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27 agosto 1998

 

Cesare, ponga le questioni di cui parlammo la volta scorsa intorno alla percezione. (Mi sono interrogato su questa definizione della percezione che il linguaggio acquisisce se stesso...una definizione così sembra non confutabile.)  Lei saprebbe confutarla? (…) Sì, io mi ero fermato molto prima delle considerazioni che aveva fatto Cesare, che è andato oltre. In effetti, io ho detto di meno rispetto alla percezione che però è una questione fondamentale perché pareva che non si desse l’eventualità di non potere percepire. A questo punto ci siamo domandati che cosa fosse, che cosa dovessimo intendere con questo significante “percepire” e abbiamo detto, se ricordate bene, che la percezione comporta necessariamente un’acquisizione perché se percependo non acquisisco nulla allora mi risulta difficile poter utilizzare questo significante “percepire”. Affermando che la percezione è necessariamente un’acquisizione ci siamo chiesti chi acquisisce e che cosa esattamente. Dato che il “che cosa” già di per sé offriva numerosi problemi dal momento che qualunque cosa si parasse innanzi comunque risultava assolutamente negabile, o nel migliore dei casi una sorta di tautologia, di petizione di principio, allora siamo partiti dall’altro corno del dilemma e cioè “chi percepisce?”. Chi percepisce? Io? Io sono tale nella misura in cui dico, in cui posso dirmi, quindi c’è qualche cosa che precede il fatto della propria identità, della conoscenza di tutte queste altre cose. Questo qualcosa è quella struttura ormai celebre e che mi consente di dire che io percepisco. E allora ci siamo orientati verso un’altra soluzione piuttosto insolita, almeno al pensiero occidentale, e cioè che il soggetto, il percipiens, è il linguaggio. Ma che cosa percepisce a questo punto? Perché o percepisce qualcosa che lo riguarda oppure percepisce qualcosa che è fuori di sé. Se è qualcosa che è fuori di sé sorgono problemi di proporzioni bibliche, se è qualcosa che invece lo riguarda allora bisogna dire che è il linguaggio che percepisce se stesso in un certo senso, o che acquisisce se stesso, visto che la percezione è una acquisizione. E’ qui che grosso modo eravamo giunti, però che cosa significa che è il linguaggio che acquisisce se stesso? Qualcuno potrebbe obiettare che, posta la questione in questi termini, allora il percipiens e il perceptum sono la stessa cosa...(Pensavo che da questo punto di vista ci siano molti meno problemi di metafisica.) La questione che sta interrogando verte soprattutto intorno a questo e cioè se è possibile dare a questo significante “percezione” una definizione tale per cui la percezione risulti non un gioco linguistico ma una procedura. Non è affatto sicuro che questo possa darsi. In effetti, avevo introdotto questo elemento dell’acquisire che però è ancora da riflettere, perché si tratterà di verificare se effettivamente è un’acquisizione oppure no. Il linguaggio acquisisce elementi? È necessario che questo avvenga per il suo funzionamento oppure no? Se troveremo la risposta affermativa a questo quesito allora forse tutta la questione della percezione può indirettamente essere ripresa. Certo, ponendola come gioco linguistico non pone nessun problema....(...) Roberto non ha torto, la questione offre molti problemi però possiamo dire che il linguaggio produce, sicuramente, ma lo possiamo dire perché anche acquisisce oppure no? Oppure questo è marginale?..(...) Occorre dare una definizione più precisa di acquisizione. Quale proporresti tu, una bella definizione di acquisizione? (…) Noi mica ci spaventiamo... vediamo cosa succede, può anche essere che abbandoniamo il tutto perché inutilizzabile, però hai visto mai che invece ci sia qualche cosa... (...) Questo accostamento che hai fatto fra acquisizione e rinvio non è del tutto infondata. Occorre riflettere bene su come funziona tutta la struttura e se c’è un elemento che forse può esserci utile. Tu dici che puoi dimostrare tanto che il linguaggio acquisisce tanto che il linguaggio non acquisisce, questo di