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27 dicembre 2018

 

La struttura originaria di E. Severino

 

La struttura originaria è il linguaggio. Ovviamente Severino non dice questo, non solo ma non sarebbe assolutamente d’accordo. Tuttavia, se ci si riflette un momento, come è capitato a me di fare, allora si considera che, perché possa darsi qualcosa di più originario del linguaggio, occorrerebbe un qualche cosa che fosse la condizione del linguaggio, cioè, che da fuori il linguaggio desse l’avvio al linguaggio. Una cosa del genere è piuttosto improbabile, è sufficiente considerare che, anche per pensare l’eventualità di costruire un qualcosa che sia più originario del linguaggio, occorre il linguaggio. Già solo questa argomentazione è molto semplice ma efficace: non posso pensare nulla che sia al di là del linguaggio se non con il linguaggio. Questo ci conduce a un’altra considerazione. Anche qui implicitamente ma occorrerebbe renderlo esplicito, perché, di fatto, Severino parla sempre di significati, di proposizioni, di parole, parla di linguaggio ininterrottamente anche se non lo mette mai a tema propriamente. A questo punto possiamo provare a dire che le parole, le cose quindi, sono significati. Severino arriva a dirlo in modo esplicito in un suo libro, che si chiama Dike, la giustizia. Per Severino la giustizia è la necessità, ma questo è un altro discorso. Le cose sono significati, se non fossero significati non sarebbero nulla. Devono essere significati perché io possa approcciarmi a un qualche cosa sapendo che è un qualche cosa, e questo ha però delle implicazioni non indifferenti. Tenendo conto che una qualunque cosa è un significato - qualunque cosa, quindi, anche un pensiero, le parole sono significati, cioè sono rinvii, relazioni – allora si ha a che fare sempre e comunque soltanto con significati, con parole. La struttura originaria, che, come ho detto, è il linguaggio, di fatto questa struttura originaria sono parole, non è un qualche cosa che sta in qualche cielo, come voleva Platone. Sono parole, cioè ci si riferisce sempre e comunque a parole e al di là delle parole ci sono sempre e soltanto altre parole. Questa è, come dicevo, un’implicazione non indifferente perché fa riflettere su una qualunque costruzione teorica, nel senso che di qualunque cosa parli, in effetti, sta parlando di un qualche cosa che è parole, fatto di parole che rinviano ad altre parole, e così via. E così tutte le fantasie, tutti i pensieri, belli o brutti, divertenti, interessanti, sono parole; quando penso a queste cose mi sto riferendo soltanto a parole. È facile da intendere ma è più difficile da mettere in atto, da praticare. I significati sono l’unica cosa con cui gli umani hanno a che fare incessantemente. Occorre dire che le cose “sono” significati, non che “hanno” significato, perché se diciamo che hanno un significato intendiamo che potrebbero anche non averlo o che comunque prima non ce l’avevano e che, quindi, prima stavano lì in attesa di un significato. Non è così, prima del significato non c’è assolutamente nulla. Possiamo dire che le cose esistono perché sono un significato, sennò non potremmo dirne niente, né avremmo nulla da dire. Da qui anche l’interesse di Severino per la questione del significato. Lui considera l’immediatamente evidente, cioè il concreto. Però, il concreto, lui dice, non si dà propriamente, non appare nel linguaggio, il linguaggio non può dire il tutto, la totalità degli enti. Il linguaggio dice l’astratto, cioè la determinazione particolare. Potete pensare a de Saussure: Langue e parole. La Langue sarebbe il concreto, cioè l’insieme di tutte le possibili esecuzioni linguistiche, presenti, passate e future; la parole sarebbe l’astratto, cioè la determinazione, l’esecuzione di un qualche cosa. Quindi, ciò con cui si ha a che fare, dice Severino, non è propriamente il concreto ma è sempre l’astratto; quindi, è sempre mediato. Con l’immediato non abbiamo a che fare direttamente; certo, c’è l’immediato, il concreto, ma questo concreto non può dirsi, possiamo dire che appare, però… E questo è un problema perché comunque abbiamo sempre a che fare con gli astratti. Quando io dico la famosa proposizione “questa lampada che è sul tavolo”, che