28-9-2004
C’è
qualche questione? A che punto siamo con la prima conferenza?
Intervento: mi chiedevo qual era la responsabilità dello psicanalista… c’è una
responsabilità per quanto riguarda lo psicanalista, lo psicanalista è investito
da questo supposto sapere, è investito da questo supposto sapere che gli viene
attribuito… la funzione dello psicanalista è quella di ricondurre ciò che si
sta dicendo all’interno del gioco che si sta facendo in quel momento… deve
ascoltare un discorso che è una cosa ovvia, però si tratta di ascoltarlo per
vedere quale effetto ha questo ascolto, ovviamente si tratta di reperire le
famose regole di questo gioco, si tratta di lasciare che in qualche modo il
discorso giunga alle sue conclusioni perché solo a questo punto considera gli
effetti di queste conclusioni e può effettivamente interrogarsi intorno alle
regole e quindi arrivare anche a considerare quali sono i riferimenti stessi di
questo discorso… ci sono molti aspetti che non sono una questione puramente
linguistica penso che parlando di responsabilità dello psicanalista ci si
imbatte comunque in una serie di luoghi comuni che sono molto forti… E pensavo
che fosse indispensabile affrontarli in qualche maniera…la questione delle
responsabilità dello psicanalista parte da queste considerazioni per giungere
alla questione della responsabilità… per giungere all’obiettivo di ciascuna
analisi che è quella di produrre dello psicanalista…
C’è
qualche considerazione intorno a ciò che ha detto Sandro? Antica questione
questa della responsabilità dell’analista, ma occorre intendere che cos’è la
psicanalisi, quindi che cosa fa lo psicanalista. La psicanalisi l’abbiamo
indicata come un percorso che porta alla conoscenza del funzionamento del
linguaggio, pertanto lo psicanalista è questo che occorre che faccia, volgere
il discorso della persona che sta ascoltando a intendere perché sta affermando
le cose che afferma, o se preferite qual è il gioco che sta facendo. Per fare
questo, dicevamo la volta scorsa, utilizza una serie di criteri però ciò che
occorre che faccia è questo, ascolta, dicevamo la volta scorsa, delle storie,
dei racconti, in definitiva una sequenza di proposizioni, ascolta un discorso
che non sa di essere tale e cioè sequenze di proposizioni che giungono ad
affermare delle verità che si suppone siano verità extralinguistiche e, un
altro modo per dire ciò che occorre che faccia l’analista, è portare la persona
a considerare che la verità di cui sta parlando è una verità linguistica,
esiste all’interno del linguaggio, qualunque sia il gioco che sta facendo e che
non c’è verità fuori dal linguaggio. L’altra volta dicevamo della verità
particolare del gioco che si sta facendo, ed è una questione importante perché
se avviene questa sovrapposizione tra la verità particolare del il gioco che si
sta facendo e la verità assoluta, cioè incontrovertibile, potremmo dire
necessaria, allora avvengono tutta quella serie di problemi, problemi nel senso
che il discorso continua prendendo per verità assolute verità invece
particolari e continua a girare in tondo nel senso che scambiando la verità
particolare per la verità assoluta non considera che è una verità linguistica e
non fuori dal linguaggio, se è linguistica allora è una produzione del
linguaggio che riguarda il gioco che si sta facendo per cui come abbiamo detto
un sacco di volte, è assolutamente vero che due assi battono due jack, è
assolutamente vero e se si sta giocando a poker questa verità è
incontrovertibile per tutti coloro che stanno giocando a poker ovviamente,
perché hanno accolto le regole per giocare quel gioco. La questione della
realtà, per esempio, che appare agli occhi dei più come qualcosa di
incontrovertibile, assolutamente certa, funziona allo stesso modo se…
Intervento: questa questione della verità particolare che è giocata nel discorso…
non riesco ad intendere come questa verità… durante la giornata la persona fa
una quantità sterminata di giochi, ci sono giochi che fanno parte di un certo
gioco per cui questa moltitudine di giochi è quella che determina un certo gioco
Qual è
la questione?
Intervento: una persona che si trova a credere una certa cosa che è il filo
portante del suo discorso, come intendere questa questione della verità
particolare perché ciascun gioco poi tutto sommato è particolare e sono giochi
che servono a costruire altri giochi, il pensare della persona, che ne so?
