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27-7-2016

 

HEIDEGGER: La questione della cosa (1935-1936).

La questione della cosa l’avevamo interrotta al secondo punto, ci sono altri punti, precisamente sono sei. Il terzo punto dice così: Il progetto matematico in quanto costituito da assiomi, è la pre-comprensione dell’essenza delle cose, dei corpi; quindi nello schema fondamentale è pre-definito il nuovo in cui sono fatte tutte le cose e tutte le relazioni tra cose. (qui sta dicendo una cosa importante, il progetto matematico, la teoria matematica, diciamo, è costituito da assiomi, avete presente i cinque assiomi di Peano? Questa dice Heidegger è una pre-comprensione dell’essenza delle cose: se io stabilisco degli assiomi è come se pre-comprendessi ciò che l’assioma stabilisce, in quanto lo do già come acquisito, quindi dice “nello schema fondamentale è pre-definito il modo in cui sono fatte tutte le cose” una volta che si parte dagli assiomi si dà già come una sorta di impronta, dopo di che si andrà solo in quella direzione. Quarto punto:) Questo schema fondamentale fornisce insieme il criterio per delimitare l’ambito che d’ora innanzi terrà tutte le cose così costituite (stabilisco degli assiomi, una volta che ho stabilito gli assiomi, gli assiomi costituiscono anche questo schema, costituisce questo schema anche l’ambito che delimita il campo della mia indagine, della mia ricerca, del mio lavoro) La natura non è più ora l’interna potenza del corpo che ne determina la forma, il movimento e il luogo, adesso la natura è l’ambito descritto nel progetto assiomatico dell’uniforme connessione spazio temporale dei movimenti, che soltanto se inseriti e ordinati in esso vi possono essere corpi (è importante questa questione perché ci sta dicendo che la natura a questo punto non è più la natura di cui parlavano i greci, la φύσις, come l’essere, come ciò che non cessa di sorgere, quindi un concetto che comporta grande apertura, che comporta l’”esserci” il Dasein cioè l’essere nel progetto, no, dice la natura non è più “l’interna potenza del corpo che ne determina la forma e i movimenti” cioè la φύσις appunto, adesso “la natura è l’ambito descritto nel progetto assiomatico …” Cioè è il progetto assiomatico a questo punto che determina e delimita quello che è natura e quindi i corpi sono corpi se e soltanto se inseriti all’interno di questo ambito, tutto il resto non esiste, un corpo è tale non perché è qualcosa che appare nel dire, ma perché è inscritto all’interno di un certo ambito che è quello assiomatico, lo schema assiomatico. Il quinto) L’ambito della natura che viene così determinato in forma assiomatica nello schema fondamentale del progetto (potete pensare gli assiomi di Peano: “Numero est classe, Zero est numero” eccetera) richiede anche un metodo per accedere ai corpi e ai corpuscoli che si trovano in esso (qui si riferisce alla fisica) metodo adeguato soltanto agli oggetti assiomaticamente pre determinati (cioè soltanto, questo metodo, si applica e funziona soltanto con gli oggetti che sono riconosciuti appartenere a questo ambito cioè all’interno dello schema prestabilito) Il modo di esaminare la natura e di determinarla in termini di conoscenza non è più regolato dalle opinioni e dai concetti tradizionali, i corpi non hanno proprietà forze, facoltà nascoste, i corpi fisici sono soltanto ciò che mostrano di sé nell’ambito del progetto (è come se dicesse che non c’è più l’apertura della parola o la domanda, c’è soltanto lo schema, se qualcosa entra nello schema allora è riconosciuto come qualcosa, se non rientra nello schema non è) Le cose adesso si mostrano solo nelle relazioni tra luoghi e punti del tempo o nelle misure delle masse e delle forze agenti come nella Fisica, il modo in cui si mostrano è prefigurato dal progetto, questo determina perciò anche l’esperienza, l’ex perire il modo in cui ciò che si mostra viene accolto e cercato. E