INDIETRO

 

 

25-11-2009

 

C’è una questione che riguarda gli interventi che facciamo: ciò che viene colto direttamente o indirettamente e che in ogni caso preoccupa, inquieta, spaventa, è l’assenza di moralità. Assenza di moralità, cioè non basarsi su concetti di bene o di male, la psicanalisi in effetti non toglie le cose perché sono male o bene, non ha questi concetti, non sa cosa farsene, non c’è nulla di per sé che sia male, ma interroga, interroga i propri pensieri senza sosta. Trovandosi orfana di tali concetti è chiaro che il modo in cui interrogherà i propri pensieri non è per sapere se vanno bene o vanno male ma perché ci sono, perché si sono costruiti. Sapendo che se sono stati costruiti c’è un motivo allora si tratta di intendere quale è il modo in cui questo avviene. Generalmente ciò che una persona pensa, per il solo fatto che lo pensi la ritiene anche vero e questo soddisfa i requisiti del linguaggio. L’unico alleato che abbiamo in questo caso è proprio il fatto che il linguaggio induce le persone a cercare ciò che è vero, se a una certa sequenza di pensieri è possibile, anziché stabilirla come vera in modo definitivo, aggiungere altre sequenze che risultano all’interno del discorso altrettanto vere, allora c’è la possibilità che da questa sequenza di proposizioni il discorso possa muoversi, spostarsi su altre sequenze; queste altre sequenze vengono accolte come le altre, come immediatamente vere, però anche lì siamo aiutati dal fatto che al linguaggio urgono affermazioni vere e quindi anziché fermarsi su queste ultime considerate come vere può aggiungerne ancora altre che risulteranno ancora vere e così via. L’interrogazione in ambito psicanalitico verte non tanto nel trovare motivi, cause eccetera che potrebbe anche essere marginale, ma nell’aggiungere altri pensieri a quelli già presenti, naturalmente aggiungere questi pensieri significa accoglierli. Quando parlavo di assenza di moralità intendevo esattamente questo, il trovarsi nella condizione di non eliminare dei pensieri per nessun motivo, anche il pensiero che più si allontana da ciò che è creduto dalla persona e cioè da altri pensieri può e deve essere accolto, se non c’è moralità non c’è motivo per non accoglierlo perché vale quanto qualunque altro …

Intervento: se sono stringhe di elementi linguistici non dovrebbero comportare moralità …

