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27-11-2013

 

A te Boole serve soltanto per mostrare che è stato utile per la costruzione delle macchine, dei calcolatori. Quali sono le tre operazioni booleane per la conversione da operazioni da connettivi in operazioni algebriche. Per esempio si tratta di trasformare il vero in falso, cosa fa il connettivo “non”? Trasforma un’affermazione vera in falsa, ora occorre trasformare questa operazione con i connettivi in un’operazione algebrica e l’operazione che fa questo è “1-”, perché se io faccio 1- 1 = 0 cioè questo 1 si trasforma in 0, se invece faccio 1 – 0 = 1 quindi lo 0 si trasforma in 1. Nel caso della congiunzione come faccio a trasformare un’operazione del connettivo “e” in un calcolo algebrico utilizzando 0/1? Sappiamo che la “&” è vera se e soltanto se nella congiunzione i due congiunti sono entrambi veri, in tutti gli altri casi è falsa e qual è l’operazione aritmetica che consente di trasformare l’operazione con i connettivi in un’operazione algebrica? È la moltiplicazione, infatti 1x1 mi darà 1, in tutti gli altri casi 1x0 – 0x1 – 0x0, daranno sempre 0, e quindi questa operazione è quella che consentirà alla macchina di svolgere il connettivo e sarà vero se e soltanto se entrambi i congiunti sono veri: si mettono due fili elettrici da cui parte un terzo filo, e la corrente partirà se e soltanto se la corrente arriva simultaneamente dai due fili, se ne arriva uno solo da una parte o uno solo dall’altra o da nessuno la corrente non passa. In questo modo lui ha trasformato le operazioni con i connettivi in operazioni algebriche e così l’ultima che è la disgiunzione, è la tavola di verità della disgiunzione, quand’è che una disgiunzione è vera? È vera in tutti i casi tranne nel caso i due disgiunti sono entrambi falsi perché la disgiunzione dice “o è vero p, o è vero q” basta che uno sia vero o tutti e due perché sia vera la disgiunzione, è falsa soltanto nel caso siano falsi tutti e due. Questo ha consentito a Claude Shannon di trasformare l’algebra di Boole in circuiti di fili elettrici e interruttori. “01100101 01101100 01100101 01101111 01101110 01101111 01110010 01100001”, questa sequenza vuole dire “Eleonora” in codice binario, Cosa vuole dire che questa sequenza significa Eleonora? Che tipo di significato? È un significato referenziale, inferenziale, composizionale? Che tipo di significato ha? Eppure significa “Eleonora”; è una questione interessante perché sposta completamente la questione del significato così come la pone la filosofia analitica. Di sicuro non è un significato intuitivo. Dire che quella stringa significa “Eleonora” significa che una certa sequenza, qualunque essa sia, rinvia a un’altra cosa, però questo rinvio non è dettato né prodotto da nessuna referenzialità nel senso della filosofia analitica, non c’è una “cosa” qui, non c’è il riferimento alla realtà, quale realtà? Sono sequenze di bit, e non è nemmeno inferenziale, non è prodotto da inferenze, da deduzioni, non è prodotto da niente, e quindi questo significato come si produce? Eppure è un significato. Per la macchina questa sequenza significa esattamente “Eleonora”. Ciò su cui merita riflettere è un modo, a questo punto differente, di porre la questione del significato, che sì, è un rinvio certo, se non fosse un rinvio sarebbe niente, però il fatto che la filosofia analitica consideri il significato inferenziale, referenziale, composizionale eccetera, queste sono costruzioni che possono anche avere qualche interesse in alcuni casi, ma di sicuro non esauriscono il problema. Quando ci chiediamo “che cos’è un significato?” e cioè la fatidica domanda “qual è il significato del significato?”, l’unica risposta che possiamo dare corretta, nel senso che è inevitabile, è che è un rinvio, nient’altro che questo, un rinvio che segue a certe regole, non un rinvio qualunque, cioè deve essere vincolato a delle regole, quali regole? Quali regole questo lo decide la struttura del sistema in cui il significato è inserito, non ci sono altre regole, cioè sì, ce ne sono ma all’interno di quel sistema sono soltanto quelle regole che fanno funzionare un significato in un certo modo. A questo punto stabilire un significato di qualche cosa non è altro che applicare quelle regole che determinano l’uso di un termine all’interno di un sistema. Come so di avere applicato correttamente queste regole? Cioè di avere seguito correttamente queste regole? Era un problema che Eleonora insieme con Wittgenstein poneva qualche tempo fa, per saperlo occorre un metodo, un criterio di verifica ovviamente, se no, non lo saprò mai. Questi criteri di verifica in che cosa consistono? Di nuovo non c’è un criterio di verifica universale, perché anche il criterio di verifica è fornito insieme alle regole per stabilire un certo significato. Per esempio è differente il criterio di verifica che utilizza un computer per stabilire se un programma è compatibile con il sistema operativo, da quello che utilizza una banda di ragazzini per sapere se un nuovo ragazzino fa parte o no del loro giro, sono criteri differenti, ma entrambi sono dei criteri, e cioè si stabilisce che, dicevamo l’altra volta rispetto a Simona, si stabiliscono dei criteri ma in modo del tutto arbitrario, arbitrario nel senso che non hanno nessuna necessità, sono soltanto utili in quel caso. Per la macchina per esempio è utile sapere se l’architettura di un certo programma è compatibile con l’architettura di un sistema operativo, per esempio se nel sistema operativo Windows io voglio installare un programma della Apple non me lo fa fare, vede che non è compatibile. Ci sono dei criteri che la macchina utilizza per stabilire se è compatibile e quindi neanche lo vede proprio, e questo è un criterio, ma non è l’unico. Per sapere per esempio se una persona ha imparato una certa cosa, il criterio è quello di fargliela ripetere, se la ripete nel modo in cui io mi aspetto in base a certi criteri allora dico che “ha imparato quella cosa”. Il criterio per stabilire se si segue una regola è arbitrario tanto quanto la regola, anche se c’è una connessione tra la regola e il criterio per sapere se la si segue correttamente, perché all’interno della regola c’è già la possibilità, c’è già, chiamiamolo un “programma” tra virgolette, per stabilire se quella regola è stata eseguita oppure no…

