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27-12-2000

 

La grammatica dell’osservazione

 

Allora riprendiamo la questione della volta scorsa che merita di essere riconsiderata in termini precisi la realtà come produzione grammaticale, la grammatica che non è altro che un sistema di regole che fa funzionare il linguaggio, è ovvio che se c’è linguaggio c’è una grammatica necessariamente, perché parlando uno parla una lingua e questa lingua è tale perché è regolata da una grammatica, la quale grammatica stabilisce in quale modo i singoli elementi devono essere accostati per produrre del senso, all’interno di quella lingua. Ora ciò che abbiamo detto la volta scorsa e cioè che (differenza fra grammatica e sintassi? La sintassi è come si congiungono le proposizioni ma la grammatica, non è solo quello) la grammatica indica il modo in cui devono essere costruite le frasi, la concordanza fra le proposizioni, la grammatica impone che in una lingua ci sia una relazione fra il parlante e ciò di cui parla, dicevamo a suo tempo che io dica comporta che dica necessariamente qualcosa. Avevamo fatto già a suo tempo la distinzione tra il fatto che dica e ciò che dico, che è la distinzione che la grammatica fa tra il soggetto e l’oggetto, il predicato, ciò di cui sto parlando e quindi dicevamo che necessariamente che se c’è un soggetto c’è qualcosa che non è soggetto e quindi è oggetto, nella grammatica sempre, e pertanto è inevitabile che nel linguaggio, nella lingua in cui ciascuno sta parlando, qualcosa si ponga come altro da sé, ora ciò che è posto come altro da sé è ciò che comunemente è indicato come la verità, qualcosa che io incontro, avverto, che esperisco, insomma tutte queste cose, ora quindi se volete proprio dirla in termini più precisi possiamo dire così che il linguaggio per darsi occorre che sia parlato e quindi sia una lingua necessariamente, prevede una grammatica, una grammatica necessariamente prevede la distinzione fra soggetto e oggetto e quindi necessariamente esiste la realtà cioè qualcosa che non è soggetto, cosa che è fuori dal parlante, il quale parlante parlando dice qualcosa. Ora ci sono varie questioni che si aprono a questo punto, importante è far intendere che tutto ciò che il parlante dice è necessariamente un atto linguistico, questa realtà di cui sta parlando è un atto linguistico, però in questo modo, abbiamo dato alla realtà una sorta di statuto logico in quanto necessariamente c’è, è qualche cosa che è indicato dal parlante come altro da sé, una questione grammaticale, il passo naturalmente è quello che consente di constatare che se parlo allora dico qualcosa necessariamente, questo qualcosa che dico non è altri che un atto linguistico, mentre nel luogo comune se parlo dico qualcosa che è riferito a qualche cos’altro che non è atto linguistico. Ora una via per compiere questa operazione potrebbe essere quella di mostrare che qualunque affermazione, un qualunque sapere intorno a qualunque cosa è necessariamente autocontraddittorio o è paradossale che è ancora meglio perché è più efficace, come dire che se io affermo che esiste la legge di gravità, questa affermazione è paradossale, dobbiamo fare una cosa del genere, questa potrebbe essere un’argomentazione abbastanza potente, se si attiene ai criteri di cui abbiamo detto cioè essere molto semplice, molto breve, allora possiamo farlo però dobbiamo ancora riflettere però, però mostrare che un’affermazione del genere è paradossale, come dire che è vera se e soltanto se è vera la sua negazione, può avere un impatto notevole sull’uditorio, bisogna costruire questo aggeggio, questo marchingegno. Sappiamo che un paradosso è una proposizione che è vera se e soltanto se è vera la sua negazione….i paradossi sono sempre stati utilizzati dagli oratori perché è un’arma molto potente, per mettere in evidenza l’insostenibilità di una tesi, qualunque oratore se riesce a mostrare che