Depressa quella che non trova senso delle cose tuttavia, tutto sommato può
sapere… oppure una persona che soffre di una fobia può sapere, sa che sono
delle sue costruzioni e che sono quindi dei giochi particolari che va facendo
però il modo di pensare della persona è sostenuto da un gioco che è quello che
permette quelle conclusioni…
Mi
sfugge la questione, lei dice la persona sa che ciò che ha costruito la sua
depressione è il prodotto di una serie di altri giochi linguistici e,
nonostante questo, rimane ancorata alla sua depressione…
Intervento: rimane ancora a questo modo di
vedere nefasto del mondo che va costruendo… questo è dato da un particolare
gioco che sostiene tutto questo discorso…
Intervento: la persona dice io so che sono giochi quello che non sa è da dove
vengono, perché la sua richiesta è dimmi il perché faccio certe cose… è come se
chiedesse perché tutto questo, ma crede che ciò che causa tutto questo non sia
nel linguaggio, la causa fuori dal linguaggio
Intervento: sì anch’io ho sempre considerato che la questione fosse questa che la
causa poi tutto sommato fosse considerata fuori dal linguaggio, un po’ come il
motivo che non viene considerato un elemento linguistico, qualsiasi cosa finché
non viene portata alle estreme conseguenze non può essere considerato per
quello che è, ma ecco non riesco ad intendere perché Faioni insista su questa
distinzione fra universali e particolari perché è semplice dire che qualsiasi cosa
che venga considerata il mattoncino fuori da una struttura linguistica è ciò
che da l’avvio ad un modo di pensare che è quello religioso, intendendo anche
cos’è universale e particolare, non intendo però nel gioco specifico del
linguaggio come questa questione del gioco particolare e delle regole che non
sono nient’altro che il sistema di inferenze, come se io attribuissi al gioco
particolare in effetti la funzione che ha quella di farmi trarre una
conclusione ma una conclusione fallace, è come quando mi trovo a considerare un
gioco e allo stesso modo del sillogismo degli apostoli “Pietro e Paolo sono
apostoli, gli apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici” allo stesso
modo traggo l’inferenza, concludo, in questo caso questo è un gioco particolare
e da questo gioco viene tratta la conclusione che Pietro e Paolo sono dodici,
ecco io quando penso alla questione del gioco particolare nei confronti di un
universale che è ciò che decreta la verità e la necessità di una affermazione,
mi scontrassi con la questione inferenziale e quindi con il vizio, con un vizio
di pensiero per cui non posso considerare come il linguaggio funziona… in
questo modo non riesco ad intendere perché e cioè a cosa mi serva per la mia
elaborazione perché i giochi che vengono fatti dal mio discorso, laddove mi
trovo a produrre delle proposizioni questo non posso negarlo, questi giochi che
intervengono sono moltissimi ed è ovvio che non riesco a intendere, voglio
intendere cosa supporta e mi ritrovo a fare i conti con la disseminazione e…
Intervento: posso dire una cosa? per esempio se uno è depresso, ovviamente, se
ritiene cosa l’ha reso depresso qualche cosa fuori dal discorso, fuori dal
linguaggio ovviamente tutti i giochi che lui va a costruire per cui un’infinità
di giochi per cui tutti hanno questo vizio, sono giochi che servono solo a
mettere più in evidenza la verità della depressione cioè qualche cosa che fa
vedere che il mondo è cattivo, che il mondo è così
Intervento: non è questo, quando giochi il gioco del linguaggio che il mondo sia
buono o cattivo non comporta assolutamente niente, non è di questo, è proprio
nella questione elaborativa, del computer che vuole programmarsi e quindi vuole
intendere come giocano i giochi all’interno del suo discorso, il fatto di
trovarsi a considerare che ciascun gioco che interviene è un gioco particolare
che parte da una certa premessa che io affermo e continua una sequenza di altre
premesse, il sapere che questo è un gioco particolare dato dal discorso in cui