Intervento: non ho capito, “c’è già una sorta di programma per stabilire se io la seguo”? È il programma che fissa la regola mica c’è già dentro la regola…

Cosa diciamo che un programma occorre che sia? Una sequenza di istruzioni, può essere più o meno complesso, può essere molto semplice, può essere complessissimo, questo adesso non ci interessa però è una sequenza di istruzioni per cui ogni volta che si compie una certa operazione sulla tastiera per esempio, un certo programma chiamato Office risponde in un certo modo, ed è in condizioni di svolgere certi compiti, per esempio io gli dico “metti tutte queste parole in ordine alfabetico decrescente” e lui lo fa, ora occorrerebbe digitare i comandi direttamente in C++, però adesso sono macro tutti quei pulsanti che vedi, sono tutti macro cioè dei sotto programmi, diciamola così, prestabiliti che fanno loro quello che dovrebbe fare invece la persona sulla tastiera, e dando direttamente i comandi alla macchina utilizzando la sintassi che la macchina sa leggere eccetera, quindi il programma fa queste operazioni. Per fare queste operazioni ovviamente segue quelle regole che in questo caso il programmatore gli ha messo dentro, per cui quando l’utente premerà questo pulsante, allora “tu farai questo” e cioè “tutti questi nomi sparpagliati li metterai in ordine alfabetico decrescente”. La macchina lo fa, quindi le regole, le istruzioni sono all’interno del programma, però come viene fatto un programma? Come si stabilisce un programma? Immagina di essere tu il programmatore della Microsoft al quale Bill Gates ha detto “scrivimi un programma Office nuovo, anziché l’ultimo Office 2013, Office 2015, che abbia tutte le caratteristiche di quell’altro ma con qualche differenza, così possiamo farlo pagare il doppio”, da dove incominceresti tu programmatrice della Microsoft? Incomincerai a digitare delle sequenze utilizzando la sintassi che conosci perfettamente e gli fai fare tutte le operazioni che vuoi tu, quindi dici di seguire delle regole, e quelle regole gliele metti tu dentro, quelle regole che poi lui eseguirà. Il programma è fatto di esecuzione di regole, e queste regole, devi dirgli tu quali regole deve seguire…

Intervento: sono dati inizialmente. Mi stavo chiedendomi se i dati lavorano sulle regole o lavorano sui dati…

