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27 dicembre 2023

 

Aristotele Topici

 

Mi è venuta in mente una cosa che funzionerebbe benissimo come esergo alla logica di Aristotele. Sono parole di Nietzsche, tratte da Su verità e menzogna fuori del senso morale. In un qualche angolo remoto dell’universo che fiammeggia e si estende in infiniti sistemi solari, c’era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della «storia universale»: e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della natura, quel corpo celeste si irrigidì, e gli animali intelligenti dovettero morire. Ecco una favola che qualcuno potrebbe inventare, senza aver però ancora illustrato adeguatamente in che modo penoso, umbratile, fugace, in che modo insensato e arbitrario si sia atteggiato l’intelletto umano nella natura: ci sono state delle eternità, in cui esso non era; e quando nuovamente non sarà più, non sarà successo niente. Questa tracotanza, di cui parla Nietzsche, non è altro che la logica, e cioè l’idea di avere le cose sotto il proprio dominio, il proprio controllo – io sono tutto, io so tutto e tutto è sotto il mio dominio. In effetti, ciò di cui si tratta è proprio questo nell’Organon, solo che fallisce questo tentativo. Come abbiamo visto nelle ultime righe degli Analitici Secondi, tutta la logica precipita. Vi rileggo queste poche righe. Allora, se non abbiamo nessun altro genere che sia vero oltre la conoscenza scientifica, l’intellezione sarà principio della conoscenza scientifica. E, da un lato, l’intellezione sarà principio del principio, dall’altro la conoscenza scientifica nel suo complesso sta nello stesso rapporto rispetto al suo oggetto, nel suo complesso. Cioè, la conoscenza scientifica appoggia sul νούς, sul pensiero; senza il pensiero la conoscenza scientifica è nulla, non dice nulla perché non ha più niente da dire. Qual è l’operazione che fa a questo punto Aristotele qui nei Topici? Intanto deve chiarire che il sillogismo dialettico si distingue da quello dimostrativo, scientifico, e quindi deve ribadire delle questioni che sono state il vero problema. Lui incomincia così. A pag. 1069. Lo scopo di questa ricerca è quello di trovare un metodo che ci permetta, rispetto ad ogni problema che viene proposto, di argomentare a partire da opinioni condivise… C’è una nota del traduttore che dice. Traduco in questo modo il termine … ἒνδοξα. Ora ἒνδοξον in greco significa anche “glorioso”, che immediatamente richiama la traduzione che fece Giovanbattista Vico di assioma: degnità, ciò che è degno di essere accolto. Che cosa è degno di essere accolto, quindi, condiviso? ἒνδοξα, ciò che è nella δόξα, che è condiviso, comune, la chiacchiera, l’unica cosa che è condivisa. …argomentare a partire da opinioni condivise, e che ci permetta anche, quando siamo chiamati a sostenere un argomento, di non dire nulla di contrario rispetto a ciò che vogliamo sostenere. Dunque, in primo luogo bisogna dire che cos’è un sillogismo e quali sono le sue articolazioni, in modo che si possa comprendere che cos’è il sillogismo dialettico; infatti, l’oggetto della ricerca che stiamo svolgendo è appunto questo. Dunque, sillogismo è un discorso in cui, posti alcuni elementi, necessariamente deriva qualcosa di diverso rispetto a ciò che è stato posto. E qui possiamo già fermarci un momento a pensare. Il sillogismo è un discorso in cui compare qualche cosa che prima apparentemente non c’era. Apparentemente, ma siamo proprio così sicuri che non ci