sarebbe il concreto, già dicendola io specifico, determino delle cose, anche perché non posso dire simultaneamente ciò che appare, cioè “questa lampada che è sul tavolo”, ma devo dire delle cose, e cioè questa lampada che è sul tavolo, e, quindi, dico degli astratti. Il concreto, ecco, questo il linguaggio non lo consente, cioè il linguaggio non consente di dire il tutto simultaneamente, tutto ciò che è stato, tutto ciò che è e che sarà, nulla escluso. Da qui la finitudine, di cui parlava anche Heidegger: ciascuno ha a che fare solo con il finito, mentre il concreto è l’universale, e l’universale, per definizione, non è finito. Adesso abbiamo saltato molte cose ma l’idea che l’analisi di un termine, certo, nel concreto questa analisi appare finita; occorre che sia finita, perché se non lo fosse non apparirebbe così com’è, cioè come un tutto chiuso in sé. Tuttavia, io posso analizzare ciascun elemento, ma posso analizzarlo fino a che punto? Qui interviene un altro problema. Certo, lui considera l’analizzare questo elemento entro i termini in cui, perché questo è sempre il suo criterio fondamentale, ciò che io affermo non contraddica la proposizione da cui sono partito, deve quindi mantenersi nell’ambito di una considerazione analitica, cioè dire che cosa necessariamente c’è in questa proposizione. Però, l’analisi di questa proposizione può condurre ad altre cose e lui è costretto a tenere sempre conto che deve attenersi sempre e unicamente a quelle considerazioni che non negano la proposizione, cioè che non sia possibile dire di una cosa che è e che anche non è. Questo è sempre il suo criterio fondamentale. Ora, nel dire comune questo non accade, ci si contraddice ininterrottamente, però, pur contraddicendosi ininterrottamente, si vuole mantenere l’idea di una sorta di incontraddittorietà di ciò che si dice, come se questo (l’incontraddittorio) fosse comunque una specie di modello. Per Severino è il modello portante: l’incontraddittorio non è altro che la proposizione che afferma che l’intero è l’intero, che l’essere è l’essere. Infatti, a pag. 323, dice L’identità L-immediata è dunque solo l’identità del concreto, e questa identità è espressa dalla proposizione: “L’intero è l’intero” – l’intero essendo appunto l’essere, come universale concreto. (Tale proposizione – ormai è chiaro – non esprime semplicemente la connessione L-immediata costituita dall’identità dell’intero con sé medesimo, ma ognuna, e quindi la totalità, delle connessioni L-immediate). Non è soltanto questo concreto ma anche tutte le sue determinazioni occorre che siano L-immediate. L-immediate vuole dire non autocontraddittorie. Per questo lato, questa è l’unica proposizione analitica, o non si dà altra proposizione analitica che questa:… L’intero è l’intero, l’essere è l’essere. …porre infatti A come individuazione dell’universale concreto, e porre B come individuazione dell’universale concreto, significa porre lo stesso contenuto: l’universale concreto, appunto. Entrambi, A e B, sono il concreto universale. In questo sono assolutamente identici. Entrambi che cosa pongono? L’universale concreto. Si badi che ciò non significa affatto che l’identità con sé di A non si distingua in alcun modo dall’identità con sé di B; le due identità sono certamente distinte, ma sia l’una che l’altra implicano, essenzialmente, in quanto identità L-immediate, un termine – l’universale, l’intero – che include l’una e l’altra; sì che il significato concreto di entrambe è il medesimo. Dicendo A = B, cosa che poi lui esplicita facendo la sua formula più lunga (A = B) = (B = A), stiamo dicendo che entrambe, sia la A sia la B, esprimono il concreto, cioè l’intero, ed è in questo che sono identiche; non perché hanno la stessa forma, che non hanno, ma perché entrambe mostrano il concreto, l’intero. Ché se l’identità di A e quella di B sono tenute distinte dall’orizzonte semantico da esse implicato,… Cioè, se immagino che significhino cose diverse. …le proposizioni che esprimono quelle distinte identità sono sì diverse, ma non sono più, come si è detto, analitiche (= L-immediate). Nel caso in cui A e B siano tenute distinte dall’orizzonte semantico, allora non è più L-immediato che A sia B, ci vuole un medio. Cosa comporta questo? Comporta