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26-11-2014

 

Molte discipline si sono occupate del linguaggio, tanto per dirne una la linguistica ma non solo altre si sono occupate di vari aspetti del linguaggio per esempio le teorie semantiche, di questo la linguistica non se ne occupa prevalentemente e neanche dell’aspetto logico la linguistica non se ne occupa, se ne occupa la logica, la filosofia del linguaggio, di come si producano effetti di significazione di questo se ne occupa la semiotica ma della necessità di affermare ciò che si afferma e che ciò che si afferma sia ciò che si afferma, di questo se ne occupa la metafisica. Ed è per questo motivo che ci occuperemo per qualche tempo della metafisica perché è l’unica, in questo caso chiamarla dottrina è del tutto fuori luogo, ché può mostrare degli aspetti rilevanti per quanto riguarda la necessità. L’unica dottrina che si occupa di questo, dicevo è la metafisica e questo è importante perché può mostrare come sia indispensabile parlando affermare delle cose, e che queste cose siano quello che sono. Solo la metafisica si occupa di questo, e cioè che non possano essere altro da sé, non senza qualche problema ovviamente. Leggerò queste annotazioni di Sini a proposito della metafisica:

 

METAFISICA

Posizione del problema.

Da tempo è in atto la dissoluzione della metafisica intesa come regina delle scienze, scientia scientiarum, radice dell’albero del sapere. Questa dissoluzione è già evidente nell’empirismo da Locke a Hume in favore della razionalità scientifica moderna, è il problema centrale del criticismo kantiano. (da un punto di vista speculativo questa è la reale barriera con la quale è necessario confrontarsi, il recupero storico dialettico della metafisica operato da Hegel contro Kant, ultimo grandioso episodio del sapere assoluto della filosofia che si conclude a sua volta nel relativismo storicistico e storiografico. Pensate a Marx poi - della impossibilità di una metafisica come scienza e di una scienza metafisica sono oggi pressoché tutti convinti, donde il carattere marginale inattuale, ineffettuale della filosofia.

Del carattere anti metafisico del sapere contemporaneo.

Il sapere scientifico procede metodicamente non sistematicamente e in questo senso antimetafisico (ciò non toglie naturalmente che la scienza si fondi sullo sguardo oggettivante della metafisica, sulla riduzione metafisica del mondo a oggettualità in sé contrapposta alle immagini concettuali della mente, riduzione resa possibile anzi tutto dalla pratica della scrittura alfabetica) Qui già Sini cominciava a interessarsi alla scrittura infatti poi si è rivolto a Derrida e poi da allora fino adesso sta cercando le origini del linguaggio attraverso la scrittura, quindi “un sapere scientifico procede metodicamente e non sistematicamente” e in questo senso dice che il sapere scientifico sarebbe antimetafisico poi - il sapere filosofico condivide largamente il punto di vista ermeneutico tutto è interpretazione e ogni interpretazione sconta il carattere finito del suo punto di vista, - perché un’interpretazione è finita - non è quindi possibile un sapere assoluto cioè sciolto dall’interpretazione e dal carattere finito contingente della interpretazione cioè un sapere metafisico oggettivante e atemporale fondato o fondabile. Queste posizioni non sono però senza problemi, il no alla metafisica presuppone un’evidenza positiva, un sì per esempio che tutto è interpretazione - anche se l’interpretazione, come ha appena detto non è tutta perché è contingente, ciò che io interpreto adesso può essere diverso da ciò che interpreterò - ma ciò contraddice l’asserita natura relativa e finita di ogni asserzione “che tutto è relativo all’interpretazione” è un’asserzione assoluta e in questo senso metafisica - ha utilizzato il sistema che utilizzavano già gli antichi contro gli scettici, il sistema più semplice e più banale: per opporsi all’argomentazione scettica è volgerla contro di loro. Ogni negazione prende la sua misura da ciò che viene negato asserire che ogni sapere è soltanto relativo presuppone che il sapere dovrebbe essere assoluto, se io dico che tutto il sapere è relativo in qualche modo mi rivolgo a un sapere che non è relativo, quindi è assoluto, però dice è “disgraziatamente inattingibile questo sapere assoluto” poi conclude: Diversa è la posizione di Wittgenstein l’espressione “sapere assoluto” è insensata inoltre essa appartiene a un gioco linguistico quello metafisico e non può sensatamente estendersi ad altri saperi.

