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25 ottobre 2017

 

M. Heidegger, Essere e Tempo 

 

Siamo a pag. 386. Il progettato del progetto esistenziale originario dell’esistenza risultò essere la decisione anticipatrice. Questo è ciò che il progetto esistenziale progetta, una decisione anticipatrice. Che cos’è che rende possibile questo essere-un-tutto autentico da parte dell’Esserci nell’unità dell’insieme articolato delle sue strutture? Assunta in senso formale-esistenziale e senza esplicito riferimento al suo contenuto strutturale integrale, la decisione anticipatrice è l’essere-per il poter-essere più proprio ed eminente. La decisione anticipatrice, quindi, è l’essere per il poter essere. Io sono per poter essere e sono soltanto questo, e l’ha detto in varie occasioni che l’Esserci è pura possibilità, quindi, io sono in quanto poter essere. Questo per lui è la decisione anticipatrice. Decisione anticipatrice in quanto qualunque cosa io mi trovi a fare sono sempre progettato, sono sempre gettato innanzi. È in questo senso che parla di decisione anticipatrice, perché qualunque decisione anticipa in quanto è in avanti. Ora parla dell’avvenire, ma ne parla in un modo particolare. Ma ciò è possibile solo in quanto l’Esserci, in generale, può pervenire a se stesso nella sua possibilità più propria e perché in questo lasciarsi pervenire a se stesso mantiene la possibilità come possibilità, cioè esiste. Il che significa che essere per il poter essere è possibile in quanto l’Esserci può pervenire a se stesso, cioè può riflettere su se stesso, soltanto così si accorge di essere possibilità pura. In questo lasciarsi pervenire, tornare a se stesso, in quanto possibilità, l’Esserci è pura possibilità, si mantiene come possibilità. Mantenersi come possibilità non è altro che esistere, perché l’Esserci esiste in quanto possibilità, non ha altri modi di esistere. Il lasciarsi pervenire a se stesso nel mantenimento della possibilità eminente… L’Esserci, che è possibilità, perviene a se stesso, quindi di nuovo alla possibilità, …è il fenomeno originario dell’ad-venire. Il lasciarsi pervenire, quindi il tornare dell’Esserci a se stesso, questo Heidegger lo chiama avvenire. Vi rendete conto che è un’accezione di avvenire diversa da quella solita: uno pensa all’avvenire come a un futuro radioso. Qui, invece, lui prende il termine letteralmente, avvenire è per lui il pervenire a se stesso in quanto possibilità e mantenere questa possibilità. L’Esserci, in quanto possibilità, che torna su se stesso e si mantiene in quanto possibilità. Si mantiene non è propriamente il termine più corretto in quanto richiama una stabilità, mentre qui non c’è nessuna stabilità ma solo gettatezza. Il fatto che all’essere dell’Esserci appartenga l’autentico o l’inautentico essere-per-la-morte, è possibile solo in quanto quest’ultimo è ad-veniente nel senso ora indicato (e da determinarsi con maggiore esattezza). “Avvenire” non significa qui un “ora” che non è ancora divenuto “attuale” e che lo diverrà, ma l’avvento in cui l’Esserci perviene in se stesso nel suo poter-essere più proprio. L’avvenire non è altro che l’ad-venire dell’Esserci verso se stesso in quanto pura possibilità. Ma in quanto pura possibilità non può esimersi dalla possibilità che gli è più propria, quindi, dalla morte. L’anticipazione rende l’Esserci autenticamente ad-veniente, sicché l’anticipazione stessa è possibile soltanto perché l’Esserci, in quanto esistente, è, in generale, già sempre pervenuto a se stesso, cioè in quanto nel suo essere è, in generale, ad-veniente. Qui, in un certo senso, c’è sempre un gioco di rimbalzo, perché dice che l’anticipazione rende l’Esserci autenticamente ad-veniente, ad-veniente, nel senso che è gettato innanzi, quindi, questa stessa anticipazione, anticipazione dell’Esserci è già sempre qualcosa in atto perché, essendo gettatezza, già sempre anticipa. Dice che l’anticipazione è possibile perché l’Esserci è già sempre pervenuto a se stesso: cosa vuol dire che è pervenuto a se stesso? Vuole dire che è pervenuto alla gettatezza, perché l’Esserci è gettatezza, pertanto, pervenire a se stesso significa pervenire alla gettatezza, quindi, pervenire all’anticipazione. Tornando indietro, pervenendo l’Esserci a