28-2-2002
Il
criterio di verità
Prima
di incominciare volevo chiedervi se avete lette le paginette che vi ho date
(Grammatica della logica) e se ci sono delle considerazioni…
Intervento: cosa intendiamo con sistema logico?
Un
sistema coerente cioè non contraddittorio di istruzioni per la costruzione e
l’uso di proposizioni…
Intervento: la domanda mira proprio a questo: la premessa è necessaria se e soltanto se
partecipa della composizione della proposizione
Sì,
partecipa della proposizione ma è detto in modo un po’ ambiguo, ha fatto bene a
segnalarlo, perché “partecipa alla composizione” è un elemento molto vago, è un
elemento che è necessario per la costruzione di una proposizione quindi fa
parte di questo sistema, soltanto a questo punto, a queste condizioni possiamo
affermare che un elemento è necessario, è la distinzione che facevamo anche la
volta scorsa tra arbitrario e necessario, arbitraria è qualunque cosa che può
essere modificata senza che il sistema si arresti, che si blocchi, e quindi
scompaia nel nulla, con necessario intendiamo invece ciò che in assenza di tale
elemento rende impossibile il funzionamento di tutto il sistema, per cui tutte
le costruzioni che vengono fatte o possono farsi sono arbitrarie, perché
possono farsi quelle e anche le loro contrarie, il linguaggio non si ferma per
questo, posso costruire qualunque cosa, posso dire qualunque cosa ma il
linguaggio non si ferma, se invece io modifico uno di questi elementi che
chiamo necessari, allora il linguaggio si blocca e non funziona più niente…
Sandro?
Intervento: diciamo che ritengo molto chiare le questioni riguardanti le regole di
esclusione e le regole inferenziali, sono le regole di formazione…
Dico
che le proposizioni sono riconosciute in quanto tali dalle altre proposizioni,
che appare una sorta di escamotage, cioè le proposizioni vengono riconosciute
come tali dalle altre proposizioni, e in effetti è così, come dire che un
elemento linguistico è tale se viene riconosciuto da altri elementi
linguistici, quindi facente parte della struttura, e non potrebbe essere
altrimenti, se non venisse riconosciuto sarebbe fuori dalla struttura e quindi
fuori dal linguaggio. Per costruire delle proposizioni occorre una serie di
elementi che grosso modo sono quelli indicati da una serie di istruzioni che
sono quelle che, per esempio in Italia, sono note come grammatica italiana,
come dire che la proposizione, per potere essere costruita occorre che abbia
una certa forma, per potere funzionare, per potere essere riconosciuta appunto
dalle altre proposizioni, perché solo a questa condizione vengono accolte come
tali, ora è chiaro che anche queste altre proposizioni che le riconosceranno
saranno costruite da questo stesso sistema di regole…
Intervento:
Sembra che le regole di formazione siano quelle che decidono se una
proposizione è vera o falsa cioè vale a dire se sia più o meno utilizzabile
cioè una proposizione che appartiene a quel gioco…) ecco qui, occorrerebbe
intanto non fare confusione: la propostone è vera o falsa? (lei inserisce la proposizione
vera proprio nella parte delle regole di formazione.
