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27 giugno 2018

 

Concetti fondamentali della metafisica di M. Heidegger

 

Siamo a pag. 196. Il tempo è ciò che in questa noia colpisce l’esser-ci, gettandolo nel suo incatenamento. Che cos’è che incatena l’esser-ci? È il tempo che lo incatena a quello che è, perché la temporalità dell’esser-ci è in quanto quello che è in questo momento, non è così per sempre né è sempre stato così, è così in questo momento. Con questo incantare-e-incatenare il tempo dà all’ente nella sua totalità la possibilità di negarsi all’esser-ci che si trova così incantato-e-incatenato, cioè, per così dire, gli offre la possibilità di rinfacciargli le possibilità del suo fare e lasciar fare nel mezzo dell’ente e, in riferimento ad esso come possibilità che giacciono inutilizzate. Sta dicendo che questo incantare e incatenare, questo modo di essere presi dell’esser-ci da parte del tempo, dà all’ente la possibilità di negarsi all’esser-ci. Cosa vuol dire? Dare all’ente la possibilità di negarsi all’esser-ci è come dire che consente questo negarsi dell’ente e, quindi, il trovarsi abbandonati dall’ente, vale a dire, il trovarsi di fronte a qualche cosa che non è tutto. Voglio afferrare l’ente ma questo afferrare risulta sempre mancato, perché, certo, io posso cogliere l’ente nella sua particolarità ma non nella sua totalità. Quindi, Heidegger dice che la questione è che tutto ciò che manca, in questo ente nella sua totalità, sono tutte possibilità non utilizzate. Tutte queste possibilità non utilizzate costituiscono quello che, per esempio, poco prima chiamava essere abbandonati. Questo potere incantatore e incatenante del tempo è dunque quanto autenticamente nega, vale a dire quanto al tempo stesso, secondo quanto abbiamo detto in precedenza, con-dice e chiama ciò che è autenticamente negato, cioè ciò che è inaccessibile, se l’esser-ci, secondo le sue possibilità, deve essere ciò che può essere e come lo può essere. L’esser-ci deve essere secondo le sue possibilità, ma volendo essere secondo le sue possibilità si trova di fronte sempre a una possibilità, quella che mette in atto, quella del suo progetto, le altre le deve scartare. In questo senso l’ente si nega, si sottrae, in quanto possibilità. Ciò che incanta-e-incatena e nega dev’essere al tempo stesso quanto, annunciando, affranca e in definitiva rende possibili le possibilità dell’esser-ci. Io sono storicizzato, vivo in questo tempo, in questo attimo, però, dicendo questo dico anche che il tempo mi limita, ma al tempo stesso è ciò che mi dà la possibilità di avere una possibilità, perché la mia temporalità è quella cosa che mi consente di essere quello che sono. Ciò che incanta-e-incatena dispone al tempo stesso ciò che autenticamente rende-possibile, anzi, questo tempo che incanta-e-incatena è esso stesso il culmine che rende essenzialmente possibile l’esser-ci. Questo tempo che incanta e incatena, che “seduce” l’esser-ci… certo, lo incatena alla condizione in cui è, perché io sono qui in questo momento, non posso essere qui come vent’anni fa, sono qui come sono adesso; in questo senso mi incatena al presente, all’attimo, direbbe Heidegger. Ma, al tempo stesso, incatenandomi a questo momento, mi rende possibile fare qualcosa, proprio perché sono qui, in questo momento, con tutta la storicità che mi riguarda: posso occuparmi di qualcosa, di un mio progetto. Se dovessimo togliere il tempo, come storicità, per assurdo, è come se dovessi nascere in questo istante, si nascerebbe in ogni istante, perché non c’è nulla. Ciò che sta dicendo intorno al tempo, che incanta e incatena ma che rende possibile il progetto, è interessante perché ci porta a una considerazione che riguarda il linguaggio, il quale mostra qualche cosa, descrivendolo, affermandolo, ma, nel momento stesso in cui lo afferma, lo nega. C’è una prossimità molto stretta con ciò che dice Heidegger, pur non parlando lui del linguaggio, però avverte un funzionamento: c’è qualcosa che si mostra ma che, nel momento in cui si mostra, si sottrae, si nega. Io affermo qualche cosa e nel momento in cui lo affermo lo faccio, per così dire, esistere, solo che questa cosa, che io ho fatto esistere, che il linguaggio ha fatto esistere, al tempo