se stesso, di fatto, giunge alla gettatezza, quindi, all’essere gettato innanzi, torna indietro per essere gettato innanzi. A pag. 387. Ma l’assunzione dell’esser-gettato significa per l’Esserci: essere autenticamente come già sempre era. Per l’Esserci, essere gettato cosa significa? Essere autenticamente ciò che è sempre stato, che non poteva non essere, e cioè gettato, perché non è altro che questo. Quindi, quando l’Esserci, che è gettatezza, è pervenuto a se stesso, che cosa trova? Trova ciò che già da sempre era, perché non può non essere se non gettatezza, quindi, se è, è gettatezza. Anche tornando su se stesso, ciò che trova è sempre gettatezza. Il passato scaturisce in certo modo dall’avvenire. L’Esserci può essere autenticamente stato solo in quanto è ad-veniente. L’Esserci che cosa può essere stato se non gettatezza, se non progetto, se non essere gettato innanzi? Quindi, è autenticamente stato qualcosa solo in quanto ad-veniente, solo in quanto gettato innanzi. Ricordiamo l’accezione in Heidegger di avvenire: l’avvento in cui l’Esserci perviene in se stesso nel suo poter-essere più proprio. Il suo poter essere più proprio non è altro che la gettatezza. La decisione anticipatrice apre la rispettiva situazione del Ci in modo che l’esistenza, agendo, si prenda cura, mediante la visione ambientale preveggente, dell’utilizzabile che effettivamente incontra dentro il mondo. Questa decisione anticipatrice, che altro non è che l’essere per il poter essere, io sono soltanto per il poter essere, sono pura possibilità, questa decisione anticipatrice, dice, apre in modo tale che, agendo, si prende cura degli utilizzabili che incontra. Perché? Perché la decisione anticipatrice, essendo il poter essere, di volta in volta può essere qualunque cosa. Quindi, questo poter essere non fa altro che incontrare continuamente degli utilizzabili, di cui si prende cura. Ora, riprende la questione della temporalità, su cui ci soffermeremo perché è importante in Heidegger. Questo fenomeno unitario dell’avvenire essente-stato e presentante lo chiamiamo la temporalità. Avvenire essente-stato: avvenire come l’essere gettato innanzi, ma che è stato, perché tutto ciò che l’Esserci è, è anche già stato. Non è mai potuto essere altro che progetto gettato; quindi, ciò che è adesso è ciò che era già stato. Se l’Esserci è, è in quanto gettatezza, in quanto pura possibilità. Presentante nel senso che rende presente ciò che sta accadendo. Qui c’è una questione importante, perché la temporalità è da intendere come ciò che definisce il modo in cui l’Esserci, di volta in volta, accade. In che modo accade? Accade nel modo in cui la temporalità decide, cioè, il fatto che è nato in un certo momento storico, che è vissuto in un certo ambiente, che si porta appresso tutta la tradizione della lingua italiana, tutto questo ha a che fare con la temporalità o con la storicità. Potremmo dire che l’essere è il tempo, nel senso che l’essere, ciò che definisce in qualche modo l’essenza dell’Esserci, è il tempo, cioè, l’Esserci è determinato dalla sua storicità. Non è qualche cosa che esiste al di fuori del suo tempo, così come ciascuno di noi non esiste fuori dal suo tempo, che nel nostro caso è il 2017, con tutto ciò che si porta appresso, con tutto ciò che lo ha fatto. Questo, per Heidegger, è importante perché è come dire che ciascuno, essendo preso nella temporalità, è un qualche cosa che non è definibile in quanto tale, non è definibile come oggetto. È qualcosa che si è prodotto, e che si continua a produrre, non è solo il prodotto di tutta la storia che lo riguarda ma continua a prodursi in quanto, sì, si getta sempre innanzi, ma si getta sempre innanzi, progetta cose che sono “consentite” dalla sua storicità, dal tempo in cui vive. Un progetto che possiamo avere noi oggi non era pensabile mille anni fa, quindi, questo progetto che abbiamo è vincolato a un momento storico, è storicizzato. Non c’è modo di uscire dal tempo e, quindi, rendere, per esempio, un qualche cosa identico a sé, individuabile. Essendo temporale, temporalizzato, è come se fosse sempre vincolato a ciò che non soltanto è accaduto ma che sta accadendo. In questo movimento dell’Esserci, che va incontro al mondo, cioè incontra degli utilizzabili, modifica