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28-1-2015

 

Abbiamo terminato l’Introduzione alla Metafisica di Heidegger però forse non ho letto un passaggio verso la fine che è importante per la questione del linguaggio e il principio di non contraddizione. Ha appena detto del modo in cui la filosofia è passata dall’idea della φύσις al “logos” come contrapposizione, come se il logos avesse la possibilità di dire l’essere, dice Heidegger: ne consegue che la decisione circa il vero si esplica ora fra il contrasto fra il dire vero e il puro recitare, il logos nel senso del dire e dell’enunciare, diventa ora la sede in cui si decide della verità vale a dire in senso originario della non latenza e con ciò dell’essere dell’essente. Inizialmente il logos (qui è sempre scritto in latino) in quanto raccoglimento è l’accadere della non latenza fondato in essa e al suo servizio, ora per contro il logos diventa quale enunciazione la sede della verità intesa come giustezza, si giunge così all’affermazione di Aristotele per cui il logos come enunciazione è ciò che può essere vero o falso. La verità che in quanto originariamente non latenza costituisce un evento dello stesso essere predominante ed è gestito dal raccoglimento diventa ora una proprietà del logos (quindi la verità che era uno dei modi in cui si manifesta l’essere diventa invece il luogo della verità come giustezza e cioè adæquatio rei et intellectus, il passaggio dall’λήθεια all’ρθτης, alla giustezza, all’adeguatezza) La verità diventando una proprietà dell’enunciazione non solo cambia sede ma trasforma la sua essenza, dal punto di vista dell’enunciazione il vero si consegue allorché il dire si attiene a ciò che enuncia quando l’enunciazione si regola sull’essente (è la verità come adeguamento) la verità diventa giustezza del logos, in questo modo il logos esce dalla ritenzione originaria per entrare nell’accadere della non latenza così che ora è in base a lui e con riferimento a lui (al logos) che si decide della verità, e con ciò dell’essente però non solo dell’essente ma anche in primo luogo dell’essere, il logos è ora λγειν τ κατά τινς cioè dire alcunché di qualcosa. Ciò di cui qualcosa è detto è ciò che sta alla basa e davanti all’enunciazione ποκείμενον appunto il soggetto (ecco qui c’è una questione che è importante che riguarda la posizione di Heidegger nei confronti della metafisica, per Heidegger la metafisica nasce con Platone ma perché? Come mai fa questa considerazione? Platone nel momento in cui suddivide l’essente in due mondi il mondo del sensibile e il mondo del vero, quindi l’ultramondo, Iperuranio in particolare, in questo modo cosa fa Platone? Ma lo diceva già prima, dà l’avvio a pensare le cose cioè gli enti come qualcosa di simile a ciò che è vero e che sta lassù da qualche parte, infatti parla di μοίωσις, ψεδος cioè qualcosa di simile che sembra ma non è e cioè qualcosa che deve essere sempre aggiustato da cui poi la questione della verità come ρθτης. L’opposizione di Platone a questo punto è tale per cui la verità diventa un adeguamento del sensibile rispetto al vero. E che cosa si inventa, sempre secondo Heidegger, si inventa l’ho detto un istante fa “l’ipokeimenon” il soggetto, il soggetto vale a dire ciò che si pone di fronte all’ente, si pone di fronte al qualche cosa, perché il soggetto non potrebbe tecnicamente porsi di fronte all’esserci, non può se c’è soggetto è perché c’è un qualche cosa rispetto al quale non soltanto il soggetto sta sotto ovviamente ma di fronte al quale il soggetto si pone, questo qualche cosa di fronte al quale il soggetto si pone è un quid, qualche cosa, un qualche accidente ora questo non può avvenire, l’invenzione del soggetto, adesso qui estrapoliamo Heidegger ma, non può avvenire l’invenzione del soggetto se permane il Dasein cioè l’esserci, perché a questo punto non c’è qualcuno che si pone a fronte di qualche cosa se questo “qualcuno”, tra virgolette, che quindi non può darsi, è continuamente gettato in ciò che accade, nella situazione in cui si trova , è un “qualcuno” sempre tra virgolette che in nessun modo può oggettivare qualche cosa di fronte a lui per il semplice fatto che questi oggetti sono anch’essi