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26-10-2004

 

Intervento: occorre arrivare all’arbitrarietà delle cose, con che cosa? Con il pensiero…

È una questione di approccio, per esempio o ci si interroga su come eliminare il disagio, o porre rimedio al disagio, oppure ci si interroga su che cosa sia il disagio. Basta che una persona dica che ha delle paure, delle angosce, dei timori, delle depressioni ecc. e immediatamente quello che dice viene preso per buono, nel senso che questa persona dice di avere qualche cosa, cioè pensa qualche cosa che non vuole pensare, ché poi il disagio non è nient’altro che questo nel luogo comune…

Intervento: non ho inteso

Pensa qualcosa che non vuole pensare “penso che a mio figlio succederà un disastro” però non voglio pensarlo se no sto male. Forse finché ci si adopera ad eliminare il disagio si parte male, anzi malissimo…

Intervento: non credere al disagio

Non c’è da credere né da non credere, e anche se si parte dal personaggio in quanto tale si parte malissimo, occorre muovere dal funzionamento del linguaggio, non è la persona, è linguaggio, è il discorso che sta muovendo, sta costruendo, svolgendo cose, sta facendo ciò per cui è fatto, nient’altro che questo. Ci sono delle affermazioni che possono essere fatte a condizione che la persona non ne sia responsabile, si possono affermare a condizione di non esserne responsabili e cioè a condizione che non sia la persona stessa a volere una cosa del genere, ma la enuncia come una possibilità, una possibilità reale, concreta, la persona che amo e che mi è tanto cara potrebbe finire sotto il tranvai, è una possibilità. Sì, certo, per cui si toglie la responsabilità di questo pensiero, si toglie una responsabilità e utilizza una possibilità da tutti riconosciuta ma il fatto che possa dire questa cosa a condizione di non esserne responsabile è importante, come dire che il discorso, poniamo la questione in termini più precisi, può affermare qualcosa soltanto se non è il discorso ad affermarla, che è una strana combinazione di cose. Come può il discorso fare una cosa del genere? Attenendoci all’esempio di prima, quello della persona cara, se il discorso potesse riconoscere una cosa del genere si troverebbe di fronte a un’antinomia, cioè sarebbe costretto a domandarsi “allora mi è cara o non mi è cara?” perché se da una parte dico che l’amo e dall’altra dico che la voglio fare fuori, allora l’amo o non l’amo? E questo crea un problema, non alla persona della quale persona con tutto il rispetto parlando non ce ne importa niente, ma al discorso, cioè a questa struttura che si va svolgendo, la quale struttura non può accogliere una cosa del genere perché sarebbe come una sorta di paradosso e quindi non la può utilizzare, e pertanto deve eliminarne una. Di fatto la elimina dicendo che non è questo che vuole e, apparentemente, suppone di averla eliminata, solo che in questo caso è qualcosa che il suo discorso insegue, desidera sia l’una cosa che l’altra, sia fargli una coccola, sia tagliargli la gola. Ma occorre che sia una proposizione che coinvolge lo stesso discorso, per esempio se questo stesso discorso si trovasse di fronte al paradosso del barbiere, il quale rade tutti coloro che non radono se stessi, si troverebbe dunque di fronte a un paradosso ma non è che la cosa lo preoccuperebbe più di tanto perché non coinvolge direttamente, chiamiamoli così, in modo folcloristico, i suoi stessi supporti, ciò di cui è fatto, mentre una cosa del genere, quella della persona cara sì, coinvolge ciò di cui è fatto, e allora deve eliminare una delle due, elimina quella che ritiene più opportuna per una questione etica, di educazione, varie cose ma non è tanto importante, qual è che elimina? Il fatto è che il discorso deve eliminarne una se no si trova di fronte a una formulazione paradossale e non sa più cosa fare e quindi non lo fa. È anche per questo che il discorso dell’utilitarismo regge fino ad un certo punto, perché ciò che è utile per la persona può essere qualcosa di piuttosto squinternato e che apparentemente la danneggia, le persone fanno cose che non gli sono affatto utili anzi, creano un sacco di disastri, dunque il disastro è l’utile? È una possibilità, ma sicuramente non è ciò che lo rende felice almeno a quanto lui ci dice, è qualcosa che, se vogliamo metterla in questi termini, utilizzando ancora l’utile, è ciò che è utile al proseguimento del discorso, è utile per proseguire, per costruire proposizioni, non c’è nessun altro tipo di utilitarismo, ciò che è utile proseguire il discorso, e tutto il resto non ha nessun interesse né alcun rilievo per gli umani. Allora, per tornare alla questione da cui siamo partiti, va posta la questione in termini radicali, cioè ciò che il discorso enuncia come disagio non è altro che trovarsi di fronte alla situazione che non può essere composta perché sono due termini antinomici, e di fronte a questa antinomia il discorso non prosegue e quindi deve eliminarne una e quindi deve cancellare l’idea di tagliare la gola al figlioletto e conservare invece quella che dice che vuole fargli le coccole. Perché il discorso, in questo caso sarebbe più proprio parlare di linguaggio, non può proseguire di fronte a due termini contrapposti perché se lo potesse fare cesserebbe di funzionare perché varrebbe in termini logici affermare che qualcosa è un elemento linguistico e al tempo stesso non lo è, che è un problema perché negherebbe se stesso, e si arresta a questo punto, per cui non lo fa e il discorso, che non è nient’altro che linguaggio in atto, di fronte a un’antinomia elimina uno dei due corni del dilemma A questo punto interviene un’altra questione, perché il discorso sa che anche da quell’altra parte e cioè dell’eventualità di tagliare la gola al figlioletto ci sono un sacco di proposizioni che possono essere costruite e quindi non le abbandona del tutto, le mantiene ma il modo per poterle mantenere è cessare di averne la responsabilità…