Vi ho lette queste due parole che dice Sini perché la questione della metafisica incomincia ad avere qualche portata rispetto al punto in cui ci troviamo oggi. Vedete, l’unico vero problema, non ce ne sono altri, l’unico vero, grande, ineludibile problema consiste nel fatto che gli umani parlano, non ci sono altri problemi e, tra le righe, non c’è neanche la possibilità che ci siano dei problemi se gli umani non parlano. Il problema è un concetto, concettualizzare qualcosa e per giungere alla determinazione di un problema occorre che ci sia una struttura che consente di farlo, il linguaggio. Tutto questo ci conduce a considerare che la cosa va presa seriamente perché in effetti non ci sono altri problemi, non esistono né possono esistere, se non questo. Sto dicendo che qualunque problema in qualunque modo ciascuno pensi il problema, lo immagini, lo consideri eccetera, per il solo fatto di pensare di averne uno, qualunque esso sia questo rinvia all’unico vero problema e cioè che esiste il linguaggio. Prendere la cosa da questo verso può apparire più semplice nel senso che riconduce immediatamente qualunque tipo di problema, anzi il concetto stesso di problema al linguaggio. Questo anche in ambito psicanalitico potrebbe avere qualche risvolto, ma adesso non è questa la questione. Prendere la questione seriamente e cioè intendere nello specifico il suo funzionamento perché il problema che sorge dal fatto che c’è il linguaggio, che è l’univo vero problema, sorge dal fatto che ogni volta che una sequenza conclude, conclude con un’affermazione vera, questa affermazione vera significa che ciò che sta affermando è quello che è, è identico a sé. Ci sono un po’ di libri di metafisica che dovremo leggere, per esempio Heidegger si è dedicato molto a questo problema della metafisica, come Aristotele ovviamente e molti altri, anche Beierwaltes, un filosofo tedesco, lui ha fatto una ricerca sul problema della identità e della differenza in vari filosofi e l’ultimo capitolo è sulla identità e differenza in Heidegger, potrebbe interessarci, poi ha critto delle cose intorno al Principio di ragione e anche questo potrebbe essere utile, Il principio metafisico della logica per esempio, intendere come la logica abbia un fondamento metafisico, tutte questioni che ci riguardano, a questo punto possiamo esimerci? Non possiamo esimerci. Ora la questione metafisica dicevo investe direttamente il problema del linguaggio, in quanto è l’unica disciplina che affronta direttamente il motivo per cui quando si afferma qualcosa, una qualunque affermazione esistenziale dice di quella cosa in quanto è quella che è, nessun’altra disciplina lo fa ed è questo che accade quando si parla, quando si afferma qualche cosa, quando si è affermato da quel momento diventa, per il fatto stesso che è stata affermata diventa identica a sé, diventa quello che è, non lo era prima, lo è nel momento in cui l’affermo, nel momento in cui compio un’affermazione esistenziale. Questo potrebbe rendere conto non soltanto dell’invenzione della metafisica: ci siamo chiesti tante volte perché mai gli umani abbiano inventato la metafisica, a che scopo? Lo scopo potrebbe essere proprio questo, un’interrogazione sul fatto che per interrogare qualche cosa, per poterlo affermare, questo qualcosa che affermo occorre che sia quello che è. Non è casuale che Aristotele nel IV libro della Metafisica ponga uno dei principi fondamentali della metafisica, cioè il principio di non contraddizione, questo principio di non contraddizione è il fondamento di ogni pensiero, di ogni conoscenza perché dice che quando affermo qualche cosa questo qualche cosa è quello che è e non è differente da sé, che è la pietra su cui, almeno per Aristotele, su cui è possibile costruire la stessa conoscenza, senza questo non c’è conoscenza possibile. Come dicevo prima la letteratura intorno alla metafisica è praticamente sterminata, al di là di tutta la patristica che parlando di dio parla di metafisica. Vedremo se la nostra ricerca ci porterà a qualche testo di patristica, ne dubito, però non è impossibile. Ciò che a noi interessa è qualche cosa di specifico della metafisica, e cioè il modo in cui la metafisica ha trattato la questione del fondamento, perché un qualunque elemento perché sia vero deve avere un fondamento, e questo fondamento consiste nel fatto che ciascun ente è necessariamente quello che è. È la metafisica stessa che fornisce questo fondamento, potremmo anche dire che se lo inventa certo, però rimane il fatto che senza questo “fondamento” tra virgolette perché è un termine molto discutibile, senza questo “fondamento” se quell’elemento non fosse ciò che è sarebbe un grossissimo problema: il linguaggio non funzionerebbe, e non funzionando non sarebbe mai esistito. Questo è l’approccio sicuramente più