28-1-2009
Negli ultimi tre incontri abbiamo parlato di come procedere in ambito teorico. Oggi è comparso su un inserto settimanale della Stampa che si chiama Tuttoscienze un brevissimo articolo dal titolo “È errore confondere la religione e il sacro”:
Si tratta di un fenomeno molto ampio, che tuttavia non è affatto universale: a ricordarcelo basta il caso degli atei, che sono evidentemente umani ma che non credono a queste storie. Detto in altro modo, le credenze religiose non rientrano nella natura umana, mentre l'esperienza del sacro sì (l'Homo sapiens è l'animale naturalmente capace di provare l'esperienza del sacro). Ludwig Wittgenstein diceva che il miracolo non è ciò che non riusciamo a spiegare, piuttosto qualcosa appare come miracoloso quando rinunciamo a spiegarlo: vedere il mondo come qualcosa di miracoloso, questa è l'esperienza del sacro. Si tratta di un'esperienza umana basilare, che prova l'uomo religioso come l'ateo, ma anche chi non è né l'uno né l'altro. Contrapposto al profano, il sacro spezza l'uniformità del mondo, crea quella asimmetria che muove le nostre esistenze, che indica un orizzonte possibile da raggiungere. Per questa ragione la sfida del nostro tempo, un tempo che sembra avere rinunciato al futuro, è intorno al problema del sacro, non del religioso, come spiego nel mio libro «Il possibile e il reale» (Codice). Il sacro spezza il modo consueto di considerare le entità del mondo, basato com'è sulla spietata opposizione utile/inutile. Il sacro si colloca al di qua di questo tipo di calcolo. Il sacro non ha prezzo, semplicemente, e non perché sia troppo costoso, perché ad esso non si applica alcun criterio di calcolo. Da sempre le comunità umane si sono costruite come comunità intorno alla distinzione fra uno spazio sacro ed uno profano. E così la politica ha derivato il suo valore dal rapporto con il sacro. Non esiste una comunità che non preveda questa distinzione (in questo senso la coppia sacro/profano rientra nella biologia umana). Il mondo contemporaneo, dominato invece dalla razionalità economica, che si basa sull'efficienza ed il calcolo, il valore ed il costo (perché, come vuole la cinica e insensata massima del nostro tempo, tutto ha un prezzo), cerca di sbarazzarsi del sacro (che infatti sopravvive in forme degenerate oppure disperse in quello che il sociologo Roger Bastide chiamava il «sacro selvaggio»). Ma senza sacro scompare anche il profano e la vita diventa disperata. Il nostro compito è immaginare un modo di vivere in cui la distinzione, tutta umana, fra sacro e profano possa tornare a guidare le nostre comunità. Non si tratta solo di rimettere l'economia e gli economisti al loro posto, ma di ricollegare la politica al sacro. Il senso di piatta e desolante uniformità del tempo che viviamo deriva proprio dalla sua scomparsa dalle nostre esistenze. Ma senza di esso non c'è nemmeno più l'umano. Il sacro – ce lo ricorda la biologia - non è morto con la morte di Dio.
Aldilà delle banalità qui contenute ciò che mi interessa è porre una questione di metodo, cioè del modo in cui si procede in ambito teorico. Notate bene da dove procede: afferma che le credenze religiose non rientrano nella natura umana, l’esperienza del sacro sì, perché? Perché lui afferma con tanta sicurezza una cosa del genere che poi conferma con un’altra affermazione assolutamente gratuita e cioè dice che l’Homo sapiens è l’animale naturalmente capace di provare l’esperienza del sacro, se avesse tolto il naturalmente sarebbe stato legittimo, l’homo sapiens è capace di provare l’esperienza del sacro ma “naturalmente” significa che è per natura, per sua natura, infatti poi ci sarà la metafora biologica. Poi cita Wittgenstein che diceva che il miracolo non è ciò che non riusciamo a spiegare “piuttosto qualcosa appare come miracoloso quando rinunciamo a spiegarlo” cioè vedere il mondo come qualcosa di miracoloso questa è l’esperienza del sacro, quando cioè si rinuncia a spiegare qualcosa per propria incapacità naturalmente, come dire che il sacro, l’esperienza del sacro è l’apoteosi della stupidità, quando si rinuncia a spiegare qualcosa perché non si è capaci di farlo allora interviene il sacro, è questo che sta dicendo. Sono tutte affermazioni sostenute da niente, assolutamente niente, che però gli servono perché se passano queste allora, dopo, tutto quanto viene in automatico, perché provano tutti “il religioso, l’ateo tutti” tutti provano l’esperienza del sacro, io per esempio non l’ho mai provata e allora? “…il sacro spezza l’uniformità del mondo” chi ha mai detto che il