poiché ad esso l’accertamento è pre determinato dallo schema fondamentale del progetto, l’esame può essere disposto in modo tale da stabilire in anticipo le condizioni in base a cui la “natura” deve in una maniera o nell’altra rispondere. Sul fondamento della μθησις (ricordate che la μθησις è l’insegnamento) la experientia diviene esperimento nel senso moderno (non è più l’esperienza nel senso antico greco, l’esperienza dell’incontro con le cose ma diventa l’esperienza nel senso moderno, e cioè un calcolo) La scienza moderna è sperimentale grazie al progetto matematico. Lo zelo sperimentale per i fatti è una conseguenza necessaria del precedente trascendimento matematico di tutti i fatti, quando però questo trascendimento viene messo da parte o impedito, quando vengono raccolti solo i fatti in sé e per sé allora nasce il positivismo (il positivismo considera “il fatto” come qualcosa che esiste di per sé, indipendentemente da qualunque altra cosa. Sesto e ultimo punto) Il progetto in quanto ha lo scopo di stabilire l’uniformità di tutti i corpi secondo lo spazio e il tempo e i rapporti di moto, dunque rende possibile e insieme postula come criterio essenziale per la determinazione delle cose una misura per tutte uguale cioè la misurazione numerica. (sta dicendo che tutto muove dal progetto matematico cioè dallo schema della matematica, matematica sappiamo che viene da μθημα, che è l’oggetto dell’insegnamento, e la matematica è come se avesse dovuto prendere l’oggetto dell’insegnamento, ciò che si insegna e chiuderlo dentro uno schema, uno schema calcolabile, uno schema che è fatto di punti, di luoghi, di spazi, di tempo dove tutto è ordinabile secondo lo schema prestabilito (…) sì qui sta parlando del progetto matematico non il Dasein che è il progetto in quanto essere (…) il progetto inteso come l’esserci è il progetto come schema. È un agire anche questo ma si è sempre all’interno di uno schema, cioè viene riconosciuto solo ciò che è all’interno di uno schema prestabilito. Il progetto da una posizione che lo vede come l’essere, cogliere ciò che accade, ciò che viene incontro, diventa la calcolabilità estrema di tutto, quindi una delimitazione che rende impossibile a questo punto l’interrogazione, la domanda la chiude perché lui considera soltanto, Heidegger lo diceva nei primi punti, un corpo, un oggetto, un qualche cosa è tale soltanto se viene inserito all’interno di uno schema fisico, la fisica, adesso diciamo così, si fonda sul calcolo numerico, cioè sulla calcolabilità, quindi sulla prevedibilità) Con Newton il modo in cui la μθησις progetta il corpo porta all’elaborazione di una matematica particolare nel senso stretto, ma la matematica che è ora strumento essenziale per la determinazione delle cose non è il fondamento della nuova forma della scienza moderna all’inverso (ci dice Heidegger) la possibilità e la necessità di utilizzare questa particolare specie di matematica è la conseguenza della μθησις e del suo progetto (e precisa) La fondazione cartesiana della geometria analitica, la fondazione newtoniana del calcolo infinitesimale, la contemporanea fondazione leibniziana del calcolo differenziale, tutte queste novità della matematica in senso stretto furono rese possibili anzitutto nella μθησις che è carattere fondamentale del pensiero in generale (sta dicendo che non è la matematica a darci la misura delle cose come elemento originale, ma è la μθησις, cioè l’insegnamento in quanto qualche cosa che propone un oggetto da insegnare, è questo che ha portato poi all’invenzione della matematica particolare come quella di Newton, di Cartesio, di Leibniz eccetera) Commetteremo certo un grosso errore se ritenessimo di avere già dato un immagine reale della scienza con questa nostra descrizione della rivoluzione che ha portato dall’antica alla nuova scienza della natura e con la precisa definizione della scienza dell’essenza della μθησις (il