25-11-99
La necessità dell'altro
La prima parte dell'incontro è rispetto alle conferenze, sul come
proseguono e quali siano i modi per continuare, trovare il modo, indica per
ciascuno i modi, per esempio, Faioni espone una volta al mese e ciascuno degli altri
interviene facendo una sua conferenza.
La persona che riesce ad attrarre con il suo lavoro e il suo
operato non è generalmente la persona che si occupa di sapere che cosa gli
altri vogliono, per dirla in termini un po' rozzi, non gliene frega assolutamente
niente, ecco, ma procede lungo la sua strada, non senza difficoltà ovviamente
non si cura di sapere che cosa gli altri vogliono e quindi che incontri la loro
desiderata, in effetti così come state facendo voi, mi sono trovato a
riflettere e ho considerato questo la ricchezza di cui disponiamo è il discorso
che abbiamo inventato, prima questione, la seconda questione cercare come
abbiamo cercato di fare, percorrere tutte lo esiste, con me no, che funzione ha
questo altro? O altri, tutte le elaborazioni che ha fornito Freud e poi in
seguito Lacan sono assolutamente inadeguate, tutto ciò che afferma Lacan è
negabile, potremmo invece costruire qualcosa che invece al pari di ciò che
abbiamo iniziato a dire nella Seconda Sofistica, sia sempre assolutamente non
negabile? (pensavo al fatto dell'altro come interlocutore, là ciò che si dice è
un limite, è come se la cosa potesse in qualche modo essere delimitata) sì
certo perché però non potremmo delimitarla noi? (perché è solo al momento che è
delimitata che ha una direzione) sì certo però perché questo non posso farlo
io? Cioè in che modo l'altro compie questa operazione? E perché escluderebbe
che possa farlo io, ammesso che lo escluda... Credo che la cosa vada affrontata
nei termini di ciò che è strutturale all'atto di parola, riprendendo antiche
questioni che possono ancora mostrare degli aspetti e dei risvolti (in
un'analisi va tutto bene fin quando si pensa, fin quando si immagina, un conto
è la fantasia e un conto è la realtà ma la realtà è quando interviene l'altro,
quella è la realtà non è le cose ma è quando non c'è più soliloquio, ma una
sorta di controllo della parola nel soliloquio, intervenendo l'interlocutore
dialogo) (…) la questione va presa in termini molto precisi, porsi la domanda
che abbiamo posto cioè che "esistano e che ci siano altri" è
necessario oppure no? Poi chiaramente occorre precisare che cosa si intende con
questi altri, la questione può apparire straordinariamente difficile o
straordinariamente semplice, dal momento che l'altro comunque è una costruzione
del linguaggio, non potrebbe essere altrimenti, ma questa costruzione fa parte
di una procedura? Oppure no? Questo intendo quando chiedo se è necessario
oppure no? Che tipo di produzione è? Certo l'altro può anche essere una costruzione
volta a fare in modo che le mie parole trovino da altrove una conferma che
abbia una stabilità, una identità che non trovo per esempio (pensavo ai tre
principi di Aristotele, il principio di identità non c'è se non c'è qualcosa
rispetto al quale ci sia identità, per il principio di non contraddizione c'è
sempre qualcosa che interviene come altro e che può contraddire, il terzo
escluso non c'è altro dell'altro) va affrontata da qualche altra parte la
questione (…) (il costruire l'altro con il quale poi diciamo pare un paradosso)
però la questione da cui siamo partiti è come mai gli umani avvertono questa
necessità di esternare il pensiero necessariamente? In qualunque modo sia la
parola, la scrittura in qualche modo, però questo avviene forse bisogna riflettere
sulla struttura di questo altro, ché sì è una costruzione del linguaggio ma
sembra avere una funzione particolare (strutturale) non lo so se è strutturale,
perché è strutturale? (…) (perché l'umano dovrebbe essere così
autosufficiente?) perché no? (per esempio per fare un figlio ci deve essere
l'altro, ci vogliono due) (questa è una cosa che non possiamo non sapere per
fare, è una costruzione del linguaggio, sarebbe un non senso questo se la
parola avesse costruito in un altro modo e di questo tiene conto il nostro
discorso ed entra a far parte della parola, come si sia costruito questo sapere
possiamo costruirne) si tratta di una necessità psichica cioè il fatto di avere
necessità di dire un pensiero, uno può avere, usare una infinità di cose per molti
motivi ma questo poco importa, stavo cercando qualcosa di strutturale, e se è
strutturale attiene alla struttura del linguaggio che è l'unico elemento che
consente di pensare (...) Cesare? (il comunicare…) il dire per che cos'è? Cosa
potremmo dire a questo punto che risulti necessario, se ci muoviamo lungo
questa linea è per qualcosa indubbiamente per sé e null'altro, il fatto che sia
per qualcosa necessariamente in quanto rinvia ad altro comporta che ci sia
qualche cos'altro e non qualcuno certamente, almeno per il momento, per
qualcosa, cioè un altro significante per esempio... sì stavo per dire che
l'altro sia un significante ma andiamo poco lontani eppure è importante questa
questione, riuscire di intendere questa ci consentirà di intendere perché, facendo
i vari passaggi, perché gli umani soffrono? perché nessuno glielo ha chiesto,
soffrono come se qualcuno glielo chiedesse (…) poi a quel punto la matassa si
dipana, il bandolo, l'altro (si parlava dell'ostacolo non so se questo può
servire) sì è no, perché ciascuno di questi aspetti può essere benissimo svolto
all'interno del pensiero, senza necessità di altri (…) va bene risolveremo
questa questione giovedì.