Sì,
vere rispetto a che cosa? Occorre stabilirlo, perché è chiaro che se noi
indichiamo con vere unicamente quelle proposizioni che non sono negabili allora
praticamente ce n’è una sola e qualche sua derivata, tutte le altre non è che
siano false, non sono né vere né false, cioè non possono essere provate e
quindi non possiamo dire che sono vere, e in effetti qualunque proposizione che
non sia una proposizione che afferma la necessità di ciò che occorre perché io
possa affermare questo, di per sé non è né vera né falsa, possiamo dire che è
indecidibile. Quattro assi sono un punteggio superiore a due sette, è vero o è
falso? È vero all’interno del poker, fuori da questo gioco non significa assolutamente
niente; il problema che gli umani incontrano generalmente è la sovrapposizione
tra ciò che è vero all’interno di un gioco e ciò che invece è necessariamente
vero e quindi costrittivo: se questa cosa è vera devo fare così, invece no, di
per sé non è né vera né falsa, è vera all’interno di quel gioco, se io accolgo
quel gioco allora è vera, se no non significa niente. A questo punto possiamo
distinguere, occorrerebbe un altro termine per maggiore chiarezza, però
utilizziamo questo per il momento, vero come necessario oppure vero all’interno
del gioco, cambia tutto, tutto ciò che è vero all’interno del gioco non lo
chiamiamo necessario perché è arbitrario, potremmo dire proposizioni
utilizzabili con Wittgenstein, però è sempre comunque ambiguo, è ambiguo perché
qualunque proposizione per essere utilizzabile occorre, come dicevo prima, che
sia riconosciuta da altre proposizioni, per cui non pone neanche la questione
del vero e del falso, è proprio tale rispetto al gioco, il gioco ha delle
regole rispetto alle quali io posso stabilire se una cosa è vera o falsa. Dico:
“se questa cosa passa questa linea è vera, se rimane di qua è falsa”,
stabilisco dunque questa regola e da quel momento in poi so che cosa è vero e
che cosa è falso, ma è un criterio assolutamente arbitrario, ciò che invece ho
inteso fare in queste paginette è incominciare a porre un criterio che non
fosse arbitrario perché il problema sta tutto lì, nel criterio che viene
utilizzato, una volta che si accoglie un criterio poi è chiaro che si procede
in modo corretto, preciso, rigoroso, tutto quello che si vuole, ma è il
criterio che può sempre essere messo in dubbio, il criterio di verità.
Affermare proposizioni che, almeno in ambito teorico, abbiano la pretesa di
affermarsi come vere, nessuno costruirebbe una teoria sapendo che sta dicendo
un sacco di stupidaggini…
Intervento: però all’interno di un gioco io non posso non costruire proposizioni
vere, perché altrimenti non farei quel gioco.
No,
certo che no, è una contraddizione in termini, come dire che non posso, se
voglio giocare a poker, tirare muorigli scacchi, perché se fa quel gioco allora
questo significa che ha accettato le sue regole, se sta facendo quel gioco, se
ha accettato le sue regole, allora le regole sono quelle, non ha nessun senso
che lei non le accetti perché allora non fa quel gioco. Dicevamo del criterio,
fondamentale questione, una sorta di linea di demarcazione, quale criterio
utilizzare? Che cosa distingue una cosa interessante da una stupidaggine? Il
criterio che ciascuno utilizza. Ora il problema è sempre stato quello di
trovare il criterio di verità, ché io posso affermare: “questa cosa che sto
dicendo è vera!” ma potrebbe sempre saltare su qualcuno e chiedermi, perché? E
mi toccherebbe rispondere in qualche maniera, certo potrei rispondergli come si
risponde generalmente, “perché sì” di fatto le teorie non rispondono in modo
molto diverso da questo, ma supponiamo che ci sia qualcuno che non sia
soddisfatto da questa risposta, può accadere, e che gli diciamo? Magari è improbabile che ci sia questo
tizio, però supponiamo che ci sia, io già sarei uno di quelli, a questo punto
come sapete il criterio di verità è sottoponibile, lui stesso, a una prova e
qui il processo rischia di diventare infinito, come si chiedeva Wittgenstein,
chi dimostrerà la dimostrazione? Tant’è che in quest’ultimo secolo una serie di
problemi connessi soprattutto in ambito matematico, logico, connessi con questa
domanda intorno ai criteri hanno provocato una serie di disastri, in che cosa è
consistita la cosiddetta crisi dei fondamenti? Ci si è accorti che tutto ciò su
cui ci si fondava era arbitrario, da qui il panico generale, ma il panico
generale tutto sommato è immotivato, perché si poteva saperlo benissimo già da
prima che essendo tutto assolutamente arbitrario era confutabile, già gli
antichi lo sapevano, qualunque affermazione è possibile immetterla all’interno
di una stringa, di una combinatoria tale per cui è sempre possibile provare che
è vera o che è falsa a seconda dell’umore del momento, e perché è possibile
fare questa operazione? Perché si muove da premesse arbitrarie. Non c’è altro,
se le premesse sono arbitrarie che problema c’è? Io immetto un comando
all’interno di questa procedura, un comando che nega la validità di tutte le
procedure, di fatto poi è una cosa simile a quella che ha fatta Gödel, come
dire: tutto questo sistema è falso; ora se il sistema è completo deve contenere
anche questa proposizione, chiaramente devo anche provarla questa proposizione,
ma se riesco anche a provarla, allora il sistema o la contiene e allora è
autocontraddittorio, o non la contiene e allora è incompleto, e questo è
inevitabile se si muove da un assioma che, come si diceva, è per definizione
arbitrario. L’attesa dei fondamenti in realtà avrebbe potuto avere ben altro
impatto se si fosse fatto un passo ulteriore, e cioè accorgersi che qualunque
cosa che è costruita da una premessa arbitraria è perciò stesso negabile,
questo comporta una riflessione molto più devastante intorno a tutto il
pensare, sul quale pensare si sono attardati gli umani negli ultimi duemila e
cinquecento anni, e cioè delle domande molto più radicali perché a questo punto
qualunque cosa, qualunque affermazione non può pretendere di essere vera.
