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26-3-2014

 

L’identità è stata ricercata come se dovesse manifestarsi da sé, cosa che non può fare in nessun modo. Si tratta soltanto di un mezzo per potere utilizzare delle parole, dei termini. Si stabilisce che l’identità è quella, ma non è quella di per sé, è stato stabilito, esattamente come avviene con le carte da poker, si decide di utilizzarlo in questo modo e ogni volta che si utilizza in un certo contesto avrà quel significato, tutto qui. La questione dell’identità è importante perché riguarda l’affermare qualcosa. Quando si parla è difficile esimersi dal compiere affermazioni, e ogni “affermazione” appunto, come dice la parola stessa, ferma, ferma in una sorta di identità, cosa vuole dire questo? Che quando si afferma una certa cosa, questa certa cosa esclude che ciò che si sta affermando sia altro da ciò che si sta affermando, sembra una banalità, ma è una cosa importante che riguarda ciò che dirò del potere tra poco; quando si afferma qualche cosa, ciò che si afferma esclude che ciò che si sta affermando sia altro da quello che si sta affermando, stabilendo così una sorta di identità, identità a sé di ciò che si afferma, ciò che si afferma viene stabilito a questo punto come qualcosa che è differente da qualunque altra cosa rispetto a ciò che si afferma: se io affermo “che a” allora escludo qualunque altra cosa. Severino Boezio nella sua Teologia Cristiana si pone proprio questa questione: quando si afferma una dottrina, nel suo caso ovviamente la fede cristiana, questa, quando si afferma, esclude necessariamente qualunque altra cosa, e qualunque altra cosa rispetto a ciò che si è affermato è un’eresia, nel caso ovviamente di Boezio, ma un’eresia nel senso che afferma il falso, non è soltanto un’altra cosa, è il falso, che è importante perché comporta che chiunque affermi cose che non sono quelle che affermo io, afferma il falso. Ecco che si affaccia la questione del potere, si affaccia perché a questo punto se io affermo qualche cosa e questo qualche cosa, per il fatto di essere stato affermato, esclude qualunque altra affermazione, mi trovo nella condizione di esercitare un potere affermando questo qualche cosa su tutti, perché ciò che sto affermando, escludendo l’eventualità contraria o qualunque altra eventualità, esclude tutto il resto. Questo induce a considerare che non potendo, mentre si parla, non affermare delle cose, tutte queste cose che vengono affermate costituiscono un insieme di elementi che devono essere riconosciuti dagli ascoltatori come delle, chiamiamole pure, “rivelazioni”, cioè io sto dicendo delle cose che sono quelle che sono, “quelle che sono”, questa sottolineatura è importante cioè non sono altro da ciò che sono e quindi dicono esattamente questo, e quindi questo è. Questo ha comportato naturalmente dei problemi in alcune teorie psicanalitiche tra le più recenti, perché ovviamente contrasta con l’idea che ciascuna cosa sia differente da sé. È ovvio che la questione non poteva essere risolta, infatti non lo è stata ma semplicemente è stata cancellata. Ma questo è un altro discorso. Vi dicevo che parlando non è possibile non compiere affermazioni, e questo è un problema in un certo senso, un problema perché mette nella condizione di dovere fermare, stabilire e sanzionare di volta in volta delle cose che, affermandole, proprio letteralmente fermandole, sono quelle che sono. Potremmo dire che il potere sorge dal fatto che parlando non è possibile non affermare qualcosa. Ciò che comporta tutto questo immediatamente è che è irrinunciabile questa idea, questa fantasia di potere. È irrinunciabile perché parlando io sanziono, stabilisco delle cose e una volta che le ho affermate sono lì, identiche a sé, in attesa di essere accolte da chi mi sta ascoltando. Questo mostra anche la difficoltà presente negli umani in generale di potere considerare che ciò che fanno mentre parlano sia un gioco linguistico, perché considerare questo comporterebbe dire che sì, io affermo perché non posso non farlo, lo sto facendo anche adesso, ma sto facendo un gioco, e quindi queste affermazioni che compio sono vere all’interno del gioco che sto facendo, qui e adesso, e tali affermazioni vengono fatte al solo scopo di proseguire a giocare. Vi rendete conto immediatamente e facilmente come questo sia molto difficile da accogliere perché quando si afferma qualche cosa, e avvengono tutte quelle situazioni che ho appena enumerate, ciò che si sta affermando è quello che è e quindi esclude tutto il resto, è come se escludesse anche, che tutto ciò che si sta facendo è un gioco, per quale motivo? Il non potere considerare che ciò che si sta facendo parlando è un gioco, è strettamente connesso al trovarsi, parlando, ad affermare cose, perché mentre affermo qualche cosa questo qualche cosa che sto affermando deve essere una verità universale, perché soltanto se si pone come verità universale ha la proprietà di potere essere affermata con assoluta certezza e di escludere l’eventualità che non possa essere che così come sto dicendo, ma se è una verità universale allora non è più all’interno di un gioco, cioè non è valida solo all’interno di quel gioco, perché questo la renderebbe una verità particolare, specifica di quel gioco, cioè direbbe che “c’è una x, tale che”. Una affermazione che deve porsi come affermazione universale esclude ovviamente che sia un’affermazione particolare, quindi non può essere in un gioco ma deve essere qualche cosa che è vero sempre comunque e in qualunque circostanza. Vi ho fatto l’esempio varie volte, tratto dalla teoria di Verdiglione, cito la teoria di Verdiglione perché è per questo aspetto paradossale, nel senso che da una parte afferma che qualunque atto linguistico, essendo preso nella rimozione differisce da sé, d’altro canto, affermando questo, afferma che non è possibile che un elemento, una parola non sia preso da rimozione e quindi non sia identica a sé, facendo quindi un’affermazione universale esclude che sia un caso particolare, ma afferma che è un caso universale, cioè che non c’è una possibilità che una parola non sia differente da sé, perché se non fosse differente da sé allora sarebbe identica a sé, questo significherebbe che quella parola non è presa dalla rimozione, e cioè che esiste almeno un atto linguistico che non è rimosso. Se questa esistenza riguarda almeno un elemento è esistenziale, ma se riguarda tutti gli elementi