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27-2-2013

 

Considereremo una questione questa sera: la teoria. Intendo con teoria l’accezione più ampia possibile, e cioè un discorso, un’argomentazione che compie affermazioni intorno a qualche cos’altro che non sia la teoria stessa, cioè si rivolge a qualche altra cosa. In genere si considera una teoria come un qualche cosa che deve dire delle cose su qualche altra cosa, questa qualche altra cosa generalmente è intesa come la realtà, il mondo che circonda, le cose, gli enti. La questione che molti hanno incominciato a porsi è se sia possibile avere accesso a questa cosa che chiamiamo realtà. Molti si sono accorti recentemente, ma non solo, che parlare della realtà comporta dei problemi, dei problemi piuttosto consistenti perché non si riesce, né si può giungere a indicare che cosa esattamente sia la realtà. La realtà costituisce dunque un problema, e tutto ciò che si dice, che una teoria descrive, definisce eccetera in nessun modo, dunque, può dire qualche cosa intorno alla realtà o su che cosa sia la realtà. L’idea più comune è che una teoria descriva un qualche cosa, un quid, del quale quid non sa nulla. Posso indicare la realtà come ciò che cade sotto i sensi, ma in ogni caso questo indicherà soltanto il criterio che utilizzo, ma non dice assolutamente nulla di che cosa sia la realtà. Per comodità si intende la realtà come ciò che cade sotto i sensi, ma questo in ambito teorico non ha un grossissimo valore, ciò che invece importa è incominciare a considerare che ciò che una teoria costruisce è prima di tutto un discorso. Un discorso che verte intorno a che cosa? Verte intorno a un altro discorso, un altro discorso che costituisce ciò di cui la teoria sta parlando, quindi la teoria è un discorso che produce altri discorsi. Questo è importante perché incomincia a mostrare che una teoria può dire, può raccontare unicamente quelle cose che possono essere prodotte dalla stessa teoria e cioè una teoria muove, da delle premesse e attraverso dei passaggi giunge a delle affermazioni; una teoria per lo più afferma delle cose, queste cose che afferma sono affermazioni che vertono intorno a che cosa? Alla realtà? No, perché sappiamo che non può essere colta per quello che è, ammesso che sia qualche cosa, quindi sono affermazioni che vertono intorno ad altri discorsi, discorsi che verteranno intorno ad altri discorsi, una produzione continua di discorsi. Occorre tenere conto che questi discorsi si riferiscono, hanno come referente unicamente altri discorsi, cosa che ha degli effetti ovviamente: quando si costruisce una teoria si costruisce un gioco, un gioco che dice delle cose su altri giochi, visto che non può dire qualche cosa intorno alla realtà, a meno che questo gioco sia giunto a intendere che quella stessa cosa che si chiama realtà non è altri che un altro gioco, allora sì, può parlare della realtà in quanto gioco, ma gioco in che senso? Un qualunque discorso, una qualunque teoria, muove da delle premesse, queste premesse vincolano la teoria così come accade in qualunque gioco, per esempio se una teoria afferma che, lo afferma cioè muove da questo assunto, da questa premessa, che tutto ciò che è rimosso è inconscio, allora questa teoria in quanto gioco potrà costruire tutte le proposizioni, tutte le affermazioni che sono derivabili da questa premessa e non potrà accogliere all’interno di sé quelle affermazioni che contraddicono la premessa: in questa teoria che muove da questo elemento, che dice che tutto ciò che è rimosso è inconscio, non potrà trarsi un’affermazione che dica che nulla di ciò che è rimosso è inconscio, in questo caso la teoria viene rigettata, perché inconsistente. Questo è il modo in cui funziona un gioco linguistico, cioè costruisce delle proposizioni in base a delle regole prestabilite e accoglie solo quelle proposizioni che non contraddicono le premesse su cui si regge. Tutto questo muove verso delle considerazioni di una certa portata, e cioè che qualunque cosa si affermi in ambito teorico, e non, afferma soltanto qualche cosa che è all’interno di quel gioco, e cioè tutte le affermazioni che produce una teoria sono soltanto degli elementi che consentono di continuare a giocare producendo altre teorie, altri discorsi, quindi che cosa dice una teoria? Dice innanzi tutto ciò che le premesse da cui muove gli consentono di dire, ma soprattutto dice che sta costruendo un gioco e quindi nulla che abbia a che fare con la cosiddetta realtà, perché la realtà, come dicevamo, non ha la possibilità di essere individuata, colta per quello che è, come dicevo prima, sempre ammesso che sia qualcosa, ma qualche cosa lo è. È un gioco, al pari di qualunque altro, questo, dicevo un attimo fa, ha dei risvolti notevoli perché mostra che una persona può essere in condizioni di sapere sempre, in ciascun momento, che tutto ciò che pensa, che dice, è un gioco, è un gioco che non è garantito da nulla che non siano le regole di quello stesso gioco. Questo ovviamente la sbarazza della necessità di dovere sottostare, soggiacere a quella cosa che si chiama realtà, che sarebbe fuori dal gioco quindi letteralmente fuori dal linguaggio e, a questo punto, potremmo anche parafrasare Gorgia di Lentini dicendo: “nulla è fuori dal linguaggio, se qualcosa fosse fuori dal linguaggio non sarebbe conoscibile, e se anche fosse conoscibile non sarebbe trasmissibile”, non sarebbe conoscibile in quanto, perché si dia conoscenza di qualche cosa, occorre che una certa cosa significhi qualcosa per qualcuno, se significa qualcosa questo comporta che c’è un rinvio da una qualche cosa a un’altra cosa, che è il suo significato, e quindi è all’interno di una rete, di una combinatoria segnica, quindi è all’interno del linguaggio. A questo punto si può fare un esempio clinico. Prendiamo una depressione, l’accidia; la depressione stabilisce con assoluta certezza che le cose non hanno più senso, che la catastrofe è ormai avvenuta, che non c’è più niente da fare e che quindi nulla ha più interesse. Queste sono affermazioni che non vengono da nulla, così, ex abrupto, ma avvengono all’interno di una teoria, cioè di un discorso, un discorso che muovendo da delle premesse che sono la conclusione di altri discorsi, muovendo da queste premesse costruisce un gioco tale per cui la conclusione è inesorabilmente quella. Ma perché la depressione funzioni, occorre che tutto questo non sia avvertito come un gioco linguistico, ma che queste affermazioni siano garantite da uno stato di fatto, da uno stato di cose, solo a questa condizione la depressione può essere praticata, e cioè se la persona in questione che si dice o viene detta essere depressa crede che le sue conclusioni stabiliscano, definiscano, delimitino uno stato di cose che sono fuori dal suo discorso, fuori dal gioco. Immaginare che le proprie affermazioni, cioè le affermazioni di un discorso dicano qualche cosa di qualche altra cosa che sia fuori dal gioco, fuori dal linguaggio, dicevo, questa è la condizione perché una persona possa definirsi depressa. In caso contrario la consapevolezza che può ottenersi lungo un percorso analitico, una consapevolezza, direi, irreversibile, a un certo punto, che nulla è fuori dal linguaggio, e cioè che non c’è fuori dal gioco una realtà da qualche parte che la garantisca. La realtà stessa è un altro gioco, allora se si dà questa consapevolezza, la probabilità, se vogliamo usare termini statistici, di potere divenire, diventare depressi è uguale a zero, non c’è nessuna possibilità. Naturalmente questo non è semplice, da quando si nasce si viene addestrati a considerare che ciò che si dice debba avere necessariamente un riferimento fuori da ciò che si dice, nella realtà, questo addestramento, che viene posto in essere da sempre, è ciò che rappresenta la maggiore difficoltà, oltre che la più grande menzogna che sia mai stata praticata nei confronti degli umani, che è anche la causa di tutte le peggiori catastrofi delle quali gli umani si sono resi responsabili. La teoria, quindi un discorso, non dice nulla della realtà ma è soltanto un gioco. Se viene inteso che ciò che si dice, ciò che una persona pensa, è una teoria, se può accorgersi che è soltanto un gioco e che non ha nessun riferimento a qualche cosa che sia al di fuori, allora incomincia a giocare con i suoi pensieri, con le sue idee, con le cose che dice, e giocandoci non ha più nessuna necessità di cercare garanzie, e quindi credere che quello che sta dicendo sia vero al di fuori di ciò che dice e questo porta immediatamente a considerare la questione della responsabilità…