fosse? Se non c’era allora questa cosa sorge ex nihilo, magicamente dal nulla, oppure era già presente. Lasciamo stare la deduzione dove ciò che si deduce è già implicito nella premessa maggiore, ma anche nell’induzione ciò che compare non è che viene dal nulla, viene da ciò che si è stabilito, viene da ciò – lui lo dice, anche se poi se ne dimentica – che io ho deciso, ho comandato che sia, è il famoso ύπάρχειν. Da qui vengono quelle cose, non dal nulla. E, da un lato, si ha una dimostrazione quando il sillogismo la deriva da premesse vere e prime… Sappiamo quali sono le premesse vere e prime: quelle che non hanno dimostrazione; i principi primi non possono essere dimostrati, perché, se lo fossero, non sarebbero principi primi, ma sarebbero, per esempio, secondi, in quanto seguono a una dimostrazione. …oppure da premesse la cui conoscenza trae origine da premesse vere e prime, dall’altra è dialettico quel sillogismo che argomenta a partire da opinioni condivise. Qui c’è un altro problema, perché lui stesso dice – non ricordo esattamente dove – che questi principi primi, quando si chiede da dove arrivano lui stesso si risponde che derivano da ciò che è conosciuto, da ciò che è dato, da ciò che riconosciamo, quindi, da ciò che è nostra opinione che sia. Quindi, in che modo distingue esattamente il sillogismo dialettico da quello dimostrativo? Entrambi muovono da premesse che necessariamente devono essere riconosciute. Anche il sillogismo dimostrativo, quello scientifico, muove da premesse che altri devono riconoscere, cioè, l’interlocutore deve accogliere le regole che io impongo nell’argomentazione. Facciamo un esempio di non accoglimento di queste regole: Gabriele afferma “tutte le A sono B” e io gli rimando “provalo!”. Questo è un modo in cui non si accoglie la regola. La regola è il principio, è primo indiscutibilmente perché se lo si discute crolla tutto; perché resti in piedi occorre che l’interlocutore accolga le mie regole e allora posso affermare “tutte le A sono B”. Naturalmente, sapendo e non potendo non sapere a questo punto che è un comando quello che io do. Quindi, in che cosa si distinguono? Ad Aristotele piaceva l’idea che potessero essere distinti, in modo da tenere da una parte il sillogismo dimostrativo, quello formale, quello che dice che “tutte le A sono B, tutte le B sono C e pertanto tutte le A sono C”, e dall’altra parte il sillogismo dialettico, che muove dall’opinione, da ciò che è creduto vero. Ma ciò che è creduto vero è esattamente la stessa cosa della premessa del sillogismo dimostrativo, che deve essere creduto vero perché possa funzionare, ché “tutte le A sono B” deve essere creduto vero. Poi, basta chiedere di provare una cosa del genere e sorgono immediatamente i problemi. “Veri” e “primi”, poi, sono quegli elementi la cui credibilità non deriva da qualcos’altro ma che sono credibili in se stessi (infatti, di fronte ai principi delle scienze, non si deve cercare il perché, ma ciascuno dei principi deve essere credibile in se stesso)… Vi rendete conto che stiamo parlando dei fondamenti della logica, ciò su cui si regge tutto, un monumento enorme costruito poi nel Medio Evo? Deve essere credibile in se stesso e non si deve cercare il perché, un po’ come quando si arriva alla doxa e non si deve interrogare oltre, perché cosa si trova oltre la doxa? Altra doxa, e così via all’infinito. In questo senso sono credibili in se stessi, perché non bisogna indagare ulteriormente, non ci si deve chiedere perché.