questi utilizzabili, perché ne vuole farci qualche cosa, modificando gli utilizzabili modifica il mondo, modificando il mondo modifica se stesso, che è il mondo. Quindi, è in una modificazione continua. Dire che essere è tempo significa dire che l’essere è in una continua mutazione, in una continua alterazione delle cose: altera le cose e alterando le cose si altera lui stesso. Cosa che non si era mai vista nella filosofia prima di Heidegger. Si è sempre pensato che il soggetto manipola l’oggetto e che il soggetto non si modifichi, rimane quello che è. Cosa che, invece, ha considerato la semiotica, per esempio, che modificando un discorso si modifica anche chi pronuncia il discorso. È il famoso circolo ermeneutico, dove c’è una sorta di interazione continua tra chi dice le cose, le cose che ha dette, che una volta dette modificano ciò che sta per dire. È una cosa che ciascuno rileva, per esempio, intervenendo, dicendo delle cose in pubblico: le cose che voleva dire, magari le ha dimenticate, si trova quindi a dire altre cose e queste altre cose modificano completamente il suo piano, modificano lui stesso in quanto modificano il suo discorso. Quindi, la temporalità, così come la pone Heidegger, non è una successione di stati ma la presentificazione di tutto ciò che l’Esserci è, ed è quello che è perché ha una storia, non viene fuori dal nulla. È tutto ciò che, essendo, modifica ininterrottamente e modificando, di contro, ne viene modificato. Solo in quanto determinato dalla temporalità, l’Esserci rende possibile a se stesso l’autentico poter-essere-un-tutto che risultò proprio della decisione anticipatrice. Soltanto cogliendo la morte, come abbiamo visto in varie occasioni, l’Esserci può essere un tutto e, quindi, la decisione anticipatrice, cioè l’essere per il poter essere, accoglie la morte solo a questa condizione. Ma tutta questa operazione ha a che fare con la temporalità perché la morte non si pone come un qualche cosa che avverrà ma come un qualcosa che sta avvenendo come possibilità qui e adesso, che è ad-veniente, nell’accezione in cui ne parla lui, e cioè come qualche cosa che è il suo stesso poter essere. Quindi, considerare la morte come il suo poter essere e accoglierlo in quanto poter essere e non come un evento eventuale futuro, perché è qualcosa che avviene adesso in quanto la colgo come possibilità più propria. Senza temporalità, in questa accezione, l’Esserci non può essere pensato come un tutto, perché la morte, che rende l’Esserci un tutto finito, è sempre a venire. Qui, invece, è già avvenuta, avvenuta nel senso di possibilità. A pag. 388. Se la decisione costituisce il modo della Cura autentica, e se questa, a sua volta, è possibile solo in base alla temporalità, il fenomeno venuto in luce nell’analisi della decisione deve costituire anch’esso soltanto una modalità della temporalità che, in linea generale, rende possibile la Cura come tale. Siamo di nuovo alla questione di prima, e cioè la decisione anticipatrice, quella per cui l’essere è per il poter essere, è il modo della Cura. Dice questo perché l’essere per il poter essere, cioè essere una pura possibilità, è ciò che definisce in un certo senso la Cura. In che modo io mi prendo cura delle cose? Mi prendo cura delle cose in quanto sono delle possibilità, non ho un altro modo per prendermi cura delle cose, cioè le considero, per esempio, delle possibilità all’interno di un progetto. Dice che è la temporalità che, in linea generale, rende possibile la Cura come tale. Qui c’è un elemento in più, perché la temporalità rende possibile la Cura come tale? Perché, fuori dal tempo, l’Esserci è nulla, perché è il tempo l’ha costituito per quello che è, è a temporalità che fa dell’Esserci quello che è in questo momento e, quindi, decide in un certo senso dell’utilizzabile al quale si rivolge, decide di cosa prendersi cura. Come dicevo prima, un progetto che abbiamo oggi non era pensabile mille anni fa. Quindi, la temporalità, che ha costituito l’Esserci, è la condizione della Cura, della Cura che l’Esserci può avere in questo momento. Intervento: Temporalità e gettatezza…