mondo è uniforme? Cosa vuole dire che il mondo è uniforme? Cosa significa? Uniforme rispetto a che? Tutti asserti che non solo sono assolutamente gratuiti ma che non significano niente, “questo sacro crea quella asimmetria che muove le nostre esistenze, indica un orizzonte possibile da raggiungere, per questa ragione la sfida del nostro tempo è intorno al problema del sacro” non del religioso ma del sacro “per questa ragione”, ma quale ragione? Aldilà del fatto che la nozione di religione prevede generalmente la cura, il rispetto e la devozione per qualcosa ritenuto sacro, e quindi nel concetto stesso di religione è compreso il sacro, non ha esposta nessuna ragione fino adesso ma soltanto delle sue asserzioni totalmente gratuite, totalmente infondate oltreché infondabili “è per questa ragione”, ma assolutamente no! “Da sempre le comunità si sono costituite attorno a uno spazio sacro e uno profano” supponiamo anche che sia così, ma non si è chiesto perché e non se lo è chiesto perché lui dà l’esistenza del sacro come naturale “è così perché è così e basta” questo è il modo in cui si procede generalmente in ambito teorico quindi tenetene conto. E poi: “il nostro modo di pensare cerca di sbarazzarsi del sacro che infatti sopravvive in forme degenerate oppure disperso in quello che il sociologo Bastide chiama il sacro selvaggio”, naturalmente non ce ne importa assolutamente nulla di Roger Bastide, “sopravvive in forme degenerate” e quali sarebbero quelle non degenerate? Naturalmente è lui che decide quale sacro è degenerato e quale no “senza il sacro scompare anche il profano” è possibile, ma semplicemente in accezione grammaticale “e la vita diventa disperata” perché? E allora dice “il nostro compito è immaginare un modo di vivere in cui la distinzione tutta umana tra sacro e profano possa tornare a guidare le nostre comunità, il senso di piatto e desolante uniformità del tempo che viviamo deriva proprio dalla sua scomparsa (il soggetto è sempre il sacro) nella nostra esistenza, senza di esso non c’è nemmeno più l’umano, il sacro ce lo ricorda la biologia non è morto con la morte di dio”. Ecco, vi ho letto questa cosa non perché interessi quello che dice ma per indicare il modo, tenuto conto di ciò che abbiamo detto negli ultimi tre incontri, il modo in cui generalmente, non sempre fortunatamente, ma straordinariamente spesso ci si muove in ambito teorico. Una buona parte dei testi sono scritti così, leggeteli e troverete un’accozzaglia di affermazioni che non significano niente e del tutte gratuite, mano a mano queste si confortano l’una con l’altra e alla fine si arriva ad una conclusione che a qualcuno può anche apparire legittima perché non si è accorto di tutte le cose assolutamente insensate e arbitrarie che sono state dette in precedenza allo scopo di confortare la conclusione finale. Questo accade quando le questioni vengono poste in termini che non sono quelli che abbiamo descritti la volta scorsa e cioè non si interrogano le questioni e soprattutto non si definiscono e allora accade di dire qualunque cosa e il suo contrario indifferentemente, naturalmente questo potete farlo come dicevo prima con qualunque testo compreso il testo di Freud, è possibile considerare tutti i testi di psicanalisi apparsi nella letteratura psicanalitica in questo modo e cioè come testi che affermano cose che in realtà non sono affatto affermabili perché muovono primo da asserzioni che appaiono naturali, appaiono fondate ma che di fatto non lo sono per nulla, secondo perché confortano queste affermazioni “teoriche” mettete teoriche tra virgolette con l’osservazione, ora se io decido di muovere da un certo principio poi naturalmente una volta che ho stabilito questo principio tutto ciò che osserverò da quel momento in poi non farà nient’altro che confermare il mio principio, non ci vuole niente a fare questo, e tutta l’osservazione non farà altro che confermare a ogni passo ciò che ho posto come principio basilare. Questo modo di procedere in ambito teoretico è una truffa, una truffa né più né meno, perché spaccia come verità cose che verità non sono. Prendete gli incantatori, come le cartomanti o altre cose del genere, per lo stesso motivo e per gli stessi criteri tutto il vaticano dovrebbe essere arrestato per truffa aggravata e continuata da duemila anni a questa parte, più continuata di così. Ma se ci pensate bene e non avete scrupoli di nessun tipo e siete dei teorici spietati allora vi apparirà che tutta la psicanalisi è una truffa, ecco adesso l’ho detta. Naturalmente se si intende con truffa spacciare come verità qualcosa che non lo è e trarne vantaggio, per esempio la chiesa ha tratto vantaggio, si è arricchita, è una delle potenze economiche più grandi del pianeta …