all’interno di questo progetto all’interno di questo orizzonte, come dice Heidegger che li fa apparire, quindi non si da un soggetto davanti a un oggetto, mentre l’invenzione di Platone dice Heidegger è proprio questa ”il soggetto”, nel momento in cui inventa il soggetto compie quella operazione metafisica per cui divide la realtà nei due mondi il sensibile e il soprasensibile, da quel momento ha inizio la metafisica cioè ha inizio il pensiero occidentale, tutto ed è anche il momento in cui si avvia e lo diceva anche nelle pagine precedenti, si avvia la questione della tecnica, della τέχνη. La τέχνη come il modo di approcciarsi all’ente in quanto oggetto, la scienza inizia con Platone prima non poteva né sarebbe potuta senza Platone almeno la scienza così come la conosciamo, perché la necessità della scienza è che l’oggetto sia identificato, si conosciuto, solo a questa condizione può confrontarsi con l’ente nel modo in cui la scienza si confronta con l’ente come dice in modo preciso Heidegger attraverso la conoscenza, manipolazione, elaborazione dell’ente, per fare questo occorre che sia oggettivato la metafisica non è altro che la “oggettivazione dell’ente”, sempre heideggerianamente, ora leggo questa cosa e poi aggiungo altre considerazioni) nell’enunciazione ciò che ne sta alla base può presentarsi in diversi modi (qui siamo nell’enunciazione quindi siamo già, abbiamo già abbandonato la “φύσις” nel senso greco del termine ma siamo già nel logos latino cioè nell’enunciazione che immagina di potere dire l’essere, cioè una volta che si è posto il soggetto ciò che il soggetto si trova di fronte lo considera l’essere) come avente tale e tal altra qualità, tale e tal altra quantità, comportare tale e tal altra relazione, qualità, quantità, relazione sono determinazioni dell’essere a questo punto, siccome quali modalità dell’esser detto esse sono tratte dal logos ed enunciare si dice in greco κατηγορεν, le determinazioni dell’essere dell’essente si dicono κατηγοραι, categorie, pertanto la dottrina dell’essere e delle determinazioni dell’essente come tale diventa dottrina delle categorie del loro ordine (qui siamo ad Aristotele ovviamente, c’è stato un passaggio da Platone ad Aristotele) ogni ontologia ha per scopo la dottrina delle categorie, che i caratteri essenziali dell’essere siano categorie è cosa che oggi e da gran tempo appare ovvia ma si tratta in fondo di una cosa ben strana lo si può concepire solo se si capisce che e in che modo il logos come enunciazione sta con la “φύσις” in un rapporto non di semplice distinzione (che potrebbe anche funzionare) ma di vera e propria contrapposizione presentandosi in pari tempo come l’orizzonte normativo che diventa luogo di origine delle determinazioni dell’essere (a questo punto è ciò che avviene nel logos, per questo parlava di enunciazione che stabilisce le determinazioni dell’essere, e quindi dell’essere che a questo punto è diventato nient’altro che le sue determinazioni, vedete che siamo già nella scienza, l’essere inteso a questo punto come ente non è nient’altro che le sue proprietà, cosa fa la scienza? Cerca di indagare le proprietà dell’ente, comprese le connessioni eccetera però quali sono le sue proprietà, ora:) Il logos, φσις il detto nel senso dell’enunciazione decide dell’essere dell’essente in modo così originario che ogni qual volta un detto si erge contro un altro, ossia vi è contraddizione, ντφασις, ciò che contraddice non può essere. (Questo è il principio di non contraddizione, ma è interessante qui perché fa sorgere il principio di non contraddizione da ciò che diceva prima e vale a dire dal fatto che è solo nel momento in cui il logos diventa enunciazione e non più com’era originariamente, come diceva nelle pagine precedenti, uno dei modi in cui appare l’essere, nel momento in cui diventa enunciazione e cioè si trasforma in serie di categorie che devono mostrare tutte le proprietà dell’ente, allora ecco che il logos, immaginando di dire di qualche cosa, ciò che questo qualche cosa è, si pone una situazione imbarazzante perché a questo punto sorge il principio di non contraddizione, perché se io dico che una certa cosa è quella mi riferisco all’essere