26-11-2008
Stiamo considerando ultimamente due aspetti,un aspetto teorico e l’altro retorico ciò, che a noi interessa è proporre e diffondere il lavoro dell’Associazione, questa Associazione è piccola ma è un gioiellino, un’elaborazione teorica come questa che stiamo facendo qui non si trova da nessuna parte e di questo occorre tenere conto e quindi bisogna puntare più che alla qualità che alla quantità, una qualità che le persone di fatto riconoscono perché, nessuno dubita che coloro che si sono formati qui non siano formate più che bene. Dunque consideriamo il titolo della mia conferenza: “Edgar Alan Poe, tra realtà e delirio” chiaramente questo dà l’occasione per muovere dalla questione del delirio, come il delirio si crea la sua realtà, a come di fatto il discorso comune crei la sua realtà e mostrare che le due cose non sono così lontane tra di loro, e cioè che anche il discorso comune può considerarsi a buon diritto un discorso delirante, definendo così come ho accennato giovedì scorso il delirio come il credere con assoluta incrollabile e ferma certezza le cose che si pensano senza potere assolutamente provare nulla di ciò che si dice, comunemente il delirio è questo. Facevamo l’esempio mercoledì scorso la persona delirante che cosa fa? Quel tizio mi guarda, è perché ce l’ha con me; non mi guarda, è perché ce l’ha con me; è occupato a fare altro, è perché ce l’ha con me, non c’è alcun dubbio e ciò che c’è di interessante nel delirio è che qualunque cosa accada o non accada conferma ciò che la persona crede. L’altro aspetto interessante del delirio è che in nessun modo la persona potrà accorgersi che questo è un delirio, perché ogni cosa che accade conferma la sua idea, conferma che non è un delirio ma che è così. Parto da Poe, il racconto Morella, che per altro è bellissimo per mostrare come funziona il delirio quindi dal delirio mostrare come funziona il discorso comune, mostrare i limiti del discorso comune, dopodiché mostrare perché il discorso comune è delirante, mostrarlo con buone argomentazioni, illustrare al pubblico che il modo di pensare comune per quanto si supponga agganciato alla realtà di fatto ha la struttura del delirio e di conseguenza merita una riflessione, e cioè che forse è possibile pensare in un modo un po’ diverso e accorgersi che tutte le cose che si credono le più ferme, le più solide, le più inattaccabili in realtà sono assolutamente evanescenti, fatte di niente. A questo punto è chiaro che c’è l’intervento su ciò che stiamo proponendo, ciò che l’Associazione sta promuovendo e cioè sulla struttura della parola, su come funziona la parola, tenete sempre conto che anche in questi incontri va ribadito che le persone che fanno incontri sono psicanalisti e quindi occorre innanzi tutto che ne tengano conto di essere psicanalisti, in secondo luogo che lo psicanalista si occupa della parola cioè non ha nient’altro con cui ha a che fare se non con parole e che pertanto è suo compito, suo dovere inalienabile conoscere come funzionano le parole e quindi conoscere la struttura del linguaggio. Dunque dicevo due aspetti, uno più teorico accennavamo mercoledì scorso per ciò che concerne la realtà, che è uno degli elementi che interviene sempre come domanda o come dubbio o perplessità e comunque probabilmente quella cosa che mette le persone sulle difensive, cioè l’aggancio con la realtà; ora stiamo dicendo che la realtà in effetti è un elemento linguistico, ma per le persone no, e quindi questo può costituire una sorta di repulsione da parte del pubblico quindi intervenire sulla questione della realtà non mi sembra così inutile. La volta scorsa dicevamo qui che la realtà in effetti non è altro che la semantica prodotta dalla sintassi del linguaggio, dicendo che è una semantica diciamo che è il senso delle cose, la realtà secondo l’etimo stesso da res non è altro che la cosità, l’essere qualcosa, qualcosa. La realtà si considera assolutamente vera, qualcosa che si tocca, la vedo e di conseguenza è qualcosa che ha un senso, che ha un significato. Nella struttura linguistica ciò che produce il senso è propriamente la combinazione di elementi, esattamente come avviene nella logica