Alcuni hanno considerato questo aspetto naturalmente, sempre con molta
attenzione e molta cautela, sì perché incombe sempre la mannaia che incombe
sugli scettici e cioè l’applicazione di ciò che si afferma alla stessa
affermazione, che può essere molto seccante. Uno per esempio può invitarmi a
interrogare e, per esempio dirmi che la psicanalisi non è altro che una
interrogazione, ma la questione è: interrogarsi anche su questa stessa
disciplina? O su questa no? Prendiamo per esempio la teoria di Verdiglione,
anche li si insegnava a interrogare, a domandare, e a non essere soddisfatti di
domandare e quindi domandare ancora, ma e se ci si comincia a domandare
intorno, in questo caso, intorno alla teoria di Verdiglione? Cosa succede? È
vero, giustamente insegnava a noi, giovani di belle speranze, a fare questo
mestiere e quindi a interrogare, a prendere ciascun racconto come una storia,
una storia che ha mille sfaccettature e degna di essere interrogata, svolta e
descritta infinite volte, benissimo, ma anche questo stesso insegnamento oppure
questo no? Domanda legittima certo, interrogare le proprie domande, operazione
fondamentale perché è da qui che incomincia in modo abbastanza serio
l’interrogarsi sui fondamenti, e interrogarsi sui fondamenti non è altro che
questo: sto dicendo delle cose che hanno un senso o sto dicendo un sacco di
fesserie? Per dirla in termini molto spicci. Il fatto che certe cose siano
accreditate, molto bene accreditate, non significa assolutamente niente, come
sapete bene e ci si trovava soli con la propria intelligenza, con la propria
capacità di pensare, di condurre una argomentazione, la difficoltà sta
nell’attenersi a questo che è sempre molto difficile, si tende sempre, proprio
per l’addestramento che ciascuno ha ricevuto fino dalle elementari, si tende
sempre a un certo punto a stabilire che le cose stanno così, senza interrogare
oltre, e invece abbiamo avuto l’ardire di interrogarci fin dove era possibile,
perché oltre non era più possibile. Perché non era più possibile? Perché per
proseguire a farlo saremmo dovuti uscire da quella struttura che ci consentiva
di farlo, e questo ci siamo accorti che non era possibile, cioè non potevamo
uscire dal linguaggio, e lì ci siamo fermati. Abbiamo provato a uscirne in vari
modi, praticamente il lavoro che ho fatto dopo che scrissi La Seconda Sofistica
nei dieci anni successivi, è stato quello di tentare di smontarla, di
distruggerla, esattamente quello che dovrebbe fare un teorico, costruisce una
cosa e poi cerca di distruggerla finché non ci riesce, e se non ci riesce è
sempre… ma c’è sempre l’eventualità di riuscirci. E quindi obiezioni di ogni
sorta, da quelle più logiche più serrate a quelle retoriche più scafate, però
fino ad oggi ha retto, ma questo non significa niente, però c’è una
considerazione che abbiamo fatta e che ci induce a pensare che sia piuttosto
arduo uscire da questo sistema, da questa struttura che poi era l’uovo di
colombo, e cioè arrivare al punto in cui si individua il qualche cosa che
consente di individuare questo qualche cosa, di qualunque cosa io voglia parlare,
qualunque cosa io voglia negare, qualunque cosa io voglia congetturare, sono
costretto a usare questa struttura che chiamo linguaggio, anche per affermare
che non è vero per esempio, anche per affermare che c’è un’altra cosa,
qualunque essa sia, comunque occorre che prima ci sia il linguaggio per potere
giustamente accorgersi che c’è il linguaggio, dopo di che, quando esiste questa