Certo. È un essere gettato in avanti che determina l’Esserci, nel senso che l’Esserci non è che viene gettato in avanti ma è questa stessa gettatezza. A pag. 389 c’è una frase che risponde alla sua domanda. L’“avanti” e l’“avanti-a-sé” indicano l’avvenire il quale, come tale, rende possibile che l’Esserci sia tale che per esso ne va del suo poter essere. Il progettarsi-in-avanti sull’“in-vista-di-se-stesso”, progettarsi che si fonda nell’avvenire, è un carattere essenziale dell’esistenzialità. Il senso primario dell’esistenzialità è l’avvenire. “Avvenire” qui è da intendersi nell’accezione di Heidegger, e cioè un gettarsi innanzi che, però, non evita il movimento del tornare indietro, perché ciò che avviene è ciò che è sempre stato, non è che incontra qualcosa di inedito. In questo avvenire ciò che l’Esserci è già sempre stato, e cioè pura possibilità. Quindi, non è un essere gettati innanzi, che comporta una sequenza, una successione di stati, ma è una gettatezza che l’Esserci, se è, e siccome è, è sempre stato. Tenete conto che questa gettatezza non è altro che pura possibilità. Nella pagina prima 388, dice L’avanti-a-sé si fonda nell’avvenire. L’esser-già-in… manifesta l’esser-stato. Si fonda nell’avvenire, ma avvenire nella sua accezione, rileggiamolo a pag. 386 Il lasciarsi pervenire a se stesso nel mantenimento della possibilità eminente è il fenomeno originario dell’ad-venire. Il lasciarsi pervenire a se stesso, che è dell’Esserci. È l’Esserci che si lasci pervenire a se stesso. L’Esserci, essendo gettatezza, lasciandosi pervenire a se stesso, che cosa trova? Gettatezza, sempre, inesorabilmente. Questo per Heidegger è l’avvenire, l’ad-venire, venire verso qualcosa. L’“avanti” non significa un “oltre-ora” nel senso di un “ora non ancora, ma poi sì; allo stesso modo il “già” non significa un “non più ora, ma prima sì”. Se le espressioni “avanti” e “già” avessero un significato temporale di questo genere, significato che possono anche avere, la temporalità della Cura verrebbe a significare che essa sarebbe qualcosa che, “prima” o “dopo”, rispettivamente “non era ancora" e “non sarà più”. La Cura non può non essere sempre “già”, è già sempre, perché non è altro che l’essere dell’Esserci. Occorre, quindi, intendere l’avvenire nel modo in cui lo definisce Heidegger. Non ha a che fare con la temporalità posta come sequenza di stati, di eventi, ma come quel movimento per cui l’Esserci, in quanto gettatezza, trova se stesso come un utilizzabile, perché, di fatto, è un ente. Trova se stesso come un utilizzabile e si usa per quello che è, e cioè gettatezza. Vi chiederete come mai Heidegger ha fatto tutto questo. In effetti, tutta questa operazione intorno al tempo, alla temporalità, ecc., è volta a scardinare il concetto di essere metafisico e porre, invece, il concetto di essere dell’Esserci unicamente in quanto ciò che si prende cura, il prendentesi cura. So che la gettatezza non è un concetto semplice perché si è abituati a pensare in termini di elementi statici su cui lavorare. In effetti, funziona così e la scienza stessa utilizza questo sistema, cioè presuppone la stabilità, la staticità di un elemento per poterlo manipolare, ecc. Qui, invece, tutto ciò che sta dicendo Heidegger ha come obiettivo, tra l’altro, quella di scardinare la possibilità stessa della metafisica, cioè, la possibilità stessa di fissare qualcosa. Dicendo che l’Esserci è pura possibilità gettatezza, e che l’essere dell’Esserci, cioè la sua essenza, è il prendersi cura, vale a dire, nell’essere gettato prendermi cura di qualche cosa… Dicendo questo, e cioè che l’essere è soltanto prendersi cura, dice qualcosa di notevole rispetto a tutto il pensiero filosofico che l’ha preceduto. È come se dicesse che l’essere, contrariamente a tutto ciò che è stato detto prima di lui, consiste unicamente in questo, in una condizione tale per cui ciascuno, l’Esserci, non è altro che un qualcosa che si sta prendendo cura di qualche cos’altro, che sta facendo quello che fa per qualche cos’altro…

Intervento: …

