27-7-2006
Intervento: qualsiasi
cosa si produca si produce in base al funzionamento del linguaggio e quindi a
regole di esclusione… però continua lo stesso… per
molto tempo sappiamo che cosa produce, basta un suono, basta un piccolo
particolare e si va avanti fintanto che non si intende qual è il gioco che si
va giocando e perché si ha così necessità di giocarlo, beh, questo lo sappiamo
perché questo è quello che dà da parlare più possibile anche e soprattutto fra
sé e sé quando si elaborano delle cose. La tecnica…
Le rispondo facendole un esempio, visto che lei ha
mentovato l’esempio. L’esempio di una fanciullina che si innamora
di un fanciullino, come talvolta accade, pur sapendo che il fanciullino è uno
scavezzacollo, che la tradirà, che la farà soffrire, che la farà stare male, e non
soltanto tutti quanti glielo dicono ma lei stessa lo sa. Quindi
sa, cionondimeno va dritta in quell’altra direzione, perché? Perché
le piace, e le piace per quale motivo? Anche questo sappiamo…
Intervento: perché gli
serve per continuare a dire un sacco di cose…
E quindi a questo punto qual è il
problema?
Intervento: il problema
è quello di trovare altre cose da dire che la
interessino di più, per esempio…
Forse, dico forse perché la questione è complessa e si
riallaccia a ciò cui accennavamo la volta scorsa, e cioè:
perché una persona si rivolge a noi? Intendo noi psicanalisti, perché? A che
scopo, per esempio, chiedervi di sbarazzarsi di un sintomo se è esattamente ciò
che vuole, l’unico motivo è il fatto che non può
ammettere di volerlo e quindi il rivolgersi a noi rientra in questa direzione:
tanto non voglio questa cosa che mi rivolgo a una persona perché me ne
sbarazzi. Così come si va dal dentista perché cavi il dente malato. Ma in
realtà, di fatto non c’è nessun problema, la persona che si autodistrugge, si
fa male, si fa di tutto e di più, di fatto non
costituisce nessun problema perché sta facendo esattamente quello che vuole,
dunque perché intervenire? Perché lo chiede? Sì certo,
ma potremmo anche domandarci se è meglio quello che fa lui o è meglio quello
che facciamo noi, potremmo anche domandarcelo e dovremmo avere un criterio di
valutazione: a noi sicuramente interessa di più la ricerca teorica, a quell’altro interessa darsi le martellate sulle dita, va
bene, torno a dirvi di fatto non c’è nessun problema, anche nel caso in cui la
persona decida di autodistruggersi, perché impedirglielo? Perché noi supponiamo
che potrebbe fare cose più interessanti, sì, più interessanti per noi, non è
così automatico che lo siano anche per lui, quindi noi di
fatto a una persona che ci chiede di sbarazzarla delle sue magagne,
qualunque esse siano, rispondiamo insegnando o quanto meno ponendo le
condizioni per potere insegnare a questa persona a pensare, abbandonerà le sue
magagne? Sì, è possibile, ma non è questa la questione, che le
abbandoni oppure no rimane il fatto che in qualunque istante quella
persona fa ciò che ritiene più opportuno, fa ciò che vuole, perché il malanno
di cui si lamenta se lo è prodotto con cura, dedizione e determinazione, perché
dovremmo sbarazzarla di tale malanno, ammesso che si riesca? Forse occorre fare
un passo che comporta l’abbandono, forse, di alcuni
fronzoli morali che ancora qua e là gravano sul nostro operato, e questi
fronzoli morali sono appunto quelli che procedono da un antico retaggio
cristiano in buona parte, e freudiano, psicanalitico in generale: porsi come
colui che salva. Anche i cristiani volevano salvare gli infedeli e ancora oggi,
quelli che erano infedeli e per i quali noi siamo infedeli, vogliono salvare
noi, ognuno deve salvare qualcuno da qualche cosa, in genere è uno dei modi
migliori per giustificare la propria esistenza: avere qualcuno da salvare, ma
siccome non abbiamo la velleità di giustificare la nostra esistenza,
perseguiamo l’unica cosa che ci interessa e cioè
l’elaborazione teorica: portare la teoria alle estreme conseguenze, là dove
nessuno è mai arrivato, e ancora oltre, e poi oltre ancora senza fine, perché?