passaggio dall’antica alla nuova scienza è, come ci ha detto prima l’inserimento del calcolo matematico, il calcolo numerico) Dobbiamo allora (pag. 122) riconoscere che tale problema (forse è meglio dire qual è il problema): Resta problematica la precisa determinazione del rapporto tra la matematica in senso stretto e l’esperienza intuitiva delle cose stesse (si sta chiedendo in che modo la matematica renderebbe conto dell’oggetto. La matematica lo misura dice quanto è grande, alto, il peso eccetera, però non ci dice che cos’è, infatti dice “l’esperienza intuitiva delle cose e le cose stesse”, non ci dice niente di questo la matematica, dire che cos’è se stessa, questo non lo può fare, dice) Questi problemi sono ancora oggi aperti, la loro problematicità viene coperta dai risultati e dai progressi del lavoro scientifico uno di questi problemi scottanti è riguardo alle pretese e ai limiti del formalismo matematico di fronte all’esigenza di ritornare direttamente alla natura quale si dà nell’intuizione (c’è uno scarto tra la natura così come ce la mostra la scienza moderna attraverso il calcolo e la natura in quanto φύσις così come era nel pensiero greco, non sono la stessa cosa, la φύσις per il greco antico non ha limiti, non è delimitabile, la scienza moderna ha dovuto invece imporre una delimitazione per potere considerare l’oggetto come qualche cosa di manipolabile perché altrimenti l’oggetto non è manipolabile, se l’oggetto è pensato come era pensato dal greco antico non è manipolabile perché non c’è l’oggetto: I concetti di oggetto e di soggetto nascono con Cartesio grosso modo, così come li pensiamo noi oggi, esistevano anche ai tempi dei greci ovviamente ma così come sono pensati adesso nascono con Cartesio e soltanto se l’oggetto viene pensato come qualcosa di separato dall’soggetto allora l’oggetto è manipolabile, se non c’è questa separazione, come non c’era nel pensiero greco, non è manipolabile cioè non è possibile la nascita della scienza moderna, quindi c’è stato questo primo passaggio di separazione soggetto/oggetto e poi l’introduzione del calcolo matematico, questi elementi sono quelli che secondo Heidegger hanno consentito la nascita della scienza così come la conosciamo noi) Bisogna riconoscere che tale problema non può essere risolto con un aut aut poi il formalismo e la determinazione immediata delle cose, e questo perché il metodo e l’orientamento del progetto matematico decidono anche del possibile rapporto con l’esperienza intuitiva e viceversa, dietro il problema del rapporto tra formalismo matematico e intuizione della natura sta la fondamentale questione della pretesa e dei limiti della μθησις in generale entro una prospettiva universale che riguardi l’ente nella sua totalità, solo da questo punto di vista ha per noi significato la discussione sulla μθησις (sta dicendo questo che finché c’è questo problema tra formalismo matematico, forma che ha un certo calcolo e l’intuizione immediata della cosa, questo problema, questo scarto, dietro tutto questo c’è la pretesa dei limiti della μθησις cioè dell’insegnamento generale per cui la μθησις dell’insegnamento, l’oggetto dell’insegnamento devono corrispondere a certi criteri, soltanto se corrispondono a certi criteri allora c’è l’oggetto, c’è la cosa, se non risponde a questi criteri la cosa non c’è e a questo punto è un problema, dice lui, di μθησις, di insegnamento, che cosa insegniamo? Quale oggetto sarà l’oggetto del nostro insegnamento? Questo oggetto dell’insegnamento può delimitarlo in qualche modo, può definirlo, individuarlo, se no che oggetto è? Ma per fare questo, per poterlo delimitare, per poterlo isolare devo compiere quelle operazioni di cui dicevamo prima, e cioè inserirlo all’interno di uno schema particolare, di uno schema che è quello matematico. Soltanto a questo punto diventa un oggetto dell’insegnamento perché c’è e c’è a condizione che sia all’interno dello