Il dato è qualche cosa che tu metti lì dentro, e ce ne sono a miliardi, e devi farli lavorare tra loro, per esempio poniamo che la A sia un dato. Deve comparire la A sullo schermo, per fare questo devi avere dato delle regole, tutti i passaggi sono vincolati a delle regole, quindi sono regole che vengono eseguite ogni volta. Succedono tantissime cose dentro alla macchina perché possa comparire la A sul foglio elettronico, e naturalmente quando chiedi di fare operazioni più complesse, anche soltanto un a capo rientrato, tutte queste cose deve saperle fare, e quindi devi avergli messo delle regole che lui sia in grado di eseguire, oltre al fatto che il programma che stai facendo deve avere la stessa architettura di Windows, deve essere fatto in modo che una volta che inserisci il dischetto nel lettore lui lo legga. La regola è quella che metti dentro a un sistema perché il sistema possa eseguirla, e quindi compiere quelle operazioni che tu voi che compia. Quindi c’è prima la regola o prima il programma? La risposta a questa domanda è che c’è prima il linguaggio, e cioè c’è un sistema che chiamiamo linguaggio che è quello che consente di pensare alla produzione di regole, di pensare all’applicazione di regole, di istruzioni e della costruzione di programmi di vario genere, il linguaggio è un programma? Sì, è un programma anche lui, e tutti i programmi che tu costruisci ne ripetono la struttura, e anche l’architettura, la ripetono all’infinito, con infinite varianti, ma è sempre lo stesso, fondato su 0/1 oppure no e sì, vero/ falso, essere non essere, sono tutte varie formulazioni della stessa cosa: ciò che c’è e ciò che non c’è, ciò che c’è, quod sint, che gli antichi distinguevano dal quo sint che è invece il motto della metafisica, il primo dell’ontologia. Quindi la domanda se esiste prima il programma oppure la regola non ha senso, perché ciò che esiste prima è il linguaggio che consente di costruire delle sequenze che poi consentiranno di costruire regole, costruire programmi, fare tutte queste cose; a questo punto il discorso ovviamente si rivolge al linguaggio, che è la cosa che a noi interessa di più perché è il linguaggio, questa struttura che viene trasmessa e che è fatta in questa maniera e funziona così: 0/1 come ha intuito Boole, vero/falso - sì/no. In genere a un bambino che fa una marachella non si dice “falso” oppure “non essere” si dice “no” oppure se fa bene si dice “sì” puoi andare avanti, puoi continuare, “no”, fermati. Questa è la struttura o lo scheletro del funzionamento del linguaggio, semplicemente un sistema binario che dice “di qui puoi andare e di là no” che poi è stato ripreso più o meno pari pari dall’informatica, e poi McCullough e Pitts si sono accorti che è esattamente il funzionamento del sistema nervoso centrale: neuroni che fanno passare o non fanno passare corrente, corrente portata da fili elettrici, negli umani si chiamano nervi, però si potrebbero anche chiamare fili elettrici. Il linguaggio è quella struttura che funziona a questa maniera, ma è qui il punto dove tu dovrai arrivare, perché se funziona a questa maniera, e tu mostrerai che funziona a questa maniera, allora quando parliamo che cosa facciamo esattamente? Quando ci stiamo chiedendo, facendo elucubrazioni che lasciano il tempo che trovano sul significato del significato eccetera, che cosa stiamo facendo esattamente? Stiamo costruendo sequenze come questa, non proprio esattamente così, però di fatto stiamo costruendo delle sequenze perché abbiamo la possibilità di farlo, e che cosa ci dà questa possibilità? Il linguaggio, che ci consente primo, di costruire delle sequenze, secondo, di riconoscere queste sequenze come sequenze linguistiche, terzo, di lavorare su queste sequenze, che non è poi molto lontano da quello che diceva Heidegger “conoscenza, manipolazione, elaborazione dell’ente”, in questa caso l’ente è una sequenza, una stringa. Volendo si può notare come da sempre gli umani si interroghino sempre sulla stessa cosa chiamandola ogni volta in modo differente, però la questione è sempre la stessa, così come forse dicevamo qualche tempo fa del realismo e dell’antirealismo, di per sé non significa niente né l’una cosa né l’altra. Il realismo dice che deve esserci qualche cosa, sì certo c’è qualche cosa, ma il fatto che ci sia qualche cosa è un prodotto di un sistema operativo che consente di dire che c’è qualche cosa, non è che io percepisco che esiste qualche cosa, perché senza un sistema operativo che mi dice che c’è qualche cosa e quindi posso appunto conoscerlo, manipolarlo, elaborarlo, non c’è niente, cioè questa domanda “se c’è oppure no”, non ha nessun senso perché non ha nessuna possibilità di risposta, assolutamente nessuna; per rispondere a qualcosa occorre che ci sia una domanda, e perché ci sia una domanda occorre che ci sia una struttura che consenta di farla. Quindi il linguaggio è quella struttura che consente di fare questo, ma non è che quando fa questo ciò che produce sia qualche cosa che esiste, come gli umani sono indotti a pensare da sempre per una serie di motivi, buona parte dei quali abbiamo anche considerati, sono soltanto costruzioni. È come quando si costruisce la dimostrazione dell’esistenza di dio, dopo cosa si è fatto? Oppure molto più semplicemente quando si fa una dimostrazione qualunque, cosa si è fatto? Si sono eseguite le regole per portare a termine quella dimostrazione, questo abbiamo fatto, non c’è nient’altro. Alla domanda: che cosa si fa esattamente quando si parla?, risponderai che si costruiscono delle sequenze che consentono di costruire altre sequenze, che mostrano di fatto la possibilità infinita della costruzione di sequenze, ma aldilà di questo non c’è nient’altro, non c’è nulla di ciò che gli umani hanno immaginato che sia al di fuori di queste sequenze, per sequenze intendo linguaggio, qualunque cosa si immagini essere al di fuori di queste sequenze è un’altra costruzione di queste sequenze. Riassumiamo grosso modo. Dici che Wittgenstein ha elaborato un suo pensiero intorno al funzionamento del linguaggio attraverso le regole, ha detto che il significato è l’uso, quindi l’uso non è altro che un rinvio. Il significato come uso, l’uso è un rinvio oppure no? Se non è un rinvio è niente, quindi deve rinviare a qualche cosa. Tu usi qualche cosa in base a una regola, l’uso è l’applicazione di una regola che hai imparata, come fai a usare l’automobile? Applichi quelle regole che ti sono state insegnate. Dopodiché qual è il passaggio che fai a questo punto tra il significato come uso, la regola e la macchina? Come introduci la questione della macchina a questo punto? Come fai a imparare a seguire una regola? Quando qualcuno te la insegna, come accade questo fenomeno stranissimo per cui tu lo impari? Intervento: ascolto quello che mi dicono e poi lo metto in atto. Ricevo le informazioni e poi le applico nel concreto…

