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27 dicembre 2017

 

M. Heidegger, Essere e Tempo

 

Siamo a pag. 430, al punto c - Il problema temporale della trascendenza del mondo. Heidegger sta considerando come interviene la temporalità rispetto ai vari momenti, ai vari aspetti dell’Esserci. La temporalità è fondamentale, il tempo è l’Esserci, perché l’Esserci è il progetto, cioè il futuro, la gettatezza è l’essere stato ciò che sempre è, il passato, e il presente che sorge dall’incontro di questi due momenti. È per questo che dice che il tempo è l’Esserci, il fondamento dell’Esserci.  La comprensione di una totalità di appagatività… cioè, la totalità degli utilizzabili in quanto utilizzati. …implicita nel prendersi cura preveggente ambientalmente, si fonda in una comprensione preliminare dei riferimenti del per-che, dell’a-che, del per-ciò, dell’in-vista-di. Il complesso di questi riferimenti fu precedentemente definito come significatività. Del per-che avviene qualche cosa, dell’a-che, cioè del verso a che cosa, del per-ciò, dell’essere questa cosa per qualche altra cosa, e dell’in-vista-di, che è fondamentale perché è ciò che l’Esserci è propriamente, sempre in vista di qualche cosa. la sua unità costituisce ciò che noi chiamiamo mondo. (pagg.430-431) Il mondo è fatto di questo, dell’essere in vista di qualche cosa, dell’essere per qualche altra cosa, dell’essere sempre gettato innanzi, dell’essere un progetto, e tutte queste cose insieme sono il mondo, che non è fatto della totalità degli oggetti, delle cose, degli enti, come generalmente si ritiene. Per Heidegger non è esattamente così, cioè il mondo è dato da tutte questi aspetti che, potremmo dire, sono i vari momenti e anche movimenti del progetto. L’Esserci esiste in vista di un poter-essere se stesso. Questo è fondamentale in Heidegger, che l’Esserci esista sempre in quanto essere in vista di poter essere se stesso, cioè l’Esserci è il suo poter essere più proprio. Che cosa può essere l’Esserci? Se stesso. Sappiamo, perché ce lo ha illustrato prima, che questo ritornare, rivenire a se stesso dell’Esserci è ciò da cui scaturisce l’angoscia, perché in questo ritornare a se stesso che cosa trova? Lo diceva lui: la nullità del fondamento, perché trova ciò che è sempre stato, cioè, l’essere gettato. Trova questo, la gettatezza, non trova un qualche cosa. Esistendo esso è gettato e, in quanto gettato, è consegnato all’ente di cui abbisogna per poter-essere com’è, cioè in-vista-di se stesso. Dice: Esistendo esso è gettato, se esiste è gettato e, in quanto gettato, è gettato verso qualcosa, ovviamente; in quanto gettato, è consegnato all’ente di cui abbisogna per poter-essere com’è, cioè gettatezza, e questo essere gettato abbisogna di un ente per poter essere se stesso, cioè per poter essere gettato verso un ente; per poter-essere com’è, e com’è? È in vista di se stesso, cioè in vista dell’essere gettatezza. Ci sta dicendo che l’Esserci esiste in quanto gettato, ma per poter essere così come è deve essere niente altro che questo, e cioè gettatezza. Quindi, essendo gettatezza, è consegnato a un ente, di cui si prende cura, e abbisogna di questo per poter essere quello che è, cioè gettatezza, in vista di se stesso, perché lui è gettatezza. È come qualcosa che gira intorno a se stesso ininterrottamente. Infatti, nelle pagine precedenti, parlava di circolo vizioso che poi non è vizioso, è un circolo con il quale dobbiamo fare i conti. In quanto esiste effettivamente… L’Esserci, in effetti, dice Heidegger, è l’unica cosa che esiste effettivamente, tutto il resto procede dall’Esserci; senza Esserci, dirà poco dopo, non c’è niente. …l’Esserci si comprende in tale connessione dell’in-vista-di-se-stesso con un rispettivo per-che. L’Esserci si comprende in quanto gettatezza poiché si affida all’ente e affidandosi all’ente, dice, si comprende in tale connessione. Questa connessione non è altro che l’in vista di se stesso con un rispettivo per-che, cioè perché va in quella direzione? Per qualche altro motivo ma c’è sempre un “per che cosa”. Noi sappiamo qual è il “che cosa” di questo movimento: è la volontà di potenza, il perché, che