schema prestabilito e aggiunge poco dopo) Ogni forma di pensiero però è sempre e solo l’attuazione della conseguenza di una determinata forma di esistenza storica, di una volta a volta determinata posizione fondamentale riguardo all’essere in generale e alla verità, ossia al modo in cui l’ente come tale appare (questa è l’obiezione di Heidegger a tutto ciò che ha detto prima rispetto alla scienza e al metodo matematico, dice): La forma di esistenza delle cose è una forma storica mentre prima l’esistenza è data dal fatto che un elemento è inserito all’interno di uno schema prestabilito (lo schema della fisica per intenderci, lui dice invece che l’esistenza dell’ente non è determinata dalla sua calcolabilità all’interno dello schema, l’esistenza dell’ente è storica, vale a dire che è presa all’interno del progetto della persona che di questo oggetto vuole fare qualche cosa, che si trova di fronte a questo oggetto che gli appare nel modo in cui appare a lui in quel momento a partire da tutto ciò che ha acquisito, ha saputo, ha imparato eccetera, non come un oggetto prodotto dal calcolo numerico, c’è una differenza e infatti lui sottolinea): “questa forma di esperienza storica è determinata dalla posizione riguardo all’essere in generale e alla verità” (che cosa si considera verità e che cosa si considera essere, se con Essere si considera l’essenza di qualche cosa cioè ciò che appartiene necessariamente a un oggetto, la sua enticità, ciò che fornisce la sua enticità e quindi di conseguenza la verità diventa qualcosa di calcolabile perché se l’ente è preso non come qualche cosa che è debitore dell’Essere in quanto Dasein, in quanto Esserci ma come un qualche cosa che ha una sua esistenza per conto suo, allora anche la verità diventa un qualche cosa di calcolabile perché l’ente è isolato da tutto il resto. Solo a questa condizione diventa calcolabile. È come la φύσις, che è un produrre incessante di cose, che non può essere calcolabile perché è un produrre che non si ferma mai; devo isolare qualcosa prima per potere calcolare, allora lo situo in un luogo spazio temporale, in questo istante, in questo spazio c’è questa cosa qui, in questo caso la verità è la verità che procede dalla calcolabilità, dalla prevedibilità, e quindi del sapere sulla cosa, quindi del potere sulla cosa, conoscenza come manifestazione del potere sulla cosa. Dopo tutto la prevedibilità, che è uno dei criteri fondamentali della scienza, è l’apoteosi della fantasia di potenza. Qui parla delle regole di Cartesio, regole che gli servivano per individuare sempre la μθησις): Questo procedimento di Cartesio serve alla duplice direzione della fondazione della μθησις e della meditazione sulla metafisica (quindi una fondazione della μθησις, la fondazione dell’insegnamento è come dire trovare dei criteri tali per cui ciò che si insegna è possibile insegnarlo, perché l’oggetto dell’insegnamento, cioè il μθημα, è stato individuato. Ecco la “regula” n. 4) È necessario il metodo (questo è Cartesio che parla) per ricercare la verità delle cose. Qui è Heidegger: questa regola non enuncia un luogo comune secondo cui ogni scienza deve avere il suo metodo, afferma bensì che il procedimento (oggi potremmo dire l’algoritmo) il modo cioè in cui andiamo in cerca delle cose μέϑοδος decide in anticipo su ciò che noi della verità delle cose rintracciamo, il metodo è ciò che stabilirà la verità delle cose (non è che il metodo cerca la verità, la stabilisce la verità, e trova quella verità che ha stabilita, il metodo dunque non è, dice Heidegger, uno strumento tra gli altri dell’apparato della scienza ma è la condizione fondamentale per stabilire anzi tutto che cosa può essere oggetto, e come lo è. Sta dicendo che il metodo mi dice come posso considerare un oggetto, abbiamo visto ciò che rientra in certe regole eccetera, quindi il metodo secondo Heidegger va oltre ciò che si intende comunemente, cioè un sistema