Se cessasse di essere gettatezza, l’Esserci cesserebbe di esistere. L’Esserci, quando si prende cura di sé in quanto ente, si ritrova in quanto gettatezza. Per dirla in modo un po' rozzo, l’Esserci, che è gettatezza, torna indietro, riflette su se stesso per trovare il famoso fondamento e che cosa trova? Trova, dice Heidegger, la nullità, cioè, trova una gettatezza, trova un qualche cosa che non è fissabile in nessun modo, perché è solo gettatezza. È questo l’aspetto difficile del pensiero di Heidegger: pensare all’essere come pura gettatezza. Riesce difficile a pensarsi che l’essere non sia un qualche cosa che è quello che è, sta lì. Pensarlo, invece, come pura possibilità, come pura gettatezza, scombina le carte e, a parere di Heidegger, renderebbe impossibile la metafisica, cioè il riferirsi a qualcosa che è quello che è per virtù propria. Qui non c’è nessuna virtù propria, c’è soltanto un progetto gettato. Infatti, prosegue dicendo La Cura risulterebbe concepita come un ente che si presenta e scorre “nel tempo”. L’essere dell’ente avente il carattere dell’Esserci verrebbe degradato a semplice presenza. (pagg. 388-389) Se io considerassi la Cura come qualcosa che avviene quando c’è un progetto, già darei per scontato che potrebbe non esserci progetto, se non c’è progetto non ci sarebbe l’Esserci e, se non c’è l’Esserci non ci sono io e, quindi, non c’è problema. Oltre a questo, dice che l’essere dell’ente verrebbe degradato a semplice presenza, cioè, un oggetto fuori del mondo. Se io avessi la possibilità di decidere, come se l’Esserci potesse decidere del suo progetto… Ecco, è questa la temporalità: l’Esserci non può decidere de suo progetto. l’Esserci è questa gettatezza ma l’Esserci non è altro che la temporalità, il tempo che sta vivendo adesso, in questo momento. Io non ho deciso di nascere in Italia, di parlare italiano, ecc., e anche le decisioni che mi appare di prendere sono decisioni che procedono dalla temporalità in cui mi trovo in quel momento. Freud direbbe dalle fantasie che ho costruito su altre fantasie, che a loro volta si fondano su altre fantasie, e così via. Per Heidegger non è questione di fantasie, ovviamente, ma, parlando temporalità, dice come ciascuna cosa, ciascun atto, ciascun evento… infatti, verso l’ultima fase del suo pensiero, introduce il concetto di evento anziché di essere, cioè pone l’essere come evento, perché l’essere era una cosa complicata, in qualunque modo la ponga questo essere sembra che sia qualche cosa, ma se è qualche cosa è un ente. Parlando, invece, di evento pone la questione più verso l’attualismo di Gentile, verso l‘atto, verso qualcosa che si sta attuando, che è in atto e che essendo in atto non può essere fermato, perché se lo fermo è un’altra cosa. Come il pensiero, si pensi alla distinzione di Gentile fra il pensare e il pensato: il pensare è in atto, se lo fermo, il rifletterci su è un pensato, non è più un pensare, diventa un’altra cosa. Quindi, la temporalità, che è un concetto fondamentale in Heidegger, ci dice che questo essere dell’Esserci, cioè la Cura, è il tempo, è la sua storicità. Le decisioni che prende sono decisioni storiche, non nel senso della storiografia ma storicizzate, che sono fatte del suo tempo, tempo inteso come quella serie di cose che hanno deciso che io in questo momento che io sia qui a fare tutto ciò che sto facendo. I momenti della Cura non stanno assieme per giustapposizione, allo stesso modo in cui anche la temporalità non risulta dalla somma “temporale” di avvenire, esser-stato e presente. La temporalità non “è” assolutamente un ente. Essa non è, ma si temporalizza. La temporalità, non essendo, perché se fosse sarebbe un ente, si temporalizza, cioè, potremmo dire così, avviene in quanto storicizzata. Heidegger insiste su questo aspetto, la temporalità non è un ente, quindi, non c’è un essere della temporalità, perché se fosse un ente ci sarebbe un essere dell’ente. Quindi, non c’è un Esserci della temporalità perché l’Esserci “è” la temporalità, è la sua storicità, non è niente altro che questo, è fatto di questo, è fatto di tutto ciò che lo ha costituito. E il modo in cui l’Esserci accade è la sua gettatezza. Questi sono concetti fondamentali. Avvenire, esser-stato e presente indicano il carattere fenomenico dell’ad-sé, dell’indietro-verso e del venire incontro di. I fenomeni dell’ad, retro, presso rivelano la temporalità come l’έχστατιχόν puro e semplice. La temporalità è l’originario “fuori di sé” in sé e per sé. Cosa vuol dire che la temporalità è il “fuori di sé”? Dovete pensarla più o meno in questo modo. Facciamo un passo indietro: per quale