che non è più una proposizione analitica ma occorre porla, a questo punto, come sintetica a priori, ma non è più analitica, cioè, non è più l’immediatezza del concreto ma una proposizione mediata da qualche cos’altro. D’altra parte, si può parlare in un duplice senso di una molteplicità di proposizioni analitiche. In un primo senso, sussiste questa molteplicità in quanto l’analiticità è espressa in molti modi: esprimendo cioè l’identico A, B, ecc., o come l‘intero stesso. Ciascuno, A e B, è il concreto. Poi, anche la relazione A e B è il concreto, ma ciascuno dei due a sua volta esprime il concreto, esprime cioè qualcosa che è L-immediato. Per questo lato, è dal punto di vista della struttura del linguaggio che si può parlare di una molteplicità di proposizioni analitiche. Come dicevo prima, è il linguaggio che deve distinguere, e cioè che ci costringe ad astrarre. È chiaro che non si può uscire dal linguaggio; lui questo lo dimentica, ma è come se dicesse “se potessi uscire dal linguaggio, allora…”. In un secondo senso, sussiste una tale molteplicità in quanto il contenuto presente dell’intero … è un divenire; sì che il contenuto concreto dell’identità L-immediata si differenzia, e si costituisce una molteplicità di posizioni dell’identità (e quindi una molteplicità di proposizioni analitiche). Sta dicendo che nel caso del divenire anche ciò che diviene è comunque un concreto: questo va tenuto presente: ciascun elemento, ciascun momento, come direbbe lui, è sempre un concreto. Questo comporta che nell’intero può esserci una molteplicità di significati, quindi, più propriamente, una molteplicità di proposizioni, di affermazioni analitiche. Lui diceva prima che la proposizione analitica è una soltanto, e cioè che “l’intero è l’intero”, però, questo fatto posso riferirlo a ciascun momento di una proposizione. Per esempio, in “A è B” sia la A che la B sono interi, sono concreti. Infatti, è questo che hanno in comune e per questo sono lo stesso. Il divenire, e quindi la differenza del contenuto dell’identità, sono d’altronde inclusi nel contenuto attuale… Sarebbe l’F-immediato. …i differenti contenuti sono inclusi nella totalità simpliciter dell’immediato, come passate totalità dell’immediato. Qui inserisce un elemento temporale, che a lui serve per mantenere in piedi un po’ tutto quanto, e cioè il fatto che nel divenire qualche cosa non c’è più, che però c’è stato. Vale a dire, questo momento concreto potremmo dire che non c’è più, e se non c’è più allora questo intero non è più un intero. Lui dice: sì, però c’è stato. Tutto questo, come forse avvertite, comincia a introdurre la questione della grande contraddizione, della contraddizione C, e cioè il fatto che l’intero, il tutto, non è mai presente. Incomincia ad avvicinarsi alla questione. …si dovrà dire che, se la L-immediatezza è costituita dall’identità con sé dell’intero, ogni rapporto predicazionale tra termini tali che il campo semantico da essi costituito sia momento dell’intero, è in ogni caso una mediazione logica. Il fatto è che la L-immediatezza, cioè l’identità con sé dell’intero, è sì qualcosa che c’è ma il linguaggio non può dirlo, il linguaggio può dire soltanto delle astrazioni e, quindi, fare della mediazione logica, cioè, procedere per mediazioni; il linguaggio procede per mediazioni o, per dirla in un altro modo, procede per rinvii. Appare, da quanto si è detto, che la stessa proposizione – che è la “stessa” soltanto dal punto di vista della sua struttura linguistica – può essere analitica o sintetica a priori:… La proposizione “L’intero è l’intero”. …a seconda che il soggetto della proposizione sia inteso, rispettivamente, come significato concreto… Il significato è il significato concreto, cioè l’apparire dell’immediato. Per un istante, lasciamo da parte il linguaggio e il fatto che abbia detto che ciò che appare come concreto, la totalità del concreto, non può dirsi, però… appare. Nella proposizione “L’intero è l’intero” il soggetto è il primo “intero”, poi c’è la copula e, quindi, il predicato. Dice …a seconda che il soggetto della proposizione sia inteso, rispettivamente, come significato concreto. Qui sembra paradossale perché, per parlarne, dobbiamo astrarlo, però, dice, immaginiamo di poterlo