per ricercare la verità, il metodo mi dice quale oggetto posso trovare, perché ho stabilito che sono oggetti solo quelle cose che rispondono a quei requisiti, e soltanto queste io trovo ovviamente nient’altro. Questo è il limite ovviamente, è un limite del pensiero scientifico che trova non ciò che cerca ma trova ciò che ha pre-stabilito che esista. Per cui si preclude di fatto tutto ciò che non ha stabilito e previsto) pag. 130: Il pensare, il porre quando si volge a se stesso, scopre che il dire e il pensare, quale che sia l’oggetto su cui in un qualche senso enuncia qualcosa che è sempre un “io penso” “pensare è sempre “io penso” nel ché è implicito “io sono” “sum” (il famoso detto di Cartesio “cogito ergo sum”) è questa la suprema certezza immediatamente presente nella proposizione in quanto tale, nel io pongo, l’io in quanto ponente è posto insieme e prima come il già presente, come l’essente, e magari l’essere dell’ente si determina come “io sono” in quanto è la certezza del porre (ora c’è qui la questione della scienza che in effetti si fa generalmente partire in parte con Cartesio, anche con Galilei ma con Cartesio per quanto riguarda il metodo più che altro. Ora ci dice che la suprema certezza quando dico “io penso” è già in questo io che sono in quanto penso, il fatto di trovarmi a pensare qualche cosa se io sto pensando, questo “io” che pensa dice Heidegger è la suprema certezza) è, in ciò, in questo “io penso”, c’è la pre supposizione che esista un io che sta pensando e che lo pone come un’assoluta certezza incrollabile (infatti tutto il metodo cartesiano è fondato su questo “cogito ergo sum” “se penso allora sono” e uno potrebbe chiedere perché? cosa vuole dire che sono in quanto penso? Perché, da dove viene questa certezza assoluta? Viene dal fatto che dicendo “io penso” do per acquisito, per-pre stabilito che “io, assolutamente, sono”) La formula in cui talora la proposizione è espressa “cogito ergo sum” dà luogo a fraintendimenti come se qui si trattasse di una deduzione sillogistica “se penso allora sono” il che non è né può essere vero poiché questo sillogismo dovrebbe avere come premessa maggiore “id quod cogitat est” “ciò che pensa è”, (id, non io, ma esso) come minore “cogito” come conclusione “ergo sum” (quindi maggiore “ciò che pensa è”, minore “penso”, la conclusione “dunque sono”. Però c’è un passaggio in più che fa lui perché la maggiore è “ciò che pensa” non io.) Ma ciò che la maggiore enuncia non è che la generalizzazione formale di quanto è detto dalla proposizione “cogito, sum” Cartesio stesso vedeva che non c’è nessun sillogismo, qui il “sum” non è una conseguenza tratta dal pensare ne è al contrario il fondamento. Nell’essenza del porre è implicita la proposizione “io pongo” questa è una proposizione che non si volge a qualcosa di già dato, in quanto solo essa da, da se stessa ciò che si trova in lei, dicendo “io pongo” (la differenza fra “io penso” e “io pongo”) e ciò che vi si trova è “io pongo” io sono quello che pone e pensa, la caratteristica di questa proposizione è che essa pone in primo luogo ciò su cui enuncia il subjectum (dicendo “io” pongo che ciò che appare in prima istanza è il soggetto, l’io in questo caso, in questo caso ciò che essa pone è l’io, l’io è il soggetto della prima proposizione fondamentale del primo principio,) l’io è quindi ciò che in senso eminente sta alla base, al fondo (“ποκείμενον”, in latino “subjectum, in italiano soggetto, quindi l’io è ciò che in senso eminente sta alla base, al fondo, da qui viene la questione del soggetto,) quindi il sobjectum del porre assoluto, da qui deriva il fatto che dall’ottica d’allora l’io viene designato come il subjectum, il soggetto per antonomasia, il carattere dell’ego d’essere in senso eminente già da sempre presente passa inosservato (qui c’è un passaggio dall’io dall’ego, dall’io penso, dove si pone un io, che poi sarà da verificare che cosa sia