le affermazioni dell’antagonista sono paradossali ha già vinto il contraddittorio. Come costruire dunque una cosa del genere? Poniamo la questione della legge di gravità, in che modo può essere paradossale? In che modo può essere vera se lo è la sua negazione? Solo se è falsa. Cosa dice la legge di gravità? Qualunque grave in assenza di ostacoli è inesorabilmente attratto verso un corpo più grosso… (…) se si lascia cadere un pompelmo su Plutone, non va a cadere verso il centro della terra, va verso il centro Plutone, allora come procedere in questa direzione? Dobbiamo riflettere su questo e cioè a quali condizioni è vera questa affermazione, a quali condizioni è vera una affermazione del genere? (se è falsa la sua contraria) sì e se noi invece dimostrassimo che è vera la contraria, avremmo raggiunto il nostro obiettivo. Seguiamo l’indicazione di Beatrice dunque diciamo che la contraria è falsa, cioè che un oggetto in assenza di ostacoli non cade verso il centro della terra, però di nuovo dobbiamo riflettere su che cosa consente di affermare una cosa del genere e qui abbiamo a disposizione l’osservazione in particolare, ciò che viene osservato, al punto che questa stessa operazione che stiamo compiendo potrebbe essere fatta sull’osservazione perché se la proviamo sull’osservazione allora a fortiori è vera anche sulla legge di gravità perché è fondata sull’osservazione, sì….come dire che almeno così funziona nel luogo comune scientifico, nel luogo comune scientifico se io osservo un fenomeno e posso riprodurre questo fenomeno in modo che altri possano osservarlo allora questo fenomeno è necessariamente vero, ché la scienza per esempio non accoglie l’apparizione della madonna come un fatto scientifico? Perché non lo posso riprodurre in modo che altri possano osservarlo in qualunque momento e in qualunque luogo e pertanto viene affermato che non è un discorso scientifico, la stessa obiezione veniva rivolta tempo fa alla psicanalisi, ciò che avviene in una seduta analitica non è riproducibile né osservabile da altri allo stesso modo e pertanto non è un avvenimento scientifico, quindi l’osservazione, l’osservazione che cosa osserva? Sempre nel luogo comune osserva il dato di fatto, ora potremmo anche avvalerci dell’elaborazione di Heisenberg il quale giunse a considerare che l’osservatore per il fatto stesso di osservare un fenomeno modifica il fenomeno stesso, però ci vuole qualcosa di più robusto che la considerazione di Heisenberg, però potremmo utilizzarla come paradigma nel senso che potremmo giungere alle stesse considerazioni di Heisemberg ma per altra via magari più solida, dovete riuscire a mostrare che l’osservatore modifica l’osservato, sarebbe già un passo avanti, questo ci indurrebbe a questo punto a dire che osserviamo le stesse cose se accogliamo le stesse regole di osservazione, se non le accogliamo allora non osserviamo le stesse cose. Se io vedo un aggeggio che cade può non significare assolutamente niente, per cui non sta cadendo, però bisogna arrivarci per gradi alla questione, non solo non sta cadendo, non sta succedendo niente (inserire delle regole fino alla costrizione delle regole fino ad incanalare il fenomeno in un certo caso) sì (che può essere accolto da tutti) però la questione è ancora più radicale, noi non possiamo accogliere il fenomeno in quanto tale, se no ci diamo la zappa sui piedi (…) no, tu dici che cade perché ci sono delle regole che ti inducono a dire che cade, possiamo chiamarle come ti pare però questo affare va giù, no è proprio il fatto che questo aggeggio vada giù, al quale dobbiamo opporci cioè la cosa più evidente nel discorso comune, quindi il fenomeno…l’osservabilità del fenomeno, questa è la questione centrale (…) perché in effetti ciò che andiamo dicendo è che nulla potrebbe manifestarsi in assenza di linguaggio. Ora tante volte abbiamo detto che nulla si manifesta in assenza di linguaggio in quanto