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28-3-02

 

La proposizione vera

 

Stiamo considerando l’eventualità che l’unico scopo del linguaggio sia quello di proseguire se stesso e che il linguaggio possa fare questo asserendo di volta in volta delle proposizioni vere. Chiamiamo proposizioni vere unicamente quelle proposizioni che consentono al discorso di proseguire e false quelle che glielo impediscono; chiaramente saranno vere quelle definite e stabilite tali dalle regole del gioco che si va facendo ovviamente, all’interno di tali regole alcune proposizioni soddisfano certi requisiti e sono quelle che chiamiamo vere, queste consentono al discorso di andare avanti e pertanto in qualunque discorso l’obiettivo non è altro che quello di potere stabilire mano a mano che prosegue delle proposizioni che rispondono a tali requisiti e cioè che siano vere per potere proseguire, e quindi per poterne costruire altre poiché di fronte a proposizioni false non è possibile costruirne altre. Pare in prima approssimazione che non ci sia all’interno del linguaggio nessun altro obiettivo se non questo. Questo comporta il fatto che ciascuno parli esattamente per questo motivo, per costruire delle proposizioni che il discorso stesso riconoscerà come vere e pertanto gli consentiranno di costruirne altre, e se fosse tutto qui? In effetti ci risulta difficile trovare qualche altro motivo per cui si parli, possiamo sicuramente inventarne un certo numero di motivi sul perché si parli, per esempio trasmettere informazioni… è un buon motivo anzi, adesso c’è un’industria notevole su questo: la trasmissione di informazioni, però questo ci sposta soltanto la questione, perché trasmettere informazioni? Diciamola così “per il proprio benessere” qualunque esso sia, sia per sentirmi meglio, sia per arricchire le mie finanze, ma questo perché? Perché si dovrebbe fare una cosa del genere? Perché credo che così succederà qualcosa di buono, perché per esempio starò meglio? Posso crederlo. Cosa vuol dire che credo una certa cosa se non che immagino che sia vera, che sia o che lo sarà. Ché se pensassi che tutto questo è falso allora non lo farei, anche perché bisogna sempre tenere conto di un aspetto fondamentale: talvolta mi capita di parlare di qualcuno che fa una certa cosa per un certo motivo, quando dico questo “qualcuno” in realtà sto parlando del linguaggio, è ovvio e inevitabile, quando dico che qualcuno fa qualcosa per il suo benessere, sto parlando del linguaggio che costruisce proposizioni che affermano questo, nient’altro, il che rende tutto più semplice per un verso e più complesso per l’altro, ché talvolta sembra più semplice immaginare che ci sia qualcuno che fa, disfa ecc. anziché un linguaggio e cioè questa serie di istruzioni di cui stiamo parlando ultimamente che costruisce proposizioni, le quali proposizioni si connettono tra loro. È sempre a seconda di quali sono ritenute vere o più probabilmente vere e il linguaggio insegue questo obiettivo, e gli umani pertanto inseguono questo obiettivo, tutto è pilotato unicamente da questo, da quali proposizioni sono o risulteranno vere e, eventualmente, reperire le condizioni attraverso le quali saranno vere. Provate a immaginare per un istante che la questione sia semplicemente questa, nient’altro che questa, un sistema, tutto sommato effettivamente semplice cioè il linguaggio, il quale procede costruendo proposizioni cioè inventando se stesso e per fare questo deve trovare per la sua stessa struttura quelle proposizioni che non siano autocontraddittorie ovviamente e che siano riconoscibili come vere all’interno della sua struttura, e cioè delle regole che mano a mano il linguaggio stesso stabilisce. Una proposizione vera non è altro che una proposizione che soddisfa certi requisiti per cui ha le istruzioni sufficienti per costruirne altre, quella falsa no, non ha le istruzioni sufficienti Intervento:

Sì, infatti di fronte a una affermazione falsa, dal momento in cui è rilevata falsa dal linguaggio, il linguaggio si arresta, come dire che in quella direzione non prosegue, cioè le istruzioni dicono “di qua non puoi andare” dice solo questo, perché? Perché contraddice le premesse da cui muovono. Una proposizione chiamata falsa è quella che, per dirla così, in modo provvisorio, non ha istruzioni sufficienti per costruirne altre. Ora tutto questo dove ci porta?