mi trovo, discorso che è fatto in un certo modo, comporta questa questione come
se andasse ad affermare ancora una volta che qualsiasi cosa è un elemento
linguistico però se è un elemento linguistico occorre che ci faccia i conti, se
non ci fa i conti è un credere che le cose stanno così, come credere che c’è
dio, comporta che l’elemento linguistico funzioni nel proprio discorso se no
che differenza c’è se io lo so o lo credo? Per cui mi interessava al punto in
cui sto lavorando per rendere libero il mio pensiero, per non trovarmi tutte le
volte a dover considerare che sì sto considerando un elemento e credo che una
certa cosa esista fuori dal mio discorso e sono io che la sta costruendo, però
questo comporta, come dire ciascuna volta, un dover fare un avanti e indietro
per cui questo lavoro porta a una perdita di tempo, esattamente come diceva
Freud quando parlava della rimozione uno sterminato dispendio, perché ti trovi
a girare su questioni che effettivamente non mettono in gioco l’elemento
linguistico, nel senso che non lo giocano ma che continuano a “portarlo” fuori
e dentro dalla struttura e questo mi è dato dalla questione che trovo tuttavia
molto interessante per i possibili sbocchi però invece che aiutare il mio
pensiero comporta dei limiti, perché forse non riesco a interrogare bene la
questione, ma proprio questa dell’universale e del particolare, del gioco della
verità sub specie æternitate che è data dall’universale e invece da questo
gioco che è vero le regole, l’inferenza può funzionare in un certo modo ma è
come se il mio pensiero ragionasse utilizzando sillogisticamente la struttura
per cui mi trovo ad accogliere delle conclusioni invece che altre, cioè proprio
come se fosse veramente una babilonia….il linguaggio costruisce delle
proposizioni vere ma fondate sull’ultimo elemento che è intervenuto dieci
minuti prima
È il
modo di pensare corrente. Immaginate una mamma preoccupata per la figliola
piccolina che dovrà crescere, ora questa mamma ha avuto una serie di problemi e
ha in animo di evitare di ripetere questi problemi alla sua figlioletta e
quindi si adopera che questa figlioletta non incontri una serie di problemi e
allora dice: se faccio così allora per esempio non si sentirà abbandonata, se
faccio cosà allora non si sentirà un’incapace, in modo da evitare che questa bimbetta
possa incontrare lungo la sua crescita un qualunque problema, ora invece accade
che a una certa età questa bimbetta le si rivolti contro nonostante abbia fatto
di tutto per renderla felice. Ma cosa significa fare di tutto per spianarle la
via, esattamente? Togliere tutti i problemi, tutto ciò che può costituire un
problema, ora l’unico modo per operare una cosa del genere è bloccare il
linguaggio, arrestarlo, solo a questo punto non ci sono più problemi, né la
possibilità di crearne e neanche di pensarne, allora se sarà sempre vicinissima
a quella bimbetta, allora lei l’accuserà di esserle stata troppo vicina, se si
allontanerà dalla bimbetta allora quella bimbetta potrà accusarla di esserle
stata lontana, se dà tutto ciò che desidera a quella bimbetta allora la
bimbetta potrà accusarla di averle tolto ogni possibile desiderio, se non dà
nulla a questa bimbetta il contrario. Ora naturalmente se la mamma è
sufficientemente abile cercherà di trovare una via di mezzo, ma toglierà i
problemi con questo? Riuscirà a impedire che il linguaggio, che è strutturato
per creare e risolvere problemi possa cessare di fare una cosa del genere?
Riuscirà in questo? Come vi dicevo l’unico modo per operare una cosa del genere
è bloccare il linguaggio. Questo per dirvi che tutto ciò che il linguaggio crea
di per sé non è né bene né male, crea sequenze di proposizioni, sappiamo come
le crea, si premura di verificare che la conclusione cui giunge non contraddica
la premessa da cui è partita, se non la contraddice allora può proseguire e
quindi dice che quella conclusione era vera. Dove porterà questa conclusione?