questo io, al soggetto come ciò che sta sotto, che soggiace, che garantisce qualche cosa “ciò che sta alla base” dice qui) Si determina invece la soggettività del soggetto in base all’egoità dell’io penso che l’io giunga a designare ciò che in ogni rappresentazione è già presente, il vero e proprio dato a priori, l’“oggettivo” nel significato moderno, non dipenda da una qualche prospettiva egoitaria o da un soggettivistico dubitare ma dall’essenziale predominio e dalla radicalizzazione orientata in senso ben preciso dalla μθησις e dalla assiomatica. (perché dice questo? “l’io giunge a designare ciò che in ogni rappresentazione è già presente” perché se c’è una rappresentazione questa rappresentazione è di qualcuno, è un po’ come il segno che rappresenta qualcosa per qualcuno, ci vuole quindi qualcuno che faccia tutte queste operazioni, quindi questo “io” è già presente comunque, è già presente comunque qualcuno che fa queste cose. È questo il vero e proprio dato a priori, l’oggettivo nel significato odierno, non dipende da una qualche prospettiva egoitaria o da un soggettivistico dubitante ma dall’essenziale predominio e dalla radicalizzazione orientata in un senso ben preciso cioè dalla μθησις e dall’assiomatica (per dirla in un altro modo: il fatto che ci sia un qualche d’uno, questo io che penso, che diventa soggetto sia posto come a priori, come ovvio, scontato, comporta che questo io diventa il fondamento di tutto ciò che è pensato come oggettivo, cioè come reale, come assolutamente vero. Quindi è solo a questa condizione, che io giunga a considerare che nella proposizione di Cartesio “penso dunque sono” questo “io” che è come se fosse implicito in questo procedimento che così come invece lo poneva Heidegger non è altrettanto implicito quando diceva “id quod cogitat” cioè “ ciò che pensa” non c’è ancora un io, ma è id, id quod, ciò che, ma questo passaggio dall’io al soggetto consente l’idea dell’oggettività assoluta, cioè di quel qualche cosa a priori, a priori è che è immediatamente intuitivo, immediatamente vero. È una sorta di affermazione apodittica, immediatamente evidente. Dice che tutto questo procede dalla radicalizzazione della μθησις e della assiomatica cioè della necessità assoluta dell’insegnamento e che ci sia qualcosa di oggettivo da insegnare, che ci sia l’oggetto) Questo io elevato a subjectum in senso eminente a causa della μθησις non è affatto nel suo vero significato qualcosa di soggettivo, nel senso di un accidentale qualità di un uomo particolare, questo io, questo soggetto eminente dell’io penso viene inteso in senso soggettivistico solo quando la sua essenza non è più compresa, solo quando non viene più spiegato a partire dalla sua origine ontologica (torniamo alla questione di prima: questo “io”, soggetto dell’io penso, viene reso soggettivistico e quindi in qualche modo oggettivato solo a condizione che tutto questo si svolga fuori del progetto, del progetto gettato, cioè dice qui “non viene più spiegato a partire dalla sua origine ontologica” cioè dalla sua connessione con l’Essere, Essere sempre nell’accezione di Heidegger ovviamente) Sino a Cartesio ogni cosa di per sé esistente era soggetto, ora invece è l’io il soggetto, quello in rapporto al quale soltanto le restanti cose sono determinate come tali (qui il soggetto appunto determina l’oggetto. Il soggetto non è più un soggetto fra tanti che non è che determina le cose, è un elemento fra i vari elementi che interviene, che appare, che si svela qui il soggetto diventa molto di più diventa ciò che consente l’oggettivazione di qualche cosa e cioè consente la possibilità di isolare un elemento e di osservarlo infatti soltanto a queste condizioni le cose sono determinate come tali. Le cose ecco la cosa diventa determinata, diventa determinabile prima di Cartesio (prima di Cartesio la distinzione tra soggetto e oggetto non aveva questa portata, non era utilizzabile a