di quella cosa, però come dice Heidegger in seguito all’oblio dell’essere, l’idea è che ciò che io dico è l’essere, è la cosa in sé, per dirla con Kant ma è proprio perché c’è questo pensiero che se io dico una cosa allora contraddire quella cosa significa contrapporre a quell’essere un altro essere. È questo che sostiene, almeno originariamente sempre per Heidegger, al principio di non contraddizione occorre la pre-supposizione che una cosa sia quella che è, e questo avviene a seguito di tutto ciò che abbiamo visto prima, senza questo non c’è principio di non contraddizione, non c’è perché ciò che si dice non ha, se il logos si mantenesse così come Heidegger pensava che fosse presso la parola autentica e aurorale dei greci, non c’è nessuna contraddizione perché il logos non fa nient’altro che mostrare uno dei modi in cui l’essere si disvela, viene alla luce, quindi non ha da contraddire niente, è un apparire di qualche cosa: perché qualcosa possa contraddirsi è necessario che il logos si distacchi dalla φύσις cioè dall’essere, heideggerianamente inteso, e diventi il modo di dire l’essere, cosa che per Heidegger non è possibile perché per dirlo occorre oggettivarlo, entificarlo, è ente, non è più essere. Ecco che dunque qui sempre secondo Heidegger sorge il principio di non contraddizione che a questo punto, potrebbe anche intendersi che per Heidegger non è originario, né è un qualche cosa senza la quale l’uomo non può parlare, non può esprimersi, non può fare nulla come pensa Severino. Per Heidegger non c’è contraddizione se il logos rimane l’essere che originariamente è, e allora nello schiudersi dell’essere, nell’apparire dell’essere, nel mostrarsi alla luce, alla non latenza, nell’ἀ-λήθεια, a questo punto l’essere non è nient’altro che il trovarsi in una situazione, come diceva Jasper per altro verso, è il trovarsi in quella situazione che non ha da essere più vera o meno vera o falsa eccetera ma è quella che è, cioè quella situazione.

Intervento: però ed è questa la questione che io non intendo se come per Heidegger tutto fosse un’emanazione, una nascita dell’essere ciascuna volta in cui ci si trova a dire come potrebbe affermare le cose che afferma? Non potrebbe giungere a quelle conclusioni perché non ci sarebbe nulla, diciamo così nessun filo che gli consente di giungere a queste affermazioni, è questo che mi è difficile intendere.

Heidegger si occupava di metafisica non di semiotica in prima istanza, no, non si contraddice perché per lui il linguaggio è, come tutti sanno, la dimora dell’essere. Ma si può muovere un’obiezione ad Heidegger e adesso lo facciamo: lui dice che senza il linguaggio cioè senza l’uomo, perché è l’uomo che pone la domanda, che domanda originariamente, senza questa condizione di porsi una domanda, e l’uomo è il solo ente a poterlo fare, da qui la questione dell’esistenzialismo che accoglie fino ad un certo punto poi lì va a scuole, per esempio la posizione che ha Carlo Sini nei confronti di Heidegger almeno per molti aspetti non è la stessa che ha Vattimo, e così la posizione di Emanuele Severino è ancora differente da quella di entrambi, come spesso accade almeno rispetto ai pensatori più importanti, ci sono sempre molte posizioni differenti, qual è quella vera? Quella di ciascuno ovviamente. Ma vi stavo dicevo dunque che Heidegger parte dall’uomo, cioè da quell’ente che è in condizione di domandare ed è quello anche che domandando può ritrovarsi come progetto, anche il domandare è un progettare e quindi si trova in questo progetto, ora però la questione interessante è che l’uomo, che è l’unico ente che può porsi delle domande, senza le quali non c’è l’essere, può porsi delle domande e quindi ciò che consente all’uomo di porsi delle domande dovrebbe essere qualcosa che precede l’essere teoricamente, visto che senza l’uomo non c’è domanda, non può formularsi nessuna domanda, questa penna non formula nessuna domanda. Quindi ci si trova dicevo in una bizzarra situazione tale per cui la condizione per il darsi dell’essere, per l’apparire dell’essere è che ci sia l’uomo ma perché ci sia l’uomo occorre che ci sia linguaggio e cioè che l’uomo sia in condizione di domandare. Adesso Heidegger parla