Perché ci piace, e ci piace perché in effetti è
l’unica cosa dalla quale è possibile trarre ancora delle emozioni. D’altra
parte non possiamo non giocare perché il linguaggio ci impone
di farlo con il suo procedere, però avendo considerato che ogni regola che si
impone, che viene imposta dalle leggi di stato, dal vivere civile etc. non
significa assolutamente niente se non momentaneamente all’interno di un certo
gioco, ci atteniamo unicamente a quelle regole di cui viviamo e cioè le regole
che fanno funzionare il linguaggio, potrei aggiungere, perché non possiamo fare
altrimenti avendo raggiunta la consapevolezza, l’irrinunciabile consapevolezza
del funzionamento del linguaggio e che qualunque cosa è necessariamente
costruita dal linguaggio, ci atteniamo unicamente al linguaggio. Questo cosa comporta? Comporta non avere paura, non avere
disagi di conseguenza, probabilmente non avere neanche speranze, ma d’altra
parte cosa ce ne facciamo delle speranze, cosa speriamo, in un futuro migliore?
Migliore di che? Perché dovrebbe essere migliore? Poi
migliore in che senso? Migliore per chi? Per me? È già migliore nel presente
adesso, voglio dire che anche questa ricerca teorica è
al di fuori di ogni speranza, non spera niente, procede e basta. Vi sto dicendo che ci muoviamo come se un come se, e lo siamo di
fatto, come se fossimo linguaggio, nient’altro che questo. Ora per giungere a
ciò che diceva Beatrice e cioè abbandonare i
giocattoli dei bambini piccoli, si passa attraverso il prendere atto che sono
giochi, sono giocattoli per bambini ma soprattutto prendere atto che non danno
più emozioni, solo a questa condizione si abbandona qualcosa, finché un
giocattolo continua a dare emozioni si continua a giocare, ma almeno tenendo
conto che è esattamente ciò che si vuole fare. L’analista della parola, ciò che
noi chiamiamo tale, non si lamenta, non può lamentarsi,
dovrebbe credere che qualche cosa gli sia capitato tra capo e collo a causa del
malvolere di qualche dio infausto e beffardo, ma siccome ha cessato di pensare
una cosa del genere non può lamentarsi di niente, certo, può modificare le cose
se lo ritiene opportuno e se ne ha qualche giovamento, ma non si lamenta di
niente, non ha più niente di cui lamentarsi, come dicevamo anche nulla in cui sperare,
no, si muove e vive esattamente nel modo in cui è fatto il linguaggio. Non
gioca più, non ha più giocattoli se non la teoria, se non appunto la struttura
del linguaggio, il meta giocattolo, la madre di tutti
i giocattoli, però non ritiene che il gioco che sta facendo sia né meglio né
peggio di qualunque altro, né ha in animo di persuadere altri a seguire questa
via anche se sicuramente è piacevole, è piacevole interloquire con persone
intelligenti e disposte al pensiero anziché con persone chiuse e blindate
dentro le proprie paure, è più piacevole, niente di più…
Intervento:…
Questa è un’altra questione, per cui
nessuna guerra santa, nessuna conversione. Sa che il gioco che sta facendo non
è né meglio né peggio del gioco delle palline che fa
il bambino, semplicemente a lui, il soggetto è sempre l’analista della parola, non
interessa più quel gioco, tutto lì, però, dicevamo, finché qualcosa continua a