prendere come significato concreto, cioè come il tutto, per cui allora, sì, è analitico: il significato dell’intero non può essere che tutto ciò che necessariamente appartiene all’intero. …(ossia o come determinazione nella sua valenza di individuazione dell’universale, o come l’universale nel suo concreto individuarsi). Diceva prima che questa proposizione “L’intero è l’intero” può essere analitica o sintetica a priori. …oppure come significato astratto (ossia o come determinazione distinta dal suo valere come individuazione dell’universale, o come l’universale distinto dal suo concreto individuarsi). È chiaro che per parlarne devo astrarre, devo individuare un elemento. Finché permane il tutto come concreto non posso pararne, è questo il problema. Posso pensarlo, ma anche già solo pensandolo lo astraggo. Questo è un problema in Severino, lui non tiene conto di ciò che lui stesso ha posto in modo molto preciso, e cioè che per potere approcciare una qualunque cosa devo parlarne; parlandone, il concreto di fatto si mostra come un astratto. È questo che si porterà dietro fino alla contraddizione C. Anche in questo caso bisogna dire che il linguaggio mette in evidenza l’astratto, lasciando il concreto come inespresso o sottinteso. Dedica solo questa frase piccola piccola, che però è fondamentale. Lui è abile, dice mette in evidenza, come se il linguaggio si limitasse a evidenziare qualche cosa, ma non fa solo questo, perché consente non solo di evidenziare ma di pensare l’astratto. Anche di pensare il concreto, certo, ma così come l’ha posto lui il concreto, e cioè come l’apparire dell’intero, della totalità, non posso dirne granché. È un po’ come dicevo prima della Langue: non posso dire la Langue, posso dire la parole, un’esecuzione, una alla volta, non di più. Si osservi ancora che le proposizioni: “A è A” e “L’essere è essere” sono – intese sotto quelle condizioni che in b) sono state indicate -, sintetiche a priori, non perché il significato astratto sia astrattamente separato da se stesso, ma perché il soggetto (e quindi il predicato) di queste proposizioni è appunto un significato astratto. Siamo costretti, sta dicendo, a doverle considerare come sintetiche a priori. Soltanto così possiamo maneggiarle, altrimenti non possiamo farci nulla, del concreto non possiamo fare niente, perché, e lo ha detto in modo preciso, il linguaggio lo lascia inespresso o sottinteso, e quindi non possiamo farne nulla: semplicemente, immaginiamo che ci sia. In fondo, anche Heidegger quando parla del mondo, ciò che è presente, qui e adesso, mentre io sto parlando, non è che posso rappresentarmelo tutto. C’è ma il fatto che ci sia, per Heidegger, è un’argomentazione, perché tutto ciò che mi ha consentito di sapere, di studiare, di parlare, ecc., tutte queste cose sono presenti ma inespresse o sottintese. Tuttavia, queste cose ci sono in quanto producono un effetto, e l’effetto sono io che sto parlando in questi istante. In quanto A è momento dell’intero, e in quanto è L-immediatamente o per sé noto che l’intero è sé medesimo, è di certo L-immediatamente noto che A è sé medesimo… Se l’intero è immediatamente noto e se l’intero è A, ovviamente anche A è immediatamente noto. (sempreché tale medesimezza sia intesa come (A = A) = (A = A))… Sempre a questa condizione ovviamente. …ma l’affermazione “A è A” è L-immediatamente non in quanto A sia considerato come significato distinto dall’intero… Dice che questa affermazione “A è A” è L-immediata non perché la togliamo dall’intero. …bensì in quanto A sia posto come momento dell’intero (ossia come individuazione dell’universale… È un momento dell’intero, cioè di quella proposizione (A = A) = (A = A); se la considero così, come momento, allora fa parte dell’intero, è l’intero, sennò no. Sì che se A è inteso come significato distinto… Cioè, tolto dall’intero. …A non può essere più L-immediatamente predicato di sé medesimo… Perché allora abbiamo di nuovo la storia che il primo A è il soggetto e il secondo A è il predicato e, quindi, non posso più dire che A = A è L-immediato, perché in questo caso, essendo l’uno soggetto e l’altro il predicato, la negazione non è tolta; in altri termini, sto dicendo che la A non è A, perché è un’altra cosa. Anche l’altra A è