stesso è come se ne impedisse l’accesso. Questa è una prerogativa del linguaggio, questa distanza che il linguaggio pone fra il dire e ciò che dice. Dicendo qualche cosa io, certo, affermo, stabilisco, immobilizza, determino, ma in questo stesso immobilizzare e determinare già mi sono negato ciò che voglio determinare, perché per dire che cos’è qualche cosa devo dire un’altra cosa; quindi, per determinare quella certa cosa, per poterlo fare, sono costretto a negarmela, perché io determinerò che cosa? Un’altra cosa, dirò altre cose, sarò sempre preso in altre catene. Possiamo riprendere l’esempio fatto altre volte: uno dice una cosa e quell’altro, di rimando, gli chiede “ma cosa volevi dire esattamente?”; e allora gli dice che cosa voleva dire, ma a questo punto l’altro gli chiede un’altra volta “ma con quest’altra cosa, cosa volevi dire?”; e allora dice altre cose, e così via all’infinito. Questa possibilità stessa, questa temporalità, che potremmo intenderla come il linguaggio, a un tempo mi consente di determinare qualcosa, ma, consentendomi questo, nello stesso momento mi impedisce di determinarlo.

Intervento: Come l’alètheia…

Sì, in un certo senso. Qualcosa esce dal nascondimento e si mostra, ma nel momento in cui si mostra già si nasconde. L’essere, nel momento in cui appare, appare sotto forma di qualcosa, di un ente, e, quindi, quando qualcosa appare apparendo cancella l’essere, non c’è più l’essere ma c’è l’ente. Il tempo che in tal modo incanta-e-incatena l’esser-ci, tempo che si rende manifesto nella noia come ciò che incanta-e-incatena, si annuncia al tempo stesso come ciò che autenticamente rende-possibile. Il tempo è ciò che incanta e incatena ma è anche ciò che rende possibile qualcosa. Sono incatenato perché sono qui in questo istante, non posso essere altrove, ma al tempo stesso l’essere qui in questo istante è la condizione perché ci sia una possibilità. Ma ciò che il tempo annuncia quando incanta-e-incatena, lo annuncia nel rifiuto e nella negazione di sé, e al tempo stesso tuttavia lo trattiene come se si fosse dileguato, cioè come possibile e solo come ciò che si manifesta come affrancabile e che rende autenticamente possibile quanto vi è di libero; tutto ciò non è niente di meno che la libertà dell’esser-ci in quanto tale. È esattamente quello che dicevo prima. Il tempo annuncia ciò che incatena ma o annuncia, dice lui, nel rifiuto e nella negazione di sé, cioè, nel momento in cui questo tempo, ciò che io sono in questo momento, si pone in atto, già è un’altra cosa. dice, infatti, al tempo stesso tuttavia lo trattiene come se si fosse dileguato, cioè come possibile, e solo come ciò che si manifesta come affrancabile, cioè, il manifestarsi della temporalità, il fatto che io sono quello che sono qui in questo momento, è al tempo stesso la possibilità di fare qualcosa ma anche l’impossibilità di fermare questa cosa, di renderla cioè non più possibile ma attuata. Finché l’esser-ci è possibilità pura allora è “consapevole” di sé; nel momento in cui l’esser-ci non coglie di essere una possibilità pura allora si muta in chiacchiera, si muta in qualcosa che non è più pura possibilità ma qualcosa in atto, anche se questo è inevitabile. Infatti la libertà dell’esser-ci consiste solo nel liberarsi da parte dell’esser-ci. Ma il liberarsi da parte dell’esser-ci accade sempre e soltanto quando l’esser-ci si decide nei confronti di se stesso, cioè si apre per sé in quanto esser-ci. Questa libertà dell’esser-ci, di cui parla Heidegger, in che cosa consiste? Questa libertà dell’esser-ci si manifesta nell’attimo della decisione. In questo attimo l’esser-ci, dice, manifesta, tutta la sua libertà, perché fa quello che deve fare, cioè, l’esser-ci si decide per un progetto; se l’esser-ci è un progetto, un progetto sarà pur progetto di qualcosa. Dice l’esser-ci si decide nei confronti di se stesso, cioè, prende se stesso come progetto e allora, dice, si apre per se in quanto esser-ci. È il momento dell’autenticità dell’esser-ci, quindi, non più della chiacchiera, volta alle cose che stanno intorno, ma all’esser-ci, cioè, farsi carico, per così dire, di ciò che è da pensare, ciò che è da pensare rispetto al progetto. Detta così sembra astrusa, però, provo a farvi un