dare emozioni si va in quella direzione, dovremmo togliere le emozioni? Cosa ce ne importa di togliere le emozioni? Ciascuno si
occupi delle sue, per così dire. A meno che ci chieda
di intraprendere un percorso che possiamo definire intellettuale, volto a
venire a sapere, a conoscenza del funzionamento di ciò di cui e per cui esiste,
cioè il linguaggio e allora sì, allora certo siamo chiamati direttamente in
causa ma la persona, come il più delle volte accade, che viene da noi a
raccontarci i propri malanni, le proprie afflizioni, questa persona sta facendo
un’operazione buffa e cioè viene a chiedere a noi di sbarazzarla di qualcosa
che lei stessa ha prodotto e della quale non si vuole sbarazzare, e d’altra
parte perché dovrebbe sbarazzarsi di un sintomo, qualunque esso sia? Perché la fa vivere male? No, perché vive esattamente nel
modo in cui desidera e cioè ciò che per quella persona
è vivere male, è ciò che lei stessa ha costruito, come dicevo prima, con fredda
determinazione, spesso ci ha impiegato anche degli anni per raggiungere una
simile perfezione, ci sono dei sintomi che sono delle costruzioni mirabili, e
allora che fare in quel caso? L’unica cosa che possiamo fare è mostrare
un’altra direzione, non possiamo fare nient’altro…
Intervento:…
Non so se è un’alternativa, è
un’altra direzione semplicemente, che la persona può seguire ma per aggiungere,
per aggiungere cose, aggiungere possibilità di pensiero, in fondo si tratta di
qualcosa del genere, aggiungere possibilità di pensiero, cioè possibilità tout
court…
Intervento:…non si
tratta di togliere…
No, non siamo abbastanza religiosi per
compiere un’operazione del genere. ;on è possibile
fare analisi con una persona che non vuole farla, è assolutamente impossibile,
non si può fare nulla. Dunque aggiungere una
direzione, una possibilità di pensiero che comporta la possibilità in generale…
Intervento: mi riferivo
ai fronzoli morali cui accennava prima…
Quelli appartengono eventualmente a noi, è di noi che
stavamo parlando, per cui dicevo di sbarazzarsi di
ogni velleità di salvare altrui, di guarirlo, di farlo stare bene, perché sta
già bene che meglio non potrebbe, tant’è che se stesse veramente male
cesserebbe immediatamente di stare in quel modo…
Intervento: diventa
difficile da praticare per la persona perché il cambio offre pensiero… i malanni le persone li vogliono, è paradossale…
È vero, una cosa che rende difficile la nostra posizione
è che tra le tante cose che abbiamo cessato di fare è di ingannare, di prendere
in giro, di mentire in buona o mala fede che sia non importa niente, anzi, le
persone in buona fede in genere sono le più pericolose, ma cessando di mentire
ci si trova in una posizione molto difficile. Come sapete gli umani chiedono
molto spesso che gli si menta e cioè si dica loro
quello che vogliono sentirsi dire, come per la fanciullina di cui si diceva prima
che chiede al suo fanciullino “dimmi una cosa bella! anche
se finta”, è emblematico no, vuole sentirsi dire una cosa bella anche se sa che
magari non è vera, anche se ha sempre la speranza che sia vera, però anche se
non lo è va bene lo stesso, perché chiede una cosa del genere Beatrice?