elaborato, più attento per riavvicinarci alla questione del potere, perché il potere passa attraverso il fatto che quando affermo qualche cosa, questo qualche cosa che affermo lo pongo come qualche cosa che è quello che è, non come altro, ma come qualcosa che è quello che è, come essente, ma per fare questo occorrono dei passaggi sui quali la metafisica si è soffermata. Non è che quando uno parla debba sapere di metafisica, la utilizza perché oramai la vulgata del pensiero metafisico è diventato il pensiero occidentale, pensate alla nozione di “esistenza” così come viene posta comunemente, la nozione di “realtà”, sono entità metafisiche che sono state costruite dal pensiero metafisico che oggi funzionano nel dire, nel pensare di ciascuno, inesorabilmente fanno parte, come direbbe Heidegger, del suo “essere nel mondo”. Insomma non è che stiamo rivalutando la metafisica, contro la quale non ho nulla e neanche nulla a favore, ma non è questo il punto, è che la metafisica è l’unica dottrina che si è occupata esattamente della possibilità di potere affermare che un qualche cosa è quello che è, che è ciò che avviene quando si parla; ciascuno quando afferma qualche cosa, lo pone come un qualche cosa che è quello che è, cioè identico a sé, il problema che abbiamo rilevato anche recentemente è che per potere affermare la differenza, ed è per questo che citavo prima Beierwaltes che ha fatto uno studio su questo, che per poter affermare la differenza è necessaria l’identità, che avevo formulato in questo modo: cioè la necessità tanto del principio di non contraddizione quanto del principio di non identità, per cui è necessario anche che un elemento non sia quello che è contrariamente a ciò che afferma la metafisica ovviamente, però per poterlo affermare occorre che sia quello che è, ma non può essere quello che è se non è connesso con tutti gli altri e quindi non è di fatto quello che è. È un grosso problema per il pensiero occidentale. Inizieremo con l’Introduzione alla metafisica di Heidegger, lui è sicuramente uno dei filosofi recenti più attento alla questione metafisica, anche perché ha dovuto abbatterla, è lui che ha affermato che tutto il pensiero occidentale è metafisica. Il pensiero occidentale non si è mai accorto, anche parlando dell’Essere, che in realtà non stava parlando dell’Essere ma dell’Ente, cioè ha preso l’Essere come un ente qualunque. La differenza tra l’Essere come lo pone lui e invece l’ente di cui parla tutta la filosofia è quella cosa che lui chiama la differenza ontologica: se considero l’Essere, nel momento in cui io faccio questo, l’Essere è un ente. Vi dicevo questo perché nel tentativo più o meno riuscito di allontanarsi dalla metafisica e di mostrare che tutto il pensiero che lo ha preceduto è metafisica l’ha considerata attentamente, per cui partiremo da questo testo per vedere quali problemi rileva lui e vedere se questi problemi li rileviamo anche noi oppure non sono problemi, oppure come direbbe Wittgenstein “sono problemi logici, non filosofici”. Se la metafisica è letta in questo modo ha ancora qualcosa da dire, è ovvio che quando si afferma che qualcosa è così vuole dire che questa cosa esiste di per sé, perché poi è questo che la metafisica pensava e pensa ancora oggi, pensa che le cose esistano indipendentemente dal linguaggio, che è quello che pensa chiunque prevalentemente, tranne molti filosofi del linguaggio, semiotici, filosofi. Per esempio è una cosa che Sini non pensa affatto, che le cose esistano di per sé, pur oscillando qua e là però. Non leggendo la metafisica in questo modo abbiamo già eliminato questa possibilità perché considerando la realtà o qualunque cosa fuori dal linguaggio, queste considerazioni ci riportano sempre e inesorabilmente al linguaggio, per cui è una fantasia o, come direbbe qui Sini che cita Wittgenstein “pensare alla realtà come qualche cosa che è fuori dal linguaggio è un gioco linguistico”, né più né meno al pari di qualunque altro. Allora non leggere la metafisica in questo senso ma come quella dottrina che si è occupata del modo in cui si afferma che qualcosa è quello che è, che è esattamente quello che avviene ogni volta che si parla, inesorabilmente, e la metafisica ha detto che questo è inevitabile, ma la metafisica dice che è inevitabile perché lo riferisce a un quid che è fuori dal linguaggio, noi dobbiamo invece intendere come sia inevitabile attraverso la struttura stessa del linguaggio. Questa sarà il nostro compito nei mesi a venire e da qui dovremmo, almeno è quello che mi auguro ed è il motivo per cui faremo questo lavoro, trarre maggiori informazioni e maggiori elementi, anche retorici, per approcciare in modo più attento la questione del potere, perché il potere viene da lì, viene dalla metafisica, dall’identità, dall’asserzione di identità.