Ad altre proposizioni naturalmente, quando c’è un’aspettativa, dicevamo tempo
fa, rispetto a una sequenza di proposizioni quella che conclude viene salutata
con grande entusiasmo e quindi ripetuta, ripetuta all’infinito, così come si
gioca all’infinito una partita, ci sono persone che giocano a carte per giorni,
mesi, anni senza fermarsi mai e sempre magari lo stesso gioco. Può essere poker
o scopone scientifico: le regole sono sempre quelle, le carte sono sempre
quelle, in fondo le variazioni non sono un granché, però è un po’ come i
bambini che si fanno raccontare sempre la stessa storia all’infinito, traggono
nel particolare, ogni volta, una piccola differenza anche se si ripete sempre
lo stesso gioco, e li emoziona parecchio, quindi una differenza che è
sufficiente per invogliarli a ripetere il gioco un’altra volta, se no non lo
ripeterebbero più, e allora in effetti ciò di cui si tratta a questo punto non
è sgominare il nemico o debellare il male cioè togliere il problema, perché
questo non si toglierà, ma quand’è che questioni che sì, possono essere
risibili, infantili, nel senso che giocano con regole molto banali, molto
semplici un po’ come giocare con i soldatini, quand’è che queste cose si
abbandonano? Badate bene, non è necessario abbandonarle, però accade che questo
si verifichi, dicevamo anche tempo fa: quando cessano di essere interessanti,
ma quando cessano di essere interessanti? Quando non producono più delle forti
emozioni, e quando non producono più delle forti emozioni? Beh quando ci si può
giocare con queste cose, giocare in una certa accezione e vale a dire quando
questi giochi che si fanno e che si ripetono all’infinto, che è poi la stessa
questione che ciascuno rileva nei confronti dall’analizzante, si cessa di
credere che siano importanti, perché una questione si ripete se è importante se
no, no, cosa vuole dire che è importante? Che si trae del piacere dalla
ripetizione di quel gioco, si trae piacere e quindi lo si ripete, e non è che
proibendosi di giocarlo questo dia meno piacere, assolutamente no, si continua
a giocarlo, si continua a giocarlo mettendo di volta in volta qualche elemento,
in fondo ciò che diceva Beatrice può essere inteso in modo più preciso, come
dire: io non voglio abbandonare questo gioco, come faccio ad abbandonarlo? Ma
se non lo vuole abbandonare perché dovrebbe farlo? È una domanda legittima, non
è forse che proprio continuando a giocarlo questo gioco cessa di interessare e che
magari invece il modo per potere continuarlo è arrestarlo ogni volta prima che
mostri di cosa è fatto? Forse è proprio a questa condizione che è possibile
continuare a giocarlo, è vero quello che diceva Beatrice, lo si continua a
giocare finché non si sa che cosa lo sostiene e quindi, per potere continuare a
giocarlo, occorre non sapere che cosa lo sostiene e per non saperlo occorre
arrestarlo ciascuna volta. Uno dei modi per arrestarlo è quello di dirsi che è
una stupidaggine, che si è stufi di giocare sempre lo stesso gioco, è uno dei
tanti modi, a quel punto lo si abbandona perché non è possibile stare ancora a
fare quei giochi da bambini e quindi lo si arresta ma in alcuni casi è evidente
come questo arresto abbia l’unico, precipuo ed efficacissimo scopo di impedire
di accorgersi di cosa è fatto. Considerandolo per esempio una cosa malvagia o
comunque disdicevole, chiunque pensa a questo modo delle cose dalle quali
desidera liberarsi e si rivolge a uno psicanalista proprio perché lo liberi da
una cosa del genere, ma perché dovremmo liberarlo se è quello che vuole? Il
problema è che lui, il tizio in questione, non vuole affatto liberarsene e
troverà, escogiterà tutti gli stratagemmi per non liberarsene affatto perché è
come se “sapesse” tra virgolette, che questo gioco può continuare a condizione
che non lo interroghi e cioè che non prosegua a giocare questo gioco, cioè
arriva fino ad un certo punto e poi si ferma perché andare avanti minaccia il
gioco stesso, anche la politica funziona così, la politica quella spiccia:
fornire alcune indicazioni ma quelle che servono a mantenere il gioco sempre
sulla corda e mai fornire quelle informazioni che potrebbero dire di che cosa è
fatto quel gioco, perché a quel punto c’è la forte possibilità che le persone
cesserebbero di giocarlo e quindi cesserebbe il politico in questione di avere
il consenso. Ciò che diceva Sandro “giungere ad essere analisti del proprio
discorso” è questione antichissima ma che mantiene una certa validità.