Intervento: …

Il problema è sempre lo stesso: l’uno e i molti, non si esce da lì. Parmenide ha detto quello che c’era da dire. Il problema è comunque sempre quello: l’uno è ciò che deve essere creduto e i molti che, invece, sono quelle cose che mettono in discussione ciò che è creduto, le opinioni. Lui qui vuole tenere separato l’uno dai molti, ciò che è dimostrativo da ciò che è dialettico. …mentre sono “opinioni condivise” quelle che costituiscono l’opinione di tutti, o della maggior parte delle persone, o dei sapienti, e, tra questi, o di tutti, o della maggior parte, o di quelli più noti e stimati. È la nota figura retorica dell’auctoritas: ipse dixit, lo ha detto lui. Ironia della sorte è che era rivolta proprio a lui: Aristotele lo ha detto. Eristico, inoltre, è quel sillogismo che procede da opinioni che “sembrano” essere condivise ma che in realtà non lo sono… Il sillogismo eristico è quello che usavano i sofisti, in particolare Eutidemo, che erano coloro che affermavano e confutavano indifferentemente, non tenendo minimamente conto della verità o falsità di ciò che dicevano, volevano soltanto dimostrare. Che differenza c’è tra qualcosa che sembra essere condiviso da ciò che in realtà non lo è? Difficile da stabilire. …e anche quello che “sembra” procedere da opinioni che “sono” condivise o che “sembrano essere” tali; infatti, non tutto ciò che sembra essere un’opinione condivisa lo è davvero. Non tutto, ma alcune cose sì. Infatti, nessuna delle cosiddette “opinioni condivise” si dà come immediatamente evidente, come accade nel caso dei principi dei discorsi eristici; infatti, in questi, e per lo più per coloro che sono capaci di cogliere al primo colpo d’occhio anche questioni di poco conto, la natura del falso risulta immediatamente evidente. In che modo risulti immediatamente evidente Aristotele non lo dice. Perché risulta immediatamente evidente che uno dice il falso? Perché non si accorda con ciò che io so; se non si accorda con la mia doxa, ecco che colgo immediatamente il falso, c’è una discordanza. Dunque, il primo dei sillogismi eristici che abbiamo detto, chiamiamolo pure “sillogismo”, mentre l’altro chiamiamolo sillogismo eristico, ma non “sillogismo”, dal momento che esso “sembra” argomentare ma, in realtà, non lo fa. Questo discorso di Aristotele è abbastanza fumoso. Sembra argomentare ma, in realtà, non lo fa: cosa vuol dire questa affermazione? O argomento o non argomento, posso argomentare in modo vero oppure falso, ma se argomento, costruisco sillogismi, cioè, costruisco proposizioni dalle quali compare a un certo punto qualcosa che, come diceva lui, non era presente nella premessa maggiore e nella minore, ma che appare invece nella conclusione. E, poi, oltre a tutti i sillogismi che abbiamo detto, ci sono anche i ragionamenti sbagliati, che derivano da principi propri di alcune scienze, come accade nel caso della geometria e di altre scienze dello stesso genere. /…/ Dunque, a grandi linee, diciamo che le specie dei sillogismi sono queste che abbiamo indicato. Certo, le abbiamo indicate, però rimane il problema di una distinzione sicura tra il sillogismo dimostrativo e quello dialettico, perché entrambi muovono da qualcosa che deve essere creduto vero, e se non è creduto vero il sillogismo non si costruisce, vuol dire che non si accoglie la premessa maggiore e, di conseguenza, tutto il resto. A pag. 1175. In generale, poi, su tutte le cose di cui abbiamo parlato e su quelle di cui parleremo dopo queste, bastino le distinzioni che abbiamo fatto, dal momento che, rispetto a ciascuna di esse, il nostro obiettivo non è quello di darne una definizione rigorosa, ma vogliamo occuparcene, per quanto è possibile, a grandi linee, dal momento che riteniamo che, rispetto all’indagine che stiamo svolgendo, sia più che sufficiente essere capaci di riconoscerle, in un modo o in un altro. Certo, riconoscerle, ma come riconosciamo il sillogismo dimostrativo e quello dialettico, come li distinguiamo se entrambi muovono da qualcosa che deve essere creduto vero, ed è lui che sostiene questo: la premessa maggiore deve essere creduta vera. È il principio primo: non lo posso dimostrare e, quindi, deve essere creduto; se non c’è dimostrazione, o