non posso dire che qualcosa si sta manifestando, né ciò che si sta manifestando può essere inserito all’interno di una struttura che mi renda qualche cosa che mi appare, me lo renda un’altra cosa in modo che io possa dire questo è quest’altro, il linguaggio mi consente di dire che una certa cosa è quest’altra, cioè questo è un accendino , io ho compiuto questa operazione una cosa è accendino che non è dentro qui, dando un nome alle cose ho…illustrando una certa cosa si inseriscono altri elementi in questa proposizione, anche la cosiddetta dimostrazione ostensiva, cade sotto gli stessi presupposti (…) sì in quanto se io mostro qualche cosa occorre che ciò che mostro sia inseribile all’interno di una catena e cioè che voglio dire qualcosa, che dica qualcosa se no ….però dice il nostro obiettore anche se non so cosa sia comunque lo vedo, vedo che c’è qualche cosa, però vedo che c’è qualche cosa in quanto comunque sono all’interno di una struttura linguistica, la quale struttura linguistica mi dice che ciò che io vedo, e qui riprendiamo… (…) se vedo allora vedo qualcosa e questo vi riecheggia immediatamente l’aforisma di cui dicevamo, cioè se dico, dico necessariamente qualcosa , però è spostato, ora come prendere questa proposizione che se vedo, vedo necessariamente qualcosa? ….dobbiamo rintuzzare una obiezione che può essere fatta e che noi a questo punto potremmo affermare che questo passaggio è un passaggio inferenziale, il quale passaggio inferenziale è consentito da una struttura che è nota come linguaggio “ se… allora” non esiste fuori dal linguaggio, ma ecco l’obiezione fisiologica/naturalista afferma che la visione è un processo fatto di percezione di neuroni, la teoria della luce o del colore di Einstein ecc…particelle che vibrano tutte, sì però noi possiamo rispondere in altri due modi, primo questa affermazione è una petizione di principio, mica siamo così ingenui, perché dà per acquisito ciò stesso che dobbiamo ancora dimostrare e cioè la validità dell’osservazione e quindi della prova scientifica, secondo, che comunque questa considerazione che viene fatta non potrebbe essere mai stata fatta senza linguaggio, pertanto l’obiezione non ha nessun valore. Ora riprendiamo questa affermazione che afferma che se vedo allora vedo qualcosa, dicevamo che è un’inferenza e cioè si muove all’interno di una struttura linguistica, inferenziale “se A allora B”, adesso il passo da fare è mostrare come l’apodosi, il conseguente (protasi e apodosi) sia necessariamente un atto linguistico, in quanto “vedo qualcosa” cioè ciò che segue, il conseguente del “se vedo” “allora vedo qualcosa” essendo il conseguente di un antecedente rientra all’interno di una struttura linguistica, grammaticale, quindi ciò che faccio in quella occasione è in prima istanza, produrre inferenze, produrre il conseguente ad un antecedente. Faccio qualche altra cosa oltre a questo? qualunque cosa faccia la dovrò dedurre da qualche altra cosa, necessariamente, e cioè sarà il conseguente di un altro antecedente. Queste considerazioni cominciano a farvi intravedere che il vedere, è necessariamente un atto linguistico, in quanto “ se vedo” allora “vedo qualcosa” è un’inferenza che è tale proprio perché esiste il linguaggio, in assenza di linguaggio non posso compiere questa inferenza, cioè in assenza di linguaggio allora questa inferenza “se vedo allora vedo qualcosa” non c’è (faccio un’obiezione) sì, sì fate tutte le obiezioni che vi vengono in mente (in questo caso è vero che le inferenze sono all’interno del linguaggio ma il nostro obiettore ribadisce che il linguaggio è un mezzo, come dire “è vero, io dico tutte queste cose ma al di là del mio dire, rimane esattamente ciò che dico”) sì, lei cosa obietterebbe all’obiettore? (…) sarebbe interessante che facendo l’obiezione già, si provasse a confutare una cosa del genere (sa cosa mi veniva in mente, ho ripreso Hjelmslev questa distinzione