Intervento: quando è falsa non ha più le istruzioni per proseguire, non è più utilizzabile dal discorso.

Dice proprio questo: non è utilizzabile per costruire altre proposizioni, perché il linguaggio per funzionare non può andare in tutte le direzioni a trecentosessanta gradi, deve andare in una direzione, perché? È fatto così! La sua struttura è questa, impedisce che sia possibile andare in tutte le direzioni, ché se fosse possibile, così come è combinato cesserebbe di funzionare, così come nel caso in cui ciascun elemento linguistico significasse simultaneamente tutti gli altri, non funzionerebbe più, quindi per potere funzionare devono essere operanti alcune regole di esclusione, così le abbiamo chiamate, come dire: questo non è possibile, per giocare a poker devi prendere cinquantadue carte e non quattrocento, e neanche gli scacchi, oppure la dama. Ma dicevo dove ci porta tutto questo? Se noi provassimo a considerare per esempio di fronte a un analizzante che anziché una persona sia il linguaggio che sta funzionando, ne trarremo qualche vantaggio? Oppure sarebbe assolutamente indifferente? Perché supponendo che sia il linguaggio che sta funzionando, sapremmo anche che il linguaggio non ha nessun altro obiettivo che di stabilire di volta in volta una proposizione vera, ché da lì può costruirne un’altra ancora ecc. supponiamo che una persona ci stia dicendo che ha l’angoscia, la fobia, o che ne so? Ci sta dicendo qualcosa in quel momento? Forse, però sta anche affermando che ha la fobia, sta semplicemente affermando che ha qualcosa che crede vero o sta affermando anche qualche altra cosa? Potrebbe non essere semplicissimo rispondere a una domanda del genere, perché in genere ci dice anche che non la vuole questa fobia, anche perché se non la volesse non sarebbe venuto da noi, se ne starebbe tranquillo a casa sua a godersi la sua fobia, cosa che potrebbe fare benissimo, ma abbiamo anche visto in varie circostanze perché è costretto a dire che non la vuole e quindi a ricorrere all’intervento per esempio di uno psicanalista per sbarazzarsene, questione paradossale, abbiamo detto un miliardo di volte che se non volesse quell’angoscia non ce l’avrebbe, molto semplicemente, nessuno lo costringe ma anche semplicemente per il fatto che può continuare a provare l’angoscia a condizione che si sottragga alla responsabilità di tale angoscia, perché se giungesse a considerare che l’angoscia è una sua creazione perché gli piace, e non c’è nessun altro motivo, allora non la godrebbe più allo stesso modo, non sarebbe più possibile che tale angoscia produca in lui tutte quelle emozioni e quelle sensazioni che invece generalmente produce, perderebbe il suo scopo e cesserebbe di essere angosciato e sarebbe costretto ad andare a cercare altrove altre emozioni, come talvolta accade. Ma dunque è solo per questo che ce lo comunica? Perché stando a ciò che abbiamo affermato in precedenza, per questa persona il fatto di avere l’angoscia è sicuramente vero, e quindi da qui può continuare a costruire tutta una serie di cose che per lui appaiono importanti ma, dicevo, è soltanto questo o c’è qualche altra cosa oltre al fatto di comunicarci che non vuole la sua angoscia? Tant’è che è venuto per questo motivo, oppure in effetti è soltanto così, ce lo ritroviamo nello studio soltanto perché non vuole accogliere la responsabilità, ché accogliendola si dissolverebbe tutto, cesserebbe di provare tutte le forti emozioni che seguono necessariamente a qualcosa che è considerato vero

Intervento: potrebbe anche non avere gli strumenti per non provare angoscia

questo è un altro discorso

Intervento: che l’angoscia è un elemento linguistico) non lo deve sapere se vuole provare angoscia

È possibile certo, però di fatto se la è prodotta, e se l’ha prodotta ha sicuramente dei buoni motivi, ha degli ottimi motivi per mantenerla, sì e viene a chiedere a noi di sbarazzarlo di questa, posizione bizzarra in effetti…

Intervento: ha l’opportunità di parlare della sua angoscia.