credo o non credo. È per questo che Anselmo si è era tanto adoperato per dimostrare l’esistenza di Dio: se Dio esiste davvero, non devo neanche credere – commettendo tra l’altro una blasfemia, perché per la religione cristiana credere è fondamentale. Detto ciò, dobbiamo spiegare a “quante” e “quali” cose serve questa ricerca. Dunque, essa serve a tre cose: 1) a fare esercizio; 2) a sapere condurre una conversazione; 3) alle scienze filosofiche. Che sia utile all’esercizio è evidente anche da quello che si è detto. Infatti, se abbiamo un metodo, saremo più facilmente in grado di argomentare sull’argomento che è stato proposto. (2) Per quanto riguarda le conversazioni, poi, questa ricerca è utile dal momento che, una volta passate in rassegna le opinioni della maggior parte delle persone, è possibile rapportarsi ad esse muovendosi sul loro stesso terreno e non a partire da uno ad esse estraneo, ed è possibile modificare ciò che esse sembrano sostenere in modo non corretto. Sempre utilizzando il sistema che lui ha proposto. (3a) Inoltre, per quanto riguarda le scienze filosofiche, tale ricerca è utile perché, rendendoci in grado di sollevare aporie rispetto ad entrambi i versanti della questione, ci farà scorgere più facilmente il vero e il falso in ciascun ambito. Dice rendendoci in grado di sollevare aporie, ma ciò che dovrebbe renderci in grado di sollevare aporie è lui stesso aporetico, perché per sollevare queste aporie noi dobbiamo usare la logica, dobbiamo usare dei sillogismi, non importa se dimostrativi o dialettici, e questi sillogismi sono aporetici, nel senso che la premessa da cui muovono è comunque un’opinione, una credenza. In questo senso è un’aporia, per cui non va da nessuna parte, si scontra contro qualcosa che non sappiamo se è così oppure no, si crede che sia così, sì, certo, ma lì ci fermiamo. Quindi, in che modo sollevo un’aporia? Con un’altra aporia. (3b) Inoltre, essa è anche utile rispetto ai principi primi di ciascuna scienza. Badate bene a quello che si sta dicendo qui. Dice è anche utile rispetto ai principi primi. Vediamo come. Infatti, a partire dai principi propri della scienza in questione, è impossibile dire qualcosa sui principi stessi della scienza di cui ci si sta occupando, dal momento che i principi vengono prima di qualsiasi altro elemento; e quindi è necessario, per riflettere su di essi, far ricorso alle opinioni condivise espresse su ciascuno di essi. Vi rendete conto dui quello che sta dicendo? Nel tentativo disperato di costruire la logica, compie un continuo attacco alla logica intesa come pensiero epistemico. In queste poche righe dice è anche utile rispetto ai principi primi, ma come? I principi primi non devono essere messi in discussione. Sì, certo, difatti dice è impossibile dire qualcosa sui principi stessi della scienza di cui ci si sta occupando, dal momento che i principi vengono prima di qualsiasi altro elemento; e quindi è necessario, per riflettere su di essi, far ricorso alle opinioni condivise, e cioè la doxa. In questo modo l’idea di logica precipita nell’abisso e non si risolleva più. Questa, dunque, è la caratteristica peculiare della dialettica, o l’elemento che maggiormente la caratterizza; infatti, essendo essa esaminatrice, possiede la via d’accesso ai principi di tutte le altre scienze. Qual è il principio di accesso? La doxa. Sono pagine queste fondamentali perché dicono di che cosa stiamo parlando quando parliamo di logica; stiamo parlando di una costruzione che vorrebbe essere… Ecco qui l’esergo di Nietzsche, questa arroganza, che non è la ὕβρις dei greci ma è proprio l’arroganza spiccia, di quello che si crede di essere chissà chi. È questa l’arroganza del discorso occidentale, cioè, del pensiero in generale; è questa l’arroganza della logica, nel senso che si arroga un diritto di affermare cose che non può affermare. È come se la logica non facesse nient’altro che questo: tentare di tenere ben separati l’uno e i molti; solo così può credere di potere dire come stanno le cose, di dire dell’uno: l’uno è questo. Come poi farà Plotino: l’uno è questo! Perché? Ecco, a questa domanda si taglia la testa all’istante e si risolve il problema. L’arroganza della logica è questa: il credere