fra la forma e la sostanza di cui parlava anche De Saussure dove fa anche una critica a De Saussure per il modo in cui l’ha esposta questa cosa un po’ come se lui, De Saussure, ritenesse questa sostanza antecedente alla forma, quindi fuori dal linguaggio, Hjelmslev per potere spiegare meglio indica la materia, l’ostacolo del linguaggio come quel qualcosa che dà forma ad una sostanza, rimane ancora in piedi mi dà l’impressione che questa cosa possa venire ribadita ulteriormente, cosa si può contrapporre a questo …lui parte dal linguaggio come sistema chiuso) certo e non ha mica torto (c’è molto di quello che diciamo noi) sì molto è preso da Hjelmslev (in effetti quando parliamo di realtà parliamo di sostanza, sembra di arrivare quasi ad una sorta di bivio o credi o non credi) no, invece a noi interessa un’altra operazione, chi saprebbe obiettare a questa obiezione, contro obiettare, contro argomentare, contro dedurre ciò che ha detto Sandro? Il quale Sandro, dice che nonostante queste argomentazioni si può considerare il linguaggio un mezzo per descrivere il fatto che sto vedendo qualcosa (cioè il fatto che sia un’inferenza e che questa inferenza sia inserita in una struttura linguistica, è quella che permette comunque di fare questa inferenza….il linguaggio è ciò che mi permette di fare questa inferenza, questa inferenza esiste nel fenomeno in sé, nel dato di fatto…) (se il parlante suppone di essere fuori dal discorso allora usa il linguaggio, utilizza il linguaggio, io esisto al di là del linguaggio e quindi posso descrivere anche il linguaggio) però potremmo, forse bisogna ancora rifletterci ma utilizzare questo luogo comune, questa superstizione a nostro vantaggio, se riuscissimo a porre le cose in questi termini: diciamo “sì è un mezzo, un mezzo per vedere” (in effetti quando lei parlava di osservazione stavo pensando a questo) è il primo passo poi (a quello che lei diceva della realtà, della visione, il lavoro che dobbiamo fare noi non è quello di eliminare ma di dargli una dignità) anzi abbiamo posta la realtà in termini molto precisi (come dire che il termine osservazione ha la sua funzione legittima, la questione che l’osservazione non è al di fuori dal linguaggio e quindi ciò che osservo non è al di fuori dal linguaggio, questo non toglie nulla a quello che è il lavoro degli scienziati, quello che fanno, ciò che osservo è una produzione di un sistema linguistico, perché se il linguaggio fosse ipoteticamente regolato in altri termini avrebbe prodotto in altro modo, perché questo permetteva il linguaggio, in un altro sistema linguistico probabilmente…) (posso immaginare un altro sistema linguistico ma lo immagino parlando) (questo accade, la struttura linguistica cinese ha permesso altre cose che per esempio per esempio rispetto all’occidente, come anche ha proibito altre cose, il sistema linguistico, le sue regole come dire che la nostra struttura linguistica ha permesso che l’osservazione fosse questa, però…) (l’osservazione non è fuori dal dire se io dico faccio qualcosa, il che qualsiasi cosa che io dico è costruita dal linguaggio, e anche osservare un fenomeno è qualcosa che io dico) sì certamente ma per dare, così una indicazione, possiamo porla in termini di interrogativo “ se io osservo, osservo qualcosa oppure no?” se osservo, osservo qualcosa, questo qualcosa che osservo occorre che sappia che è un qualche cosa? O no? Dunque abbiamo detto che se osservo, osservo qualcosa, ma abbiamo anche detto che occorre che sappia che è un qualcosa, ora a questo punto ho introdotto un altro elemento che è il sapere, il quale sapere può venire da che cosa? potrebbe dirsi da altre osservazioni, però se viene da altre osservazioni facciamo intervenire una sorta di regressio ad infinitum, occorre trovare la prima osservazione che fonda tutte le altre (Wittgenstein direbbe l’ho imparato, ma a noi non serve una argomentazione di questo genere) sì ho