Intervento: concerne il concetto di verità si deve credere a certe cose e non a altre … effettivamente per queste persone un’attenuante se vogliamo chiamarla attenuante è che loro sono convinti di dire la verità …
Sì certo, buona fede dice? Una persona in buona fede è più pericolosa di una in mala fede …
Intervento: però qui è in ballo il concetto di verità ovviamente la verità è ciò che si crede …
Certo però io parlavo di un teorico rigoroso, spietato …
Intervento: c’è un teorico che può compiere questa operazione non avendo fatto un percorso come il nostro …
No, non esiste, cionondimeno come qualunque affermazione teorica che abbia la pretesa di esserlo un’affermazione teorica deve essere provata naturalmente se no è un’opinione qualunque, e il problema è come provarla cioè quali criteri di prova utilizzare, occorre un criterio di prova che sia necessario naturalmente e quindi occorre dare una definizione di necessario che risulti a sua volta necessaria. Nessuno ha mai compiuta questa operazione perché nessuno ha mai avuto la possibilità di trovare qualcosa di necessario per cui tutto ciò che è stato costruito come teoria di fatto non lo è, è una stupidaggine, da qui la necessità di porre la psicanalisi in tutt’altri termini cioè che non siano necessariamente una truffa. Per costruire una psicanalisi che non fosse una truffa è stato necessario tutto il percorso che abbiamo compiuto e se questo non fosse stato possibile ci saremmo dovuti accontentare della truffa operata consapevolmente, con fredda e lucida determinazione, come si compiono le truffe …
Intervento: sembra quasi che l’atto di fede sia universale per tutti cioè non potendo dimostrare … sono nella necessità di trovare qualche cosa che non sia discutibile …
Certo, la struttura del linguaggio costringe gli umani a cercare una affermazione vera per potere continuare a parlare e cioè che funzioni da premessa. Abbiamo detto in varie occasioni come occorre che funzioni una psicanalisi perché non sia necessariamente una truffa, abbiamo anche detto delle cose sulla tecnica psicanalitica, posta nei termini in cui l’abbiamo posta è un’altra cosa ovviamente e cioè non interviene mai la riconduzione di ciò che la persona dice a una qualche altra cosa, questa è la differenza fondamentale, qualunque tipo di psicanalisi anche le più recenti, le più avanzate, le più accreditate sono costrette a ricondurre un enunciato o meglio una struttura a un’altra cosa e cioè a qualche cosa che è stato deciso essere quella teoria, non hanno nessuna possibilità di fare altrimenti, mentre noi non abbiamo nessuna necessità di fare una cosa del genere. Ciò che abbiamo fatto in tutti questi anni non è propriamente una teoria nell’accezione più classica del termine ma è stato semplicemente il rilevamento del funzionamento del linguaggio e cioè della condizione per potere pensare e costruire qualunque cosa, il compito dell’analisi è mettere la persona nelle condizioni di sapere perché pensa quello che pensa, non è motivare quello che sta pensando e ricondurlo a qualche cos’altro ma semplicemente sapere perché pensa le cose che pensa, che siano belle, brutte, intelligenti o strampalate si tratta solo di sapere perché pensa quello che pensa, in fondo è tutto qui. Non è facile naturalmente e non lo è perché la persona ritiene che le cose che sta pensando siano sorrette dalla realtà dei fatti, dalle cose, e se pensa in modo scorretto allora suppone che qualcuno debba ricondurre il suo pensare errato ad un pensiero corretto. Non esiste un pensiero corretto di per sé e questo la persona che procede lungo l’analisi mano a mano se ne accorge, di fatto non c’è un modo corretto di pensare, come dicevamo la volta scorsa l’unico mal funzionamento della macchina cioè del linguaggio è dato dall’impossibilità di costruire altre proposizioni cioè quando il meccanismo si arresta, come nel computer, ma questo non si verifica mai quindi di fatto il linguaggio non ha mai mal funzionamenti, mai, costruisce stringhe ininterrottamente poi queste stringhe possono essere oppure no approvate da giochi linguistici più o meno diffusi questo è un altro discorso che non ha nulla a che fare con il mal funzionamento, anche perché poi si è rilevato in alcuni casi che quella che oggi gli psicologi chiamerebbero patologia, anche gli psichiatri lo farebbero gli psichiatri, sono ghiotti di patologie vedono