formale, è la sintassi che determina la semantica, cioè dal modo in cui le parole sono disposte queste hanno un senso, lei prenda un discorso e poi prenda tutte le parole e le rimescoli tutte a caso, ecco che il discorso non ha più nessun senso e non avendo più nessun senso ciò che conclude non è più niente, non è più qualche cosa, questo ci induceva appunto ad affermare che la realtà non è altro che il senso quindi la semantica, ma questa semantica è prodotta dalla sintassi cioè in definitiva dai principi, dalle regole su cui ciascuno si fonda, dalle cose in cui crede in definitiva, dall’insieme di tutte le cose in cui crede, queste sono le regole del gioco che fa e queste cose in cui crede cioè queste regole, questi principi, questi assiomi sono quelli che determinano la sua realtà, cioè la sua semantica. Questo per quanto riguarda l’aspetto più teorico. Ho appena accennato alla questione, si tratterà di parlarne a lungo, e poi un aspetto retorico, l’aspetto retorico ha a che fare con due figure soprattutto, e cioè primo muovere dalla figura dell’auctoritas “Freud dice questo” e se Freud dice questo avrà avuto dei buoni motivi per farlo e questo ben dispone gli ascoltatori, se si parte da Freud dà un riferimento culturale noto a tutti. C’è una maggiore disposizione ad accogliere ciò che si dirà, l’altro elemento importante è l’analogia, riuscire a trovare delle analogie ché sono efficacissime retoricamente, certo logicamente non hanno nessun valore. Sapete che l’analogia è fatta da una relazione di due rapporti il primo noto come tema e il secondo noto come foro, ora il primo rapporto dell’analogia è qualche cosa che è comune sempre, faccio un esempio banalissimo “così come ogni mattina sorge il sole e poi tramonta così la vita di ciascuno ha un inizio e finisce” è un esempio stupidissimo di analogia, il primo rapporto è assolutamente ovvio, inevitabile ed è questa inevitabilità del primo rapporto che rende il secondo così credibile, così facilmente credibile perché il primo spiana la via al secondo. Come vi dicevo logicamente non ha nessun valore, il fatto che il primo rapporto abbia qualche validità non significa affatto che questo possa essere ricondotto al secondo e cioè che ci sia una connessione tra il primo e il secondo, qualunque mente ben esercitata e attenta non accoglie nessuna analogia ovviamente, però retoricamente invece funziona, è come se compisse una sorta di magia, dato il primo rapporto come sicuro, come certo, come ovvio si crea una connessione con il secondo il quale trae dal primo la stessa assoluta indubitabilità, la stessa forza, la stessa certezza. Vi suggerisco questo perché mi sembra siano abbastanza efficaci come modalità d’uso per così dire, se ne possono trovare anche altre di figure naturalmente da utilizzare. Tutto questo per dare un suggerimento sul modo di costruire un intervento in modo che le persone possano accogliere ciò che andiamo proponendo, ciò che andiamo proponendo non è semplice da intendere, non è semplice perché è stato costruito nel corso degli anni e naturalmente comporta una difficoltà di intendimento, nessuno è mai stato addestrato a pensare che ogni cosa sorge dal fatto che ci sia il linguaggio e che senza linguaggio non esisterebbe niente, non più di quanto esista per una mosca, e ciascuno come dicevo all’inizio è sempre stato indotto a pensare che la realtà esiste al di fuori di lui ed è quella che è e nessuno può farci niente, ma non è così e noi andiamo dicendo proprio questo, sottolineando la potenza immensa che ha il linguaggio della quale potenza già gli antichi si erano accorti senza tuttavia portarla alle estreme conseguenze. Dopo questo se è possibile inserire ciò che si vuole dire all’interno di un racconto, di una storia, perché la storia è più facile, avvince di più e anche di questo continueremo ad occuparci ovviamente. Gli altri titoli che abbiamo dato si prestano moltissimo per un racconto, alcuni partono da una novella come il mio, come quello di Beatrice, anche quello di Sandro e Eleonora, un dialogo fra uno psicanalista e sua figlia, sono sicuro ci sarà la sala piena quella sera. Puntare molto sulla psicanalisi. Bisogna fare molto