allora diventa universale. Verdiglione esclude la questione dicendo che non esiste la quantificazione universale, però non si accorge che la sta formulando dicendo che un significante rimosso funziona come nome e qualunque significante è colpito da rimozione, sta compiendo un’affermazione universale. Dunque riprendendo la questione del potere, che sorge dalle affermazioni e cioè dall’impossibilità di non affermare qualcosa, tutto questo ci conduce a porre la questione della fantasia di potere come qualcosa che procede direttamente dal funzionamento stesso del linguaggio, cioè non è possibile non affermare, quindi tecnicamente non sarebbe possibile non trovarsi presi in questa fantasia di potere, e cioè dall’idea di stare formulando, ciascuna volta che si afferma qualcosa, un’affermazione universale che deve valere per tutti, un’affermazione sub specie aeternitate. Non è possibile perché manca quella informazione che abbiamo detta varie volte all’inizio, e cioè che tutto ciò che sta funzionando è un gioco linguistico e cioè che trae la verità delle regole che lo strutturano e non dalla realtà, cioè da qualche cosa che è fuori dal linguaggio, ma dalla struttura stessa in cui questa informazione è inserita. Per esempio se io pongo il primo degli assiomi della logica formale, “se a, allora se b allora a” qualunque valore di verità attribuita a queste variabili porterà sempre a una verità, ché è una tautologia: questa sarebbe un’affermazione che è sempre vera se si accolgono ovviamente le regole di quel gioco, quel gioco che è noto come “logica formale”, se non si accolgono quelle regole tutto ciò non significa niente, però all’interno di questo gioco questa affermazione è sempre vera. Che cosa mi dà potere? In questo caso mi dà il potere di costruire, una volta che ho stabilito che è sempre vero, cioè una tautologia, di stabilire altre sequenze che possono essere infinite, tecnicamente, o presumibilmente infinite o comunque straordinariamente complesse, e se ciascuna di queste sequenze non contraddice gli assiomi di partenza, concluderà sempre con affermazioni vere. Questo può servirci per mostrare come si costruisce il potere: se io posso stabilire in base a un certo gioco che questo assioma “se a, allora se b allora a” è sempre vero e da questo posso costruire una quantità praticamente infinita di teoremi sempre veri, allora mi trovo a esercitare un potere, in questo caso limitato magari a questa cosa, rispetto a questa questione, ma un potere illimitato, come se fossi dio, posso tutto a questo punto perché ho stabilito una premessa, un assioma in questo caso, che è sempre vero, che è una tautologia, e che non può non essere vero. Qui sta la questione fondamentale, e cioè non esiste nessuno che possa dirmi che questo non è vero, nessuno se naturalmente accoglie questo gioco “la logica formale”, perché se non l’accogliesse allora il discorso sarebbe più complicato. Una fantasia di potere immagina che la premessa da cui muove abbia la stessa forza, la stessa coercizione che ha questo assioma all’interno della logica formale, che non può essere né falsificato né ignorato, ma è quello dice quello che è, e nient’altro, e dicendolo dice una “verità assoluta”. Quando si afferma qualche cosa, se non ci si accorge che ciò che si sta affermando è vero all’interno di un gioco linguistico, questa affermazione è come se avesse la stessa forza dell’affermazione che dice che “se a, allora se b allora a” all’interno di un calcolo di logica formale, cioè è ineccepibile, inattaccabile, indistruttibile e questo mi dà il potere di muovere da lì per potere costruire altre cose, per interpretare altre cose, per dire la mia su tutto. Una fantasia di potere si costruisce così, a partire da un’affermazione che non è propriamente né pensata né creduta, ma è posta come universale. Ma per potere fare questo è importante non mettere mai in discussione tutte quelle sequenze che hanno condotto ad affermare quella premessa, che è esattamente invece il lavoro che abbiamo, cioè incominciare a interrogare tutte le premesse su era costruita la teoria di cui allora ci si avvaleva, e in seguito a questa anche altre teorie, mettere cioè in discussione i principi fino giungere a considerare che sì, il primo assioma della logica formale è indubbio, certo, ma le regole della logica formale non lo sono, non sono indubbie. È stato messo in dubbio che la logica, le regole della logica formale siano qualcosa di naturale e cioè fuori dal linguaggio, e cioè vere di per sé, ma non sono vere di per sé, il vero di per sé sarebbe tale fuori dal linguaggio, fuori dal linguaggio e stabilito da un entità che ha deciso che è così, che ha il potere di farlo, dio per l’appunto. Riprendiamo questa questione dell’affermazione universale, perché è una questione centrale in tutto ciò: ogni affermazione che viene fatta all’interno di un discorso sono considerate in genere delle affermazioni universali, se un’affermazione universale all’interno di questo sistema teorico fosse considerata un’affermazione particolare tutta la teoria crollerebbe, per questo dicevo che è una questione importante, tutta una teoria si regge su questo e cioè sull’idea che le sue affermazioni siano universali, togliete questa credenza, questa superstizione, e crolla tutto, così come è avvenuto in ciò che abbiamo fatto in questi anni. Crolla tutto nel senso che non è più sostenibile se non come un gioco al pari di qualunque altro, mentre una teoria non si pone come un gioco, qualunque teoria non può porsi come un gioco perché è costretta fare affermazioni universali, queste affermazioni universali dicendo come stanno realmente le cose escludono che siano in un altro modo, e quindi non può più giocare. Un gioco è sempre particolare, anche se si dà delle affermazioni universali se le dà comunque all’interno del gioco, così come i connettivi o le carte del poker, dice soltanto che ogni volta che si fa questo gioco questo elemento significa quello e non può non significare quello se vogliamo fare questo gioco ovviamente. È una questione di una tale importanza e vastità che è molto difficile da trattare, ed è molto difficile da tenere in conto quando non soltanto si costruisce una teoria ovviamente, ma anche quando si legge una teoria, una qualunque teoria, si è immediatamente presi da questa serie di affermazioni e quasi in automatico accade che vengano prese come affermazioni universali, come affermazioni di verità…