di potere tenere separato l’uno dai molti. E dov’è finito Eraclito e il suo ἒν πάντα εἰναι? Perché nessuno gli ha dato ascolto? Anzi, è stata inventata la logica, non da Aristotele, lui l’ha solo formalizzata, esisteva da sempre. Lo stesso Eraclito la utilizzava, ma qui c’è una differenza sostanziale perché Eraclito non pensava alla logica come a qualcosa che potesse tenere separato l’uno dai molti, affermando lui stesso ἒν πάντα εἰναι, l’uno è i molti. Quindi, cosa stiamo a cercare la verità? Di che cosa parliamo quando parliamo di verità? Adesso non sappiamo se ai tempi di Eraclito la parola ἀλήθεια avesse ancora qualche eco del suo significato originario; forse sì, forse no, non lo sapremo mai. Heidegger ha provato a interpellare i filologi, ma sono passati troppi anni. A pag. 1179. La perfetta acquisizione del metodo di ricerca. Inoltre, potremo dire di aver acquisito perfettamente un metodo quando ci troveremo nella stessa situazione in cui veniamo a trovarci nel caso della retorica, della medicina e di altre capacità di questo tipo: tale metodo consiste nel riuscire a realizzare, con i mezzi a nostra disposizione, ciò che ci siamo proposti. Infatti, il retore non riuscirà a persuadere con un mezzo qualsiasi, né il medico riuscirà a guarire procedendo a caso, ma se invece non avrà tralasciato nessuno dei mezzi a sua disposizione, allora potremo dire che costui possiede la propria scienza in modo adeguato. È curioso che, parlando del metodo, dell’acquisizione del metodo di ricerca, faccia riferimento alla retorica. Dice il retore non riuscirà a persuadere con un mezzo qualsiasi: certo che no, dovrà trovarne uno acconcio, ma qual è il metodo retorico più efficace? Quello che riesce a illudere di avere separato l’uno dai molti, cioè, la logica. È l’utilizzo che la retorica fa della logica: ti dimostro questo, cioè, ti dico che è possibile separare l’uno dai molti. Quando dico “ti dimostro questo” è come se dicessi “ti mostro letteralmente che io posso separare l’uno dai molti”; solo in questo caso “dimostro”, sennò non dimostro niente. È per questo che presso i presocratici la dimostrazione non esisteva, non avevano nulla da dimostrare. L’unico che aveva fatto una sorta di dimostrazione era Zenone, e l’ha fatta proprio come arma contro i detrattori di Parmenide. Quindi, innanzitutto, dobbiamo cercare di capire da quali elementi è costituito il metodo della nostra ricerca. Dunque, se riusciamo a cogliere a quante e a quali realtà sono diretti i nostri discorsi, quali sono gli elementi da cui essi prendono avvio, e, d’altro canto, in che modo saremo in grado di procurarceli in abbondanza, avremo raggiunto adeguatamente lo scopo che ci eravamo proposti. Inoltre, gli elementi da cui traggono origine i discorsi dialettici sono uguali per numero e sono identici a quelli su cui vertono i sillogismi. Cioè, le questioni sono le stesse. Infatti, mentre i discorsi traggono origine dalle premesse, ciò su cui vertono i sillogismi costituiscono i problemi. Ogni premessa e ogni problema, dal canto loro, hanno per oggetto o una caratteristica peculiare, un genere o un accidente… Qui c’è un problema interessante. Sta dicendo che, in fondo, tutti i sillogismi traggono origine da premesse. Però, le premesse, ciò su cui vertono i sillogismi dialettici, sono i problemi, cioè, cose che interrogano. E qui ci ricolleghiamo a quanto Aristotele diceva prima – lui se ne è già dimenticato, ma noi no: è necessario, per riflettere su di essi, far ricorso alle opinioni condivise espresse su ciascuno di essi. Quindi, ciò su cui vertono i sillogismi sono i problemi. Sì, certo, in effetti ha ragione, anche se dimentica quello che aveva detto un attimo prima, ma ogni premessa è un problema, non c’è niente da fare. Si tratta di risolvere questo problema. Come? Con la retorica, con la persuasione, mostrando, illudendo, facendo vedere come questa cosa inerisce a quest’altra. Ma è un trucco, è un gioco di prestigio: vedi che A inerisce a B, faccio una bella analogia e chiuso il discorso. Ad Aristotele piace suddividere, non perde occasione, e allora dice che Ogni premessa e ogni problema, dal canto loro, hanno per oggetto o una caratteristica peculiare, un genere o un