ui scrive il per-che, è la volontà di potenza, è questo il motore di ogni cosa. ciò-dentro-cui l’Esserci esistente si comprende, “ci” è con l’esistenza effettiva dell’Esserci. Ciò attraverso cui l’Esserci si comprende, questo “ci” dell’Esserci viene compreso insieme con l’esistenza effettiva dell’Esserci, non è che prima c’è l’Esserci e poi si comprende, o prima c’è la comprensione e poi comprendiamo l’Esserci, l’Esserci e la comprensione sono la stessa cosa. L’essere dell’Esserci fu definito come Cura. Il suo senso ontologico è la temporalità. Si è visto che, e come, la temporalità costituisce l’apertura del Ci. La temporalità è l’apertura del Ci perché riguarda questi tre momenti, cioè il futuro del progetto, l’esser stato, che è sempre stato, della gettatezza e del presente, che è ciò che si costruisce dall’unione di questi due momenti. Nell’apertura del Ci il mondo è con-aperto. È aperto insieme con tante cose. L’unità della significatività… Abbiamo visto che cos’è la significatività, lo diceva prima: il per-che, l’a-che, il per-ciò, l’in-vista-di. Questa è la significatività: quelle cose che producono senso, significato. L’unità della significatività, cioè l costituzione ontologica del mondo, deve a sua volta fondarsi nella temporalità. Ha questa idea che la temporalità sia il fondamento di tutto, un fondamento non materiale, è semplicemente la condizione perché possa darsi un qualche cosa. La condizione è il progetto, che altro è l’Esserci se non progetto? La condizione esistenziale-temporale della possibilità del mondo… Si sta chiedendo: a quali condizioni è possibile il mondo? La condizione esistenziale-temporale della possibilità del mondo sta nel fatto che la temporalità, in quanto unità estatica, ha qualcosa come un orizzonte. Quindi, la condizione perché sia possibile un mondo sta nella temporalità, in quanto unità estatica. Estatica è da pensare come l‘esser gettato fuori. E tutto questo, dice, ha qualcosa come un orizzonte, un orizzonte entro il quale tutto ciò accade. L’orizzonte è quella cosa che consente all’essere di accadere e, accadendo l’essere, di fare apparire gli enti. Ma l’essere accade come cosa? Badate bene, l’essere per Heidegger è la Cura, non è l’essere aristotelico, metafisico, l’essere dell’Esserci è la Cura. Quindi, perché accada il mondo allora è necessario che ci sia progetto, questa è la sintesi di tutto ciò che abbiamo detto adesso. Perché il mondo sia possibile, non che esista ma che sia possibile, è necessario l’Esserci, cioè è necessario il progetto. Quindi, la possibilità dell’esistenza del mondo è vincolata a un progetto. Questo rende conto di molte cose, come quando diceva della scienza, dicendo che tutto ciò che fa lo scienziato è possibile perché è all’interno di un progetto, ma è questo progetto che determina ciò che fa lo scienziato e determina, quindi, anche i suoi risultati, determina ogni cosa. E questa è una cosa che la scienza cancella. Questo è un modo di pensare la Lebenswelt di Husserl, il mondo della vita, è un altro modo ancora per dire che la deiezione, la chiacchiera, è la base da cui si parte per fare qualunque cosa ed è effettivamente come dice lui, non si può togliere, è ineliminabile. Le estasi non sono semplicemente un esser-fuori-da… Esse importano piuttosto un “verso-dove” dell’esser-fuori. Questo esser fuori è sempre un dove sto andando, verso un dove del progetto, verso un dove della gettatezza. A questo verso-dove dell’estasi diamo il nome di schema orizzontale. Schema orizzontale, termine che poi gli servirà quando parlerà della temporalità rispetto allo spazio, qui in qualche modo lo anticipa. Orizzontale, quindi, comporta uno spostamento, un andare verso qualche cosa, non verticale, che comporta invece un rimanere dove si è. L’orizzonte estatico è diverso in ognuna delle tre estasi. Lo schema in cui l’Esserci è ad-veniente, cioè perviene autenticamente o inautenticamente a se stesso, è l’in-vista-di-se-stesso. Quindi, lo schema, questo orizzonte estatico, orizzonte in cui c’è una gettatezza, in cui c’è il progetto, questo schema è ad-veniente, cioè perviene, autenticamente o no, a se stesso, è l’in vista