esercizio e trovare molte analogie tra ciò che noi andiamo proponendo e qualunque altra cosa che risulti assolutamente ovvia, normale, questo può costituire un accesso alle persone perché abbassa le difese, l’analogia ha questa virtù, prima una cosa assolutamente ovvia e comune e poi surrettiziamente si propone quell’altra che non è così automatica però essendolo la prima ed essendo una connessione più o meno generica, più o meno pilotata viene ad acquisire la stessa certezza. Si tratta di suggerire anche delle tecniche per costruire in modo migliore delle argomentazioni, il modo migliore è quello che risulta più efficace ovviamente, quello che risulta più efficace è quello che porta le persone a incuriosirsi, a essere curiose, a volere quindi proseguire una ricerca. Dicevo prima che ciò che andiamo proponendo non è così semplice e non è stata neanche così semplice la ricerca che abbiamo compita in questi anni … Intervento: la questione dell’identificazione è fondamentale per questo motivo funziona più il racconto che … non si riesce magicamente esponendo una teoria …
Certo, come identificarsi leggendo un manuale di logica formale, chi si identifica con una p tale che se p allora q? Ci sono le condizioni anche per un salto qualitativo che tiene conto di un apporto retorico più forte e più efficace sia anche di un apporto teorico, la teoria è importante perché è quella cosa che fa diventare semplici cose che apparentemente sono difficilissime e finché sono difficilissime per qualcuno spiegarle è difficile, se invece diventano semplicissime allora ecco che si possono trovare i modi per illustrarle in modo molto semplice. Come andiamo dicendo spesso le cose in realtà sono straordinariamente semplici, la difficoltà sta nell’accorgersene che sono così semplici e la teoria serve proprio a questo, a intendere come di fatto qualche cosa che poteva essere un’intuizione, cioè che il linguaggio non soltanto ha una portata enorme ma è la condizione di qualunque cosa possa pensarsi, immaginarsi, viversi, finché rimane un’intuizione così come la più parte delle teorie che muovono da qualcosa che rimane un’intuizione e che come tale non è provabile non ha un grande interesse, ma se questa intuizione giunge a potere provarsi in modo ineccepibile oltreché inattaccabile ecco che allora non è più un’intuizione, è un asserto teorico e affermare che qualunque cosa è un elemento linguistico è un asserto teorico che come tale è provabile nel senso che è possibile costruire un’argomentazione che renda questo asserto inevitabile, ineluttabile perché si mostra abbastanza facilmente che qualunque criterio per mostrare la validità di un asserto è costruito dal linguaggio necessariamente, e di conseguenza essendo costruito dal linguaggio si atterrà alla sua struttura, alle sue regole, alle sue procedure e non potrà uscire da questo, e allora si può fare addirittura il passo successivo e intendere che è la struttura del linguaggio che decide ciò che è vero e ciò che è falso: visto che il linguaggio è la condizione per costruire qualunque criterio di verità. E ancora accorgersi che stabilito tutto questo anche tutto questo che è stato stabilito e appartiene a questa struttura e che non può uscirne in nessun modo, se io volessi per un ghiribizzo qualunque uscire dal linguaggio come farei? Se volessi costruire un criterio per uscire dal linguaggio lo dovrei costruire con il linguaggio naturalmente. A questo punto intendere come funziona il linguaggio diventa irrinunciabile, se il linguaggio è responsabile di tutto sarà pure interessante sapere come funziona visto che il modo in cui funziona decide di tutto, perché qualunque altra cosa si atterrà al suo funzionamento inesorabilmente. È questo che ci ha condotti anche ad affermare che ciò che comunemente si chiama realtà non è altro che il significato delle cose, l’essere un qualche cosa qualcosa, e perché questo qualche cosa sia qualcosa occorre una struttura che lo possa considerare, che lo possa affermare, stabilire, in assenza di linguaggio di tutto ciò non potrebbe accadere né sarebbe mai accaduto, né sarebbe mai esistito alcunché. Giungere a questo non è semplice, occorre