struttura, allora posso pensare qualunque cosa e il suo contrario, senza nessun
problema; ma fatto sta che negare una cosa del genere non è stato per il
momento possibile, nonostante io continui a cercare di farlo, perché non posso
non farlo, e fa sempre da sfondo questo tentativo. Perché vuole sapere? Un
gioco, perché mi diverto, e in effetti come dissi non ho costruito questo
discorso per un motivo particolare, non c’era nessun motivo, semplicemente era
qualcosa che mi traeva a considerare ancora ulteriormente e questo ho fatto, ma
al punto in cui siamo, come ho cominciato ad accennare la volta scorsa, dopo
una base logica che riguarda i meccanismi di questo gioco ci occuperemo di ciò
che fa propriamente questo gioco e cioè tutta quella costruzione che è il
linguaggio, non sto dicendo che il linguaggio viene dopo la logica ovviamente,
non potrei mai affermare una cosa del genere, proviamo a distinguerli a scopo
unicamente didattico, ma in realtà sono la stessa cosa e in termini molto
pratici io mi sto domandando se la questione del linguaggio fosse il secondo
passo, seguisse consequenzialmente queste pagine intorno alla logica oppure
farne uno scritto a parte, potrebbe essere una cosa consequenziale, e cioè
mostrare che questo gioco di fatto è il linguaggio, e quindi vedere che cosa il
linguaggio può costruire. È chiaro che è uno scritto che parlerà di giochi
linguistici, ché il linguaggio costruisce giochi, nient’altro che giochi,
continuamente e per niente, ma questo è un problema marginale, quindi giochi
linguistici, che cos’è un gioco linguistico? È una formulazione mutuata da
Wittgenstein il quale intendeva con giochi linguistici unicamente quello che in
parte chiamiamo noi, e cioè una serie di istruzioni per eseguire un certo
compito, esattamente come fa un gioco e quindi giochi linguistici, avevamo
cominciato a scrivere qualcosa intorno ai giochi linguistici ma al punto in cui
siamo non ha nessun interesse, dopodiché qui abbiamo il punto centrale di tutta
la questione. Mi sono accorto che è possibile, a questo punto incominciamo ad
avere e sempre più avremo gli strumenti per farlo, è possibile costruire una
teoria della psicanalisi. Perché torno ad occuparmi della psicanalisi in
termini teorici, in modo preciso? Perché ho cominciato a considerare che
potrebbe non essere una stupidaggine. Perché come è intesa generalmente, e mi
riferisco alle teorie della psicanalisi, qualunque teoria consideriate, a parte
due o tre che comunque hanno poste delle questioni di un qualche interesse, se
no non c’è assolutamente niente, nulla che possa dare un credito a queste
stesse teorie, come dicevo l’altra volta, tutto sommato le accuse che taluni
hanno rivolte alla psicanalisi di metafisica non sono così infondate, nulla
contro la metafisica ovviamente, però avevo in animo qualcosa di meglio. Perché
se voi ci riflettete bene di cosa sono fatte queste teorie psicanalitiche,
anche le migliori, le più sofisticate? Di intuizioni, qualche volta
interessanti altre volte no, ma per lo più cose molto fumose, non dimostrabili,
e spesso impraticabili, ma se riuscissimo, e riusciremo, a costruire una teoria
della psicanalisi la quale teoria si fondi unicamente su questo impianto che
stiamo costruendo, logico, linguistico, indistruttibile, evidente e semplice,
allora potrà accadere che non saranno più le cosiddette scienze a chiedere alla
psicanalisi di provare la sua scientificità, ma esattamente il contrario.