esempio. Il progetto di leggere ciò che stiamo leggendo: l’autenticità di cui parla Heidegger, indica che non posso sottrarmi all’intendere, all’interrogare, al farmi carico del problema che questo decidere comporta; problema non nel senso di impiccio, di impedimento, ma di ciò che è da pensare. Ciò che ho deciso non va da sé, fa parte di un percorso in questo caso, fa parte del progetto; in questo modo, facendomi carico di ciò che è da pensare mi faccio carico di ciò che mi ha condotto a prendere questa decisione e di ciò che rappresenta all’interno di un progetto. Ma questo decidersi dell’esser-ci verso se stesso, cioè di essere nel mezzo dell’ente, quell’ente determinato che è destinato a essere, questo decidersi è l’attimo. Lui lo chiama attimo, altri lo potrebbero chiamare, più o meno, la simultaneità. Questo attimo in cui qualcosa si decide, questo attimo che per Heidegger è vuoto, è quella cosa che è pura possibilità; ancora non è stato deciso nulla ma sono aperte tutte le possibilità e, quindi, è aperto al decidersi verso qualcosa, perché se non ci fosse questo attimo vuoto, se non fosse pura possibilità, se non ci fosse la possibilità, come potrebbe decidersi? L’esser-ci non è un ente sussistente accanto ad altre cose, bensì è posto nel mezzo dell’ente dalla manifestatività dell’intero orizzonte temporale. In quanto esser-ci si mantiene già da sempre in questa triplice visuale. In quanto riposa-nel-tempo, è ciò che può essere, soltanto se ci è, cioè si apre nella sua manifestatività, si decide di vota in volta per il suo tempo, cioè di volta in volta qui ed ora, in riferimento a questo ente manifesto in questo modo particolare. Solo nel decidersi verso se stesso nell’attimo, l’esser-ci fa uso di quanto autenticamente lo rende possibile, cioè del tempo in quanto attimo. Se avete presente l’esempio che facevo prima, cioè del leggere queste cose, allora, dice, è posto nel mezzo dell’ente dalla manifestatività dell’intero orizzonte temporale. Dunque, l’esser-ci non è qualcosa che sta lì da qualche parte, a fianco, ma si pone nel mezzo di ciò che si manifesta nell’intero orizzonte temporale. Diciamo che l’esserci si pone nel mezzo – mezzo è un termine figurato – del linguaggio, cioè, di questo orizzonte infinito di possibilità.  È di questo ciò di cui deve farsi carico, perché il fatto di decidere una qualunque cosa, a questo punto, sarà sempre una responsabilità dell’esser-ci, della persona, non potrà scaricare la responsabilità su altro, come avviene nella chiacchiera, ma è lui che è nel mezzo di questa manifestatività dell’ente, di tutte le possibilità che li vengono offerte. Solo nel decidersi verso se stesso nell’attimo, l’esser-ci fa uso di quanto autenticamente lo rende possibile, cioè del tempo in quanto attimo. La cosa che a noi interessa è il decidersi per l’esser-ci, cosa vuol dire questo? Decidere che io sono quello che sono in questo momento, faccio le cose che faccio perché sono qui, in questo momento. Solo in questa occasione, dice, l’esser-ci fa uso di quanto autenticamente lo rende possibile, cioè l’esser-ci fa uso del tempo in quanto attimo, attimo in quanto possibilità pura. L’esser-ci è lì, io tengo conto di essere pura possibilità. A questo punto, chiaramente, ogni decisione che posso prendere è una decisione che muove dal fatto di essere resa possibile dal tempo, ma come lo rende possibile? Mi rende possibile questa cosa solo se io mi rendo conto di essere nel tempo, cioè, di essere temporalità, di essere quindi prodotto di tutto ciò che mi ha condotto qui, in questo momento. Quello che ci sta dicendo Heidegger è che l’autenticità, di cui lui parla, non è niente altro che l’essere “presenti” in questo momento in ciò che sto facendo, tenendo conto che ciò che sto facendo è il prodotto di tutto ciò che sono stato e di ciò che immagino che sarò, perché anche questo interviene. L’attimo non è altro che lo sguardo della decisione, nella quale l’intera situazione di un agire si apre e si mantiene aperta. Usa questa metafora lo sguardo della decisione in cui qualunque cosa si mantiene aperta, è, come dicevo prima, pura possibilità. Dunque ciò che il tempo che incanta-e-incatena tiene con sé, e contemporaneamente nel tenere-con-sé annuncia come