accidente; infatti, anche la differenza, in quanto differenza del genere, deve essere considerata insieme al genere stesso. Poiché, poi, la caratteristica peculiare, da un lato esprime l’essenza e dall’altra no, occorre dividere la caratteristica peculiare nelle due parti che abbiamo appena detto, e si chiami l’una, cioè quella che esprime l’essenza, definizione, l’altra, in base al nome che comunemente viene dato ad essa, la si chiami semplicemente “caratteristica peculiare”. A pag. 1181. Fa poi una serie di esempi. Se, infatti, si dice: “Forse che animale bipede terrestre non è la definizione di essere umano?” e “Forse che animale non è il genere di essere umano?” allora abbiamo una premessa; se, invece, si dice “Animale, terrestre e bipede” è la definizione dell’essere umano oppure no?”, allora si tratta di un problema. E lo stesso vale anche per gli altri casi. Quindi, è evidente che i problemi e le premesse sono dello stesso numero. Ogni premessa è un problema; quindi, è chiaro che siano dello stesso numero. A pag. 1183. Quindi, in poche parole, diciamo “definitorio” ciò che rientra nell’ambito di una ricerca che riguarda le definizioni. A pag. 1185. Caratteristica peculiare, inoltre, è ciò che, se da un lato non indica l’essenza di una determinata realtà, dall’altro appartiene a quella sola realtà ed instaura con un essa un rapporto di convertibilità. Per esempio: la caratteristica peculiare dell’essere umano consiste nel fatto di “essere capace di apprendere la grammatica”; se, infatti, è un “essere umano” è capace di apprendere la grammatica, e se è capace di apprendere la grammatica, è un essere umano. A pag. 1189. La definizione e le sue caratteristiche. Non dobbiamo poi dimenticare che è opportuno che tutto ciò che riguarda la caratteristica peculiare il genere e l’accidente, venga detto anche a proposito delle definizioni. La caratteristica peculiare è quella cosa che appartiene, inerisce a un’altra, ma non indica la sostanza, mentre la definizione indica la sostanza, il che cos’è. Infatti, una volta mostrato che qualcosa non appartiene solamente all’ambito della definizione, come accade per esempio per la caratteristica peculiare, oppure che quello fornito dalla definizione non è un genere, o che uno degli elementi espressi nel discorso non appartiene alla realtà in questione, come si potrebbe dire anche per l’accidente, allora avremo distrutto la definizione. Perché la definizione comprenderebbe anche l’accidente. Se io definisco qualche cosa – lo sappiamo già, perché ce lo ha detto – questa definizione, definendo, si mostra come eterna, quindi, non può essere accidentale. Quando io definisco qualche cosa la definisco sub specie æternitate, come un universale: una definizione è un’affermazione e ogni affermazione, lui stesso lo dice, è universale. Di conseguenza, in base a quello che abbiamo detto prima, tutte le nozioni che sono state indicate possono essere connesse, in qualche modo, alla definizione. Tuttavia, questo non costituisce un motivo sufficiente per ricercare un metodo universalmente valido per tutte le realtà; infatti, non è neppure facile trovarlo, e, se anche fosse trovato, esso risulterebbe totalmente oscuro e inutile per la ricerca che stiamo svolgendo. Qui c’è una nota che dice. Viene qui offerta un’ulteriore importante indicazione di carattere metodologico… Non è soltanto un’indicazione di carattere metodologico. Dice che tutte le nozioni che sono state indicate possono essere connesse, in qualche modo, alla definizione. La definizione pone l’universale, l’uno, uni-verso. E i molti? Eccoli qua i molti, che fanno capolino. Tuttavia, questo non costituisce un motivo sufficiente per ricercare un metodo universalmente valido per tutte le realtà; infatti, non è neppure facile trovarlo, e, se anche fosse trovato, esso risulterebbe totalmente oscuro e inutile per la ricerca che stiamo svolgendo. Ci sta dicendo che la definizione non può essere stabilita universalmente, deve essere accolta anche questa, deve essere pensata, creduta essere vera; solo a questo punto è una definizione. Cioè, di nuovo, devo togliere i molti, devo illudere di avere tolto i molti per potere definire, cioè, affermare, quindi, porre l’universale senza i molti.