo in questione …

Sì, anche per esempio la granata che esplode è qualcosa che in quel momento fa perdere il controllo della situazione perché salta per aria tutto, non c’è più nessun controllo e tutte le ripetizioni di questa scena mano a mano è come se cercassero di recuperare questo controllo perduto. Può essere la granata, può essere qualunque cosa ovviamente, una scena, una fantasia, una paura, qualunque cosa, è irrilevante, però è comunque una situazione in cui si è avuta questa forte sensazione di perdere il controllo che va recuperato, va recuperato perché solo a questa condizione io posso continuare a parlare, proprio così come la parola “libro”, soltanto se è quella che è io posso continuare a usarla e quindi fare tutto quello che voglio, se no non posso fare niente.Quindi c’è un aspetto che è strutturale, quello che indicavo prima con der Wille zur Macth, la volontà di potenza, di potere fare qualcosa, l’aspetto strutturale è la volontà di potenza come elemento del linguaggio, senza il linguaggio non può procedere e cioè la volontà che una certa cosa sia quella che è per poterla usare, questa è la volontà di potenza, la volontà che una certa cosa, una parola, un concetto, una certa cosa, una “cosa” sia quella che è per poterla usare come voglio io, come dico io. Pensate all’esempio che facevo prima della parola “desiderio” nella teoria di Lacan, è la manifestazione più evidente, “desiderio” significa quello che voglio io perché io possa continuare a usare questa parola e costruirci su tutte le belle storie che ci ha costruito. Se si vuole parlare occorre che ciascun elemento che interviene sia preso o “come” un oggetto metafisico, oppure “in quanto” oggetto metafisico, che è molto diverso. Si può tranquillamente dire che ciascuna cosa è differente da sé senza sapere assolutamente di cosa si sta parlando, senza rendersi conto che se fosse davvero così questa affermazione non sarebbe formulabile in nessun modo, occorre che questa affermazione venga presa come un oggetto metafisico e allora posso farla. Ecco tutte queste cose a mio avviso possono mostrare in modo più evidente, più perspicuo, come la volontà di potenza sia il linguaggio stesso e che togliere la volontà di potenza è togliere il linguaggio. Torno a dire ovviamente la differenza sta nel sapere che io lo pongo “come” un oggetto metafisico per poterlo usare anziché pensare che “sia” quella cosa lì che io voglio io che sia, un ente che è quello che è e che non può né deve assolutamente cambiare, deve essere così perché se no crolla tutto, non resta più in piedi niente. Per riprendere l’esempio di prima, se il desiderio fosse sia il desiderio dell’Altro, ma anche non il desiderio dell’altro simultaneamente, come faccio a usare questa proposizione? Come faccio a usare questo termine “desiderio”, cosa significa? Mi scompare fra le dita, non è più nulla, e quindi non lo posso usare, e quindi non posso parlare se questa cosa viene ripetuta per ogni parola, ed è proprio ciò che dicevo dicendo che la volontà di potenza è il linguaggio, né più né meno. Perché Gorgia possa affermare “nulla è”, occorre che quella cosa che sta dicendo sia e sia quella che è, cioè quella che lui vuole che sia e non altro, e non il contrario, perché se no questa formulazione non significa niente. Sono io che impongo che qualcosa sia quello che è, qui sta il Wille zur Macht, la volontà di potenza. A questo punto forse abbiamo chiarito qualche cosa di più rispetto alla volontà di potenza e al funzionamento del linguaggio, a intendere come funziona il linguaggio mentre parlo, cioè che deve porre ciascun elemento che interviene come un oggetto metafisico. C’eravamo vicinissimi quando dicevamo che per potere dire qualche cosa occorre che questa cosa sia quella che è anche se so che non lo è, perché non lo posso dimostrare che sia quella che è, ma volevo che fosse molto chiara la connessione strettissima anzi la coincidenza tra la volontà di potenza e il funzionamento del linguaggio, cioè la sua struttura. Intervento: interessante è la questione della ripetizione …

È illuminante l’esempio del bambino che vuole che si racconti la stessa storia, perché prova il piacere? Ma quale piacere? Non prova nessun piacere anzi, magari c’è qualcosa nel racconto e qui Freud ha ragione che è risultato straniante, lo ha disorientato, gli ha fatto perdere il controllo che credeva di avere sul racconto cioè sulla scena che il racconto stava descrivendo, così come si usa nei drammi, nelle commedie, il colpo di scena che interviene a spiazzare tutti fa perdere il controllo della situazione, uno credeva di aver capito chi era per esempio l’assassino e invece no. Freud ha sfiorato questa cosa in Al di là del principio di piacere ma non l’ha proseguita era troppo preso dalla sua teoria sessuale in effetti lì cambia un pochino idea infatti passa dalla prima alla seconda topica ma la teoria sessuale che è l’impianto di tutta la sua teoria questa non la molla. Per cui si è soffermato sulla teoria sessuale senza mai rispondere a una domanda legittima: perché qualcuno avrebbe così tanto timore di infrangere la morale sessuale civile, per non essere abbandonato? La questione è più complessa e riguarda qualcosa che aveva sfiorato in Al di là del principio di piacere e cioè il controllo della situazione. Il controllo della situazione è fondamentale perché è ciò di cui è fatto il suo pensiero, essendo ciò di cui è fatto il linguaggio, è ciò di cui è fatto il suo pensiero, ecco perché non può non farlo se parla, se parla si trova nella volontà di potenza inesorabilmente cioè nel volere che quello che dice sia quello che sia, questa è la volontà di potenza. Sono un po’ di cose su cui riflettere, naturalmente c’è tutto l’aspetto fantasmatico da considerare, questo potrebbe anche essere marginale, o forse no, cioè tutte le fantasie che vengono create da una cosa del genere, ma tutte sono riconducibili a questo.