affrancabile e dà a conoscere come possibile, è qualcosa che fa parte del tempo, e ciò-che-rende-possibile, che a sua volta può essere tempo ed esso soltanto, è l’attimo. L’essere-costretto dell’esser-ci nel culmine di ciò che rende autenticamente possibile è l’essere-costretto dal tempo che incanta-e-incatena in questo stesso tempo nella sua essenza autentica, cioè nell’attimo come possibilità fondamentale dell’esistenza autentica dell’esserci. Qui è molto condensato, però, sta ridicendo tutto ciò che ha detto in pochissime parole: essere costretto dal tempo, perché non posso non essere qui, in questo momento. Questo è importante perché, generalmente, si tende a considerarsi come qualcosa di eterno: io sono sempre lo stesso e, quindi, essendo sempre lo stesso, il tempo è come fuori di me; anche se ne vedo gli effetti, ecc., è però un qualcosa che non mi riguarda direttamente. Ciò che dice Heidegger è esattamente il contrario, cioè io sono qui, in questo momento, temporalmente, è il tempo che mi fa essere esattamente quello che sono in questo momento, momento che è diverso da dieci minuti fa e diverso da ciò che sarò tra dieci minuti. È per questo che il tempo incatena, mi blocca in questo istante, ma proprio bloccandomi in questo istante mi mostra di fatto a possibilità pura che io sono. Andiamo a pag. 199. Da ciò è risultato che l’essere-lasciati-vuoti è riferito all’ente che si nega nella sua totalità. L’ente può negarsi nella sua totalità, soltanto se in qualche modo si rende manifesto in quanto tale, cioè nella sua totalità. Come faccio a negare qualcosa se prima non lo ho affermato quanto meno come possibilità? La possibilità della manifestatività dell’ente nella sua totalità è insita nel fatto che l’orizzonte temporale stesso si apre in tutte le sue dimensioni. È quello che diceva prima, cioè, possibilità pura, e questo è ciò che rende possibile questo orizzonte temporale. È vero che sono qui, incatenato a questo istante, però, l’essere incatenato a questo istante, l’essere possibilità pura, mi apre questo orizzonte infinito. Quindi, sono incatenato ma, al tempo stesso, ho infinite possibilità. L’orizzonte temporale incanta-e-incatena l’esserci, in modo che questo non può più inseguire l’ente in mezzo al quale in ogni momento si trova situato, né vede, né cerca più alcuna possibilità di riflettere concretamente su se stesso all’interno di questo ente nel cui mezzo è posto. Ciò che autenticamente si nega non è l’ente, ma il tempo che rende possibile la manifestatività dell’ente nella sua totalità. Questo orizzonte temporale, che incatena ma al tempo stesso è la condizione della libertà, incatena ma non può più inseguire l‘ente in mezzo al quale si trova; in altri termini, non può più inseguire la chiacchiera. Né cerca più alcuna possibilità di riflettere concretamente su se stesso all’interno di questo ente nel cui mezzo è posto, cioè non cerca più se stesso attraverso un’altra cosa, non lo può più fare, perché io sono sempre esattamente ciò che penso, ciò che dico, ciò che mi trovo a essere in questo istante. Dunque, diceva, Ciò che autenticamente si nega non è l’ente, ma il tempo che rende possibile la manifestatività dell’ente nella sua totalità. Ciò che si nega è autenticamente il tempo, che rende possibile la manifestatività dell’ente. Questo è importante perché è il tempo che rende possibile la manifestatività dell’ente, cioè, sono in quanto temporalizzato che rendo possibile l’ente, sono io, qui e in questo momento, con tutte le cose che pensato, letto, immaginato, desiderato, ecc., sono io, questo esser-ci che, dice, è ciò che si nega; ciò che si nega sono io in quanto esser-ci. Ma perché si nega? Non è l’ente in quanto tale, dice, ma è il tempo, che rende possibile la manifestatività, che si nega e si nega perché questo tempo, che io sono in questo istante, certo, mi incatena, mi blocca a questo istante, ma, al tempo stesso mi offre un’infinita possibilità. Il fatto di trovarmi in questo istante preciso è la condizione perché io mi trovi ad avere delle possibilità di fronte a me. In questo senso, il tempo si nega all’esser-ci. Qui già ci sarebbe da riflettere perché dice che ciò che si nega è il tempo, però, se il tempo è essere qui sorge qualche problema.