della logica, e grosso modo è quello che vi dicevo prima:) non a torto la filosofia delle antiche scuole ha raccolto sotto il nome di “Organon” i trattati di Aristotele che hanno riferimento al logos, con ciò la logica risulta anche già definita nei suoi caratteri fondamentali (una volta che è stato stabilito il principio di non contraddizione, e cioè che è il dire che fa esistere l’essere a questo punto c’è il principio di non contraddizione e c’è logica) ed è così che Kant duemila anni più tardi ha potuto dire nella prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura che la logica dopo Aristotele non ha potuto più arretrare di un passo e che non ha fino ad oggi potuto fare neanche un passo avanti sicché secondo ogni apparenza sembra essere cosa definita e compiuta. Ma non lo sembra soltanto (dice Heidegger) ma lo è la logica infatti malgrado Kant e Hegel non ha più compiuto per ciò che vi è in essa di essenziale e di originario alcun passo l’unico ancora possibile è quella di scardinarla (che è quello che aveva intenzione di fare Heidegger) in quanto prospettiva normativa dell’interpretazione dell’essere dal suo fondamento (e cioè come dicevo prima scardinare il logos dall’essere e portarlo a ciò che gli è “dovuto” e cioè all’essere inteso come φύσις per esempio, non più quindi “essere” come qualche cosa di oggettivato, perché solo a questo punto sorge il logos nell’accezione latina, quindi è questa la condizione per la nascita della logica, sarebbe come a dire che stando a Heidegger, diciamo che all’interno dell’ “uomo autentico” in un certo senso la logica è inutile perché non ha da stabilire cose vere o cose false, ora dice:) riassumiamo quanto stato detto sulla φύσις e sul logos. La φύσις diventa δέα, παράδειγμα, la verità diventa giustezza, il logos diventa enunciazione, la sede della verità concepita come giustezza, l’origine delle categorie cioè il principio che decide delle possibilità dell’essere questo è ciò che diventa il logos (“il principio che decide delle possibilità dell’essere” perché l’idea è che il logos faccia esistere le cose) idea e categoria costituiscono ormai due concetti sotto cui ricadono il pensare e l’agire, il valutare dell’Occidente, l’esserci tutto. La trasformazione della φύσις e del logos, la trasformazione della φύσις (come natura, “natura” intesa in accezione latina del termine) e del logos nonché la trasformazione del loro reciproco rapporto rappresentano una caduta dal principio originario, la filosofia dei greci perviene a dominare l’Occidente non in virtù del suo originario principio ma della sua fine principiale che raggiunge in maniera grandiosa e definitiva la sua compiuta formulazione in Hegel. (Dice che si è raggiunto, si è chiuso come un cerchio, poi non è esattamente così perché in effetti non è tanto Hegel quanto Nietzsche a stabilire insieme con la tecnica la fine, nel senso del compimento della metafisica. Dice che la metafisica è la preistoria della tecnica, la preistoria nel senso che è la condizione più antica per il prodursi della tecnica, la metafisica finisce per Heidegger con Nietzsche e con la tecnica, con Nietzsche per via del famoso capovolgimento che opera del “castello di Platone”: in cima che cosa c’è? C’è l’aspetto più nobile e degno, e cioè c’è la volontà degli umani di raggiungere la conoscenza, di raggiungere la verità, di raggiungere il bene, tutto quanto di meglio sia pensabile, ma dice Nietzsche: capovolgiamo tutto questo e ciò che c’è sotto portiamolo sopra, cosa c’era sotto? La volontà di potenza. È questo, dice Nietzsche, a fondamento di tutta la ricerca degli umani. Quindi questo capovolgimento segna lo smascheramento, infatti questi tre personaggi Nietzsche Marx e Freud passano in genere come gli autori della “Scuola del sospetto” sospetto che le cose non stiano come si pensa che siano. Tutto questo ci conduce a un altro aspetto molto importante, stavo considerando per quanto riguarda il “potere” le fantasie di potere che sembra almeno seguendo il discorso di Heidegger che abbiano anche loro a fondamento la metafisica, e cioè che senza la metafisica non ci sono le fantasie di potere, ma perché? Perché la metafisica oggettivizza l’ente, quindi