di se stesso. Cioè, questo schema orizzontale è sempre in vista di se stesso, dove questo se stesso riguarda evidentemente l’Esserci, ha sempre se stesso come obiettivo, cioè questo progetto ha sempre se stesso come fine. La gettatezza cos’ha come obiettivo? Sempre altra gettatezza. È per questo che parlava di pura gettatezza, di pura possibilità. Lo schema in cui l’Esserci, nella situazione emotiva, è aperto a se stesso in quanto gettato, lo concepiamo come il davanti-a-che dell’esser-gettato, ossia l’a-che dell’esser-abbandonato. A pag. 432. Allo stesso modo in cui nell’unità estatica della temporalizzazione della temporalità il presente scaturisce dall’avvenire e dall’esser-stato, così, con gli orizzonti dell’avvenire e dell’esser-stato, si temporalizza cooriginariamente quello del presente. Lui fa emergere il presente da questa temporalità, dal futuro e dal passato. Non dà una priorità al presente, anzi, lui dà una priorità alla temporalità, che è progetto, gettatezza e presente. Però, è interessante il fatto che faccia sorgere il presente, qualcosa che è qui, adesso, non dal presente o dal passato, come li intendiamo comunemente, ma dal progetto in cui mi trovo e dalla gettatezza, cioè dall’essere sempre in vista di. È l’essere in vista di qualche cosa che rende presente questo qualche cosa, ed è per questo motivo che la presenza sorge dal futuro, cioè dal progetto, e dal passato, cioè dalla gettatezza. Il progetto stabilisce un a-che, un a che cosa voglio andare; il passato mi dice un per-che, perché sono sempre stato questa gettatezza, perché non posso essere niente altro che questo. Quindi, in questo movimento, in questa apertura, l’incontro di questi due elementi è l’unica possibilità perché qualunque cosa si presentifichi, e si presentifica perché mi sto prendendo cura di qualche cosa, me ne sto prendendo cura attraverso il progetto e la gettatezza. Solo a questa condizione qualcosa è presente, sennò non potrebbe essere presente niente, se non ci fosse un progetto, se questa presenza non scaturisse da un progetto, che è sempre riveniente verso se stesso, da cui il passato. Riveniente a se stesso, cioè verso ciò che è sempre stato, la gettatezza. Qualche cosa si presentifica, è presente, perché è nel progetto.

Intervento: Deve esserci un motivo perché qualche cosa si presentifichi.

Sì, e il motivo è questo, che me ne sto occupando, dentro il mio progetto.

Intervento: Come quando una persona è concentrata in un certo tipo di attività, non vede tutto il resto, che è presente in teoria ma non è presente in quel momento…

Sì e no. Perché ci sia quell’utilizzabile di cui mi prendo cura è necessario che ci siano tutti gli altri utilizzabili, in questo senso sì. No, perché non sono io che lo presentifico, che lo rendo presente, ma è il progetto che lo fa esistere per quello che è, in quel momento, per me. Poco dopo dice Il mondo non è né semplicemente presente né utilizzabile, ma si temporalizza nella temporalità. Il mondo non è fatto di semplici presenze né di utilizzabili, propriamente. Il mondo, dice, si temporalizza nella temporalità, cioè il mondo diventa quello che è attraverso la temporalità, attraverso questo movimento del progetto e della gettatezza, ed è lì che il mondo prende forma, esiste, cioè, si presentifica. L’effettivo esser-presso l’utilizzabile prendendone cura, la tematizzazione della semplice-presenza e la scoperta oggettivante dell’ente presuppongono già il mondo, cioè sono possibili solo come modi dell’essere-nel-mondo. Che io mi prenda cura di qualche cosa presuppone già un mondo, ma questo mondo di che cosa è fatto? Questo mondo è fatto di ciò che la temporalità, cioè il progetto e la gettatezza, presentificano, da lì scaturisce il presente, perché me ne prendo cura. Quindi, dice, l’essere presso un utilizzabile, il prendermi cura di qualche cosa, presuppone già un mondo, come possibilità, ovviamente; presuppone già il mondo, cioè sono possibili come modi di essere nel mondo, dice lui, cioè è possibile il mondo presentifico qualcosa attraverso il progetto e la gettatezza. Quindi, nel momento in cui mi prendo cura sono già nel mondo, anche se da quello