Infatti non la comporta. Dunque come avviene una cosa del genere? Supponiamo che per una certa persona una certa cosa rappresenti un problema, ora sappiamo anche perché per quella persona una certa cosa può rappresentare un problema, perché va in conflitto con altre cose che ritiene essere vere, le due cose si escludono ed ecco che succede un problema, generalmente si enuncia, o meglio molte volte non è una legge, come “vorrei fare questa cosa però non riesco mai a farla” oppure “non vorrei farla e invece tutte le volte la faccio” questo è il modo in cui si enuncia generalmente. A partire da questo esempio molto semplice è possibile svolgere una questione che è tutt’altro che marginale e cioè si tratta di compiere quell’operazione che apparentemente è molto semplice poi di fatto praticarla è tutt’altro che semplice e cioè accogliere entrambe le cose, cioè accoglierne la responsabilità. Non è semplice, soprattutto non è semplice accogliere il fatto che se il proprio discorso costruisce un pensiero è perché lo vuole fare, perché ha un utilizzo, perché ha un tornaconto, come diciamo spesso perché è quello che piace, per farla breve, e accogliere che un certo pensiero compare perché piace pensare così questo non è affatto facile, è perché non è facile? Per le implicazioni che comportano, perché ciò che implicano queste cose è accogliere una serie di pensieri che possono anche disorientare la persona, metterla di fronte a delle questioni alle quali non solo non ha mai pensato ma alle quali non vuole pensare perché comporterebbero immediatamente la dissoluzione di tutto ciò che la persona, per esempio, pensa di sé. Ciascuno pensa di sé di essere fatto in un certo modo, di avere certe idee, di credere certe cose, condurre un’interrogazione in questo modo comporta la dissoluzione di tutto ciò che la persona crede, pensa, e l’effetto di questo è il trovarsi sempre nell’atto, nell’atto linguistico come se, forse questo l’ho già accennato, in un certo senso non ci fosse più né il passato né il futuro ma solo ciò che si sta pensando in quel momento e le sue connessioni, le sue implicazioni che sono infinite come sappiamo. Ciò che l’analista non può non fare è trovarsi, sempre e comunque a interrogare i suoi pensieri, una cosa che dovrebbe essere automatica, interrogarli significa lasciare che questi pensieri parlino, costringe i propri pensieri a costruire tutte le implicazioni, le connessioni: ha un certo pensiero o una certa idea, si accorge che questa idea ha delle connessioni che vanno nella direzione opposta a quella che pensava che lo riguardasse, succede generalmente, questi pensieri vengono eliminati come se non appartenessero e invece no, gli appartengono. La prima sensazione di fronte a una cosa del genere è di trovarsi a pensare tutto e il contrario di tutto, che è una cosa abbastanza normale in effetti, come sappiamo benissimo dalla retorica qualunque cosa può essere sostenuta e confutata indifferentemente e cioè potremmo dire che qualunque cosa vale quanto la sua contraria, e questo è uno dei primi passi in cui si dissolvono tutte le credenze, le superstizioni, tutti i cosiddetti valori, non ci sono più, non ci sono più nel senso che non è più possibile per il discorso credere a niente, è una condizione particolare e abbastanza singolare alla quale gli umani non sono avvezzi però è come se a quel punto non ci fosse più nessun giudizio, niente, non che la persona non sappia come funzionano le cose, lo sa perfettamente e magari anche meglio di altri; l’assenza totale di giudizio, in particolare giudizio morale ma non solo, ha degli effetti, immaginate il proprio pensiero che è in condizione di valutare simultaneamente tutti i pro e i contra, tutti, di qualunque questione, simultaneamente tutti, adesso non è che avvenga proprio così però è qualcosa del genere, vi rendete facilmente conto che il proprio pensiero si muove a questo punto non soltanto con una velocità estrema ma mano a mano che procede elimina, elimina nel senso che cessano di avere interesse, tutta una costellazione di pensieri, li elimina perché non sono più, come abbiamo detto tantissime volte di fatto né veri né falsi, sono solo sequenze e questo è ciò che accade nel momento in cui la persona incomincia a interrogare i propri pensieri. Tutto chiaro fino a qui? Qualche domanda? Bene. Perché è difficile, come dicevo all’inizio, tutta questa operazione che vi ho descritta sommariamente? Perché una persona non lascia, non abbandona generalmente le cose in cui crede cioè le cose che pensa? Perché sono quelle che danno un verso, un riferimento, una direzione al discorso e quindi hanno un utilizzo ovviamente, non perché abbia chissà quali argomentazioni per sostenere quello che pensa, ma una cosa, come sappiamo dalla struttura del linguaggio, una cosa che è ritenuta essere vera dà una direzione, si va in quella direzione e questo è importante. Ciò che vi stavo dicendo è che da un certo punto in poi lungo questo interrogare i pensieri ecco che non c’è più la direzione, non c’è più nessuna direzione perché non c’è l’elemento che funziona come vero e che dà la direzione per esempio a un corso di pensieri, naturalmente si può utilizzare non è che la persona cessa di pensare ovviamente, utilizza continuamente le cose sapendo perfettamente di che cosa sono fatte per cui può seguire qualunque via ma la cosa più importante riguarda i propri pensieri, lì sta la maggiore difficoltà e cioè, come dicevo prima, l’assenza di moralità cioè il fatto che non c’è qualche cosa da eliminare, qualche cosa da scartare, qualche cosa da cui prendere le distanze, non c’è più niente né da seguire né da eliminare. L’interesse per qualcosa è dato dal fatto che una certa cosa è considerata vera o potenzialmente vera, se no non ha nessun interesse, l’interesse dunque si sgancia da una quantità sterminata di cose, l’interesse si sgancia dalla quasi totalità dei propri pensieri che a questo punto non sono più abbandonati o eliminati, non interessano e quindi è molto diverso eliminare qualcosa da non avere interesse per questo qualcosa. L’interesse cessa nel momento in cui ci si accorge che certi pensieri sono sostenuti da questioni che sono completamente arbitrarie, gratuite. L’assenza di direzione a questo punto non è che smarrisca perché ci sono le condizioni per avere altre direzioni naturalmente, e l’unica direzione a questo punto che permane è quella che è data dalla struttura del funzionamento del linguaggio, il quale come sapete produce ininterrottamente proposizioni, è l’unica cosa che sa fare però questa la fa bene, e questo produrre ininterrottamente proposizioni è ovvio che produce anche proposizioni assolutamente gratuite, le quali però vengono immediatamente riconosciute come tali e quindi non proseguite ma non proseguite perché non costituiscono più la premessa per nessun discorso. Una questione che fa problema, come sappiamo perfettamente è tale perché ha delle premesse forti, credute vere, importanti per la persona, interessanti o quello che volete, togliete a queste premesse qualunque interesse e si sgonfia tutto immediatamente, non si sostiene più su niente, e questo naturalmente coinvolge l’interesse nei confronti di qualunque cosa. Adesso sto portando le cose un po’ alle estreme conseguenze naturalmente, ma la direzione, dato il funzionamento del linguaggio e dato il modo in cui l’analista occorre che si interroghi, portano in questa direzione inesorabilmente e probabilmente uno degli effetti di ciò che andiamo dicendo sortisce in chi ascolta, questa sensazione di vuoto, di cancellazione di ogni cosa, in parte probabilmente viene da lì cioè dall’assenza di riferimenti, di moralità come dicevo all’inizio, ché non c’è più il bene o il male, sono solo sequenze. Torno a dirvi che non è semplice una cosa del genere, non è semplice perché la persona non abbandona ciò che pensa generalmente, anzi se lo tiene ben stretto, sappiamo bene cosa avviene lungo l’analisi e cioè la difficoltà di abbandonare un certo pensiero e non si tratta poi neanche di abbandonarlo, semplicemente questo pensiero cessa di avere la portata che ha e si mostra per quello che è, nient’altro che quello che è, è come se mano a mano tutte le premesse del discorso che la persona si costruisce si dissolvessero, se non ci sono premesse non ci sono conclusioni per questo dicevo che non ci sono giudizi tendenzialmente su nulla …