pone la condizione per poterlo conoscere, per poterlo dominare, che cosa fa la scienza? Domina, fino alla tecnica, poi per Heidegger la scienza diventa nient’altro che tecnica cioè la tecnica prende il sopravvento sulla scienza, quindi dominare l’ente, questo fa la metafisica, questo è il compito della metafisica per questo giunge al suo compimento, dice Heidegger, con la tecnica perché è il massimo possibile di potere sulle cose, attraverso la cibernetica. Κυβερνήτης era il pilota della nave, la cibernetica dunque è quel pensiero che è in grado di dominare tutto, tant’è che a tutt’oggi, anzi oggi ancora di più si pensa che la tecnica come “tecnologia” sia, sarà in grado a breve di fare cose straordinarie soprattutto attraverso i computer che con la loro velocità di calcolo che è inimmaginabile per gli umani, questa velocità è quella cosa che consente o dovrebbe consentire di giungere al controllo totale su tutto. È una fantasia ovviamente, non perché questo non sia raggiungibile, ma perché occorrerebbe prima intendersi sul concetto di “tutto”, eventualmente, ma non è questa la questione quanto il fatto che la metafisica, dicevo prima, è la condizione per ogni fantasia di potenza, cioè ogni fantasia di dominio dell’ente, che avviene come Heidegger ha spiegato passo dopo passo. Verrebbe anche da pensare, questa magari è una questione su cui potremmo discutere anche nei mercoledì successivi rispetto alla questione del potere, da pensare che il lavoro che ha fatto Freud rispetto alle fantasie, straordinario, importante e senza il quale oggi probabilmente non saremmo qui, però ha puntato l’attenzione su un tipo particolare di fantasie, “fantasie sessuali” prevalentemente. Freud non aveva né gli strumenti né i mezzi per intendere altrimenti, verrebbe da pensare che senza fantasie di potere, non possono darsi fantasie sessuali, mentre senza fantasie sessuali è possibilissimo avere fantasie di potere e cioè la fantasie di potere precede anzi, è la condizione perché possa darsi quella serie di cose che Freud chiama fantasie sessuali, occorre cioè la necessità che un qualche cosa sia considerato dominabile, manipolabile; ora che questo ente sia un orologio, una penna stilografica, una persona è irrilevante, il dominio dell’ente passa anche per questo, cioè per il dominio di una persona sull’altra, perché a questo punto grazie alla metafisica, è dominabile, più propriamente è possibile il pensiero di dominare quell’ente. Quindi il motivo per cui abbiamo letto Introduzione alla metafisica è per intendere meglio proprio la questione del potere insieme con la questione della tecnica, perché a questo punto paiono andare di pari passo le due cose, cioè il potere, sempre come fantasia ovviamente, fantasia di dominio, di controllo, su tutto e la tecnica come “realizzazione” tra virgolette perché non è che realizzi propriamente però appare come una realizzazione di questa fantasia di dominio, la “fantasia” avviata da Platone con la sua metafisica. Questa è la posizione di Heidegger, lui dice in modo molto esplicito che è stato Platone a incominciare tutto questo disastro. Tuttavia Heidegger pur condannando la tecnica per tutti i motivi di cui vi ho detto in parte, giunge a considerare che la tecnica comunque potrebbe contenere in sé anche la propria dissoluzione, e cioè essere quel veicolo che, arrivato alle estreme conseguenze per così dire, può consentire agli umani di verificare l’impotenza e l’impossibilità della tecnica e di giungere quindi alla dissoluzione della tecnica per riappropriarsi del proprio progetto e passare dall’essere inautentico all’essere autentico. La questione del potere è importante perché se la metafisica è la fase iniziale delle fantasie di potere, è la condizione della fantasia di potere, e se la metafisica è il pensiero occidentale allora è come dire che il pensiero occidentale è fatto di metafisica ed essendo fatto di metafisica è fatto di fantasia di dominio, fantasia di controllo totale su tutto. Dicevano gli gnostici “eritis sicut dei”, sarete come dei, questo sarebbe un po’ lo slogan della tecnica, quando la tecnica avrà raggiunto il suo culmine, il suo κμή, acmé è la punta, allora sarete come dei...