Intervento: la questione della realtà…

È una questione sulla quale molti si sono interrogati, si è reperito che è impossibile rendere conto di che cosa sia la realtà. Ci sono molte persone, fra le più attente, le più avvertite, che si rendono conto che parlare di realtà è estremamente complicato, perché questa realtà non si può in nessun modo stabilire che cosa sia. Questo è il motivo per cui mi occupo della talking cure, il motivo per cui mi occupo di linguaggio è il fatto che in analisi ci si occupa di parole e le parole sono ciò che si usa, è l’unica cosa con cui ha a che fare un analista, non ha altri strumenti, e le parole sono quelle che dissolvono ogni problema, ogni questione, ogni malanno di ogni sorta, e le parole sono anche d’altra parte le stesse cose che hanno costruito questi malanni. Allora diventa importante sapere qualche cosa di più delle parole e dire che c’è l’eventualità che non vengano proprio dal nulla, una manna dal cielo, ma invece siano costruite da una struttura, e se si conosce il funzionamento di questa struttura ecco che può trarsene un notevole vantaggio. Ma occorre introdurre una differente definizione di linguaggio, ché le definizioni fornite dalla linguistica, dalla semiotica, dalla filosofia del linguaggio, dalla filosofia stessa, sono troppo appesantite dalla metafisica da una parte, e dall’ontologia da quell’altra, e quindi occorre una definizione più snella, più agile, più efficace e che in buona parte è stata fornita dall’informatica, e cioè come un flusso di informazioni fatto di dati e di istruzioni per processarli. A questo punto occorre accennare a come si impara a parlare. Non è propriamente un insegnamento, ma una trasmissione che avviene da umano a umano, da umano a macchina, da macchina a macchina, da macchina a umano ancora no…

Intervento: ci saranno meno problemi quando le macchine avranno dei sentimenti…

Come abbiamo detto spesso si possono anche mettere dentro alle macchine i sentimenti, ma non si vede a che scopo. Ma è possibile metterceli dentro i sentimenti, come è stato fatto con noi, qualcuno ce li ha messi dentro, ci ha mostrato i sentimenti attraverso il viso, il tono della voce, attraverso le parole, attraverso tante cose. Ma le parole cosa fanno? Costruiscono discorsi, storie, argomentazioni, racconti eccetera, e un discorso non è nient’alto che una teoria e cioè è una sequenza di affermazioni che dicono qualche cosa rispetto a qualche cos’altro. Così, come qualunque teoria che si costruisca, un discorso non è nient’altro che un gioco, e se una persona si accorge che sta giocando, e può praticare questo gioco, può giocare con le cose che pensa e che dice senza averne paura, può cessare di avere paura perché non è più necessario, e se non si ha più paura è perché si è responsabili del proprio discorso.