Intervento: questo deriva dalla possibilità di liberarsi delle cose ricevute, dai giudizi, dai credo acquisiti … questo porta alla disintegrazione dell’individuo questa è la parte che forse non permette …

Quando una qualunque questione viene interrogata fino alle estreme conseguenze qualunque cosa rivela di essere infondata oltreché infondabile, a questo punto la premessa di tutto questo discorso che ha portato a questa conclusione si svuota, mostra di non avere più nessun sostegno, nessun supporto …

Intervento: qui sono spiegati il successo delle promesse, delle certezze …

Quelle si fondano sul mantenimento dell’ingenuità anzi, continuano a fare credere che le premesse ci sono, che i valori devono esserci, le persone “devono” credere in qualche cosa. L’analisi condotta come la stiamo conducendo e cioè alle estreme conseguenze pare condurre esattamente a questo ma condurre esattamente a questo in quanto …

Intervento: sarebbe vantaggioso illustrare i vantaggi che derivano da un procedimento del genere, far leva sulle porte che si possono aprire …

È quello che in buona parte farà lei come mi pare di avere inteso nel suo intervento, però, dicevo, questa conclusione cui si giunge, di cui ho parlato questa sera non è altro che il linguaggio che pratica se stesso, di fatto solo questo, non c’è altro e se, come abbiamo detto in varie occasioni, se l’analista si trova nella posizione del linguaggio allora non può che fare questo, è ineluttabile, il linguaggio che pensa se stesso cioè che riflette su se stesso non può che considerare il suo funzionamento ovviamente, perché ciò che costruisce è un effetto del suo funzionamento. È chiaro che costruisce continuamente cose ma queste cose sono soltanto delle sequenze che servono al linguaggio a proseguire, nient’altro che questo, e quindi non può considerarle per quelle che sono, delle sequenze che servono per proseguire, per niente, come sappiamo …

Intervento: il fatto di non avere più valori di riferimento ... mostra la propria responsabilità … a quel punto tutto è assolutamente possibile … l’assoluta responsabilità di ciò che si decide o non si decide …

Il linguaggio non può considerare altro che non sia se stesso …

Intervento: a quel punto è l’individuo che si assume la totale responsabilità di quello che va pensando …

Può dirla in modo ancora più preciso: è il discorso che non può più non assumere la responsabilità che gli appartiene e cioè di essere linguaggio, e così si comporta di conseguenza cioè non può più non tenere conto di essere fatto di linguaggio, di essere linguaggio e quindi ciò di cui si occupa è il suo funzionamento e occupandosi del suo funzionamento non può non interrogare ininterrottamente le cose che pensa, che gli vengono in mente, i ricordi, le immagini, le sensazioni, fantasie, tutto, assolutamente tutto e interrogarli, e interrogarli significa come prima cosa accoglierli naturalmente, accoglierli come qualcosa che il pensiero ha costruito e quindi che “interessa” al pensiero per così dire, poi reperire la premessa che rende possibile la costruzione di questa sequenza e considerare immediatamente che la premessa che rende possibile questa sequenza è costruita unicamente per fare funzionare il linguaggio e non ha nessun altro scopo. Tutto chiaro fin qui? Bene. È sicuramente un modo totalmente differente, per dirla in modo molto rozzo, di esistere. Per fare un esempio molto semplice, molto rapido, molto banale: supponiamo che la persona abbia la paura costante di essere abbandonata, allora incomincia a domandarsi perché ha questa idea, intanto l’accoglie, se continua a pensare di essere abbandonata gli piace essere abbandonata, può facilmente reperire magari anche la scena che ha scatenato questa fantasia in cui ha incominciato a sentirsi abbandonata e naturalmente non può non considerare che se continua a pensare una cosa del genere ne ha un tornaconto, gli piace pensare questo e se gli piace va bene, non c’è niente di male, perché non dovrebbe godere dell’abbandono? Non è proibito, l’importante è fare questo passo: perché è questo che gli piace, e a questo punto reperisce anche il perché gli piace e ci sono buone probabilità che la cosa cessi di interessarla ma questo è un effetto, un effetto collaterale, non è un obiettivo, la psicanalisi, come ho detto all’inizio non ha come obiettivo di eliminare cose, ma considerarle e condurle là da dove arrivano cioè dal linguaggio che le ha costruite, questo è l’obiettivo della psicanalisi. Per cui non c’è niente di male a volere essere abbandonati, se uno lo vuole perché non dovrebbe farlo? Ma è questo passo che è fondamentale: “questo mi piace, bene, mi godo l’abbandono”, benissimo, non c’è nessuna controindicazione, è considerare in questo modo che non è facile perché, come abbiamo detto in molte occasioni, per poterla godere questa scena occorre che non ci sia la responsabilità, sta qui l’intoppo, se c’è responsabilità allora cesso di godermi questa scena, non funziona più …