Intervento: pur sapendo
che è una farsa? Per poter continuare a giocare i suoi giochi ovviamente…
Per continuare a sognare, certo, cioè
a costruire quel suo film, quella sua storia…
Intervento: sapendo che
uno gli racconta una frottola e la vuol sentire…
Beh, la fanciullina non è esattamente o non
necessariamente un logico matematico, non pensa in questi termini, cioè fa un gioco diverso…
Intervento: dimmi
questa cosa anche se non è vera è un paradosso…
Sia come sia accade, Cesare, e di questo dobbiamo tenere
conto e ci interroga questo fenomeno perché come dice
lei è bizzarro…
Intervento: facciamo
discendere tutto ciò da una lotta di potere, va bene è una fantasia…
Già, lotte di potere, è una delle cose di cui l’analista
della parola non sa più che farsene, una cosa che non
gli appartiene più, gli è estranea e questo lo rende assolutamente libero da
tutte quelle bizzarrie di cui stavamo dicendo prima…
Intervento: un discorso
come quello che ha fatto taglia via tutti i fronzoli…
Stiamo facendo esattamente il contrario di quello che fa
lo stato, lo stato crea malattie che non esistono,
crea malattie, soprattutto psichiche, per potere vendere psicofarmaci. Un
bambino vivace è sempre stato sinonimo di intelligenza,
di prontezza, di acume, adesso la vivacità è una malattia e gli si somministra
uno psicofarmaco, la vivacità è una malattia, e naturalmente anche l’eccessiva
quiete per cui dopo dovrà prendere un eccitante, e questo si fa già con le
depressioni, il depresso prende l’eccitante e poi il sedativo…
Intervento: rispetto a
quello che diceva prima non avere paure e non avere speranze mi faceva pensare
al bisogno di dare un senso alle cose che si fanno e
alla vita in generale che è una questione molto radicata nel discorso comune… come
se quello che si fa, quello che si dice dovesse avere un altro senso rispetto a
quello che letteralmente ha… che rimanda a qualcosa di esterno e questo sembra
essere il motivo per cui alla fine si vive sempre proiettati in un altro
momento, non nel tempo presente…
È successo un fenomeno molto simile a ciò che lei
descrive anche ai logici e ai filosofi del linguaggio, e cioè
andare a cercare quell’elemento che da ultimo dia un senso a tutta la
combinatoria. Anche Peirce cercava qualcosa del
genere, è la stessa cosa in fondo anche la ricerca di dio…
Intervento: non si
riesce a immaginare una società senza avere questo senso
per cui si fanno le cose sottintendendo che ci sia una verità da rivelare… come
una verità matematica 2+2 fa quattro…
Intervento: qualche
cosa di cui non si è assolutamente responsabili che in modo imperscrutabile ha
pilotato la propria esistenza e non verrà mai il momento della rivelazione, e
alla fine… solo a quel modo nella vita ultraterrena… alla resa dei conti sarà
qualche cosa al di fuori…
Sì certo non deve mai manifestarsi, se si manifesta ci
si accorge che non è affatto quello che ci sia
spettava che fosse ma questa è un’operazione anche retorica, i retori insegnano
che quando si dà un ordine, per esempio, di non dare mai delle motivazioni a
quest’ordine, l’ordine deve essere impartito e basta, perché le motivazioni
espongono immediatamente il fianco a delle obiezioni, se invece non c’è nessuna
motivazione ma l’ordine è perentorio, l’ordine verrà eseguito perché si suppone
che ci sia una necessità superiore o una verità superiore a seconda dei casi
che rende questo ordine necessario…
Intervento: c’è già una
forte predisposizione a pensare…
Intervento: nelle
conferenze parlare che “ogni cosa è un elemento linguistico quindi esiste nel momento
in cui la si afferma e all’interno di quel gioco”
prova una contrapposizione immediata anche per questo motivo perché non ha un
senso, non rimanda a qualche cos’altro, rimanda ad altre affermazioni… però è
fine a se stessa, non c’è un’altra verità dietro c’è soltanto quello che si sta
dicendo…
Sì, basta soltanto dire che il
linguaggio è fine a se stesso, non ha altro fine se non se stesso…
Intervento: il
linguaggio funziona concludendo ciascuna volta ciò che
va dicendo… se noi facessimo una conferenza dicendo quello che lei ha detto
nella prima parte scatenerebbe nella sua “alta moralità”
La mia? Io non ho alcuna moralità, ne
sono sprovvisto…
Intervento: però se noi
consideriamo la questione diventa fortemente morale
quello che andiamo dicendo in base alla morale del discorso occidentale, perché
non c’è più bisogno della falsità, non c’è più bisogno del circuire l’altro,
non c’è bisogno di compiere tante operazioni che sono quelle che sono “vietate”
dal discorso occidentale. Il discorso occidentale ha dovuto costruire la
moralità per l’idea che gli umani si possano
sopprimere a vicenda ha dovuto farlo per forza per via della cosa in sé…
Non è questo il motivo…
Intervento: non stavo
dando un motivo alla questione, stavo dicendo che
questo discorso paradossalmente diventa altamente morale, in qualche modo ma
questo non è accolto dal parlante che non si considera parlante… non volevo
indicare nessun motivo stavo considerando di come al momento in cui ci si
sbarazza dell’attesa, della speranza, del bisogno di salvare l’altro…
È luogo comune considerare che se non ci fossero le
leggi gli umani si ammazzerebbero gli uni con gli altri, perché dovrebbero fare
una cosa del genere? Taluni ritengono che alcuni, i più forti, siano riusciti a
piegare i più deboli, ma semplicemente per potere governare su di loro, cioè per imporre il loro potere, le loro ragioni, poi sono
diventati stati, governi, e hanno avuto bisogno come tutti gli stati e tutti i
governi di una legittimazione, se no prima o poi qualcuno li avrebbe sovvertiti,
e chi gli ha fornito la legittimazione? Deus vult, dio lo vuole, perché se lo
voglio solo io non è sufficiente a mantenere ferma una popolazione, buona,
tranquilla obbediente e che lavori per me, lo si fa
per dio. Nadia, qualche pensiero intanto che ascolta e che riflette?