Intervento: in Heidegger c’è questo aspetto che l’uomo essendo un ente diventa oggetto manipolabile…

Sì, ne parla in Was ist Metaphysik? Che cos’è la metafisica, ma anche in “Essere e tempo”, l’uomo si reifica, si oggettivizza certo, sì sono tanti gli aspetti di Heidegger, ovviamente qui abbiamo letto solo questo volumetto, ha scritto una grande quantità di opere, dove però la tesi centrale e fondamentale è grosso modo sempre la stessa, cioè l’uomo è inautentico perché ha obliato l’essere e non si rende conto che l’essere non è quella cosa che immagina che sia, ma è ciò che consente, ecco potremmo dire che “l’essere è sempre un poter essere” per Heidegger cioè sempre un essere nel progetto, un essere nella situazione, essere in ciò che sto facendo, essere tutto ciò che questo progetto, progettare comporta, è il famosissimo Geworfener Entwurf, il “progetto gettato”. Ecco quindi la questione del potere, anche se qui Heidegger non ne parla in modo diretto, però la questione del potere è come se venisse mostrata nelle sue fasi aurorali, nel modo in cui è nata, è incominciata: è incominciato tutto con Platone. Tenere conto di questo significa innanzi tutto tenere conto che il pensare degli umani è necessariamente metafisico, comunque, e che però si può anche porre la questione in termini leggermente differenti, per esempio l’obiezione che muovevo prima ad Heidegger, certo è chiaro che per lui trovarsi “gettati” continuamente in un progetto, “progetto” non è altro che il volere fare qualche cosa, per esempio volere cambiare le cose, il trovarsi in questa cosa, per volere cambiare le cose occorre che io abbia già delle idee su queste cose, che abbia una volontà. Ciò che non c’è, almeno non in modo così delineato e preciso in Heidegger, è il fatto che per potere avere una volontà, per potere “volere” progettarsi, questo volere progettarsi non viene da sé, viene da dei pensieri, delle idee, dei discorsi che si sono fatti, che si sono acquisiti, e questo Heidegger lo sa, ma tutto questo ha come condizione per potere accadere che esista una struttura che costruisca delle sequenze tali il cui utilizzo costituisce ciò che comunemente si chiama “linguaggio”, senza il quale non è possibile farsi nessuna domanda. Posso farmi una domanda se qualche cosa mi interroga, ma perché qualche cosa mi interroga? Da dove arriva una interrogazione, una domanda, un domandare? È il punto su cui buona parte della filosofia si arresta. Quando Aristotele nella prima pagina del IV libro della Metafisica parla della meraviglia, di che è ciò che muove gli umani al conoscere, al volere sapere perché si trova meravigliato di fronte a qualche cosa, usa la parola “θαμα”, Severino traduce questa parola non come “meraviglia” come avviene di solito, che a suo parere è un modo troppo debole, per lui θαμα, è il terrore, è la paura, per Severino è questo che muove gli umani a inventarsi per esempio gli dei, cioè a fare un’operazione che è quella, dice Severino, di allearsi con il più forte, dio è il più forte, se io mi alleo con il più forte, sono più forte. Severino non lo dice però fra le righe lo sta enunciando, anche se traduce “θαμα” con terrore, con paura, è comunque una paura di non essere adeguati a ciò che si deve affrontare e la costruzione di una paura, anche una bestia può avere paura, ma è una reazione a qualcosa di immediato, non c’è un’elaborazione a partire da questo, reagisce semplicemente, scappa ma poi la cosa finisce lì, non c’è nessun pensiero attorno a questo, nessuna elaborazione, nessun pensiero per porre un rimedio a quella situazione cioè di progettarsi, questo per Heidegger soltanto l’uomo è in condizione di farlo. Quindi anche parlando dello “θαμα” in questa accezione come fa Severino comunque allude al fatto che per allearsi, così come secondo Severino sorgono le religioni, allearsi con il più potente da già, pone già