Non solo, ricevi delle informazioni ma anche delle istruzioni per usare queste informazioni, perché non bastano le informazioni, qualcuno deve anche dirti cosa farne. Ma come si imparano queste cose? Come avviene che queste informazioni e queste istruzioni vengano apprese? Come fanno gli umani a imparare a parlare? Perché poi di questo si tratta, domanda complicatissima, Agostino diede una sua risposta che però non ci piace perché non è sufficiente, cioè la risposta dell’ostensione. Non basta quest’operazione perché devo sapere che cosa sta facendo in quel momento, che mi sta insegnando qualche cosa eccetera, ma a questo punto Eleonora la domanda tu dici può spostarsi su come le macchine apprendono il linguaggio, apprendono a parlare, a pensare. Dirai che l’apprendimento di una macchina può fornirci un modello dell’apprendimento, schematico quanto vuoi, semplice fin che ti pare, però è un modello che è utile, per questo tu lo seguirai, poi la questione tornerà dopo, con ben altra portata quando ti accorgerai che gli umani pensano come le macchine e viceversa, perché sono la stessa cosa. Come fa una macchina a pensare? Boole ha mostrato come operare con i connettivi utilizzando dei calcoli algebrici per rendere la cosa più semplice vero/falso 1/0. Le macchine imparano a pensare inserendo queste informazioni e queste istruzioni, che era la domanda che ci ponevamo prima “come fanno gli umani a pensare?”, bisogna mettergli dentro queste cose, ma come? Il sistema l’ha trovato Shannon e cioè ha preso queste cose che già si sapevano, e attraverso dispositivi, fili elettrici e interruttori ha costruita la machina. Ma negli umani come funziona? Come vengono inserite queste informazioni? Non attraverso un tastiera ma attraverso le porte di ingresso che sono i tuoi sensi. I tuoi sensi ti consentono di inserire, di fare entrare delle informazioni. A questo punto potrai fare un breve excursus sulla neurofisiologia, come funziona un neurone, in due parole, funziona cioè come un interruttore: se la corrente supera una certa soglia, cioè ha un certo peso, allora consente il passaggio di corrente se no, no, perché una cosa rimane impressa? Perché questa cosa è stata detta più volte e quindi ha assunto un peso maggiore, cioè passa più corrente semplicemente. John J. Hopfield ha costruita un’architettura, un sistema neurale complesso, tale per cui ciascun neurone è connesso con tutti gli altri, ogni neurone è connesso con tutti gli altri direttamente o indirettamente, come dire che in questo caso il passaggio di corrente coinvolge ogni volta tutto il sistema, è un po’ come la nozione di struttura di Benveniste, per cui una struttura è una connessione di elementi tale per cui se si modifica un solo elemento all’interno di questa rete ne risultano modificati tutti gli altri. Anche questo è un altro modo di pensare un sistema neurale, che è lo stesso modo di pensare una struttura linguistica e forse non è casuale…