Intervento: il senso
della vita… il senso della vita lo si cerca nel corpo…
È una possibilità, certo, occuparsi della salute del
proprio corpo…
Intervento: d’altra
parte il corpo è la sostanza, è quella che si vede. Che si
tocca…
Importante è che stia bene, in fondo, quando c’è la
salute c’è tutto diceva mia nonna, sì, proteggere il
proprio corpo come se fosse continuamente minacciato da chissà quali malanni,
quali nemici tremendi, e allora per salvarlo gli si mettono dentro sostanze
chimiche…
Intervento: però è
molto persuasivo come discorso…
Sì, questo è sempre stato però
forse effettivamente in questi ultimi tempi è più marcata…
Intervento: il discorso
della sostanza diventa sempre più importante…
Bene, ci sono altre questioni, ciascuno sta lavorando
per la conferenza?
Intervento: diceva: perché si dia una figura retorica occorre che qualcosa
non vari… cos’è che non varia? Il linguaggio non varia, le sue procedure funzionano…
Sì, una di queste è quella per cui
un elemento deve essere distinguibile da ciascun altro, e cioè deve essere
individuabile…
Intervento: sì però in
ambito retorico…
In ambito retorico è differente…
Intervento: il bambino,
l’uomo, il cane poi qualsiasi altra cosa sono figure retoriche e provengono da
una struttura che è quello che è, quella del linguaggio che deve distinguere i
suoi elementi, quindi il linguaggio produce delle figure retoriche. Queste
figure retoriche cosa fanno? Costruiscono le direzioni
del discorso… quando noi parliamo del bambino o del
cane e stiamo delle ore a parlare e a chiederci se il bambino sente male, se ha
mal di pancia stiamo producendo delle controfigure retoriche, e questo per via
dell’addestramento cui ciascuno è stato sottoposto, è massimamente difficile da
pensare, ci chiediamo perché sia così difficile avere la responsabilità del
proprio discorso però non ci accorgiamo che qualsiasi cosa è una figura
retorica che sta funzionando… mi sembra che così sia più
semplice se no ci si continua a chiedere come mai le persone non intendono
quello che andiamo dicendo? E non intendono perché ciascuno ha la
responsabilità di quello che va affermando perché ovviamente nulla può esistere
se non ciò che io costruisco e che mi viene di rimando.
Adesso è questa la questione quella della figura retorica che per darsi, è
ovvio, un ossimoro come “la neve è nera” produce degli effetti di senso proprio
perché ciascuno sa che la neve è bianca e questo serve per costruire poesie…
Infatti se qualcuno dicesse “la neve è
bianca”…
Intervento: nessun
effetto di senso, però ogni figura retorica è costruita da quell’hardware che
da millenni produce delle figure retoriche che vengono
utilizzate… ci sono dei termini, delle figure retoriche che ormai sono desuete,
non più utilizzate si aggiungono elementi e cambia la moda… però mi interessava
questo e non riesco a porlo: perché si dia una figura retorica occorre che
qualcosa non vari…
Sì, è necessario, sarebbe come dire
che è necessario che ci sia il linguaggio perché si dia la retorica. Va bene, possiamo fermarci qui.