scritta uguale però quell’altra è il predicato. …questa predicazione non è L-immediata, diciamo, per quanto sia intesa come (A = A) = (A =A). Se la tolgo da lì mi ritrovo nella condizione di dover dire che A è A, dicendo però che una è il soggetto e l’altra il predicato. La mediazione sussiste pertanto non perché A è separato astrattamente da se stesso… Quindi, occorre una mediazione. Dice La mediazione sussiste pertanto non perché A è separato astrattamente da se stesso, cioè, considero A come un elemento a sé stante. …stante che, in questo caso, non si realizzerebbe una proposizione L-mediata, ma una proposizione autocontraddittoria. Perché, se non c’è la mediazione, io lascio soltanto A = A e si crea una contraddizione. E nemmeno la mediazione si produce perché le proposizioni “A è A” e “L’essere e essere” siano, come connessioni predicazionali, astrattamente separate dalla predicazione concreta dell’identità: in quanto così separate, le negazioni: “A non è A” e “L’essere non è l’essere” non sono tolte, mentre lo sono qualora quelle proposizioni vengano semplicemente considerate come distinte dalla predicazione concreta dell’identità. Qui Severino gioca sui termini, perché se intendiamo queste proposizioni, “A è A” e “L’essere e essere”, come connessioni predicazionali, astrattamente separate dalla predicazione concreta, ci troviamo nella mala parata perché, a questo punto, come faccio a dire che A è A? Non riesco perché non è tolta la sua negazione, cioè, non ho tolto la possibilità che A sia non A. Devo poterla togliere questa possibilità, se non l’ho tolta allora la proposizione “A è A” è autocontraddittoria. È chiaro quindi che, da un lato, la proposizione (A = A) = (A = A) è essa stessa sintetica a priori qualora A sia tenuto fermo come distinto dall’universale di cui A è individuazione;… Se io tengo fermo la A come distinta dall’universale, cioè dal concreto, dalla formula (A = A) = (A = A), succede che diventa una proposizione sintetica a priori, perché a questo punto non è più il concreto; questa formula (A = A) = (A = A) non rappresenta più il concreto ma diventa una proposizione sintetica a priori, dove ciascuno dei momenti viene distinto dall’universale. Questa proposizione è sempre la stessa, però se non astraggo allora rimane il concreto, quello che non può dirsi; se lo dico allora diventa una proposizione sintetica a priori, cioè diventa una proposizione dove necessariamente vengono individuati, determinati, degli elementi, anche se la proposizione rimane la stessa. …e dall’altro lato, la proposizione: “L’intero (T) è l’intero” è essa stessa sintetica a priori qualora T sia inteso semplicemente come noesi… Cioè, come atto conoscitivo. …qualora cioè tale proposizione sia pensata come T = T – intesa questa equazione come termine distinto da (T = T) = (T = T) – e non, appunto, come (T = T) = (T = T). Cioè, è distinto da questo. Ricordatevi che per potere dire, per potere pensare queste cose, occorre che io distingua, cioè che astragga, altrimenti non posso fare nulla. Come ha detto lui precisamente, soltanto con il linguaggio è possibile l’individuazione di qualche cosa. Quindi, siccome siamo nel linguaggio, non possiamo non avere a che fare che con degli astratti, mentre il concreto rimane inespresso, un po' come la Langue di de Saussure. L’identità L-immediata – e cioè la sua stessa immediatezza logica – è espressa appunto da quest’ultima equazione. E cioè (T = T) = (T = T), però in quanto concreto, non in quanto sequenza di termini distinti, che sono quelli con cui abbiamo a che fare necessariamente, anche adesso che ne stiamo parlando: parlandone li astraiamo, per forza di cose. È un po' come quando Aristotele, nel De generatione parla della materia, dice che la materia con cui abbiamo a che fare è sempre materia signata, cioè un qualche cosa. La materia, che dovrebbe essere secondo lui quel qualche cosa che informa ogni materia signata, questa materia nessuno l’ha vista, nessuno sa cosa sia; la si presuppone ma, di fatto, non c’è, sarebbe una materia immateriale, quindi, un paradosso. Ciò con cui abbiamo a che fare è materia signata di volta in volta. La stessa cosa accade qui. Vedete come le questioni ritornano tali e quali a distanza di migliaia di anni.