questo modo come è stata utilizzabile dopo Cartesio) e poiché le cose dal punto di vista della μθησις ricevono il loro esser cosa soltanto sul fondamento del loro rapporto con la suprema posizione fondamentale e con il suo soggetto “io” (le cose) esse sono essenzialmente ciò che in rapporto al soggetto è altro ciò che sta di contro al soggetto l’“obiectum”, le cose sono diventate oggetti. (cioè questo è importante, “le cose ricevono il loro “esser cosa” in base al rapporto che hanno con la proposizione fondamentale e il suo soggetto” cioè con lo stabilire il soggetto che procede dall’io penso, l’“io” di cui sto dicendo diventa il soggetto, ciò che sostiene tutto, non è più un ente fra gli altri, diventa ciò che consente a me soggetto di mettermi di fronte a questa cosa e dire che questa è una cosa) Diventano oggetti, diventano ciò che mi sta di contro, (Gegenstand, è un altro modo in tedesco per dire oggetto gegen vuol dire contro, stand sta, ciò che sta contro. Tutti concetti che non erano pensabili dal greco antico) Il termine “obiectum” (oggetto, vedete intanto come si configura la questione della cosa, la cosa che rispetto alla φύσις non è nient’altro che ciò che incessantemente si produce, sono le cose, a un certo punto il pensiero, un po’ come è capitato per la questione dell’λήθεια e della veritas, a un certo punto queste cose sono diventate oggetti manipolabili, individuabili e obiettivabili) subisce ora una corrispondente mutazione di significato (Obiectum viene dal gettare contro – ob- contro, particella avversativa) sinora obiectum aveva designato ciò che nel puro rappresentarsi qualcosa veniva proiettato di fronte, la montagna d’oro ad esempio che mi rappresento cioè che pongo dinnanzi a me, ciò che è così rappresentato come obiectum nel linguaggio del medioevo è secondo l’uso linguistico moderno qualcosa di meramente soggettivo, la montagna d’oro non esiste oggettivamente per usare il mutato significato del termine (la montagna d’oro non esiste come oggetto, esiste soggettivamente, esiste per un soggetto, ma non esiste in quanto oggetto, perché, cosa è successo? La montagna d’oro è una rappresentazione qualunque però qui c’è il passaggio da qualche cosa di oggettivo che non è più oggettivo perché non sta più contro di me ma è soltanto in me, non mi sta contro quindi non posso prenderla, non posso manipolarla, non ho potere su questa cosa, non posso gestirla quindi non è un oggetto, quindi si arriva alla conclusione, anche se lui non lo dice in modo esplicito, almeno non mi sembra, che la questione dell’oggetto è la possibilità del potere sulle cose, l’oggetto nasce per la necessità di avere potere sulle cose, per la necessità di dominare le cose, l’oggetto è la rappresentazione della dominabilità della cosa) e il mutamento determinato dall’imporsi della μθησις sovverte l’esserci e cioè trasforma radicalmente l’illuminante apertura dell’essere dell’ente (potremmo dire addirittura che la cancella. È chiaro che se devo trasformare la cosa in oggetto questo oggetto non può più avere un’apertura, non può più essere una cosa che si produce nell’apertura, che mi viene incontro e che domanda, finché domanda l’oggetto non è manipolabile, deve cessare di domandare e deve essere quello che io voglio che sia) è questo un passaggio storico che di necessità resta nascosto all’occhio comune, un passaggio di quella vera storia che è sempre storia del manifestarsi dell’essere o non è niente (dice che o si intende questo, questo passaggio, questo passaggio dalla storia, dall’essere, come l’apertura che consente il manifestarsi delle cose, all’essere come ente, come cosa, che è poi la differenza ontologica, se non si intende questo non si intende niente, non si intende niente perché si continua a pensare le cose come oggetti manipolabili, cioè cose che hanno cessato per sempre di interrogare, è quindi il trionfo della tecnica, della scienza e della tecnica.