patologie ovunque anche perché sono preposti a somministrare farmaci e a lobotomizzare chi ritengono adatto. Rimane il fatto che, e questo rimane il problema fondamentale soprattutto in analisi ma non solo, che le persone sono fermamente convinte, anche perché sono state addestrate a fare questo, che esista un riferimento che definisce qual è la normalità, qual è il comportamento corretto che in realtà poi non è altro che quello che si adatta alla realtà delle cose e quindi il concetto di realtà che è la madre di tutte le superstizioni, ché se si da per buona l’idea che esista una realtà allora la realtà è stata anche filosoficamente intesa come la verità, ciò che è: “quod quid erat esse”. È questa la realtà, la superstizione su cui si fonda il pensiero umano, qualunque tipo di pensiero si fonda sulla realtà, anche se raramente viene definito che cosa sia effettivamente la realtà, anche perché una volta che si incomincia a volerla definire più ci si avvicina e più quella si allontana, come è accaduto a chi ha cercato di stabilire una volta per tutte cosa sia la realtà, fino ad abbandonare la ricerca come un qualche cosa che è al di fuori della portata. Si sono incontrati dei paradossi, ma anche questo si può intendere perfettamente: qualunque cosa sia posta al di fuori del linguaggio e da lì si cerchi di definirla in modo necessario, in modo inequivocabile, produce immediatamente una serie di paradossi senza fine e i paradossi mal si sopportano perché rappresentano il limite, sono sempre stati considerati il limite del pensiero, qualcosa di intollerabile di fastidioso di inammissibile e infatti ci si è sempre adoperati per cancellarli fino alle ultime trovate. Ma perché quando si pone qualcosa fuori dal linguaggio e si cerca di chiedergli, di rispondere di sé si trovano immediatamente dei paradossi? E soprattutto quali paradossi immediatamente si rilevano? Se un qualche cosa deve dimostrare di sé la propria esistenza per esempio, o incappa nel paradosso dell’autoreferenzialità cioè il fatto che non può riferirsi a se stesso per dimostrare se stesso oppure è preso in un rinvio all’infinito, come dicevamo l’altra volta della semiotica e quindi non troverà mai un punto di arresto. Il paradosso dell’autoreferenzialità è stato la spina nel fianco di tutti i migliori pensatori degli ultimi due secoli: per definire se stesso un elemento deve porre se stesso come altro da sé, cioè occorre un qualche cos’altro sul quale fondarsi, porre se stesso come altro su cui fondare la propria identità, ma se pone se stesso come altro allora non è più identico a sé. Ogni qual volta è stata compiuta questa operazione cioè è stato posto un elemento fuori dal linguaggio e si è cercato di definirlo in modo preciso e determinato sono sorti i paradossi e quindi questa operazione è risultata impossibile da compiersi vana, inutile, neanche l’aritmetica ha retto a una cosa del genere. L’ultimo baluardo sembrava l’aritmetica, una cosa che era assolutamente e fondata, l’aritmetica non può mentire, due più due non può fare altro che quattro. Ma se invece, anziché immaginare, fantasticare, credere supporre che qualcosa sia fuori dal linguaggio noi ci fermiamo all’assoluta certezza che qualunque elemento è un elemento linguistico allora ogni paradosso scompare perché ciascun elemento è ricondotto là dove è sempre esistito all’interno di una combinatoria che lo produce e che gli procura l’antecedente e il conseguente e che ha il vantaggio che se gli viene chiesto di mostrare la sua identità mostra di fatto la condizione per la costruzione di qualunque identità, anche la costruzione dell’essere, è la condizione per qualunque cosa …
Intervento: il paradosso può spiegare …
Il paradosso non spiega niente, se un qualunque elemento è all’interno del linguaggio, si pone all’interno del linguaggio e non fuori allora non c’è più nessun paradosso. Se si pone un elemento al di fuori del linguaggio, prendiamo la realtà che i più considerano sia fuori dal linguaggio cioè non sia vincolata alla struttura del linguaggio …
Intervento: e identica per ciascuno anche …