primo acchito mi riporta a quell’altra questione di qualche tempo fa, se un elemento è necessariamente identico a sé o se differisce da sé. Dicevamo già molto tempo fa che in effetti è possibile provare che un elemento differisce da sé e anche che è identico a sé, tuttavia c’è un elemento che si è inserito in seguito che è risultato non negabile e cioè che se io affermo, per esempio, che un elemento differisce da sé, per poterlo affermare occorre che ci sia un sé da qualche parte e cioè che qualche cosa non varia .... (Questa è un’altra questione.) Ci somiglia molto perché se riusciamo a dire che l’acquisizione, cioè acquisire qualche cosa ... (....) No, non è che tu ti ponga il problema di acquisire o non acquisire ma il fatto di valutare se c’è una acquisizione all’interno del linguaggio come procedura o se è una regola del linguaggio. Questa è la questione che ci stiamo ponendo, cioè se è necessaria, se senza tale acquisizione il linguaggio cessa di funzionare. (...) Sì, mi rendo conto che la questione è posta ancora in termini piuttosto vaghi e sufficientemente imprecisi per cui è facile muovere obiezioni, però la questione ci serve perché, se mai riuscissimo a stabilire in qualche modo con qualche sofisma che da parte del linguaggio l’acquisizione è necessaria, allora tutta la questione connessa con la percezione potrebbe essere vista in modo differente anche tenendo conto del punto da cui siamo partiti e cioè dall’obiezione che viene fatta perlopiù nel discorso comune, nel discorso occidentale, e cioè che in ogni caso le cose vengono percepite, che le cose sono reali perché le percepisco e che non posso non farlo. Questo ci aveva condotti per un breve istante all’idea di ritrovarci inesorabilmente di fronte a un’ontologia, cioè se io per esempio riconosco Cesare ciascuna volta in cui lo vedo, questa la stabilisco come una regola del gioco, ma posso non accogliere questa regola del gioco? Posso non riconoscere le cose che incontro? Allora, ci siamo detti che se non riconosco le cose che vedo mi trovo nella mala parata perché a questo punto posso non riconoscere più nulla, neanche le parole, e mi troverei di fronte all’impossibilità di proseguire. Allora, se il discorso prosegue è perché io faccio questa operazione e non la posso non fare a questo punto perché non facendola cesserei di parlare e non lo posso fare, quindi necessariamente occorre che io “riconosca” le cose, che è esattamente ciò che grosso modo sostiene l’ontologia, cioè le cose sono quello che sono e da questo non puoi sottrarti, mentre fino a quel punto avevamo sempre sostenuto, forse con eccessiva leggerezza, che il riconoscere una qualunque cosa non è altro che l’applicazione di una regola del linguaggio, per cui si poneva sì che la regola è necessaria ma non questa, per esempio, e quindi potrei utilizzarne un’altra e poi un’altra. Siamo sicuri che potremmo utilizzarne un’altra senza che il linguaggio cessi di potere funzionare? Ci siamo posti questa questione, poi ovviamente la questione è stata risolta affermando che, una volta che accolgo una regola, allora non è più possibile affermare una cosa e il suo contrario. Una qualunque regola, se è data per giocare il gioco che riguarda quella regola, occorre che non sia negata, questo non lo posso fare. Se accetto un certo gioco devo accogliere quella regola, cioè non posso più dire che non riconosco Cesare, non lo posso fare, è soltanto questo che funziona come una procedura, che altro non è che, rimesso un po’ in sesto, il principio di non contraddizione: una volta che hai affermato A non puoi negarlo, salvo fare un altro gioco. Da qui, abbiamo cominciato a soffermarci sulla questione della percezione, ci sembrava in effetti una cosa piuttosto complessa perché continuava a questionarci questa storia: poniamo questa storia come un gioco, bene, posso non farlo questo gioco? Difficile rispondere nel senso che qualunque risposta è risultata insoddisfacente, c’è l’eventualità che qualche cosa di ciò che si intende comunemente con percezione possa essere o possa costituire una sorta di procedura. (...)