Intervento: ma la domanda primaria, nel computer si immettono i dati, ma nel bambino? Per dare un avvio al computer noi diamo l’avvio, per il bambino no… non è una questione fisica o chimica, è una questione di come inizia ad applicare le regole per tentativi…

Hai detto bene, per tentativi. Quando addestri un bambino gli fai compiere un’operazione un certo numero di volte, tu stessa se devi imparare un cosa nuova devi farla un certo numero di volte. Quando studi Boezio, per dare l’esame di filosofia medioevale, devi leggerlo un tot numero di volte, non è sufficiente che tu legga tutto il testo di Boezio dall’inizio alla fine per ricordarlo, come potrebbe fare una macchina, ma perché no? Perché non avviene? Perché il tuo sistema è differente da quello della macchina, e cioè richiede che il neurone, perché passi la corrente, almeno così pare, deve raggiungere una certa soglia e cioè deve avere un certo peso, per avere un certo peso occorre in alcuni casi che venga ripetuto molte volte, poi intervengono altri elementi, l’attenzione, la noia, oppure di converso un grande interesse. Questo dice di una piccola differenza tra l’umano e la macchina, ma la struttura è la stessa…

Intervento: non possiamo solo parlare di elettricità eccetera…

No, è un modo, così come delle volte utilizziamo il funzionamento della macchina per illustrare il funzionamento del ragionamento, è chiaro che il ragionamento degli umani precede la macchina, e la macchina è soltanto un’indicazione, per il momento abbastanza rozza. Il modo in cui il bambino apprende è l’insistere di una certa cosa, finché questa cosa si fissa nel suo database, ma insistere come? Gli dici di compiere un’operazione e ci vuole un criterio naturalmente in modo che sappia se lo fa bene o se lo fa male, il criterio è sì, no - vero, falso, la mamma dice “sì, bravo Pierino” e gli dà un cioccolatino, oppure no e gli dà un ceffone, questo sì, e questo no. È il sistema di verifica primo e ineliminabile per il funzionamento del linguaggio, e quindi non solo per l’acquisizione del linguaggio ma per il funzionamento stesso del linguaggio, tutto gioca intorno a questo: sì, no – vero, falso, è a questo punto che è possibile dargli delle informazioni e fare in modo che queste informazioni facciano delle cose, cioè possa eseguire delle istruzioni…

Intervento: come legare queste cose a Wittgenstein?

Il significato è un uso, dice Wittgenstein, come imparo a usarlo? Ecco la domanda fatidica, come faccio a imparare a usare qualche cosa? E non è una domanda semplice, molti ci hanno perso la testa senza riuscire a venirne fuori, perché ogni volta questa domanda rimandava a qualche cosa che era già in atto, che era in uso, e cioè per imparare a usare qualche cosa devo già sapere qual è l’uso, ma non è necessario perché l’uso tu lo apprendi esattamente così come lo apprende una macchina. La domanda che devi farti è “come faccio a imparare che una certa cosa si usa in un certo modo e che una certa cosa è un uso. Certo, si tratta di trasmissione di informazioni, ma perché queste informazioni si fissino occorre negli umani ripeterle perché gli umani sono fatti malamente, non gli basta una volta. L’apprendimento è una delle prime nozioni sulle quali si potranno implementarsi altre informazioni, altre istruzioni, potranno, perché si immette anche un sistema che consente di aggiungere elementi e di riconoscere questi elementi come elementi linguistici utilizzabili nel discorso, nell’agire, nel fare…

Intervento: come una struttura accoglie l’input non è un problema…

Però non è neanche secondario, pensa a come fa una macchina a riconoscere un cd con dentro un sistema operativo Microsoft, come fa a riconoscerlo? Perché il sistema operativo è programmato per riconoscerlo, cioè gli sono state date delle istruzioni tali per cui è in grado di ricevere certe informazioni e sapere che quelle cose sono informazioni, e questo è importante perché è esattamente quello che avviene nel linguaggio: il bambino a un certo punto riconosce che dei suoni sono delle informazioni per esempio, e non semplicemente dei suoni, che comunque, prima di queste informazioni e istruzioni non sono neppure suoni, sono niente ovviamente. Il punto è come avviene il primo passo, come dicevamo tempo fa, l’acquisizione del “questo è questo”, che abbiamo semplificato in questo modo, la prima informazione e la prima istruzione che consente di connettere, di mettere insieme questo con quest’altro, riconoscere che uno è una cosa e l’altro un’altra. Tutte queste informazioni e istruzioni vengono trasmesse attraverso delle porte di ingresso: i tuoi cinque sensi.