Intervento: C’entra per caso il fatto di non poter controllare il tempo?

Indirettamente, sì. Certo, nell’attimo in cui decido mi trovo in un vuoto, in una possibilità assoluta che non è riempita ancora da niente. Il tempo, cioè l’essere qui, in questo istante, a decidere qualche cosa, mi mette nella condizione di non potere controllare il tempo, ma in che modo non lo controllo? Perché io sono questo tempo, questa temporalità, sono tutto ciò che sono sempre stato e che immagino che sarò, io sono tutte queste cose. In questo senso, non c’è sicuramente la possibilità di avere un controllo sul tempo. Solamente se l’incantare-e-l’incatenare del tempo viene spezzato, l’ente nella sua totalità non si nega più, cioè presenta le sue proprie possibilità, si rende afferrabile per il rispettivo esser-ci e dà a questo stesso esser-ci la possibilità di esistere nel mezzo dell’ente di volta in volta in un determinato aspetto, in una determinata possibilità. Perché io possa occuparmi di un ente, come di fatto accade, ciascuno non fa altro che occuparsi necessariamente di enti, non c’è nulla di negativo in tutto ciò, ovviamente, ecco, questo incantare e incatenare del tempo deve venire spezzato. Vale a dire, questo attimo del decidere, questo vuoto, questa pura possibilità, deve dirigersi verso qualche cosa.  È da intendersi in questo senso lo spezzare dell’incatenamento del tempo. L’incantare-e-l’incatenare del tempo può venire spezzato solo dal tempo stesso, da ciò che costituisce l’essenza stessa del tempo, e che rifacendoci a Kierkegaard chiamiamo l’attimo. L’attimo spezza l’incantare-e-l’incatenare, può spezzarlo in quanto è una possibilità caratteristica del tempo stesso. Non è un punto-ora, che magari noi semplicemente constatiamo, bensì è lo sguardo dell’esser-ci nelle tre direzioni della prospettiva che abbiamo già conosciuto, nel presente, nel futuro e nel passato. L’attimo è uno sguardo di natura peculiare, che chiamiamo lo sguardo della decisione di agire nella situazione in cui l’esser-ci si trova di volta in volta situato. L’attimo può spezzare questo incatenamento; l’attimo è esattamente quella cosa che rende possibile la possibilità. Una volta che ha reso possibile la possibilità, questa si manifesta in qualche cosa. Diceva: è l’essenza stessa del tempo, di essere l’attimo, ma questo attimo è sempre un attimo, potremmo dire così, per qualche cos’altro; non è, come dice Heidegger, il punto-ora ma è sempre una possibilità. Facciamo un salto pag. 202. Dunque, se riepiloghiamo la globalità delle analisi fino al punto in cui le abbiamo portate, possiamo dire: la noia è l’incantare-e-incatenare dell’orizzonte temporale, un incatenare che fa dileguare l’attimo che appartiene alla temporalità per costringere, in tale far dileguare, l’esser-ci incantato-e-incatenato dentro all’attimo in quanto possibilità autentica della sua esistenza, esistenza unicamente possibile nel mezzo dell’ente nella sua totalità, il quale a sua volta nell’orizzonte dell’incantare-e-incatenare si nega proprio nella sua totalità. Dopo tutte le cose che ha dette, vuole precisare meglio la questione della noia, questo restare sospesi, restare vuoti. Dunque, la noia è l’incantare-e-incatenare dell’orizzonte temporale, è il tempo, come abbiamo visto, che incanta e incatena, un incatenare che fa dileguare l’attimo che appartiene alla temporalità per costringere, in tale far dileguare, l’esser-ci incantato-e-incatenato dentro all’attimo in quanto possibilità autentica della sua esistenza, esistenza unicamente possibile nel mezzo dell’ente nella sua totalità, il quale