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27-3-2013

 

Il titolo è “Freud e il sogno della psicanalisi”, occorre valutare se quel “della psicanalisi” sia una determinazione oggettiva o soggettiva. Il tema generale è “La terra, il cielo, la psicanalisi”, che riprende le famose parole di Amleto: “ci sono più cose in cielo in terra, Orazio, di quante ne immagini la tua filosofia”, che Freud riprende per indicare che parlando, perché è di questo che si stava accorgendo Freud, parlando le persone dicono più di quanto immaginino di stare dicendo. Questo in più che c’è in ciò che si dice ha a che fare con tutte le fantasie che sono connesse con ciò che si sta dicendo, con ricordi, immagini, scene, per cui ciò che una persona dice non è propriamente un enunciato isolato, a se stante, ma è connesso con infinite altre cose che delle volte con quell’enunciato appare magari abbiano poco a che fare, però c’è una connessione ed è questo il lavoro che ha fatto Freud: reperire quelle connessioni, accorgersi che un enunciato è agganciato a molte altre questioni. Ha immaginato che alcune di queste questioni non fossero consapevoli alla persona per una serie di motivi, non ultima la rimozione, cioè fossero rimosse e di conseguenza inconsce. Per Freud l’inconscio non è qualche cosa di cui gli umani hanno la proprietà, né hanno alcuna possibilità di gestirlo, non c’è quindi la possibilità per gli umani di modificare ciò che è inconscio se non rendendolo consapevole; questo a suo parere è il lavoro che occorre che l’analisi faccia, perché finché l’inconscio rimane inconscio è inaccessibile, se ne traggono ovviamente degli indizi nei sogni, nei lapsus, negli atti mancati, nelle dimenticanze, però il contenuto dell’inconscio rimane appunto inconscio. Questa è una posizione dalla quale gli sarebbe stato impossibile affermare che gli umani sono responsabili di quello che dicono, perché non lo sono. Questa non responsabilità è dettata dal fatto che se ciò che gli umani pensano, fanno, dicono, è pilotato dall’inconscio, non avendo accesso all’inconscio è ovvio che non ne possono essere responsabili, lo saranno, se e quando il contenuto dell’inconscio o parte di esso attraverso l’analisi sarà reso consapevole, allora sì…

Intervento: ma lui voleva portare la “peste” non diceva della responsabilità della persona?