Intervento: …

Dipende. Può porre A = A come un momento del concreto, cioè (A = A) = (A = A), oppure come distinto dal concreto, così come ha fatto in questo caso la T = T. Allora, mentre il concreto sarebbe una proposizione analitica, quell’altra, invece, che distingue, che astrae dal concreto, forma una proposizione sintetica a priori. Facevo questo esempio di Aristotele per fare intendere la questione del concreto, concreto che, sì, c’è, però… che è lui che informa ogni cosa. È la materia che informa ogni materia signata, ma è quest’ultima, la materia signata, ciò con cui ho a che fare. La materia è il concreto, il tutto. L’identità L-immediata – e cioè la sua stessa immediatezza logica – è espressa appunto da quest’ultima equazione. (La quale è poi da porre nella sua concreta relazione alla F-immediatezza… Relazione con l’esperienza. Ma io posso esperire il concreto, il tutto? Ci ha appena detto di no. Vediamo come prosegue. Qui si ripeta che la strutturazione concreta della L-immediatezza è essa stessa immediatamente presente, ossia è contenuto della F-immediatezza; per quanto anche quest’ultima sia a sua volta inclusa – in un senso che dovrà essere determinato, in quella strutturazione). Questa L-immediatezza, che deve essere posta nella sua concreta relazione con l’esperienza. Ma è possibile che, per esempio, il concreto abbia un posto nell’esperienza, se lui adesso ci dice di no? Ciò che mi appare, l’F-immediatezza, l’esperienza, a questo punto, mi appare come un tutto? Per Severino sì, ma qui, però, c’è un altro problema, perché posso sì dire che mi appare come un tutto, ma se mi appare mi appare in quanto significato, come atto linguistico, quindi, nel linguaggio. E se mi appare nel linguaggio, allora vuol dire che mi appare in quanto astratto e non in quanto concreto. Questi sono problemi che occorrerebbe porre a Severino. Questa equazione esprime cioè la valenza logica della concreta strutturazione dell’immediatezza, in cui consiste il giudizio originario come espressione della struttura originaria. “L’intero è l’intero”, questa è la struttura originaria, per Severino. Senza tenere conto di ciò che sta facendo dicendo questo, cioè, ha a che fare non con enti; questo intero non è qualche cosa che sta in qualche cielo da qualche parte, è un significato, cioè un atto linguistico, che è quello che è in quanto inserito in un sistema linguistico. O anche, in relazione al teorema enunciato nel paragrafo 14 del Capitolo III, quella valenza logica è espressa dall’equazione:

(I = nC) = (nC = I);

intendendo però – in relazione alla tematica ultimamente esposta – con I (“identità”) la stessa equazione (T = T) = (T = T), e con nC (“incontraddittorietà”) la negazione della proposizione: “T non è T”. Anche in relazione ai due tipi di proposizioni sintetiche a priori esplicitati nel punto f) è immediatamente autocontraddittorio progettare che il predicato non convenga al soggetto:… Anche nella logica formale: se A allora B; se B non conviene ad A, la proposizione è falsa. …dal punto di vista del piano logico che pone (A = A) = ( A = A) è immediatamente autocontraddittorio progettare che A = A, in quanto distinto da (A = A) = (A = A), possa essere negato… Se io mantengo questa forma del concreto e se nego una parte del momento del concreto, costruisco una proposizione autocontraddittoria, perché il concreto è ciò che è