Ascoltare il proprio discorso non è nient’altro che questo: avere il fegato di
continuare il gioco che si sta facendo anziché arrestarlo, e proprio quel gioco
che si afferma con tanta risolutezza che si vuole abbandonare, continuarlo, e
allora ecco che a quel punto mostra di cosa è fatto se no, no. La retorica sa,
da quando esiste la retorica stessa, che se io voglio che qualcuno esegua i
miei ordini occorre che questi ordini siano impartiti in modo tale da fare
credere che siano assolutamente veri e che siano troncati al termine dell’ordine
stesso, e che non segua nessuna spiegazione e per nessun motivo, allora
verranno eseguiti con sicurezza e determinazione, se io incomincio a spiegare
di cosa sono fatti questi ordini quell’altro comincerà a chiedermi delle cose,
comincerà a porre dei dubbi, delle obiezioni. Funziona esattamente allo stesso
modo per la persona nei confronti del suo stesso discorso, retoricamente sa,
anche se nessuno glielo ha mai insegnato, che se andasse avanti lungo quella
via ciò che sta dicendo cesserebbe di essere così credibile e quindi così
emozionante, perché è emozionante solo se è credibile, se non è credibile cessa
di essere emozionante. In una analisi è la cosa più difficile fare in modo che
la persona vada oltre il punto in cui ha “deciso” per così dire, il suo discorso
ha deciso di andare avanti, spingerla oltre a quel punto, è questo che facciamo
quando parliamo di portare le cose alle estreme conseguenze, andare oltre a
quel limite imposto dal discorso a se stesso discorso, perché non ci vuole
andare…
Intervento: stavo pensando questo vanifica un po’ tutto il discorso… la questione
della pulsione di morte della psicanalisi, lei quando parla di arresto e della
possibilità in questo modo di poter ripetere per poterlo mantenere il gioco in
qualche modo sta riscrivendo tutta la questione della ripetizione, è un qualche
cosa che è una riapertura di tutto un percorso e quindi in qualche modo si è
vanificato tutto quanto, perché in qualche modo il gioco si ripete? A partire
del gioco del rocchetto di Freud ecco questo… l’aspetto che lei pone è di
poterlo giocare questo gioco, di fare di tutto per poterlo giocare questo gioco
nel senso che lo vuole giocare forse è l’aspetto essenziale secondo me
Perché
semplicemente il discorso vuole continuare a costruire delle proposizioni vere,
per questo motivo, non ce ne sono altri…
Intervento: questo discorso è di una sovversione incredibile, anche da parte nostra
bisogna sottolineare maggiormente questo aspetto che non è mai stato
considerato in questo modo, però in un certo senso è l’unico modo per capirci,
sì merita di essere considerato…
Cosa
voleva dire Beatrice?
Intervento: sì lei ad un certo momento in questo discorso infinito che la persona
ferma per cui se proseguisse si accorgerebbe di cosa è fatto quindi di quelli
che sono i giochi particolari tutto sommato e quindi le regole che sostengono
il proprio modo di pensare… lei parlava dell’ordine ad un certo momento come se
il discorso si impartisse un ordine per continuare a giocare quel gioco per cui
ad un certo punto interrompe il gioco, ecco ma questo non fa parte del discorso
della persona, ciò che sostiene il discorso della persona? è uno dei suoi
fondamenti perché se riuscisse a intendere perché e come interviene
quest’ordine
Certo,
non lo può fare da sé, per questo occorre un analista che lo “costringa” fra
virgolette a fare questo…
Intervento: perché l’ordine che si da ad un certo momento non considera più degli
elementi linguistici quelli che intervengono perché sono noiosi, perché
irritanti, perché sono stupidi soprattutto, e di fronte alla stupidità e forse
anche alla monotonia di quello che ripropongono non accoglie che è un ordine
cioè qualcosa che funziona come un programma nel suo discorso
Certo
che no, ma questo avviene in qualunque conversazione, basta che provi ad
interrogare una persona oltre ai limiti che quella persona è disposta ad
accogliere e comincerà a dire che la sta infastidendo con delle stupidaggini se
continua a chiedere il perché delle cose, e il discorso fa esattamente la
stessa cosa…
Intervento: però in un percorso analitico laddove l’analista vuole poter muoversi
velocemente su certe questioni, forse questo è parte sempre del desiderio,
dell’attesa… è chiaro che il riproporsi di elementi che riconosce come
produttori di giochi che infestano… già parlare di giochi che infestano
È
emblematico sì, già da una direzione ben precisa. Va bene, ci vedremo martedì
prossimo.