Vedete, la psicanalisi potrebbe essere in effetti quella scienza, quella
disciplina, mettetela come vi pare, che si occupa essenzialmente di fare in
modo che ciascuno abbia l’occasione di potere riaccedere al sistema operativo,
cioè al linguaggio. Sarebbe una buona cosa, per chiunque, qualunque cosa
faccia. Dunque una stringa di proposizioni, di sequenze di inferenze tali per
cui una persona, una qualunque persona, sia costretta, non da noi, sia
logicamente costretta a cessare di pensare che le cose siano fuori dal
linguaggio, non perché lo affermiamo noi ma perché non può essere altrimenti,
ché se lo fosse altrimenti non sarebbe mai esistito niente. Una teoria di una
tale portata avrebbe una tale cogenza da essere effettivamente costrittiva, ma
costrittiva nel senso che se io dico a una persona “se A allora B e se B allora
C” è costretta a dire che se A allora C, perché fa parte della struttura del
pensiero e quindi del linguaggio, non sono io che la costringo, se non accoglie
questo non accoglie il funzionamento del linguaggio, e se non lo accoglie, già
per il solo fatto di non accoglierlo già lo sta utilizzando, e già sta facendo
qualcosa di quantomeno bizzarro. Pensavo dunque a questo progetto: costruire
tale teoria psicanalitica, perché a questo punto non sarà più soltanto una
teoria psicanalitica così come è stata penata fino ad oggi, costituirà
effettivamente una direzione, una direzione del pensiero. È possibile insegnare
a pensare, basta insegnare come funziona il linguaggio e come non può non funzionare,
perché è così che si pensa, visto che si pensa attraverso il linguaggio basta
mostrare il suo funzionamento e come è necessario che sia perché funzioni e a
questo punto si sa pensare, è inevitabile. Può non essere semplicissimo
compiere questa operazione, di questo ve ne do atto, però potrebbe essere un
obiettivo nobile, degno di essere perseguito. È un “sogno” che ho sempre avuto,
almeno negli ultimi dieci anni, che ho sempre avuto perché mi sono reso conto
che è possibile modificare il programma, il modo in cui si pensa nel discorso
occidentale, ho detto varie volte, è come se fosse un programma con un virus
che impedisce l’accesso al sistema operativo, per cui nessuno è in condizioni
di potere accorgersi che tutto ciò che fa, che non fa, che pensa, che non
pensa, che vede o che non vede è necessariamente un elemento linguistico, come
possiamo saperlo? Attraverso il linguaggio, e non possiamo saperlo in nessun
altro modo, cioè sappiamo che questo qualunque cosa è necessariamente un
elemento linguistico attraverso il linguaggio ma ci siamo accorti che non
possiamo saperlo se non in quel modo, non ne abbiamo altri, e quindi
utilizziamo questo. Comincio ogni tanto ad avere qualche idea di quello che
potrebbe essere una cosa del genere, allora sì, certo, l’effetto terapeutico,
effetto che avviene quando ho paura di qualcosa e poi mi accorgo che ciò di cui
avevo paura non esiste “guarda che sotto al tavolo c’è una bomba” mi spavento,
guardo sotto al tavolo e non c’è, cesso di aver paura, come è avvenuto questo
miracolo? Mi sono accorto che le cose non stavano così come pensavo che
stessero, tutto qui. In alcuni casi è un po’ più complicato ovviamente, ma è
una complicazione dovuta a un maggiore numero di passaggi. Gli umani pensano
così, non hanno un altro modo per poterlo fare, e questo modo può essere
individuato abbastanza semplicemente, questa è la struttura, poi è chiaro che
mano a mano che aumenta il numero di passaggi aumentano le complicazioni, le
connessioni e poi occorre considerare tutta una serie di altri aspetti
retorici; perché per esempio una certa parola mi evoca una certa cosa e
addirittura un certo tono di voce mi evoca delle cose anziché altre, e che cosa
sono queste cose che mi evoca? Tutto ciò è possibile ricondurlo a uno schema di
un programma? Teoricamente sì, perché è così che si pensa, il pensiero è fatto
così, segue questo andamento, non ne ha altri, è chiaro che posso, se sta qui
il problema, compiere un numero sterminato di inferenze per giungere a una
certa conclusione, ora devo ripercorrerle tutte? Certo che no, basta sapere
come funziona, perché una certa cosa mi attrae? Posso venire a saperlo? E ciò
che vengo a sapere è esattamente quello? È il motivo per cui quella cosa mi
attrae? Oppure no? Tutte domande legittime. Come so che ciò che sto dicendo non
è ciò che volevo dire? Generalmente si muove, per compiere le proprie
inferenze, da qualcosa che non è affatto chiaro, cioè si muove da assiomi e a
un certo punto può accadere di dimenticarselo che sono tali, e pretendere dalla
conclusione alla quale si è arrivati la verità, e non la può dare. Sì? C’è
qualche considerazione intanto?