Intervento: pensavo che parlasse di pensieri

Di questo pensiero: “non sono io che lo penso ma è una possibilità, può succedere, è così il discorso riesce a mantenere entrambi i corni del dilemma senza rinunciare a nulla che gli consenta di costruire proposizioni e cioè di proseguire in entrambe le direzioni, che è un bel vantaggio…

Intervento: cioè le mantiene negando la propria responsabilità…

Infatti la persona che è preoccupata per la salute dei propri cari che non vadano a finire sotto il tranvai, si dà un gran da fare, pensa, immagina, si fa la scena, si gira il film, magari è già lì che porta i fiori sulla tomba, insomma è una cosa che gli dà da dire, da parlare per anni e troverà sempre argomenti perché se anche aboliscono i tranvai ci saranno i pullman, le macchine, le motociclette, e le grondaie pericolanti…

Intervento: parallelamente al discorso di amare una persona funziona il discorso di volerla uccidere

È possibile, io sto parlando del caso in cui questo accade, non sto dicendo che accade sempre…

Intervento: però il volere bene non necessariamente c’è l’altro discorso vicino… cioè se uno si trova in quel discorso ovviamente

Parlavo di questo certo, dove ci sono entrambe le cose, se c’è n’è una sola, se vuole solo la morte per esempio non c’è problema…

Intervento: la mamma che desidera uccidere il bambino perché in qualche modo nega la propria responsabilità diventa un rafforzativo per l’altro corno

Gli consente di esistere…

Intervento: gli consente di pensarsi un’ottima madre perché sarà sempre spaventata, premurosa, attenta questo viene riconosciuto dal luogo comune come una sorta di modello… questo rafforzativo porta un senso di verità perché se io sono così allora è vero che io sono un’ottima madre

Sì, entrambi vengono rafforzati perché è anche vero che può accadergli qualcosa quindi è vera anche quell’altra che deve rimanere vera e mica ci rinuncia così, però certo il fatto che trovi in questo il conforto di tutti rende ancora più vero…

Intervento: la negazione della responsabilità rende un corno…

Quello che per la persona è ritenuto il bene…

Intervento: lei diceva il mantenerlo perché questo mantenerlo, questo secondo corno del dilemma viene mantenuto perché è ciò che fa da sostegno all’altro…

Fa da sostegno alla sua preoccupazione, e in questo caso occorre che uno dei due sia fortemente considerato qualcosa di assolutamente sconveniente, perché potrebbero anche esserci i due corni ma senza che ci sia una de responsabilizzazione per esempio in tempo di guerra una persona viene fatta prigioniera: parla e si salva la vita oppure tace e perde la sua? Qui non c’è uno dei due che deve essere cancellato, sono entrambi presenti, deve solo scegliere, è lui che deve decidere, sono presenti entrambi. Nel caso precedente no, perché per motivi etici, morali, civili, sociali e chi più ne ha più ne metta, uno dei due non può essere accolto…

Intervento: il disagio è dato dal faccio bene o faccio male

Non necessariamente, nella depressione per esempio non c’è il faccio bene o faccio male, le cose sono un disastro, non c’è salvezza e non mi resta che stare qui ad aspettare la fine del mondo…

Intervento: la depressione l’abbiamo identificata come una paranoia c’è una verità, una certezza, certezza di essere dio nella depressione di essere l’ultimo dei dannati però negli altri casi di insicurezza…

Nell’angoscia, anche lì non c’è il dubbio, una madre che è terrorizzata dall’idea che il figlio possa finire sotto il tranvai non ha né dubbi né incertezze perché è sicura che può accadere, è per questo che è spaventata, però ci sono anche dei casi dove in effetti è l’insicurezza, è il dubbio a creare il disagio e allora, sì, si pone la domanda: faccio bene o faccio male a impedire a mio figlio di uscire poiché ha combinato questo malanno?