che dice potrebbe anche pensarsi che sono già quel mondo ma io sono quel mondo per cui, in effetti presupporre il mondo già presente è come dire, se proprio vogliamo dirla bene, presupporre il mondo è presupporre già l’Esserci, l’Esserci in quanto mondo. Il mondo è ciò che procede dalla temporalità, progetto e gettatezza, è da lì che scaturisce la presenza, nel mio occuparmi di qualche cosa. Il mondo deve essere già estaticamente aperto affinché sia possibile incontrare in esso l’ente intramondano. Possiamo dire così: non posso incontrare nessun ente intramondano fuori dal mio progetto. Qui “mio” è ridondante. Con l’esistenza effettiva dell’Esserci, si incontra anche già l’ente intramondano. Che un ente siffatto sia già scoperto con Ci proprio dell’esistenza, non è a discrezione dell’Esserci. Sono a disposizione della sua libertà, benché sempre nei limiti del suo esser-gettato, solo il che-cosa esso possa via via scoprire e aprire, nonché la direzione, l’ampiezza e il modo di questo scoprimento e di questo aprimento. L’incontro con l’ente intramondano non è qualcosa che è a discrezione dell’Esserci. Questa è un’annotazione che lui mette per indicare che non è che l’Esserci abbia delle discrezioni, che voglia fare una cosa oppure un’altra, l’Esserci è soltanto pura possibilità, non dimentichiamoci mai questo. A pag. 433. Il mondo è, per così dire, già “più fuori” di quanto lo possa essere qualunque oggetto. Perché il mondo si presentifica nelle estasi, del passato e del futuro, cioè nel progetto e nella gettatezza. Il “problema della trascendenza” non può esser ridotto a questa domanda: “In qual modo un soggetto può uscir da sé per dirigersi verso un oggetto (intendendo per mondo la totalità degli oggetti)?” Ma deve essere posto così: “Che cos’è ciò che rende ontologicamente possibile che l’ente sia incontrato nel mondo e possa come tale essere oggettivato?” Questa è la domanda: come è possibile che io incontri un ente? La risposta non può venire che dalla trascendenza del mondo e dal suo fondamento estatico-orizzontale. Trascendenza del mondo, cioè, la presenza del mondo non è per sé, non è qualcosa che si mostra di per sé, dipende dalle estasi, cioè dall’esser gettato fuori in quanto progetto, dall’essere ciò che è sempre stato, dalla gettatezza, e quindi è sempre proiettato all’infuori. Il mondo è ciò che procede dal progetto, e questo progetto è tale in quanto l’Esserci si potrebbe tradurre in queste estasi, nell’essere progetto e nell’essere passato. Quindi, ciò che si presentifica, il mondo, dipende da qualche altra cosa, da qui la trascendenza, non è immanente, non è ciò che io posso toccare, ma è ciò che si produce nel progetto. Se il “soggetto” è concepito ontologicamente come un Esserci che esiste e il cui essere si fonda nella temporalità, allora si deve affermare: il mondo è “soggettivo”. A questa condizione, badate bene, come un Esserci che esiste e il cui essere si fonda nella temporalità, quindi, equipara il soggetto all’Esserci. Ma, in tal caso, questo mondo “soggettivo”, in quanto temporalmente-trascendente, è “più oggettivo” di qualsiasi “oggetto” possibile. Perché si oggettivizza continuamente, l’Esserci diventa quell’ente, quell’oggetto che è in quanto riviene continuamente a se stesso. Passiamo al § 70 La temporalità della spazialità propria dell’Esserci. A pag. 434. L’Esserci può essere spaziale soltanto in quanto Cura, nel senso dell’esistente effettivo e deiettivo. Negativamente ciò significa: l’Esserci non è mai, nemmeno in un primo momento, semplicemente-presente nello spazio. Non è un corpo che occupa uno spazio. A differenza delle cose reali e dei mezzi, esso non occupa mai una porzione di spazio; di conseguenza, i suoi limiti rispetto allo spazio che lo circonda non sono mai una semplice determinazione spaziale dello spazio stesso. L’Esserci occupa spazio… Spazio qui è inteso in senso differente da come comunemente si intende, cioè come estensione. …nel senso letterale che se lo prende. Esso non è mai semplicemente-presente in quella porzione di spazio occupato dal suo corpo. Esistendo, esso si è già sempre dato un lasco spaziale. (pagg. 434-435) Ha sempre