Soprattutto, certo, e in ogni caso gli consente anche una ulteriore operazione che è quella di avere un riferimento: una persona che ha l’angoscia o qualunque altro acciacco, modella la sua esistenza in base a quest’acciacco, come dire che questa è la cosa vera e quindi tutto ruota intorno a questo, funziona da orientamento, per una persona in genere la sua nevrosi è il suo orientamento, la direzione che deve seguire perché lì c’è il vero, non solo ma sicuramente il vero che produce effetti maggiori, forse è soltanto perché consente di produrre un maggior numero di proposizioni cioè consente al discorso di andare avanti in modo più spedito, più veloce come dire è sempre un argomento pronto, è sempre un riferimento, un orientamento disponibile, perché dicevo fosse soltanto questo che sta dicendo, questo renderebbe conto in effetti della complicazione di una analisi, già Freud aveva colta la questione, non volere sbarazzarsi, in effetti perché dovrebbe? La stessa questione dei cosiddetti drogati, i drogati molto difficilmente smettono di drogarsi, perché non trovano nessun motivo per smettere, così come il nevrotico, difficilmente molla il suo tic o le sue superstizioni, perché dovrebbe farlo? Per stare meglio? Ma cos’è stare meglio? Per lui stare meglio è quello, per cui il fatto che si rivolga a qualcuno è soltanto per sancire e sottolineare e ratificare la sua non responsabilità e cioè per potere continuare a stare male e cioè a stare bene. Ecco perché, come dissi tempo fa, in effetti non c’è nessuna guarigione in una analisi se non una conversione immettendo all’interno di un sistema un’altra verità, un’altra verità che abbia l’occasione di produrre effetti simili, o almeno simili, come dire che qualunque forma di terapia è comunque sempre religiosa, anche per questo in parte occorre inventare una psicanalisi che sia tutt’altra cosa, ho dei seri dubbi che un percorso analitico così come è stato pensato da quando esiste la psicanalisi produca degli effetti di qualche interesse, perché è chiaro che se io intervengo e mostro alcuni aspetti e faccio intendere che attraverso l’intendimento di alcune cose la persona starà meglio, se questa persona mi crederà starà meglio, se no, no. E anche per questo che è impossibile fare analisi con una persona che non vuole fare analisi, provateci voi, è impossibile. E allora a questo punto sì, inventare un’altra cosa che chiameremo psicanalisi, e sarà l’unica, l’unica teoria possibile, praticabile, tutte le altre appariranno risibili, e tutto questo passando unicamente attraverso la considerazione che ciò che avviene in quel momento non è altro che il linguaggio all’opera, nient’altro che questo, che la persona affermi che stia soffrendo, che stia gioendo, che stia facendo chissà che, che importanza ha? Sta soltanto, il linguaggio, affermando qualcosa che all’interno della sua struttura è considerata vera e pertanto l’afferma. Potrebbe essere una cosa straordinariamente semplice, almeno teoricamente, però questo non ci rende conto ancora, ammesso che sia di qualche interesse cosa che è da valutare, del perché alcune cose all’interno di un discorso vengano credute vere e altre no, potrebbe anche essere casuale, tutto sommato non mi sembra un’ipotesi così strampalata, casuale e cioè determinata da un numero sterminato di variabili che possono intervenire; è un po’ la domanda che si poneva Freud: perché uno diventa isterico anziché paranoico, difficile dire, una volta che vediamo che ci sono dei tratti che sono paranoici, possiamo intendere varie cose ma sapere perché è paranoico anziché schizofrenico mah… perché se lancio un dado viene sei anziché due? Sì certo, è possibile riuscire a saperlo, ma occorrerebbe tenere conto di una quantità tale di variabili che il gioco diventa arduo oltre al fatto, torno a dire, che non è neppure sicuro se sia così interessante saperlo, interessante cioè serva a qualcosa. Perché a questo punto la psicanalisi di colpo diventa l’unico mezzo per imparare a pensare, e cioè per potere pensare come dicevamo la volta scorsa in modo assolutamente libero, libero da tutte le superstizioni, le credenze, che il linguaggio costruisce, sì perché è sempre il linguaggio a fare tutte queste operazioni. Dicevamo la volta scorsa che non c’è accesso al sistema operativo se non attraverso una quantità enorme di operazioni che sono quelle che abbiamo fatte, non c’è nessun accesso. Tempo fa abbiamo considerato questa questione non ricordo più dove né perché, di come sia possibile una cosa del genere, io dico qualcosa, affermo qualcosa qualunque non ha importanza, dopo di che il linguaggio cosa mi consente di fare? Di affermare che esiste, e cioè l’affermare che cosa? Che c’è, che è lì, lì dove? Da qualche parte. Da qualche parte e a questo punto ovviamente potrei sì, affermare che è lì nel linguaggio, ma perché dovrei farlo? Cosa mi consente di farlo? Il linguaggio? Sì, teoricamente sì, però non è così immediato. Che cosa esiste? Chiaramente ciò che sto dicendo, l’unica cosa di cui posso affermare che esista, c’è, è lì una volta che l’ho detto, è lì in qualche modo; è a quel punto che accade qualche cosa per cui sono indotto a pensare che le cose esistano indipendentemente da me, per esempio il fatto che una volta detta qualche cosa, questa qualche cosa non mi appartiene più, una volta detta non so cosa le succederà, non mi appartiene più. Supponiamo che sia così dunque per il momento, non mi appartiene più e quindi è lì, indipendentemente da me e pertanto da me che l’ho detta, come se non facesse più parte del mio dire, questo potrebbe essere già un buon supporto, pensare che qualcosa esista indipendentemente da me che la dico, però anche qui non so fino a che punto possa essere di qualche interesse una considerazione del genere, è un’ipotesi certo, se io credo che ciò che ho detto, una volta detto non mi appartiene più, se diamo per buona questa cosa allora è facile mostrare come si costruisca questa credenza che esista qualcosa fuori dal linguaggio. Ma è sufficiente che io non accolga questa premessa ché la cosa diventi più complicata, non appartiene più, che cosa vuol dire questa cosa?