Siamo partiti da questo elemento, dall’affermazione della percezione di Cesare, che in effetti è una affermazione retorica, eravamo partiti per vedere se saremmo riusciti eventualmente a trarre qualche indicazione. Però possiamo forse porla in termini radicali e cioè se è necessaria la percezione perché il linguaggio funzioni, possiamo porla così. E’ qui, a questo punto, che ci si impone una riflessione intorno alla percezione, dal momento che qualcuno potrebbe porre una obiezione di questo tipo: se io non percepissi nulla potrei parlare? Difficile rispondere, perché se non percepissi assolutamente nulla a questo punto non percepirei neanche le parole. Dunque, la percezione precede il linguaggio. E’ questo che ci aveva infastidito leggermente, da qui una serie di riflessione intorno alla percezione. (La percezione, il significato delle parole) Dici che la percezione non è altro che il significato... (...) Tu affermi dunque che la percezione è il significato, per potere fare questa affermazione c’è l’eventualità che tu debba già avere percepito qualche cosa, qualcosa cioè deve essersi strutturato in modo tale da consentirti di fare questa affermazione e supponiamo che questa percezione non ci sia, vediamo di riflettere bene (....) Sì, sembra apparentemente convincente eppure c’è qualche cosa che... Abbiamo detto che la percezione è una acquisizione, una acquisizione di elementi e che questa acquisizione può avvenire attraverso il linguaggio, questo può essere accolto. Vediamo un po’ cosa potrebbe obiettare qualcuno. incominciamo da questo: il linguaggio di che cosa parla quando parla? Sappiamo che non può non farlo, che parla di qualche cosa, delle varie cose che incontra o di qualunque cosa, questo elemento di cui il linguaggio parla tu dici che viene dal linguaggio, quindi il linguaggio, per dirla così, si è inventata l'esistenza di una quantità sterminata di cose che non ha mai visto né percepito, dal momento che dici che percepisci soltanto quando... (Che il linguaggio percepisca l’ha detto lei.) Certo, la questione verte intorno a questo, se il linguaggio acquisisce soltanto da sé o da altro, perché è questa poi la questione centrale. (Da altro sarebbe fuori dal linguaggio?) Sì, riguarderebbe l’obiezione che afferma che la percezione è la condizione del linguaggio, certo! Stavo cercando tutti i possibili elementi che in qualche modo possano se non inficiare almeno incrinare ciò che è stato detto, mi sono assunto questo compito. C’è qualcosa che ci sfugge in tutto ciò, c’è qualche idea che... A qualcuno viene in mente a questo punto? (....) Sì, questa era la questione, però adesso siamo ancora un passo prima di questo elemento, dobbiamo giungere a stabilire qualche cosa di definitivo circa la percezione. Se io affermo che la percezione è un’acquisizione nessuno potrebbe obiettare nulla e se continuassi dicendo che soltanto il linguaggio è in condizioni di acquisire direi qualche cosa che risulta difficilmente negabile nel senso che qualunque altra cosa si possa affermare può risultare negabile, questa no, dire che chi acquisisce è il linguaggio, ma come? Questo forse non è difficile da dire, perché la struttura del linguaggio è tale per cui continua a produrre se stesso ininterrottamente, ciascun elemento che viene prodotto, essendo prodotto per via di un rinvio, potremmo dire che produce un’acquisizione, ma detta così non piace affatto, ciò che è acquisito (....) Sembrano due facce dello stesso procedere, c’è produzione e acquisizione (....) Sì, adesso stavo riflettendo sul come dell’acquisizione. Sicuramente avviene attraverso queste procedure, note come inferenze, attraverso cui funziona il linguaggio, dire che è acquisito non è altro che affermare che è disponibile, cioè il linguaggio può disporvi. (Se io, i nostri occhi sono nel linguaggio, se noi riuscissimo a dimostrare che la mia vista è nel linguaggio...cioè i miei sensi, sono, perché esiste il linguaggio... cioè che io vedo, vedo tramite il linguaggio...se noi riuscissimo a portare questi sensi...) Vede, Cesare come in molti casi ci troviamo di fronte a situazioni cui propriamente non possiamo né provare né dimostrare. Possiamo costruire una proposizione che