a sua volta nell’orizzonte dell’incantare-e-incatenare si nega proprio nella sua totalità. Diciamola così. La noia è un trovarsi incatenati nel tempo, però, questo essere incatenato nel tempo fa dileguare l’attimo. Lo fa dileguare allo scopo di costringere l’esser-ci dentro all’attimo in quanto possibilità autentica. Fa dileguare l’attimo ma in questo modo costringe l’esser-ci in quanto possibilità autentica della sua esistenza. Se io faccio dileguare l’attimo, a questo punto mi trovo in un progetto possibile, a mettere in atto una possibilità; perché l’attimo è questo vuoto di possibilità, per cui tutto è possibile, ma nel momento in cui costringo a spezzare, a uscire da questo attimo, mi trovo preso in una possibilità. La decisione, fa uscire dall’attimo. Dice che questa è l’esistenza dell’esser-ci, dell’essere progetto; se è progetto deve ovviamente uscire dall’attimo, cioè a un certo punto deve decidere qualche cosa. Questa esistenza, che è l’esistenza dell’esser-ci, è possibile nel mezzo dell’ente nella sua totalità, è possibile soltanto se si trova preso, per dirla in termini più appropriati, nel linguaggio, cioè all’interno di una serie infinita di possibilità. … il quale a sua volta nell’orizzonte dell’incantare-e-incatenare si nega proprio nella sua totalità: a un certo punto io decido, questo decidere mi fa uscire dall’attimo, cioè dalla possibilità assoluta; facendomi uscire dall’attimo, mi costringe a rivolgermi a qualche cosa, cioè, mi fa trovare nel mezzo dell’ente nella sua totalità, mi fa trovare in mezzo a una serie infinita di possibilità; ma, proprio perché mi trovo nel mezzo dell’ente nella sua totalità, questo ente si nega proprio nella sua totalità, cioè non posso coglierlo tutto, sono sempre costretto a decidermi per una cosa e non per tutte simultaneamente. Andiamo a pag. 208, § 35, il cui titolo è La temporalità in una modalità determinata della sua temporalizzazione come ciò che autenticamente annoia nella noia. Ma ora, nella terza forma di noia, ciò che lascia vuoti nella maniera dell’incantare-e-incatenare è il tempo dell’esser-ci in quanto tale, e ciò che tiene-in-sospeso e che-costringe è questo tempo nella sua possibilità di attimo, la temporalità stessa dell’esser-ci in riferimento a quanto le è essenzialmente proprio, e cioè nel senso del rendere possibile l’esser-ci in generale: orizzonte e attimo. Sono tutte cose che abbiamo già viste. In questo terzo tipo di noia, che è quella che a lui interessa, ci si trova incatenati nel tempo, ma questo essere incatenati è la condizione per aprirsi a una possibilità. Ciò che annoia nella noia profonda e dunque – in virtù delle osservazioni precedenti – ciò che annoia unicamente e autenticamente è la temporalità in una modalità determinata della sua temporalizzazione. Adesso precisa. Ciò che è noioso non sono né le cose in quanto tali – siano queste prese singolarmente o in connessione tra loro – né le persone come individui di cui possiamo constatare la presenza e che possiamo incontrare, né gli oggetti né i soggetti, bensì la temporalità in quanto tale. Ma questa temporalità non si trova accanto agli “oggetti” e ai soggetti, bensì costituisce il fondamento della possibilità della soggettività dei soggetti, e in modo tale che l’essenza dei soggetti consiste proprio nel fatto di avere l’esser-ci, vale a dire di abbracciare già da sempre e fin da principio l’ente nella sua totalità. Avere l’esser-ci lo mette in corsivo; in effetti, andrebbe contro tutto ciò che ha detto da sempre: non si ha l’esser-ci, l’esser-ci sono io. La noia, dice, non riguarda questa o