Intervento: solo al momento in cui la dico cioè in atto mi appartiene di nuovo in qualche modo

non so neanche se sia necessario un ritorno

Intervento:

chiaramente De Saussure diceva queste cose in un’accezione molto particolare, e cioè per quanto riguarda l’uditore, cioè dico una certa cosa e non so cosa ne sarà per altri di ciò che io ho detto, poi altri hanno rincarato la dose dicendo cosa ne sarà per me di ciò che io ho detto, certo posso saperlo oppure non saperlo, ma in ogni caso sarà stabilito dalle regole del gioco che in quel momento sto facendo, sono queste regole che decideranno il da farsi di questa cosa che io ho affermato. In ogni caso atteniamoci a ciò che può esserci utile in questo percorso, e cioè a questa considerazione che per il momento appare abbastanza solida, e cioè che il linguaggio per potere proseguire necessita di proposizioni che possono essere chiamate vere, da chi? Dalle regole del gioco che si sta facendo. Dicevamo prima con Cesare, per esempio nel gioco del discorso religioso, cristiano in particolare, se io affermo che dio esiste allora tutto il sistema può proseguire, se io affermo, all’interno di questo sistema, che dio non esiste ecco che allora tutto si blocca, non posso più andare avanti da nessuna parte, all’interno di un sistema religioso chiaramente, cioè occorre che sia vera una proposizione per potere costruire altre cose, se io invece affermo il contrario no. Come potremo intendere ciò che è stata chiamata nevrosi all’interno di tutto ciò? La nevrosi non fa altro che confrontarsi con qualche cosa che non riesce a stabilire con assoluta certezza in linea di massima, sempre presa in un dubbio o in un ripensamento, se ci pensa prima è il discorso ossessivo, se ci pensa dopo è il discorso isterico, se fa in modo che ci pensino gli altri c’è il discorso paranoico…