considerare molto attentamente le questioni, certo ci siamo avvalsi ovviamente di moltissime letture però è una conclusione inevitabile se si proseguono le questioni e non ci si accontenta di fermarsi a qualche petizione di principio, ma se si chiede conto anche a questa petizione di principio, a questo atto di fede di rendere conto di sé il punto sul quale ci si arresta è la condizione per potere pensare qualunque cosa, per poterla affermare. Asserire e mostrare tutto questo in una conferenza cioè in uno spazio di 60 minuti o poco più non è semplicissimo, ecco perché bisogna lavorarci e trovare delle vie e l’analogia mi sembra un ottimo sistema, e l’auctoritas, sono modi che aggirano le perplessità, le difficoltà di chi ci ascolta. Incominciare a fare intendere a chi ci ascolta che le cose potrebbero non essere proprio esattamente come appaiono, e invogliarle a proseguire lungo questa via e vedere che altro c’è, che altro si può trovare, che direzione sia possibile intraprendere che sia almeno meno ingenua, in fondo l’ingenuità il più delle volte è foriera di malanni ché la persona essendo ingenua non si accorge di un sacco di implicazioni, di connessioni e non tenendone conto mal gliene incoglie …
Intervento: chi si accontenta si dice che vive contento e invece no si rassegna …
È sempre comunque una rinuncia, rinuncia a una serie di cose alle quali invece in cuor suo non vuole affatto rinunciare, e poi queste cose riaffiorano magari prepotentemente e allora ricomincia con le rivendicazioni, in genere avviene così. E ancora fare intendere l’importanza, la priorità della pratica analitica, del percorso analitico e come sia fondamentale per intendere: è fondamentale parlare, incominciare a parlare, incominciare ad ascoltare il proprio discorso, accorgersi di cose delle quali non ci si è mai accorti e non ci si accorgerebbe mai se qualcuno non lo facesse notare e perché qualcuno possa farle notare occorre che non sia coinvolto né nelle proprie questioni né in quelle altrui, non abbia più nessun interesse a una cosa del genere ma abbia un interesse unicamente teorico per il suo discorso. C’è un punto in effetti oltre il quale le proprie fantasie cessano, non è che non esistano più, una fantasia se uno la intende unicamente come il modo in cui dice le cose le fantasie sono inevitabili, sono imprescindibili, ma non ha più l’interesse a mantenerle cioè ad attenercisi a queste fantasie, non ne è più interessato …
Intervento: come fossero le uniche che consentono di parlare …
Sì, e in effetti per la più parte degli umani è esattamente così per questo non ci rinunciano, per questo sono così fortemente aggrappati e si accontentano, mentre la fantasia di per sé non è altro che una stringa di significanti, è un discorso qualunque che di per sé non è né vero né falso, non significa niente, incomincia a significare quando viene creduto vero, cioè le premesse su cui è sostenuto si ritengono assolutamente vere e inattaccabili e incrollabili e allora sì, allora diventa un problema ed è il momento in cui la persona incomincia ad avvertire problemi …
Intervento: il pensiero in fondo funziona per analogie …
È la via più rapida questa in cui si muove il pensiero: se quella volta è stato così allora anche questa volta sarà così, l’analogia è una sorta di congettura, un’ipotesi sì ma anche l’induzione è un ipotesi, l’abduzione invece è più vicina all’analogia. Sono tre le inferenze: deduzione, induzione, abduzione, la deduzione “tutti gli umani sono mortali, Socrate è umano, Socrate è mortale” la maggiore (la prima) è un universale, la seconda, il medio, è implicito nella maggiore Socrate è un uomo, abbiamo detto che tutti gli uomini (soggetto) sono mortali (predicato) la conclusione è che se tutti gli umani sono mortali e Socrate è umano allora necessariamente sarà mortale. L’abduzione parte sempre da un universale, cioè tutti gli umani sono mortali però scambia il medio con la conclusione e dice “tutti gli umani sono mortali, Socrate è mortale quindi Socrate è umano” che non è una deduzione perché si da il caso che alcune cose siano mortali ma non siano animali né umane, per esempio la pianta è mortale, una stella può essere