È ovvio, e soprattutto identica a sé, ché la realtà non è che può cangiare così rapidamente se no non è più coglibile, supponiamo che qualcuno voglia determinare la realtà in modo assoluto, certo e definitivo, la realtà o qualunque aspetto di essa non ha importanza, è sempre posta fuori dal linguaggio ora questo elemento così come hanno riscontrato i logici, per esempio, i matematici, questo elemento posto in quella posizione fuori dal linguaggio deve dimostrare di sé di essere quello che è, ma come fa? È un problema perché per dimostrare di essere se stesso ha bisogno di un qualche cos’altro che lo dimostri e allora questo elemento si pone o come altro da sé e allora da lì incomincia la semiosi infinita, però a questo punto è anche altro da sé necessariamente, per dimostrare che è se stesso deve essere altro da sé se no non lo può fare. Invece se un qualunque elemento compresa la realtà la poniamo all’interno del linguaggio cioè della struttura del linguaggio e quindi come facente parte della struttura linguistica allora a questo punto non incontriamo più nessun paradosso e il motivo è questo: questo elemento si trova all’interno della struttura che è la condizione per potere costruire lo stesso paradosso, per esempio, ma soprattutto qualunque combinatoria, qualunque stringa, qualunque sequenza. Qualunque elemento posto all’interno del linguaggio ha come fondamento altri elementi linguistici da cui procede come conseguente per esempio, allora se noi chiedessimo a questo elemento di dimostrare di essere quello che è ci risponderebbe che è un elemento linguistico naturalmente, perché è un elemento linguistico, noi l’abbiamo posto come elemento linguistico, come fa a provare questo? Se è un elemento linguistico è inserito all’interno di una catena linguistica vale a dire che ha un antecedente e un conseguente, mostrando di sé di essere un elemento linguistico ci dice semplicemente che fa parte del linguaggio e ci dice anche che se non lo fosse, a questo punto ci dice anche questo, se non fosse un elemento linguistico noi non ne sapremmo niente perché non potrebbe essere inserito all’interno di nessuna catena, di nessuna combinatoria perché ne è fuori per definizione, e quindi con cosa lo conosciamo? Dunque ci dice che è quello che è necessariamente senza avere bisogno di altro all’in fuori di sé per dire che è quello che è, perché per essere quello che è, è necessariamente, essendo un elemento linguistico, all’interno di una combinatoria che è fatta di antecedenti e conseguenti ovviamente e a questo punto non c’è più nessun paradosso. Il problema sorge quando si pone un elemento fuori dal linguaggio, è allora che partono i paradossi e non se ne viene più fuori, quando si vuole provare che un elemento è fuori dal linguaggio. Può considerare il concetto di prova che è fondamentale per provare qualunque cosa, per provare qualcosa abbiamo la necessità di stabilire un criterio di prova ovviamente ora questo criterio come sarà sostenuto, come sarà costruito?
Intervento: dal linguaggio …
Brava! Qualunque criterio di prova per qualunque cosa sarà costruito dal linguaggio per cui anche se volesse provare che un elemento è fuori dal linguaggio dovrà comunque utilizzare il linguaggio per poterlo provare. Questo appena per dire che ciascun elemento comunque è un elemento linguistico, qualunque cosa lei voglia fare o non voglia fare è sempre e comunque all’interno della struttura del linguaggio perché fuori lei non può volere niente, non può fare niente, assolutamente niente né potrebbe neanche porsi il problema di volere qualche cosa. Si muove certo, come qualunque aggeggio o qualunque animale ma senza quella che noi chiamiamo volontà, la volontà prevede un’intenzione e l’intenzione è sempre il conseguente di una serie di antecedenti per cui se è così ecco che allora mi piace questa cosa, per esempio. Il linguaggio può provare se stesso? In realtà no, non esiste una dimostrazione, la dimostrazione è già qualche cosa che è al di là il linguaggio, è la condizione per costruire qualunque dimostrazione e in effetti non parlo di prova rispetto al linguaggio ma di costrizione logica, che è diverso …
Intervento: in questo senso il linguaggio deve essere autoreferenziale perché non c’è un’altra possibilità …
Sì esattamente, il linguaggio non può che riferirsi a se stesso perché non ha nessun altro elemento, non può uscire fuori da se stesso, per questo è una necessità, è una costrizione logica perché non può uscire da se stesso in nessun modo perché per uscire da se stesso deve usare se stesso …
Intervento: e questo è il paradosso …
È la cancellazione del paradosso nel senso che è costretto a compiere questa operazione, non può fare altrimenti, per affermare se stesso deve necessariamente usare se stesso però, per questo non è un paradosso, usa sempre comunque se stesso mentre il paradosso dell’autoreferenzialità dice che qualche cosa necessita che l’elemento diventi altro da sé, il linguaggio no, rimane sempre se stesso. Daniela come definirebbe il linguaggio?