Intervento: un teorema di tipo scientifico giunge a delle
verità che possono essere riscontrate
No,
non più di quanto sia riscontrabile il fatto che se giochiamo a poker e io ho
quattro assi vinco quattro sette
Intervento: si parte comunque da degli enti fisici per arrivare a un teorema come la gravitazione che è un sistema coerente che mi dà un risultato vero
Sì,
vero all’interno di quel sistema,
Intervento: lei stava dicendo è vero all’interno di quel sistema nel momento in cui esco da questo sistema in qualche modo non è più vero ma come faccio uscire da un sistema fisico che è il riferimento stesso della mia stessa realtà?
Qualcuno
sta incominciando a farlo, per esempio tutte le geometrie non euclidee vanno in
questa direzione (…) ci si accorge che cambiando il gioco, quindi cambiando le
regole, cambiano i risultati, e si comincia a riflettere sul fatto che quando
si osserva qualcosa la propria osservazione è vincolata a certi altri elementi,
non esiste l’osservazione pura per così dire…
Intervento:
e quindi in realtà c’è un metodo migliore dell’osservazione
Dire
già “in realtà” potrebbe essere un po’ complicato, però non c’è un metodo
migliore o peggiore del suo, ce ne sono altri che possono essere utilizzati,
però la questione, come dicevo prima, potrebbe essere intesa in un modo
straordinariamente semplice e cioè pensando semplicemente che cambiando le
regole del gioco si cambia il risultato, e le regole del gioco possono essere
cambiate, tutte tranne una, quella che gli consente di cambiare gioco per
esempio. Sì, la considerazione più immediata è quella che gli umani si danno un
gran da fare, stanno malissimo, fanno cose incredibili per una sorta di
equivoco, proprio quello di cui si diceva prima, e cioè immaginano che il
risultato finale sia necessariamente vero senza accorgersi che è vero
unicamente all’interno di quel gioco, ma quel gioco è assolutamente arbitrario…
Intervento: quindi lo stesso fenomeno lo posso vedere con occhi diversi e può dare risultati diversi però il fenomeno c’è
Sì?
Come lo sa?
Intervento: quello che volevo dire… il fenomeno c’è, io ho la formula se cambio la base mi verrà un’altra formula ma con un risultato diverso…
il fenomeno è la stessa cosa che dire del fatto, mi viene in mente la cosa del fatto giuridico per esempio in un tribunale. In un tribunale non viene replicato il fatto in sé, viene costruito un fatto che risponde di quest’altro fatto che non esiste più… per cui anche il fenomeno è costruito per cui non è costruito come se ci fosse un originale e ci fosse una copia che può riuscire più o meno bene
Deve
incominciare a pensare in un altro modo. Per esempio la questione della gravità
di cui lei diceva può considerarsi in due modi diversi, il primo consiste nel
domandarsi se per esempio in assenza di questa struttura che chiamiamo
linguaggio esisterebbe la gravità oppure no, domanda che immediatamente viene
rinviata a quest’altra, e cioè se a questo punto l’esistenza esisterebbe oppure
no, e questa è un’altra bella questione; l’altra, quella che considera che la
legge di gravità la quale ha due supporti: l’osservazione e il calcolo
numerico. Ora il calcolo numerico che cos’è esattamente? Quando lei ha compiuto
una operazione e ha ottenuto un risultato che cosa sa se non che ha condotto
esattamente delle istruzioni che le hanno fornite? (…) Lei applica il calcolo
numerico e immagina queste cose, ma in quanto tale è un sistema, un criterio
affidabile, oppure no? Intervento: Affidabile all’interno di un certo gioco
Esattamente,
fuori da questo gioco che sta facendo è affidabile, è in grado di sostenere se
stesso? La sua necessità? È necessario che due più due faccia quattro? (no!)
perfetto, per il momento accontentiamoci di questa risposta. L’altro elemento è
l’osservazione, ora l’osservazione al di là di tutte le considerazioni che
facevano gli antichi sulla sua scarsa affidabilità… ma supponiamo pure che sia
affidabile, facciamo questa ipotesi, ora l’osservazione di cosa è fatta?