motivo l’Esserci non ha fondamento? Quando ritorna indietro si ritrova in quanto gettatezza, si ritrova ciò che è già da sempre stato e continua a essere, cioè, gettatezza. Ora, se l’Esserci è gettatezza allora l’Esserci è sempre e costitutivamente fuori di sé, non è mai in sé, nel senso di essere determinato in un qualche modo o in qualche luogo. Dicendo che La temporalità è l’originario “fuori di sé” in sé e per sé ci sta dicendo qual è l’essenza della temporalità, cioè l’Esserci, che è temporalizzato, storicizzato, è sempre in un fuori di sé, intanto perché è gettato innanzi, quindi è già gettato fuori di sé, e l’essere gettato non è altro che lui stesso; dall’altra parte, questo Esserci risulta fuori di sé in quanto ciò che lo costituisce è qualcosa che non è dentro di lui ma è la storicità che lo ha costituito. Infatti, poco dopo dice la temporalità non è prima di tutto un ente che poi esce fuori di sé; la sua natura essenziale è la temporalizzazione nelle unità delle estasi. Estasi: ciò che sta fuori. A pag. 391. La temporalità originaria e autentica si temporalizza partendo dall’avvenire autentico in modo tale che esso, stato come ad-veniente, prima di tutto susciti il presente. Il fenomeno primario della temporalità originaria e autentica è l’avvenire. Avvenire, cioè, essere una pura possibilità. Badate bene, avvenire solo come pura possibilità. È questo che avviene dell’Esserci e all’Esserci: essere pura possibilità, essere Cura, perché essere pura possibilità non significa niente altro che essere gettato innanzi e avere la possibilità di fare cose, modificare cose, intraprendere cose, ecc., e questo è il progetto, qualunque esso sia. Poi, riprende la questione della morte, della finitezza. La sua finitezza (dell’Esserci) non significa primariamente un cessare, ma è un carattere della temporalizzazione stessa. L’avvenire autentico e originario è l’ad-sé-verso, l’andare ad-sé, esistendo come la possibilità insuperabile della nullità. L’andare verso sé, che cosa comporta? Il fatto che esiste in quanto possibilità. Se l’Esserci va verso sé ciò che trova è pura possibilità e essendo pura possibilità trova la nullità del fondamento. Dice, infatti, alla fine … esistendo come la possibilità insuperabile della nullità, possibilità insuperabile, non posso andare oltre la morte, non posso andare oltre la nullità. A pag. 392. Riassumiamo l’analisi finor condotta intorno alla temporalità originaria nelle tesi seguenti: il tempo è originariamente la temporalizzazione della temporalità e come tale rende possibile la costituzione della struttura della Cura. La temporalità è essenzialmente estatica. La temporalità si temporalizza originariamente dall’avvenire. Il tempo originario è finito. Cosa vuole dire tutto questo? Dice che il tempo è originariamente la temporalizzazione della temporalità. La temporalità, potremmo dire, la storicità che si temporalizza. Potremmo dire così: dire che la temporalità si temporalizza è come dire che la temporalità diventa in atto, si attualizza. Diventando attuale mostra di sé di essere estatica, vale a dire, che sta fuori, non la posso comprendere, non la posso gestire, io non posso cambiare ciò che la mia storicità mi ha fatto, non lo posso fare, sono quello che sono, come qualunque cosa è quella che è, è quella che è ma all’interno della temporalità, cioè, all’interno del mondo che è fatto di tempo, è fatto di ciò che lo ha costruito e di ciò che ancora oggi mantiene. Faccio un esempio banale: quando parliamo mettiamo in atto la nostra lingua, che è l’italiano, la quale lingua si porta appresso duemila e più anni di storia. Tutta questa storia è quella che ci condiziona, condiziona continuamente ciò che facciamo, ciò che pensiamo e il modo con cui pensiamo. Questa è la temporalità che si temporalizza, cioè, la mia storicità in atto. È attuale ciascuna volta in cui parlo, in cui penso, perché tutte queste cose lavorano mentre parlo e mentre penso. Tutta la storia della lingua italiana, per esempio, è qualcosa che è presente, anche se non me ne accorgo, in ciò che dico, nel modo in cui lo dico, nel modo in cui penso, e non posso uscire da questa storicità. Questa storicità è estatica, cioè, è fuori, nel senso che non la posso manovrare, non posso fare niente.