Intervento: in un certo senso che se c’è responsabilità non c’è più morale …

Sì, esattamente …

Intervento: la morale è fondata sul bene e il male e questa distinzione in qualche modo si pone, qualcosa la impone non è mai il proprio discorso … pensavo al punto di riferimento …

Un momento, lei dice non è mai il proprio discorso che la impone, beh in un certo senso sì perché nel momento in cui si avvia il linguaggio incomincia a distinguere vero o falso …

Intervento: è quello che si pensa che non sia il proprio discorso a imporlo … la questione dei riferimenti penso che una delle difficoltà non sia tanto quella di mettere in discussione il punto di riferimento perché magari uno può essere anche disposto a farlo ma il discorso direi che ha la necessità del riferimento …

Esatto sì, può sostituire il punto di riferimento …

Intervento: ma è la necessità del punto di riferimento … uno in qualche modo il punto di riferimento lo sceglie, il discorso di prima il riferimento si impone dall’esterno le tradizioni ecc…  la difficoltà a seguire il nostro discorso è che noi possiamo mettere in discussione i valori, i riferimenti eccetera ma ci si aspetta che comunque se ne propongano degli altri … difficile è intendere e far intendere un pensare che non abbia questa necessità …

Esatto questa è la cosa più difficile, accogliere una cosa del genere, certo …

Intervento: secondo me quello che diceva prima Antonella che sarebbe partita in modo pesante, la fatica ecc. ecc. direi che forse non è necessario secondo me perché bisogna mettere in gioco quella che è la leggerezza del pensiero … la fatica, direi che magari può essere più lungo, complicato, necessitare di parecchi giri ecc. ma porre come se fossero le fatiche di Ercole mi sembra un po’… preferisco un apporto più positivo qualcosa che occorre raggiungere ma è limitata questa pesantezza, l’avevo già notata questa cosa qui … la pesantezza è quella che porta la persona ad andare in analisi che di per sé è pesante, cioè pesa proprio, un peso addosso incredibile ovviamente questa pesantezza deve essere sostituita dalla leggerezza, da qualche cosa che non è una ricetta facile ma è giocare con i propri pensieri, giocare con le proprie parole, ascoltarli è un gioco interessante qualunque esso sia che non comporta nessuna fatica …

Intervento: si può anche giocare sul fatto che quando c’è la domanda impellente in una analisi ci può essere il momento in cui il proprio pensiero lo si trova “pesante” però dire della grossa apertura quando riesci ciascuna volta ad intendere …

Poi c’è il racconto finale che da l’apertura. Retoricamente funziona mostrare prima la profonda tenebra e poi la luce …

Intervento: in fondo rimane sempre capire il funzionamento del linguaggio. Quando lei diceva prima ascoltare i propri pensieri quelli belli, quelli brutti qualsiasi cosa il proprio pensiero costruisce come se non ci fossero conclusioni però quello che rimane è l’interesse per questi pensieri, può capitare a volte di essere sballottati da una parte dall’altra senza trovare “subito” un filo conduttore che possa mostrare ad un certo momento uno spiraglio in questa accozzaglia di stringhe …

Se non si vede c’è qualche cosa che impedisce di vederlo …

Intervento: pensavo proprio a questo se non si vedono tutti i vantaggi di certi pensieri è perché non si vogliono vedere …

Non è neanche un interesse per il proprio pensiero da parte del discorso, non più di quanto il linguaggio sia interessato a se stesso, non è propriamente interessato, ma va avanti perché è una cosa che non può non fare.