risulta non negabile, e non è propriamente una dimostrazione né possiamo neanche farlo perché, come è noto, ciascuna dimostrazione muove da assiomi che comunque risultano negabili, se non altro può risultare negabile o arbitraria la decisione di assumere un certo assioma, per cui ci siamo mossi unicamente da quegli assiomi che non sono negabili. Da lì, certo, utilizzandoli abbiamo costruito altre proposizioni ma ciò che risulta fortemente retoricamente persuasivo è la dimostrazione, la prova, che poi paradossalmente non può essere mai provata in modo definitivo come ciascuno sa, però può costruirsi una proposizione che risulta non negabile. Ma il fatto che non sia negabile non è persuasivo, per molti è solo fastidioso per il momento, poi vedremo se riusciamo... La volta scorsa ci si è soffermati su un’ipotesi e che ci è parsa di notevole interesse, l’eventualità che perché il linguaggio così com’è funzioni sia necessario un elemento che funzioni come se fosse fuori dal linguaggio. E’ un’ipotesi suggestiva, ancora tutta da esplorare, però, se così fosse, renderebbe conto delle molte domande che fino ad oggi sono rimaste senza risposta, cioè come avviene che ci si trovi ad esempio a credere una qualunque cosa, cosa che avviene per lo più, qualcosa senza la quale il linguaggio non funziona. E’ un’ipotesi suggestiva che non toglie nulla a ciò che abbiamo detto ma aggiunge un elemento che può essere notevole. Però, come dico, è ancora tutto da discutere. Ecco, quanto detto intorno alla percezione, quanto stabilito, appare definitivo. Quando dico definitivo intendo non negabile, si sappia... Può esserci in effetti il passo successivo che verte su questa interrogazione che dovrà riprendere necessariamente il funzionamento del linguaggio, vedere se qualcosa ci è sfuggito nel suo funzionamento, intendere, come dicevo prima, chiamiamole “procedure”, non sappiamo ancora niente, che costringe a inserire all’interno della stringa un elemento che afferma di sé di essere fuori dal linguaggio se no non funziona. C’è una remota possibilità che sia una cosa del genere, non chiedetemi né come né perché, ancora non so rispondere però non è escluso che nel prosieguo possa (...) No, anzi se fosse così come vi dicevo questo ci metterebbe in condizioni non soltanto di rispondere a un sacco di quesiti ma anche finalmente di giungere a costruire quelle proposizioni che si inseriscono in qualunque discorso e dopo averlo devastato lo ricostruiscono immediatamente, una specie di virus. Ci sono questioni da parte vostra? (Allucinazione, percezione senza oggetto... mi interrogavo intorno all’economia del gioco dell’allucinazione che interviene invece per salvare quell’oggetto.)

CAMBIO CASSETTA

... la struttura della percezione per cui la percezione stessa è un’allucinazione. Ora, un’affermazione del genere, se la poniamo in termini logici, non significa assolutamente niente, in termini retorici può avere un uso e l’uso è quello che viene fatto talvolta per dare una sorta di dignità all’allucinazione laddove la persona lamenta allucinazioni oppure viene “accusata” dagli psichiatri di trovarsi in stato allucinatorio. Allora, dirgli che l’allucinazione struttura la percezione è come dire che non va così male, però se si riflette bene su queste proposizioni ci si rende conto che logicamente non significano niente; la stessa percezione così come l’abbiamo posta come acquisizione, l’acquisizione di elementi linguistici, possono non esserci? No, in questo caso sarebbe piuttosto arduo parlare di allucinazione, accade di doverne parlare laddove una persona afferma di avere allucinazioni e cioè vede una cosa che non c’è, come se io qui mi mettessi a chiacchierare con Vera, Vera non c’è e se io parlassi con lei, qualcuno potrebbe cominciare a pensare che sono matto....(La questione è perché in certi momenti il discorso in cui ci si trova non acquisisce, non evolve, non usa dei significanti a disposizione, perché nel discorso ci sono come dei vortici che risucchiano.) La questione è complessa, è lo stesso motivo, si domanda perché una persona crede in dio, quando tutto quanto potrebbe consentirgli di rendersi conto che sono affermazioni totalmente prive di senso...