considerata mortale, quindi è una congettura, non dà il grado di certezza che dà la deduzione perché appunto può essere falsa. Tutto il sistema inquisitorio, tutti i polizieschi hanno questa struttura, la più probabile, la più plausibile, ma non è certa, l’unica certezza la offre la deduzione, per questo, sapendo perfettamente questo, siamo partiti da un asserto assolutamente certo, indubitabile e non negabile cioè che qualunque cosa è necessariamente un elemento linguistico, una volta stabilito questo bisognava procedere per deduzione. Quindi una teoria che voglia procedere per certezze e non per abduzioni cioè per congetture deve costruire tutte le sequenze in modo deduttivo necessariamente, e cioè ogni conclusione deve potere essere ricondotta al punto di partenza e trovare in questo la sua conferma, è inesorabile, a questo punto al teoria è assolutamente corretta, non soltanto valida ma anche corretta. Sono questioni che verranno riprese moltissime volte e che costituiranno motivo di discussione …
Intervento: sulle fallace linguistiche per esempio anche il sillogismo di Pietro e Paolo è considerata una fallacia …
Lo illustriamo per il nostro amico Alessandro che forse non lo conosce: Pietro e Paolo sono apostoli, gli apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici” non fa una grinza. Qui il fatto è che la premessa maggiore non è universale ma è particolare e quindi non è necessaria …
Intervento: le fallace … si creano dei sillogismi assolutamente credibili formalmente sono corretti ma nelle conclusioni, il discorso comune viaggia attraverso fallace) ininterrotte certo ( e non è solo entimema …
Anche l’epicherema, che è sempre un sillogismo dove la premessa maggiore è data per universale mentre invece è assolutamente dubbia e incerta …
Intervento: la questione circa l’irrazionalità del discorso comune che non è razionale né irrazionale ma si tratta di rendere comune la direzione di una regola se si parte da un universale non si parte da un particolare è una regola del gioco … mentre invece la violazione di una regola diventa pratica comune …
È questo che dicevamo a proposito di insegnare a pensare, evitare di giungere a conclusioni squinternate partendo da premesse dubbie, cosa che invece avviene continuamente. È una cosa che nessuno insegna, nessuno insegna a fare una cosa del genere perché nessuno si occupa di linguaggio, del suo funzionamento perché è considerato banalmente una branca della linguistica oppure della logica, cose limitate a pochi addetti ai lavori, e l’altro è un motivo più politico, le persone meno pensano e meglio è e anche questo non è marginale …
Intervento: sì però se gli umani avessero avuto questa chance di intendere come tutto proceda da una struttura forse avrebbero dato un po’ più di dignità a quello che dicevano … però è questa la questione centrale per questo le persone quando noi parliamo di linguaggio lo considerano una branca della linguistica qualcosa che loro producono, un mezzo ma…
Questo è il messaggio che dobbiamo trasmettere: che ciò che proponiamo non è un’alternativa fra varie cose ma è la soluzione …
Intervento: …
Sì certo, a quel punto la responsabilità è automatica, ciascuno sa e non può non sapere che ciò che pensa, ciò che gli accade, ciò che produce è qualcosa che gli appartiene. Quando diciamo che è il linguaggio che risponde significa semplicemente che il linguaggio avendo costruito delle cose, così come le ha costruite le dissolve e in più la persona sa perfettamente che ciò che ha costruito appartiene al suo pensiero e quindi può interrogare da dove vengono questi pensieri e perché li ha pensati, per esempio, come gli è venuta in mente una cosa del genere …
Intervento: certo che se il pensiero è opera della natura non lo si può interrogare …
È per questo che dobbiamo lavorare sulla questione della realtà, perché è sempre questo che ci viene obiettato, sempre comunque, e la questione più complessa, è la madre di tutte le superstizioni. Però possiamo recuperare questo termine dicendo che la realtà di fatto è il linguaggio, nient’altro che questo, per questo dicevo che la realtà è la semantica che procede dalla sintassi del linguaggio.