Occorrono un osservatore e un osservato, se no non può osservare niente, cioè
occorre una struttura tale per cui lei possa dire che sta osservando qualcosa,
questa struttura che consente di dire una cosa del genere, di accorgersi di una
cosa del genere, è una struttura che è inferenziale, se questo allora
quest’altro, se trovo un certo elemento allora so che se c’è un elemento allora
ce ne sarà un altro. Perché ci sia osservazione in effetti occorre che ci sia
la possibilità di potere inferire un qualche cosa, se no non osservo niente,
potremo teoricamente dire che vede, ma forse neanche quello, è questo sistema
che le consente di potere dire che c’è l’osservazione e che quindi sta
osservando qualcosa, è un sistema inferenziale che è consentito da una
struttura, la quale struttura è quella che chiamiamo linguaggio. All’interno
del linguaggio qualunque elemento non ha nessun altro referente se non un altro
elemento linguistico, se no sarebbe un elemento fuori dal linguaggio e quindi
l’osservazione trova il referente in che cosa? In altri elementi linguistici, e
questi elementi linguistici in altri elementi linguistici e così via
all’infinito e quindi è un criterio affidabile l’osservazione? Oppure segue
andamenti assolutamente arbitrari come tutte le proposizioni che il linguaggio
costruisce? Ecco che a questo punto lei ha la legge di gravità, la quale legge
di gravità per essere tale occorre che sia dimostrabile. Giusto? Ma possiamo
considerare, al punto in cui siamo, che i criteri che ha per dimostrarla vera
non lo sono
Intervento:
perché sono arbitrari
O quanto meno indecidibili, e quindi in conclusione non possiamo affermare che sia vera. Possiamo utilizzarla è chiaro, per questo non faccio cadere questo orologio, perché se no si rompe, come lo so? Lo ho imparato, insieme a infinite altre regole per giocare, ho imparato anche questo. Dovrebbe leggere Wittgenstein, a questo riguardo ha detto delle cose interessanti. Quando si chiedeva “come so che questa è la mia mano?” posso provarlo? Ci ha riflettuto bene ed è giunto a rispondere no, non lo posso provare e allora come lo so? L’ho imparato. E che cosa si impara? Si imparano le regole dei giochi. Quando i genitori educano un bimbetto cosa fanno? Gli insegnano le regole del gioco, quali regole del gioco? Quelle del vivere comune, una di queste regole stupidissime è quella che quando si incontra una persona che si conosce la si saluta anziché mandarla all’inferno, è una regola del gioco, da qui poi anche regole più sofisticate ovviamente, come costruire una bomba atomica o costruire sistemi logici, sono giochi. Sarebbe divertente accorgersene, che sono giochi e nient’altro che questo,e non solo che sono giochi, ma che non possono essere altro che questo, perché se non lo fossero allora sarebbero fuori dal linguaggio, e se fossero fuori dal linguaggio non potrei sapere niente. Ché io posso anche immaginare che qualcosa sia fuori dal linguaggio ma non lo posso né sapere né provare, per questo dicevo la volta scorsa agli amici: questo sistema, rispetto ad altri sistemi logici ha una virtù, è completo e anche coerente. Completo perché mi consente di costruire proposizioni che affermano che qualcosa è fuori dal linguaggio, tant’è che lo sto dicendo, ma non mi consente di provarlo. Che è un altro modo per dire che il linguaggio è una struttura che non consente di uscirne, una volta che si installa non c’è modo di tornare indietro, però non ci sono grosse controindicazioni. Né per altro consente di stabilirne l’origine, da dove viene? Come faccio a saperlo?
Intervento:
io ci ho provato
Non
è semplicissimo, però si può provare, è comunque sempre un buon esercizio…
Intervento: il linguaggio non potrebbe esistere in assenza di vita perché comunque si nota che sono evidenti o comunque anche gli animali hanno un linguaggio gestuale ….però al momento in cui dico vita ho bisogno di definirla e quindi è come se fosse l’uovo e la gallina
È
un po’ come la questione dell’esistenza, può esistere qualcosa se non esiste
una struttura che mi consente di parlarne e saperne? No, perché senza
linguaggio tutto quanto non sarebbe mai esistito, letteralmente e logicamente.