quella cosa, un soggetto oppure un altro, bensì costituisce il fondamento della possibilità della soggettività dei soggetti, perché l’essenza dei soggetti – soggetti intesi come persone – consiste proprio nel fatto di avere l’esser-ci, vale a dire di abbracciare già da sempre e fin da principio l’ente nella sua totalità. Quindi, dicendo che ciò che annoia riguarda la temporalità, ci sta dicendo che questa temporalità non è altro che il fondamento della possibilità della soggettività, cioè che ci siano dei soggetti. Dice di abbracciare già da sempre e fin da principio l’ente nella sua totalità, cioè ciascun soggetto abbraccia l’ente nella sua totalità; pur non avendo la possibilità di fermarlo, tuttavia abbraccia l’ente, cioè, si trova in una serie infinita di possibilità. A pag. 210. …non comprendiamo due cose: 1. che lo stato d’animo in sé manifesta, cioè manifesta l’esser-ci nel modo in cui è, in cui si sente situato presso di sé e presso le cose; 2. che lo stato d’animo può fare ciò solamente se sorge a partire dal fondo dell’essenza dell’esser-ci, che si trova per lo più sottratto alla sua libertà. Qui sta parlando dell’importanza dell’accogliere la noia, cioè, di non tenerla a freno, perché lo stato d’animo è ciò che manifesta l’esser-ci nel modo in cui è, quindi, la noia manifesta il modo in cui l’esser-ci è: abbandonato e tenuto in sospeso. lo stato d’animo può fare ciò solamente se sorge a partire dal fondo dell’essenza dell’esser-ci, che si trova per lo più sottratto alla sua libertà: il fondo dell’essenza dell’esser-ci è sottratto alla sua libertà in quanto è ciascuna volta determinato da una decisione. L’esser-ci è progetto e, in quanto progetto, ha un utilizzabile a cui si rivolge e, quindi, questa libertà, che è dell’attimo, non è più nell’esser-ci. A pag. 214. Sottoparagrafo a). La noia profonda, il suo essere-lasciati-vuoti, è l’essere-consegnati all’ente che si nega nella sua totalità. Quindi un vuoto nella sua totalità. Ci chiediamo: un tale vuoto nella sua totalità pervade il nostro esser-ci? Vuoto – con tale parola, in virtù di tutte le osservazioni precedenti, intendiamo: non il niente assoluto, bensì il vuoto nel senso del negarsi, del sottrarsi, dunque vuoto come mancanza, privazione, stato di necessità. Veniamo colpiti da uno stato di necessità, ne siamo già colpiti? Più d’uno, risponderemo: ovunque vi sono sconvolgimenti, crisi, catastrofi, stati di necessità: l’odierna miseria sociale, il disordine politico, l’impotenza della scienza, il logoramento dell’arte, la mancanza di fondamento della filosofia, la debolezza della religione. La questione essenziale si riduce a una cosa molto semplice. Il tempo apre ma allo stesso tempo incatena, ed è esattamente ciò che fa il linguaggio: incatena, nel senso che io sono costretto ad affermare qualcosa, sono quindi incatenato a questa cosa; ma questo essere incatenato, per esempio al concetto, è la condizione per potere proseguire. Quindi, è vero che mi incatena ma mi dà anche la possibilità di essere rilanciato. Il problema è che in questo rilancio si dissolve in concetto, cioè, il concetto perde la sua staticità, la sua immobilità. Per questo dicevo all’inizio che il linguaggio, nell’attimo in cui fa sorgere qualcosa, la nega, cioè rende impossibile l’accesso. Rendendo impossibile l’accesso rende impossibile l’accesso a qualche cosa, ed è in quel momento che fa sorgere il qualche cosa. Il che è esattamente ciò che diceva Peirce rispetto alla sua formula a è b: la a non c’è senza la b, perché la b dice che cosa è la a, e quindi è soltanto con la b che la a esiste.