incontraddittorio. Quindi, tutto ciò che nega l’incontraddittorio è autocontraddittorio. Andiamo a pag. 331, paragrafo 21, Identità e incontraddittorietà, come sintesi a priori. Si osservi infine che proposizione sintetica a priori è sia il principio di identità in quanto distinto dal principio di non contraddizione, sia quest’ultimo in quanto distinto da quello. Ci sta dicendo che questi due principi sono distinti tra loro. Il concreto dell’immediatezza logica è infatti – come è stato ricordato anche nel paragrafo 18 – la sintesi dell’identità (E = E) e della non contraddizione (E = nnE), onde nessuno dei due lati della sintesi può valere come fondamento dell’altro. Sta dicendo che non possiamo fondare il principio di identità sul principio di non contraddizione. Questo è acuto. Perché? Se dell’identità si fa il fondamento della non contraddizione, accade che mentre E conviene L-immediatamente ad E,… Sono cose diverse, perché una dice che “l’essere è l’essere”, “L’intero è l’intero”, il concreto, il tutto; l’altra dice che “l’essere non è il non essere”. Quindi, la prima è L-immediata, è immediatamente evidente che l’essere sia l’essere, l’altra no. Il principio di identità è immediatamente evidente, il principio di non contraddizione no. Poiché, d’altra parte, la negazione di E = nnE implica la negazione di E = E, la proposizione E = nnE sarà una sintesi a priori avente il suo fondamento o la sua base di L-immediatezza in E = E. Dice, dunque, che la negazione di E = nnE implica la negazione di E = E, in quanto sono praticamente la stessa cosa. E poi, la proposizione E = nnE sarà una sintesi a priori avente il suo fondamento o la sua base di L-immediatezza in E = E. Quindi, non è L-immediata, però ha la sua base in quella proposizione E = E, che è L-immediata. Ciò posto: se nnE non conviene L-immediatamente ad E, segue che E non è, in quanto tale, la negazione della negazione che E convenga ad E. Dire che l’essere è uguale al non non essere (E = nnE) non è L-immediato. Cosa vuol dire che non è L-immediato? Che è mediato e, se è mediato, allora è una sintesi. Infatti, dice, la proposizione E = nnE sarà una sintesi a priori avente il suo fondamento o la sua base di L-immediatezza in E = E. Qui la tira un po’ perché qui si gioca tutto. Alla base di questa sintesi fra l’essere e il non non essere c’è il fatto che l’essere è uguale all’essere, però… Poi cambia subito: Ciò posto… Ciò posto, un momento. È vero che dice che la negazione di E = nnE implica la negazione di E = E. È un gioco di parole. Dobbiamo dire che E = E non è negabile e che negare che E = nnE implica la negazione di essere. Implicandola, nega l’essere, ma noi sappiamo che l’essere non è negato perché la sua affermazione non è negabile, salvo l’autocontraddizione. È questo che sta dicendo, però, è un po’ tirata. Ciò posto: se nnE non conviene L-immediatamente ad E. Se non convenisse, cosa succederebbe? Sembrerebbe che l’essere non è in quanto tale negazione della negazione che l’essere convenga all’essere. Se la negazione dell’essere non convenisse immediatamente all’essere, cosa accadrebbe? Accadrebbe che l’essere non sarebbe l’essere. Ma, siccome abbiamo stabilito che l’essere è necessariamente l’essere, allora il non non essere appartiene necessariamente all’essere. Questa è tutta la sua argomentazione, che a mio parere non è così forte, però è quello che dice.