imparato certo, ho imparato dal linguaggio che funziona così, ho imparato attraverso le regole, così come so che un re di cuori è tale, ché l’ho imparato, ora dunque devo sapere, se osservo qualcosa che c’è qualcosa che sto osservando, devo sapere che sto osservando qualcosa e questo sapere non può procedere dall’osservazione perché ancora dobbiamo stabilirla e pertanto procede da qualcosa che la precede, come dire che perché ci sia osservazione occorre che qualcosa la preceda…e ciò che la precede è una struttura che ci consente di costruirla, questa struttura, che è facilmente individuabile, è il linguaggio, questo così il primo abbozzo logico (Dire io osservo, implica necessariamente che ci sia un qualche cosa che si osservi, perché è nella funzione stessa del termine, implica quel qualche cosa che lo precede) e quindi questo qualche cosa, ché è su questo che ho posto l’accento, occorre che sappia che c’è un qualcosa oppure no? Questa è la seconda domanda che avevo posto (cioè occorre che sappia che il termine osservo implica qualcosa?) (implica qualcosa che precede cioè io sto osservando qualcosa) (questa è la funzione del termine) in un certo senso però ho preferito svolgerla in più passaggi, ché devo sapere che c’è un qualcosa, sto osservando qualcosa, devo sapere che c’è qualcosa, per forza, osservo qualcosa o osservo niente? (…) osservo perché c’è qualche cosa, se non c’è niente che cosa osservo? (…) occorre il qualcosa perché io possa osservare, se no cosa osservo? Osservo niente (io non so ancora che cosa io osservo) no, questo non ha nessuna importanza, comporta un qualcosa, comporta che ci sia un qualcosa, un quid, questo quid dicevamo comporta che io lo sappia, che lo conosca, anche se non so il nome e cioè che possa riconoscere che sia qualcosa, questo riconoscimento avviene nel linguaggio ovviamente ma questa questione è fondamentale, ché occorre svolgerla ancora però può essere una traccia intanto, ché se osservo qualcosa come so che c’è questo qualcosa che sto osservando? Dice perché lo osservo, però ancora dobbiamo stabilire che cos’è l’osservazione, prima è una petizione di principio, non può essere accolto, “perché lo sto osservando” ma questo “lo” a cosa si riferisce? È chiaro che il discorso comune gira in tondo su se stesso senza poterne uscire, senza poterne uscire perché immagina che l’osservazione necessiti di qualcosa che la precede per poter esistere. Se riusciamo a rendere questo in buona forma cioè la necessità che qualcosa debba precedere l’osservazione perché esista, siamo a cavallo, tutto il resto viene da sé, ed è quello che stabiliremo martedì prossimo: se osservo qualcosa, questo qualcosa che osservo occorre che io sappia che è un qualche cosa, tenga conto che non possiamo avvalerci dell’osservazione, del vedere, perché è ciò che dobbiamo provare e cioè che esiste l’osservazione in quanto tale e quindi questo qualcosa che osservo occorre che per me sia osservabile a qualche condizione, e cioè che sia un qualcosa, che è un qualche cosa come lo so? Ecco che c’è qualche cosa che precede l’osservazione, va bene ci riflettiamo adesso (nel luogo comune sicuramente c’è qualcosa che precede l’osservazione) un momento nel luogo comune non è che precede è simultanea l’osservazione, lo stiamo dicendo noi che logicamente precede l’osservazione e che è il linguaggio che mi consente di sapere che c’è un qualcosa che sto osservando, pensateci bene la questione non è semplice ma può essere determinante… bene ci vediamo martedì (in questo caso il linguaggio è dio, però ci invischiamo ancora nella questione del ça parle) può apparire ma no, di fatto no, il linguaggio è ciò in cui ciascuno si trova necessariamente e dal quale non può uscire, possiamo anche dire ça parle ma non ci giova assolutamente niente, non ci porta da nessuna parte (ça parle, come dire che c’è un dio che muove tutto e che chiamiamo linguaggio, il motore immoto).