Intervento: se non ci pensa per niente è il discorso schizofrenico?

qualcosa del genere, ma in tutti questi discorsi, in queste figure retoriche, perché non sono altro che questo, ciò che funziona non è altro che il potere stabilire che cosa è vero: prendete il dubbio del discorso ossessivo, perché c’è un dubbio se non perché ci si immagina che qualcosa possa essere vera o falsa e non si riesce a…

Intervento:

il discorso isterico fa lo stesso solo che viene dopo, prima fa, e poi si pone la stessa questione, e così in ciascun altro discorso, certo non è esattamente la stessa cosa, sono tic differenti, però l’ambizione è la stessa, stabilire che cosa è vero, cambia solo il modo; si tratta anche di verificare, vedete quante sono le questioni che sorgono, di verificare in ambito di un progetto di tecnica psicanalitica se abbia oppure no qualche interesse distinguere fra queste strutture di discorso, può anche darsi che non ne abbia nessuno, che ne abbia soltanto così, a livello folcloristico, può anche essere, anche perché considerate: viene in analisi un paranoico, continuerà a affermare continuamente la verità, come stanno esattamente le cose cercando di fare in modo che anche voi ci crediate (non fatelo perché se no vi abbandona), ma non fa nient’altro che questo. Una tecnica deve chiaramente volgere tali affermazioni in riflessioni intorno a cosa consentano tali affermazioni, perché se non si pongono tali condizioni sì, si possono ottenere anche degli effetti lo stesso, però sono effetti religiosi, ché gli si fornisce un’altra religione. Nel discorso paranoico c’è una stima smisurata nei vostri confronti, per esempio, vi mette al posto di dio, ecco che allora vi seguirà ciecamente perché avrà preso la vostra verità, che avrà fatto sua, fino al momento in cui non penserà di averla acquisita del tutto, come dire: ciò che la psicanalisi fino ad oggi ha potuto ottenere è qualche cosa che comunque è sempre molto aleatorio, ché così come è strutturata non toglie affatto la necessità di credere in qualcosa di vero, non la toglie, può spostarla, allentarla momentaneamente, sviarla ma non la toglie affatto, mentre ciò che occorrerebbe che la psicanalisi facesse è proprio esattamente togliere tale necessità, ma come la toglie? La toglie non cercando più che cosa è vero, perché l’ha già trovato, e pertanto non ha più la necessità di stabilire se ciò che afferma è vero o falso per esempio, perché sa, e non può non saperlo, che non è né vero né falso. Può piacergli oppure no, ma non è né vero né falso e quindi ciascuna volta la direzione che prende il suo discorso, il vero, chiamiamolo così, è un vero relativo al gioco che sta facendo esattamente come so che giocando a poker sono vere certe regole, ma non mi periterei mai di porle a fondamento della mia esistenza, è questo che dà una libertà fuori di ogni misura, so che qualunque affermazione il mio discorso faccia, che fa continuamente perché non può non farlo, non può non affermare qualcosa che è vero all’interno del gioco che si sta facendo, ma vero all’interno del gioco che si sta facendo, esattamente come quando gioco a poker, niente di più e niente di meno, perché so perfettamente che le regole di quel gioco non sono affatto necessarie, anche se so che è necessario che ci sia un gioco e quindi delle regole, ma è necessario che ci sia un gioco, non quelle regole, che sono assolutamente arbitrarie di volta in volta, così come lo sono quelle del tre sette, perché so e non posso non sapere che l’unica regola, l’unico gioco che non posso non giocare è quello che mi consente di giocare qualunque altro gioco, cioè il linguaggio, il quale linguaggio non ha altra ambizione se non quella di proseguire se stesso costruendo proposizioni che vengono riconosciute vere dalle regole del gioco che sto facendo, e quindi posso muovermi in assoluta libertà: non posso non giocare, continuamente, ininterrottamente, ma sono giochi, e gioco divertendomi a giocare. È ovvio che in questo modo non vi è più la possibilità di credere che una cosa sia vera al di fuori di quel gioco e pertanto fuori dal linguaggio, e quindi non posso in alcun modo costruire una paura, un’angoscia, una fobia, non ho più gli strumenti per farlo, non ci sono più, non potrei neanche volendo, potrei farlo per gioco, ecco, giocare all’angoscia paradossalmente, però…

Intervento: si tratta di inventare una tecnica perché per molto tempo l’analizzante pensa di fare solo un gioco, un certo gioco e quindi vuole sapere a che gioco sta giocando.