prodotto, esistendo, uno spazio. Per poter dire che l’Esserci è semplicemente-presente in un luogo nello spazio, bisogna aver assunto questo ente in modo ontologicamente inadeguato. Ma la differenza fra la “spazialità” di una cosa estesa e quella dell’Esserci non consiste neppure nel fatto che l’Esserci è consapevole dello spazio. Infatti, prendersi uno spazio si identifica così poco con una “rappresentazione” dello spazio, che questa presuppone quello. La spazialità dell’Esserci non può, inoltre, essere interpretata come un’imperfezione dell’esistenza causata dal fatale “legame dello spirito col corpo”. Qui critica il cartesianesimo. Al contrario, è proprio perché “spirituale” e solo per questo, che l’Esserci può essere spaziale in un modo per essenza impossibile a una cosa corporea estesa. Sta dicendo che lo spazio, come lo intende lui, è irriducibile alla nozione di spazio intesa come estensione. Per rendere conto di come intende lui lo spazio riprende la questione della prossimità. Con questa espressione intendiamo in primo luogo l’in-che della possibile in-appartenenza del mezzo utilizzabile intramondano ordinabile in posti. Cioè, che cosa consiste in qualche cosa? In ogni ritrovamento di un mezzo, in ogni maneggio, disposizione o rimozione di esso, è già scoperta la prossimità. L’essere-nel-mondo prendentesi cura è orientato-orientantesi. La questione qui è che questa prossimità è intesa da Heidegger come un dis-allontanamento, un po' come l’aletheia, che è un dis-oscuramento, un dis-nascondimento. E, allora, questa prossimità è lo spazio determinato dalla prossimità di qualche cosa, di cui l’esserci si prende cura dis-allontanandolo. Tutti gli elementi sono lontani, però, a un certo punto io mi prendo cura di qualche cosa, lo dis-allontano. Ecco, la prossimità, alla quale io richiamo questa cosa, è la spazialità per Heidegger. Infatti, a pag. 436, dice: Il mondo non è semplicemente-presente nello spazio; tuttavia lo spazio è scopribile solo all’interno di un mondo. Cioè, quando c’è qualcosa di cui mi prendo cura. La temporalità estatica della spazialità dell’Esserci rende comprensibile l’indipendenza dello spazio dal tempo, ma, reciprocamente, anche la “dipendenza” dell’Esserci dallo spazio, quale si manifesta nel noto fenomeno che l’autointerpretazione dell’Esserci e il patrimonio semantico del linguaggio sono intessuti di “rappresentazioni spaziali”. (pagg. 436-437) Il che significa che questa nozione di spazio che abbiamo è indotta in un certo senso dallo spazio inteso come prossimità a un qualche cosa che accade quando io mi occupo di qualche cosa. questa prossimità non è altro che il suo dis-allontanamento, che lo rende, appunto, prossimo a me. Occupandomene lo avvicino, lo dis-allontano. Passiamo al § 71 Il senso temporale della quotidianità dell’Esserci. Con quotidianità lui intende il modo in cui l’Esserci si muove tutti i giorni, quotidianamente, anche se dice che “tutti i giorni” non è la somma di tutti i giorni in cui si vive. A pag. 438.  In primo luogo l’espressione significa tuttavia un determinato come dell’esistenza, che domina l’Esserci nel “corso della vita”. … La quotidianità è una maniera di essere di cui fa certamente parte ciò che è pubblicamente manifesto. Ma, in quanto modo di esistere dell’Esserci, la quotidianità è anche più o meno nota al rispettivo “singolo” Esserci e lo è attraverso la situazione emotiva della mancanza di emozioni. Questa è la quotidianità, la mancanza di emozioni, tutto è sempre lo stesso. L’Esserci può “patire” cupamente la quotidianità, sprofondare in questa cupezza, oppure fuggirla cercando nuovi diversivi nella distrazione degli affari. Ma l’esistenza può anche dominare (mai però estinguere) la quotidianità nell’attimo, e sovente proprio solo “per un attimo”. A pag. 439. L’uniformità, l’abitudine, il “come ieri così oggi e domani”, il “per lo più” non sono concepibili senza riferimento all’estensione “temporale” dell’Esserci. È un altro modo per dire che anche nella quotidianità la noia, la deiezione, sono possibili per via della temporalità, cioè alle tre estasi, futuro, passato e presente, progetto, gettatezza e presente.