No, la “peste” dice che ciò che gli umani pensano, fanno e dicono è mosso da fantasie in buona parte inconsce che pilotano l’agire degli umani. In questa conferenza con quel titolo intenderei il sogno della psicanalisi come una determinazione soggettiva, cioè la psicanalisi “sogna” nel senso di desidera fortemente, di portare la “peste”, come diceva Freud in un’accezione che io proporrei ancora più forte, perché tutta la costruzione che ha fatto Freud e che ha chiamata psicoanalisi non ha tenuto conto di una serie di questioni che anche in quegli anni incominciavano ad affiorare, e cioè alcuni studi intorno alla struttura del linguaggio e soprattutto non ha tenuto conto del fatto che queste nozioni che mano a mano introduceva di inconscio, rimozione, resistenza, transfert, ripetizione eccetera, in molti casi non avevano nessun supporto argomentativo, erano soltanto messe lì per giustificare una serie di “osservazioni” che lui andava compiendo, in altri termini per giustificare il suo apparato teorico. Ciò che importa in tutto ciò è che la teoria di Freud è costituita da una sequenza di affermazioni, come qualunque teoria, e allora si tratta di interrogare queste affermazioni ma non per sapere se sono vere o false, se Freud si è sbagliato oppure no, non è questa la questione, né si è sbagliato né ha detto il vero, però queste cose che afferma si riferiscono a delle situazioni, a delle condizioni, a degli eventi, in alcuni casi a delle possibilità, e ciò che queste affermazioni affermano è qualche cosa che sta fuori dalla parola, fuori dal discorso di Freud stesso, cioè sono un quid posto lì, immobile, eterno, e cioè ha scoperto la verità oppure, come taluni dicono ma senza portare alle estreme conseguenze ciò che affermano, le ha inventate di sana pianta? Perché se queste affermazioni non si riferiscono a un “che” posto fuori dal linguaggio, allora questo costituisce un problema, costituisce un problema perché se è fuori dal linguaggio, primo non ho nessuna possibilità di saperlo, per saperlo devo avere uno strumento che mi consenta la conoscenza e non c’è conoscenza senza linguaggio, secondo, perché se fosse fuori dal linguaggio allora questo quid o è quello che è, oppure è altro da sé; se è quello che è fuori dal linguaggio, allora per conoscerlo devo conoscere questa “cosa” esattamente, non un’altra, per conoscerla devo portarla però nel linguaggio, portandola nel linguaggio si altera e quindi non conoscerò più quella cosa lì. Se invece è un’invenzione allora non ha nessun referente che possa garantire, possa supportare questa invenzione, cioè non c’è nulla che possa garantire che questa invenzione sia altro da un’invenzione; se è un’invenzione significa che prima non c’era, almeno così si intende generalmente, e soprattutto se è un’invenzione è un prodotto del discorso, visto che non c’è fuori. Questo comporta che l’elemento di cui si parla e cioè queste affermazioni che fa Freud, se sono invenzioni non hanno un riferimento a un qualche cosa che è così come questa invenzione descrive, definisce, ma è semplicemente la costruzione all’interno di un gioco linguistico e come tale rende la costruzione della teoria di Freud un gioco linguistico al pari di qualunque altro, e cioè toglie alla psicanalisi in quanto teoria inventata da Freud il valore che generalmente gli viene attribuita, e cioè di avere “scoperto” in un caso, “inventato” nell’altro, il modo in cui funziona il pensiero degli umani. Non c’è nessuna possibilità di sapere che cosa gli umani pensano, oppure c’è, a seconda dei casi, a seconda del gioco che si decide di fare. È questa la questione importante, perché tutto ciò ci conduce qui, per dirla tutta, l’unico valore che ha la teoria di Freud è quello che io gli attribuisco, se io glielo attribuisco allora ha un valore, se io non glielo attribuisco allora non ce l’ha. La lettura attenta di alcuni testi ci ha posti nella condizioni di interrogare quegli stessi testi, che è la cosa principale, utilizzando le loro stesse conclusioni per giungere a considerare che queste conclusioni non stabiliscono come stanno le cose, sono delle conclusioni che appartengono a quel gioco linguistico, coerenti con quel gioco linguistico, questo glielo si concede, ma che non dicono nulla che sia fuori da quel gioco linguistico, d’altra parte come potrebbero? Può un’affermazione di una teoria affermare qualche cosa che non appartenga a quella teoria, in un modo o nell’altro? Non lo può fare, perché se potesse farlo dovrebbe costruire un’altra teoria, e questo accade, però a questo punto ciò che dirà sarà qualcosa che appartiene a questa altra teoria, all’interno di questo sistema, sistema fatto di regole, di procedure, di premesse, di assiomi. Questa è la cosa, in questo momento teorico, sicuramente più importante, a fianco alla questione del potere che ovviamente è strettamente connesso con questo, e cioè il fatto che qualunque cosa si affermi questa affermazione rimane all’interno, dice unicamente qualche cosa che è all’interno del sistema che ha prodotto questa affermazione. Questa è la cosa basilare, ed è anche la cosa più difficile: una affermazione dice qualche cosa all’interno del sistema che l’ha prodotta, si riferisce solo a qualche cosa all’interno del sistema, adesso usiamo “sistema” in accezione desoussuriana del termine, e cioè come una rete di relazioni, all’interno di questa rete di relazioni, se preferite invece che sistema, ci sono le indicazioni e le istruzioni per dare valore a qualche cosa oppure toglierglielo, a seconda dei casi, a partire da certe premesse, da altri giochi linguistici che sono già stati fatti e che hanno appunto stabilito un certo valore. Poi questo valore può entrare in un altro gioco linguistico e servire da parametro per dare valore a tutto ciò che rientra all’interno del sistema per esempio, o qualunque altra cosa, quindi il valore di un elemento è attribuito dalle regole di quel sistema, e non potrebbe essere altrimenti…