Forse, certe volte viene da pensare che una persona venga in analisi non perché si è interrogata particolarmente su certe cose, magari può anche accadere, ma la più parte dei casi sia semplicemente per potere confermare che questo suo disagio non è una sua responsabilità, tenete conto che la più parte delle persone si rivolge a un analista non sapendo assolutamente nulla di nulla, per cui non è che ci sia una sorta di pensiero, semplicemente si rivolge a qualcuno per un aiuto, a fare che? Per liberarsi di ciò che lui stesso sta mantenendo e ha costruito, perché? È chiaro che ci sono delle eccezioni, ovviamente e fortunatamente, però molte volte è così e di questo occorre tenere conto. So benissimo che le cose che stiamo dicendo ultimamente sono cose molto vaghe, il più delle volte ancora farraginose, ma ci stiamo muovendo in un campo assolutamente inesplorato, dove non è facile muoversi, abbiamo un buon orientamento e un buon criterio per andare avanti, piuttosto solido, però siamo ancora lontani dall’avere costruito una teoria del linguaggio. Però appaiono molti gli aspetti da considerare tanto più tenuto conto che questa teoria del linguaggio di fatto costituirà, insieme alle considerazioni sulla logica, il fondamento della teoria della psicanalisi e questa sì, sarà effettivamente la cosa più notevole che abbiamo mai fatta, perché dopo non sarà più possibile a qualunque altra psicanalisi sostenersi, nel senso che avranno la forma della favola di Cappuccetto rosso e la stessa credibilità, e la stessa fondatezza. Sa perché facciamo questo Beatrice?

Intervento: portare l’analizzante a divertirsi, ad essere analista anche lui

se ha voglia di farlo, certo. Considerazioni intanto? Non sto dicendo che sia una cosa semplice, però vedo le condizioni per poterla realizzare una teoria psicanalitica, mi diverte l’idea di costruire una psicanalisi che funzioni come una teoria talmente potente da essere inattaccabile, inconfutabile, e così deve essere ovviamente se vuole porsi come l’unico modo per potere pensare, a questo punto il fatto che si tolgano i vari acciacchi è una cosa assolutamente irrilevante e marginale, anzi direi che a quel punto le persone si rivolgeranno alla psicanalisi proprio per questo, per diventare degli intellettuali ma nell’accezione più forte del termine, persone che sanno pensare, e quindi affrontare qualunque cosa nel modo migliore, più efficace e più veloce e mossi da un raptus di ambizione sfrenata dicevamo di volere costruire una scuola che nulla abbia a che fare con le istituzioni, e dove si producono persone che sanno pensare, sanno pensare perfettamente e molto velocemente. Persone del genere possono essere utilissime oltre che a se stesse anche ad altri, forse sono gli psicanalisti a questo punto, perché no? Lodari ritiene il nostro progetto troppo ambizioso?

Intervento: ….

che cos’è il linguaggio? Ciò che mi consente di chiedermelo, le pare una buona risposta? È chiaro che ciò che mi consente di chiedermelo è tutta una serie di strutture, di regole, procedure in atto, dicevamo che è ciò che consente agli umani di dirsi tali e qualunque altra cosa, consente di pormi domande che mi fanno esistere. Bene non è semplice costruire una teoria del linguaggio anche perché nei vari aspetti di cui mano a mano mi trovo a tenere conto c’è sempre questo viraggio verso la psicanalisi che sempre più mi interessa in questo senso, posta in questi termini. Occorre che la psicanalisi sia questo, non può continuare ad essere una stupidaggine, che afferma cosa assolutamente gratuite e costruite su niente.