il fatto che c’è qualcosa di più potente o di meno potente, e cioè l’idea che se ho potere riesco a fronteggiare qualche cosa. Naturalmente nessuno di costoro ha mai considerato l’eventualità di andare oltre questo cioè oltre il detto di Aristotele e cioè domandarsi perché? Da dove viene la fantasia di potere? Il desiderio di potere? Sì, qualcuno potrebbe dire per contrastare la malasorte, questa è la tesi più o meno di Severino, per contrastare tutto ciò che di negativo può accadere. È più complicata la questione perché gli umani hanno operato appunto un progetto tale da mettere in atto delle tecniche per affrontare questo pericolo, questo nemico, approntando queste tecniche hanno considerato che il fare questo procede dall’idea che se hanno più potere sono più al riparo, però l’idea del potere in sé, cioè quella che consente di pensare che se ho più potere mi metto al riparo, questa ha un origine differente che né Heidegger, né Aristotele, nemmeno Platone ha mai posto. La questione interessante è intendere questa fantasia di potere a partire da ciò che rende umani gli umani, che è esattamente ciò che dice Heidegger, il fatto che sono esseri parlanti, sono gli unici su questo pianeta che parlino, questo li rende non solo speciali ma li rende il prodotto, in un certo senso, di questa cosa che li fa essere umani, cioè il linguaggio. Se fosse possibile intendere esattamente il funzionamento del linguaggio allora potremmo sapere come funzionano gli umani, necessariamente, e sappiamo come funziona il linguaggio e pertanto sappiamo come funzionano gli umani e anche da dove viene la fantasia di potere. Fare tutto il percorso che ha fatto Heidegger in questo libro sulla metafisica ci ha mostrato soltanto che la necessità, o meglio il destino degli umani metafisici è la tecnica, ed è il motivo per cui la tecnica oggi è così importante, non lo sarebbe mai stata se non ci fosse stata la metafisica, cioè se la metafisica non avesse mostrato che è possibile conoscere, dire e conoscere l’essere, conoscere cioè l’essenza di qualche cosa, l’essere dell’ente, che è il compito che si è prefissata la scienza, sapere tutto di qualche cosa, tutto cioè conoscere l’essere, solo che come dice Heidegger ha fatto confusione tra ente ed essere. La tecnica sorge da questa illusione, illude che sia possibile essere come dio perché la tecnica è questo che dice: ti fornisco strumenti sempre più potenti, sempre più veloci, sempre più efficaci, alla fine potrai fare tutto, saprai tutto. Appunto sarai dio. Questo evoca la famosa frase di Sartre rispetto agli umani come progetto fallito di essere dio, questo diceva da qualche parte, “progetto fallito di essere dio” sempre “fallito”, per Sartre ovviamente questa era la maledizione degli umani, non dava nessuna chance, mentre Heidegger la fornisce, da qui una serie di divergenze tra Sartre e Heidegger. Ma al di là di questo è come se la tecnica dicesse che non è vero quello che dice Sartre, l’umano non è un progetto fallito di diventare dio perché l’uomo può appunto diventare dio, come recita il motto gnostico “eritis sicut dei”. Questo ci dice che per gli umani, per il modo in cui la società e la civiltà e la cultura sono strutturate, è impossibile eliminare la metafisica, per una serie di motivi di cui abbiamo detto e altri ne diremo ancora, però contrariamente a Sartre non propongo un pessimismo catastrofico. Dicevo che se non c’è la possibilità di uscire dalla metafisica, cosa che per altro anche Heidegger alla fine ha pensato, da qui la sua celebre frase “solo un dio può salvarci”, se non c’è questa possibilità c’è però la possibilità di tenerne conto, di saperlo, atto dopo atto, e tenendone conto non esserne travolti e cioè non credere che ciò che si sta dicendo, ciò che si sta osservando, ciò che si sta pensando sia necessariamente quello che è, ma ciò che io ho voluto che fosse.