Intervento: anche gli “uditori” quelli per esempio che vengono alle conferenze esigono delle affermazioni universali…

Questa è un’altra questione, importante certo, il fatto di esigere affermazioni universali, per potere fare che cosa? Perché queste affermazioni possano essere accolte come vere, perché non basta che siano vere all’interno di un gioco come abbiamo detto prima, occorre che siano vere sempre, verità sub specie aeternitate, appunto verità universali, quindi se qualcuno afferma qualche cosa è chiaro che si pretende da lui che queste affermazioni abbiano un valore universale, cioè possano essere utilizzate per costruire altre sequenze. Se io prendo il testo di Freud, e immagino che quello che dice sia vero, come molti fanno per altro, è chiaro che questa affermazione di Freud, qualunque essa sia, ha un valore universale, cioè non è possibile che non sia così, e ogni volta che si verifica una certa situazione quello che ne dice Freud è vero. Chi legge Freud in genere si aspetta questo, si aspetta che sia così, cioè che la persona compia delle affermazioni universali, perché? Per due motivi, primo perché se è universale fornisce appunto un criterio di verità a cui appigliarsi, secondo, perché un’affermazione universale è sempre soggetta a una contro argomentazione, e cioè è sempre possibile costruire un quantificatore esistenziale che dice che c’è almeno un caso che non è così, almeno uno, poi se ce ne sono di più meglio, ma uno è sufficiente a non renderla più un’affermazione universale, nel momento in cui non la rende più un’affermazione universale questa affermazione perde di potere, non ha più potere…