Intervento: un serie di regole di funzionamento …
Sì, in un certo senso, è una sequenza di istruzioni per la costruzione di quelle cose che chiamiamo proposizioni, nient’altro che questo. Eppure la nostra ricerca è sorta dall’esigenza teorica di dare un fondamento a una teoria psicanalitica che apparve subito naturalmente inconsistente e inadeguata. Procedendo lungo questa via è chiaro che a un certo punto si chiede alla prova di provare se stessa, e lì diventa arduo, come si sa che il criterio utilizzato è vero se ancora non si è stabilito che cosa è verità? Ci si trova in un circolo vizioso dal quale non se ne viene più fuori, e allora come si fa? Generalmente si accoglie un certo criterio come naturale e questo risolve ogni problema, ma se non ci si accontenta di una spiegazione del genere allora diventa un grosso problema, bisogna trovare qualche cosa che sia la condizione di tutto, compreso di se stesso e occorre che sia necessario, abbiamo anche dovuto fornire la definizione di necessario e cioè come ciò che è e che non può non essere perché se non fosse allora non sarebbe né quella né nessun altra cosa, che è esattamente una delle definizioni di linguaggio. In tutto questo naturalmente si segue un metodo che è totalmente, radicalmente, irreversibilmente differente da qualunque altro il quale parte da niente e persino la logica matematica che è ritenuta una delle discipline più ferree e rigorose muove da assiomi, da premesse, da principi che non sa giustificare ma che considera naturali perché naturalmente si pensa così, Ma cosa vuole dire che è naturale? Niente, assolutamente niente.
Intervento: come si fa a spiegare il bene e il male …
Si forniscono le istruzioni necessarie perché sia riconosciuto …
Intervento: …
In questo caso no, in questo caso sono solo istruzioni, anche una macchina riconosce i colori, basta fornirgli le istruzioni giuste e li riconosce, non è difficile, così come il bene e il male: si stabilisce che cos’è il bene, per esempio io stabilisco che cos’è il bene, il bene è essere onorato, venerato, etc. il male tutto ciò che si oppone a una cosa del genere, stabilito questo io ve lo spiego per benino e voi vi attenete e bell’e fatto, stabilisco anche che è normale che io sia venerato, adorato e tutta una serie di altre storie e chi non lo fa naturalmente è una persona anormale che non sa distinguere il bene dal male e quindi bisogna insegnarglielo, e se non lo impara deve essere eliminato e si elimina il problema alla radice. Cos’era per la teologia il bene? Era dio necessariamente, e la genialata è stata pensare che il male, ché era difficile stabilire per via del problema del libero arbitrio, è tutto ciò che si allontana da dio. Stabilisco che dio è il bene, tutto ciò che si allontana quindi differisce da dio è male, e più si allontana e più differisce, se si allontana poco è poco male, se si allontana tanto è tanto male. È un sistema abbastanza diffuso, si stabilisce ciò che è bene poi tutto ciò che se ne allontana è male e tanto più se ne allontana e tanto più è male, naturalmente occorre definire che cosa è bene e soprattutto occorre che altri si adattino a questa definizione perché potrebbero anche non adattarsi, e allora li si fa adattare con le armi, servono per questo, quale metodo migliore per persuadere? Per esempio un ordigno nucleare potrebbe essere un ottimo elemento di persuasione. Ogni religione deve stabilire che cosa e bene e che cosa è male, se no cosa sta lì a fare?
Intervento: …
Sì però uno può sempre trovare il modo di ribellarsi, invece in questo modo no perché se si immettono delle informazioni come ci raccontava Turing l’altra volta, delle informazioni, dei principi generali che risultino assolutamente veri poi, una volta che sono stati stabiliti non sono più messi in discussione, e perché dovrebbero? Perché dovrei mettere in discussione che questo è un orologio, a che scopo? E quindi non lo si fa. Bene, proseguiremo mercoledì prossimo.