Intervento: questi assiomi sono dati da altri giochi linguistici, gli assiomi di Euclide vengono posti come dei principi naturali…

Infatti si preferisce, anche se spesso la cosa è equivoca, si preferisce invece di assiomi, parlare di principi. Il principio, come nel caso dei principi di Euclide, viene posto come qualcosa che appare essere auto evidente, l’assioma no, non necessariamente se io dico: A⊃(BA) non è immediatamente evidente che sia vero, anche perché devo fare una serie di operazioni, mentre se dico che due rette parallele non si incontrano mai, sembra auto evidente, appare evidente, oppure che da due punti passa una retta e una soltanto, anche questo appare evidente, non lo è, però se uno fa un puntino non riesce a farci passare due rette perché il puntino è piccolo, poi è così che è nata questa storia...

Intervento: questi principi, questi assiomi vengono considerati fuori dal linguaggio in quanto appunto auto evidenti…

I principi sì, gli assiomi non necessariamente, per esempio gli assiomi della logica formale non sono al di fuori della logica, anzi, gli assiomi che vengono costruiti per esempio per la dimostrazione di un teorema sono inventati dal logico che li costruisce in modo tale da permettergli di dimostrare il suo teorema. Questo per suggerirvi di puntare al fatto che comunque ogni affermazione che viene fatta non significa niente fuori dal gioco linguistico che l’ha prodotta, dalla teoria che l’ha prodotta, e quindi può parlare, può affermare soltanto qualcosa che è all’interno e cioè costruibile da quella teoria, ed è costruibile tutto ciò che non nega le premesse che lo supportano. Insisterei molto su questo, mi sembra la cosa più importante in questo momento, poi se volete parlare anche del potere, perché no?

Intervento: qualche cosa connessa alla questione clinica cioè dire effettivamente lungo l’analisi è di questo che si tiene conto…

Quando si ascolta un discorso in una seduta di fatto si sta ascoltando una teoria, e tutte le affermazioni che compaiono all’interno di questa teoria sono quelle affermazioni che sono consentite dalle premesse, cioè dalle cose cui crede la persona, questi sono i presupposti teorici della sua teoria. Tutto questo potrebbe portare alcuni a qualche obiezione, e cioè potrebbero dire che allora per fare un’analisi occorre essere dei teorici del linguaggio, della semiotica, della logica eccetera, e l’analisi secondo loro non è questo, non è una lezione di teoria del linguaggio, e allora quando si parla di responsabilità occorre aggiungere che a quel punto è la persona stessa che incomincia a interrogare quello che dice, e cioè ad essere curiosa, volere sapere come funziona ciò che sta dicendo, è a questo punto che incomincia chiedersi delle cose intorno a come funziona ciò che sta dicendo e quindi al linguaggio, questo è il passaggio. L’ascolto possiamo intenderlo come il considerare ciò che nel discorso cerca di chiudere la questione, cioè di stabilire come stanno le cose, l’ascolto dell’analista e quindi il suo intervento riapre la questione, riaprendo la questione mostra che le cose non stanno proprio così, se non stanno proprio così allora la conclusione non è più riferita a uno stato di cose ma a qualcosa che gli appartiene, e qui incomincia ad accorgersi della propria responsabilità in ciò che afferma; con l’accorgersi della propria responsabilità si incomincia anche a volere sapere qualche cosa di più del perché allora ha affermato queste cose, come funziona quello che sta dicendo, incomincia a volere sapere come funziona il linguaggio.