Intervento: ma non potrebbe essere che la teoria deve descrivere qualcosa di esterno alla teoria stessa, l’oggetto, la realtà che è fuori dal linguaggio e quindi è costretta a fare affermazioni universali?

La teoria potrebbe anche parlare di se stessa, e in effetti la metamatematica fa questo, è una teoria che parla di sé…

Intervento: qui si arriva alla questione del metalinguaggio, un linguaggio sul linguaggio, e il linguaggio oggetto è comunque fuori dalla teoria stessa, perché parla di qualche cosa che non è se stessa e che quindi mi chiedevo se l’affermazione di tipo universale sia assolutamente necessaria a partire da questo presupposto?

Ogni volta che si afferma qualche cosa si compie un’affermazione “universale”. Parlando si parla sempre di un qualche cosa, anche se parlo di ciò di cui sto parlando, ciò di cui sto parlando diventa oggetto, questo ha a che fare con l’affermare qualche cosa, dal momento in cui affermo qualche cosa è come se la ponessi in un certo qual modo fuori da ciò che sto dicendo in questo momento, la fermo, cioè questa cosa non è più presa all’interno del movimento del gioco linguistico ma viene bloccata “è così”. Se un oggetto è immaginato fuori dal linguaggio sì, sicuramente, ma io vedo la cosa più ampia: qualunque cosa si affermi, indipendentemente dal fatto che sia pensata fuori dal linguaggio o nel linguaggio, come stiamo facendo, affermando qualche cosa la blocco dicendo che è così ed escludendo che possa essere altrimenti, questo appare inevitabile ogni volta che si afferma qualunque cosa. La cosa interessante è che questa affermazione, se pure non può non farsi, cioè non può non fermare qualche cosa, non può non essere che all’interno di un gioco, questo ha una portata clinica notevolissima, perché mostra l’unica cosa che un percorso di analisi può fare e deve fare, cioè portare una persona alla considerazione che le sue affermazioni, che crede essere universali, che cioè dicano come stanno le cose, portarle invece a un gioco particolare, e quindi rilevare, primo, qual è il gioco che si sta facendo, secondo, considerare che ciò che si sta affermando è particolare a quel gioco. Togliendolo dall’universalità si toglie la necessità che questa affermazione debba e possa essere applicata a qualunque cosa, e quindi imposta a qualunque cosa, perché se è vera in assoluto è chiaro che può essere imposta su tutto e su tutti, su tutto e cioè su altri discorsi, su altre affermazioni. Pensate alla depressione, le affermazioni che produce la depressione definiscono uno stato di cose, e questo stato di cose che definiscono poi si applica a qualunque altra cosa che compaia nel discorso, e può essere applicata e viene applicata proprio per questo, perché è creduta universale, quindi essendo vera in assoluto è vera in ogni ambito ovviamente e non soltanto all’interno di questo gioco. La portata clinica di cui vi dicevo è fondamentale perché costituisce la differenza tra la clinica, così come è comunemente intesa nella psicanalisi, e invece una clinica che procede dall’analisi che stiamo facendo del linguaggio, della parola, cosa che distrugge qualunque teoria, la demolisce mostrandola per quello che è, cioè un gioco linguistico, che può essere più o meno divertente, più o meno elaborato e articolato ma rimane un gioco linguistico che non ha altra funzione se non costruire se stesso. Ma per l’autore della teoria non è affatto così. Demolire una qualunque teoria riconducendola a quello che è, e poi mostrare un’uscita, l’uscita per cessare di essere costretti, parlando, pensando a dovere imporre le proprie affermazioni, i propri pensieri su altri o altro, cosa che è assolutamente inesorabile. Una teoria essendo un gioco linguistico non ha altro valore se non sé, potremmo dire che è ben articolata, ben elaborata, ben detta, ma niente di più, non ha né può avere nessuna pretesa di validità al di fuori di sé, come qualunque gioco linguistico. Questa è la questione centrale in tutto ciò che stiamo dicendo.